IV Redattore Sociale 14-16 novembre 1997

Dire, non dire, dire troppo

La privacy dei N.I.P. "...il nome è di fantasia per tutelare il minore..."

Incontro con Luisanna Del Conte

 

Luisanna Del Conte - presidente del Tribunale dei Minori di Ancona*

La responsabilità educativa dei media

Una delle prime nozioni che sono impartite agli studenti di giurisprudenza è che ad ogni "diritto" facente capo ad un soggetto corrisponde un "dovere", di fare o non fare, facente capo ad un altro od altri soggetti. Quale è il dovere che corrisponde al diritto di cronaca? C'è un dovere di essere informati? O forse c'è un dovere a formarsi, cioè a crescere? Ma tale dovere di crescita è piuttosto un diritto alla crescita e a questo punto il diritto di cronaca non diviene dovere di cronaca?
Riprendendo il tema della crescita, è dovere di "buona" cronaca per far crescere la conoscenza e la consapevolezza dei lettori, ed in particolare dei soggetti in età evolutiva che qui interessano. 
La radio, la stampa e, particolarmente, la televisione hanno una rilevante incidenza sullo stile di vita, sull'immagine di sé, sul significato dei rapporti interpersonali che il bambino-ragazzo, nella fisiologica ricerca della propria identità di uomo-adulto, tende a fare propri.
I mezzi di comunicazione sociale e coloro i quali in essi operano non possono ignorare questa realtà e non farsene carico rispettando il fondamentale diritto del minore all'educazione: diritto giuridicamente riconosciuto, che si estrinseca nel ricevere tutti quegli apporti positivi necessari ad una strutturazione armonica della personalità: è ormai (si spera) passato il tempo in cui "l'educazione" e la "crescita" del minore erano esclusivamente delegate agli "addetti ai lavori" - scuola, famiglia, gruppi parrocchiali ecc. - in cui i minori vivevano come in altrettante "riserve"; ora essi vivono nella società, e ciò accade anche per opera dei mezzi di informazione, per cui la società nel suo complesso deve essere in qualche modo educante. 
E' stato a tal proposito efficacemente detto che "l'uomo, a differenza di altre creature, nasce compiutamente da una doppia gestazione: quella nell'utero materno prima, per acquisire la corporeità; quella nell'utero familiare e sociale dopo, per acquisire pienezza di umanità". 
Sarebbe riduttivo, e quindi errato, attribuire un così impegnativo compito educativo alla famiglia ed alla scuola mentre la società tutta, ed in particolare i mezzi di comunicazione che così incisivamente influenzano i modi di vita e le opinioni, ritiene che non competa ad essa alcun compito educativo e continua ad inviare, di conseguenza, messaggi contrastanti con quei valori, recepiti nella Convenzione Internazionale sui diritti dell'infanzia del 20.11.1989 i cui artt. 16 e 17, tra l'altro, interessano particolarmente il tema che qui si tratta, che sono indispensabili per attuare compiutamente il diritto all'educazione del ragazzo.
Si deve quindi sottolineare con forza che i mezzi di comunicazione hanno unaresponsabilità nei confronti degli utenti deboli perché ancora in formazione e che è compito anche loro costruire persone che, da una parte, conoscano la vita in tutte le sue realtà, ma che dall'altra abbiano anche gli strumenti adeguati per accettarle senza riceverne traumi. 

Gli "pseudo-eventi"

Sarebbe necessario a tal fine eliminare, in via primaria, dall'informazione quelli che sono stati definiti gli "pseudo-eventi" di cui è principale produttrice la televisione: infatti tale mezzo di comunicazione, oltre a selezionare ed evidenziare alcune categorie di eventi, trascurandone ed oscurandone altre, concorre alla formazione degli eventi prescelti, che non si verificano spontaneamente ma sono pianificati e provocati con lo scopo primario di venire riportati e riprodotti dai mass‑media. La telecamera manipola sempre la visione dei fatti ed a loro volta i protagonisti agiscono sempre in modo diverso quando sanno di essere ripresi: in altre parole la televisione è il canale principale di conoscenza non della realtà, ma di quella che viene percepita come la realtà. Conseguenza di detta manipolazione è la sistematica violazione, prima che di norme giuridiche, di un imperativo etico: fare uso della propria conoscenza, del proprio sapere, della propria capacità di analizzare e di sintetizzare per portare chiarezza, informazione, verità.
Il giornalista o lo scrittore, l'insegnante, il poliziotto, il giudice, i quali utilizzano il loro più alto livello di conoscenza e di capacità di pensiero per confondere, per dar sostegno ad inesattezze se non addirittura a falsità, per rendere più difficile anziché più facile la comprensione degli avvenimenti e dei fenomeni, si comportano in modo immorale. 
L'immagine dell'infanzia, quale è presentata oggi dai mezzi di comunicazione e quindi accettata dall'opinione pubblica, è appunto quasi sempre distorta e molte volte completamente falsa. 
L'immagine è stereotipata: bambino-ragazzo bello, sano, felice che ha diritto ad avere tutto ciò che propone la pubblicità, oppure bambino-ragazzo emarginato, maltrattato, delinquente, dilaniato tra adulti contendenti e che pertanto fa notizia.

