III Seminario Redattore Sociale 8-10 Novembre 1996

Periferie umane

Una nuova centralità delle periferie

Intervento di Gad Lerner

 

Gad Lerner - Inviato de La Stampa*

Dico che oggi avete più potere anche perché quello che tu chiamavi scarto è più del 15% della popolazione. Vorrei cominciare da quello che non ho trattato prima, cioè la questione del non profit, premettendo che su quanto diceva Marcon - anche le critiche che faceva ai giornali sulla politica estera, sulla Bosnia - sono assolutamente d'accordo. Non c'è il tempo di approfondire e spiegare, ma il prezzo da pagare per dare spazio a quelle notizie che la gente non voleva sentirsi raccontare era alto, perché c'è stato un meccanismo micidiale, per cui tenere la Bosnia in prima pagina per alcuni mesi di fila era un prezzo che tu pagavi, mentre viceversa c'erano i giornali col vento in poppa, quelli che stavano crescendo rapidamente nella diffusione, che arrivavano a non dare in prima pagina neanche la notizia delle stragi al mercato, perché anche questo è successo a Sarajevo. 
La questione della definizione di questo Terzo settore, del non profit, del suo potere, delle sue prospettive. Cercando di documentarmi un po' mentre venivo qui, leggevo di una discussione interna, molto accesa che c'è dentro l'associazionismo, su che cosa si debba considerare volontariato e che cosa no. Ho letto dei testi di un Forum sull'Aids che per statuto richiede che i dirigenti di questo Forum siano tutti prestatori di lavoro esclusivamente gratuito, che non sia possibile pensare che ci sia del lavoro retribuito al loro interno, perché distinguono in base a questo chi è volontariato e chi no. Sempre venendo qui col treno ho incontrato un vecchio amico che si chiama Vittorio Riser, che invece è un vecchio operaista: "Quaderni rossi", "Avanguardia operaia", "Circolo Lenin" di Torino. E' un grande studioso di inchieste operaie, un raffinato sociologo che ha rinunciato alla carriera universitaria per stare nell'ufficio studi della Cgil e continuare a fare inchieste operaie, uomo vecchio stile da questo punto di vista, di grande valore, che quando sente parlare di Terzo settore, di non profit, comincia a insospettirsi e dice: "Ah, cos'è quella porcheria lì? Anche nel sindacato hanno cominciato a parlarne, ma io non ne voglio neanche sentir parlare, perché hanno inventato questa fiaba del Terzo settore che si espande e che dà occupazione per mascherare il fatto che intanto tolgono i posti di lavoro veri, che sono quelli di cui mi occupo io, quelli in cui si lavora l'acciaio".
Guardando insieme a lui i dati che mi avete fornito sul Cnca, gli facevo vedere che in fondo siete una realtà bella grossa, perché ho visto queste statistiche secondo cui ci lavorano 7.671 operatori in tutta Italia, dei quali 4.029 a titolo volontario e poi, gli ho fatto notare, 3.025 retribuiti. Allora lui ha detto: "Beh, però è come se andassi alla convention non dico della Fiat, ma della Zanussi", cioè di una bella e grande azienda italiana, con un'utenza che arriva a contattare 52.000 persone l'anno. Insomma, una cosa grossa, e questa dimensione, questi dati, la concretezza, secondo me meritano delle considerazioni non di carattere esclusivamente moralistico.
Vorrei cercare di capire meglio da Ascoli e da Marcon che cosa intendessero dire, mettendo le mani avanti e citando gli esempi americani, quasi a diffidare dell'eccesso di retorica sul Terzo settore. Certamente le parole che diventano di moda suscitano in noi diffidenza. Certamente il racconto di Ascoli, per cui si considerano Terzo settore pure la Luiss e l'Università Bocconi oltre che il Cnca, ci colpisce tutti, però non consideriamo il Terzo settore esclusivamente come il surrogato, posticcio e opportunista, che non a caso viene sponsorizzato dal "Sole 24 ore", per il fatto che dobbiamo smantellare lo Stato sociale. Non limitiamoci a dire - la cosa è incontestabilmente vera, se la dite voi io ci credo - che in America crescono soltanto il Terzo settore e le guardie giurate, perché dobbiamo anche porci una domanda su che cos'è questo Stato sociale in Italia oggi, se non dobbiamo anche noi dare un contributo consapevole allo smantellamento di alcune storture forti che esistono al suo interno. E' giusto, oggi, questo Stato sociale? Dà veramente a chi ha bisogno? Oppure non è così? Consente un accettabile tasso di mobilità sociale, un equilibrio di diritti tra generazioni? Consente un accesso e un rinnovamento all'interno del mercato del lavoro, oppure tutto questo è bloccato? E da questo punto di vista è una responsabilità anche nostra, quella di una critica radicale, che non sia appunto smantellamento delle tutele per i più deboli, ma sblocco di un sistema che molto spesso è un sistema di privilegi, a tutela di una cristallizzazione di questa società. Mi interessa molto di più considerare lo sviluppo di questo Terzo settore da questo punto di vista, anche per la ragione che accennavo prima con una battuta sul 14 o 15% di scarti, dei quali, per vocazione, don Vinicio Albanesi vuole innanzi tutto occuparsi.
Stiamo vivendo una stagione un po' ridicola dal punto di vista delle mode lessicali, per cui in Italia siamo diventati tutti ceto medio. E' appena uscito un libro di Giuseppe De Rita, che trovo molto debole, nonostante in passato abbia apprezzato le sue intuizioni, le sue suggestioni e provocazioni linguistiche che però erano finalizzate a darci degli scorci magari cinici, ma molto veritieri sulla realtà sociale italiana. Lui sostiene che tutti quanti in Italia apparteniamo a questa grande bolla indistinta del ceto medio, che è un termine che diventa più moralistico e culturale che sociologico, per cui diciamo ceto medio per intendere che siamo tutti un pochino benestanti, abbiamo tutti qualcosa da perdere e soprattutto siamo tutti quanti un po' moderati, per cui inseguono i ceti medi quelli di sinistra, perché così conquistano il centro dello schieramento elettorale e vincono le elezioni e si ergono a portavoce dei ceti medi bastonati quelli del Polo, che oggi hanno fatto la marcia a Roma, in nome e per conto dei ceti medi ed esaltando la propria appartenenza ed il proprio annullarsi in questo grigiore indistinto italiano del ceto medio. La realtà credo che sia un'altra e cioè che invece questa società italiana si stia spaccando molto al proprio interno, che ci assomigliamo sempre di meno tra di noi, che queste zone di privilegio siano in molti punti della Penisola messe fortemente in discussione e lo saranno ancora più rapidamente nei prossimi mesi e nei prossimi anni, a partire dalle nuove generazioni, a partire dai giovani e dai vecchi, cioè dai due estremi del corpo sociale, e che dunque probabilmente le aree con le quali dovranno intervenire anche il Terzo settore o il volontariato, saranno molto più vaste che non quelle estremità sociali, dell'estremo disagio, dei drop out, del disagio metropolitano più acuto.
L'ultima considerazione che voglio fare a questo proposito riguarda il sociale e il politico. Alcuni colleghi giornalisti mi facevano delle domande sul perché di tanta distrazione, di tanta faciloneria dei giornali nei confronti delle tematiche sociali. Non c'è dubbio che fra le ragioni più determinanti c'è quella del potere, di cui abbiamo discusso prima, cioè la capacità di intimidazione e di controllo e denuncia costante su un lavoro fatto male, distratto, ostile, scandalistico. Che quindi questo sociale si organizzi e faccia sentire la sua voce, e abbiamo visto che ha sempre più strumenti e risorse per farlo. Ma un'altra delle ragioni per cui c'è stata, secondo me, una forte crescita della distrazione rispetto al sociale dipende dalle ultime congiunture politiche. Veniamo da alcuni anni, direi dal '93-'94 fino ad oggi, che sono stati anni di tumultuoso cambiamento politico: abbiamo visto la sparizione della Democrazia cristiana, l'ingresso in campo di Berlusconi, la sua vittoria elettorale, e poi la rivincita di quegli altri, dopo un periodo di sospensione tecnica, durante il governo Dini.
C'è stato tutto un periodo in cui i mass media hanno concentrato ossessivamente la loro attenzione sul "Palazzo" romano. I cronisti migliori, i commentatori migliori, le trasmissioni televisive, i talk show, tutti quanti si sono dati da fare negli studi televisivi di Roma; Saxa Rubra è diventata caput mundi e le redazioni politiche dei quotidiani a loro volta caput mundi dentro ai giornali. Forse è stato necessario, è stato un periodo in cui molti cambiamenti si verificavano dentro ai palazzi del potere e la crisi dei poteri centrali - politico, economico e finanziario - è stata particolarmente acuta, piena di colpi di scena, di guerra per bande, e i palazzi di giustizia naturalmente sono tra questi. Ho l'impressione che nel frattempo molto sia cambiato e stia cambiando nella società italiana e che si torni ad una centralità delle periferie. I sommovimenti, belli e brutti, da quelli secessionistici ed egoistici e razzistici, a quelli di crescita di un'organizzazione, di una partecipazione sociale dal basso diversa, oggi contano di più. E' in atto una metamorfosi nella società italiana, molto poco compresa e scrutata dal centro politico, ma che sarà necessario tornare ad indagare, perché dei segnali verranno mandati da questa periferia, che potranno essere segnali di tipo elettorale o di tipo più traumatico come quelli che ipotizzava Vinicio prima. Anche da questo punto di vista ci sarà una convenienza, una redditività in termini di copie, di vendite, di audiences, nel tornare a guardare alle tematiche del sociale e dentro a questa centralità della periferia, credo che il Terzo settore possa acquistare ancora di più quel potere che auspicavo prima.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.