Il bambino-ragazzo che non c'è

Il bambino- ragazzo reale - quello che è e non ha, infelice, speranzoso, insicuro, bisognoso di aiuto, in crisi adolescenziale, confuso in una realtà percepita ostile, oggetto di incomprensione, microviolenze, trascuratezze, oggetto di troppo o troppo poco affetto; questo minore reale è sostanzialmente assente nella rappresentazione dell'età evolutiva fatta dai mezzi di informazione e rimane perciò il grande sconosciuto, l'incompreso per antonomasia.
Quello che invece è fin troppo presente è il bambino‑ragazzo che, coinvolto nei fatti di cronaca, viene utilizzato come protagonista emblematico delle vicende della vita.
Caduti gli impegni più o meno ideologici dei decenni passati, è emerso prepotentemente nella realtà d'oggi un bisogno del c.d. privato, tanto è vero che il legislatore ha sentito la necessità di tutelare la privacy: i mezzi di comunicazione hanno scoperto, in particolare, la grande presa emotiva che esercita sul pubblico la storia che ha per protagonista il soggetto debole, in particolare il bambino. Quindi vi è sempre una maggiore attenzione da parte della stampa e della televisione ai casi che riguardano il minore in difficoltà, che viene ripreso, intervistato, fotografato: quando poi la difficoltà del minore "nasce da" o fa nascere "una" vicenda giudiziaria, i giornalisti con gli "esperti" imbastiscono veri e propri processi alternativi, facendo scattare nella collettività molte molle represse tendenti tutte a spostare psicologicamente sugli altri le proprie personali mancanze ed inadeguatezze.
In tutto ciò si compie un grave peccato di omissione, si dimentica che il bambino-ragazzo ha bisogno di silenzio intorno a sé per crescere gradualmente ed armonicamente e, soprattutto, si dimentica che, quando si tratta di minore conteso, la pubblicizzazione del caso contribuisce ad esasperare la conflittualità ed alle volte costringe l'involontario piccolo protagonista a schierarsi da una parte o dall'altra, imponendogli in tal modo una scelta lacerante.
In questi casi i danni provocati sono irreversibili, perché la scelta e la conseguente perdita di una figura adulta significativa non sono elaborate in silenzio e con i tempi necessari. 
Dalle "luci delle ribalta" il minore può uscire distrutto: per questo diviene essenziale una più attenta regolamentazione del rapporto tra diritto‑dovere, costituzionalmente garantito (art. 21 Cost.) della libertà di informazione ed il contrapposto diritto-dovere, anch'esso costituzionalmente garantito (art. 2 e 31 Cost.), di proteggere il cittadino in formazione assicurandogli un corretto processo di crescita. 

La centralità dei minori nel diritto

A partire dalla Carta Costituzionale - ove è evidente il "favor minoris" nell'ambito del più ampio progetto di rispetto, tutela e promozione della persona debole - e attraverso la legge sull'adozione speciale del '67, il c.d. nuovo diritto di famiglia del '75, la legge sull'interruzione volontaria della gravidanza del '78, la legge sull'adozione e sull'affidamento dell'83, le varie normative succedutesi in tema di divorzio, per poi arrivare alla convenzione dell'O.N.U. (novembre '89), il nuovo codice di procedura penale e le recenti leggi sulla violenza sessuale e sulla privacy, il legislatore nazionale e internazionale ha sempre più puntualmente ritagliato un ampio spazio di centralità, rispetto, tutela della personalità e del diritto del minore alla crescita.
Per tale soggetto i limiti posti dalla norma all'invasione della sua riservatezza sono amplissimi: egli non ha una sfera pubblica, la conoscenza della sua vicenda personale non può adempiere, di regola, ad alcuna funzione di utilità generale, la pubblicazione della sua immagine è risposta alla curiosità e non realizazione di interessi socialmente rilevanti. 
E' opportuno esaminare più da vicino le norme contenute sul punto del codice di procedura penale vigente (art. 114 comma 6, 472 c.p.p. e 13 disp. proc. pen. Min.).
Dalla ricordata normativa processual‑penalistica discendono alcune regole:

1) nessuna influenza può avere sul diritto alla riservatezza la particolare notorietà del fatto commesso dal minore o di cui esso è vittima; 
2) non si vuole sottrarre alla conoscenza dell'opinione pubblica, e quindi al diritto di cronaca; l'accadimento della vita che costituisce la sostanza della notizia ma solo l'individuazione del soggetto; 
3) la tutela non è riferita al solo momento dibattimentale ma ricomprende tutta la fase precedente sin dalle prime indagini della polizia giudiziaria; 
4) è vietata la divulgazione di qualsiasi notizia ed immagine che possa portare all'individuazione anche indiretta del minore;
5) la riservatezza non esiste più quando il ragazzo consente alla pubblicazione della sua vicenda ma il consenso può essere dato solo dall'ultra sedicenne: prima dei sedici anni per il minore vittima può essere consentita la pubblicazione delle generalità e dell'immagine sola se il Tribunale Minorenni ritiene che la divulgazione corrisponde all'interesse del ragazzo; se si tratta, invece, di un minore imputato è necessaria anche per l'ultrasedicenne una valutazione del giudice per i minorenni volta ad accertare l'esistenza di un serio interesse del ragazzo a rendere pubblico il suo processo.

La normativa è stata poi completata con l'art. 734 bis c.p. (nuove norme contro la violenza sessuale 15.2.96 n. 66) che prevede, in detta materia, un generale divieto di pubblicità a tutela della persona offesa salvo il suo consenso: se però la persona offesa è un minorenne - e il problema si pone per i minori tra 16 e 18 anni, in quanto per gli infrasedicenni è sempre valida la necessità di autorizzazione da parte del Tribunale Minorenni - è ben difficile ipotizzare che lui e i suoi genitori, soprattutto se non abbienti e poco acculturati, riescano a resistere alla suggestione dei mezzi di comunicazione ed alla promessa di un compenso; in materia di reati sessuali, che intrinsecamente sollecitano la morbosità, sarebbe stato funzionale prevedere un divieto assoluto di pubblicità delle generalità, dell'immagine, di ogni riferimento al luogo di residenza e di qualunque altra indicazione che possa condurre all'identificazione della vittima, sia essa maggiorenne che minorenne.
Appare evidente comunque dalla normativa globalmente applicabile che, nel bilanciamento tra interesse generale della collettività a conoscere fatti penalmente rilevanti e l'interesse specifico del ragazzo a non essere etichettato come deviante o comunque protagonista di una vicenda scabrosa, il legislatore ha decisamente optato per questo secondo interesse. 

L'intransigenza sui bambini-immagine

Concluso il discorso per quanto riguarda la materia penale, resta aperto quello extra penale (adozione, divorzi, riconoscimenti, affidamenti, suicidi, fughe ecc.) che i casi degli anni scorsi hanno dimostrato essere fecondissimo terreno di "serials" giornalistici con enormi ed ingiustificati coinvolgimenti emotivi dell'opinione pubblica. 
In questo settore non vi sono ancora normative puntuali a tutela del minore, anche se i sopra ricordati principi di carattere generale, più le norme della recente legge sulla privacy, dovrebbero ampiamente soccorrere nell'individuare le regole di comportamento; comunque, anche in questi casi, è necessaria una codificazione. 
Sembra di potere affermare che ci troviamo in una fase iniziale in cui l'intransigenza è necessaria per completare questo sistema vigente di regole di comportamento, in cui l'esigenza primaria è l'affermazione di un principio di civiltà su una serie di interessi particolari, anche di natura economica, difficilmente sradicabili.
Solo un cenno sul tema dell'utilizzazione dell'immagine del minore, quando non sia stata comunque carpita, e su quello, collegato, dell'utilizzazione del bambino ragazzo e della sua immagine, nei messaggi pubblicitari.
La legge tace in proposito: per prassi si ritiene sufficiente il consenso dell'esercente la potestà. Ma per convenire che in materia sia necessario un intervento urgente per colmare questo vuoto legislativo, basta pensare che l'ordinamento vieta al genitore, senza l'autorizzazione del Giudice Tutelare (art. 320 c.c.), l'alienazione dei beni del figlio pur di scarsissimo valore, mentre consente al genitore di decidere liberamente sull'utilizzazione dell'immagine del bambino-ragazzo facendola divenire, a seconda dei casi, un'immagine pubblica o un bambino-ragazzo immagine, con buona pace del silenzio e dei valori che devono circondare quell'armonica crescita cui il minore ha diritto. E' opportuno ricordare inoltre che il Tribunale Minorenni di Ancona, con un provvedimento del 26.3.'96, confermato in Appello, ha vietato ad un genitore di far partecipare i figli minori ad una trasmissione televisiva, ritenendo la partecipazione pregiudizievole alla serenità dei rapporti familiari e quindi pregiudizievole per i minori.
Il diritto, pur con le segnalate carenze, sta cercando di tutelare anche in questo settore la personalità del bambino-ragazzo, ma il diritto non è tutto e comunque non è onnipotente: è pertanto fondamentale che i professionisti che operano nei mezzi di informazione continuino con serietà a percorrere quella strada che è stata indicata nella carta d'intenti di Treviso (ottobre 1990) e fatta propria dall'Ordine dei Giornalisti delle Marche.

Le responsabilità dei politici

In questi ultimi anni la stampa e la televisione hanno fatto molto per imporre ad un'opinione pubblica estremamente disattenta, al di là del fatto clamoroso, la centralità per il nostro futuro del problema dei soggetti in età evolutiva, ma forse si può fare qualcosa di più: ad esempio tutti noi giudici, avvocati, giornalisti, medici, operatori sociali, volontariato, siamo stati coinvolti nei processi giornalistici alternativi riguardanti fatti relativi a bambini: mai, invece, vi sono stati coinvolti politici ed amministratori sia a livello nazionale che locale. 
Eppure è proprio su questi soggetti che gravano pesanti responsabilità rispetto alla situazione dei minori in difficoltà familiari. Perché non provare ad informare l'opinione pubblica di tutto ciò? Perché non sollecitare il legislatore ad intervenire là dove necessario? 
Perché, ad esempio, non dire a chiare lettere che i vecchi istituti assistenziali continuano ad esistere perché il ricovero in istituto è per tutti, dall'amministratore alla famiglia passando attraverso le varie professionalità, la soluzione più facile? Perché non evidenziare la necessità di una riforma legislativa volta a stabilire che la ricerca del bambino nell'adozione internazionale può essere fatta solo attraverso enti autorizzati dello Stato?
Perché non sollecitare il legislatore regionale a porre più puntuale attenzione al reclutamento ed alla formazione degli operatori di tutti gli enti locali che dovranno trattare "cose" minorili?Ad esempio, nelle Marche ciò sta avvenendo, con il piano triennale sull'assistenza, ma sui giornali si discute solo sul piano triennale sulla sanità.
Perché non pubblicizzare "i salti mortali" che noi ‑ operatori sociali e magistrati minorili, che dobbiamo e vogliamo applicare alcuni istituti del nuovo processo penale - siamo quotidianamente costretti a compiere per mancanza di quelle comunità, che sono il fulcro della nuova normativa, e che gli enti locali ed il Ministero di Grazia e Giustizia non ci hanno ancora fornito? E' così difficile, in positivo, pubblicizzare l'onestà, la disponibilità, la professionalità, l'osservanza della legge per conciliare le esigenze dell'informazione e quelle processuali?
E da ultimo ritengo di non potermi sottrarre, in questa sede, dall'affrontare lo spinoso problema dei rapporti tra esigenze processuali (penali e civili) ed esigenze dell'informazione. 
E' nell'interesse di tutti che i processi siano celebrati nella loro sede istituzionale con la dovuta procedura, ascoltando parti, testimoni, esperti: le regole della giurisdizione sono garanzia di libertà e di civile convivenza.
Queste regole non possono essere rispettate dalla televisione e dai giornali i quali, quindi, non sono sedi idonee per i processi che, invece, amano tanto celebrare, parallelamente a quelli veri, avendo a disposizione solo elementi di giudizio parziali e molte volte distorti. 
Ed allora il dovere giuridico e morale di silenzio da parte del magistrato e le esigenze dell'informazione sono inconciliabili? Forse no, forse alcuni suggerimenti per l'una e l'altra parte possono portare ad una costruttiva collaborazione:

1) occorre prudenza prima di prestarsi a fare da cassa di risonanza alle tesi di un cittadino che protesta contro l'operato dei giudici;
2) i documenti ed i provvedimenti di cui vengono in possesso i giornalisti, devono dagli stessi essere letti per intero e devono essere riassunti per gli utenti in modo completo ed onesto; 
3) formare degli informatori‑esperti i quali vadano a parlare con chi può loro spiegare bene la questione (nel nostro caso con la magistratura e/o i servizi minorili); tali colloqui, e non interviste, dovranno essere tranquilli, seri e l'informatore‑esperto dovrà essere in grado di comunicare con esattezza agli utenti le informazioni e le precisazioni ricevute. 
Il giudice non può rispondere a domande formulate male e/o dettate solo dall'esigenza di rispondere a curiosità non funzionali alla chiara spiegazione del problema: 
4) disponibilità da parte dei giudici a rapportarsi con l'opinione pubblica e con i suoi informatori. Nulla vieta ai giudici di parlare delle problematiche generali che il caso pone senza però entrare nel merito dello stesso, d'altra parte nulla vieta al giornalista di andare dal giudice, nei momenti in cui non si è travolti dall'ondata emotiva del "caso", per approfondire e documentarsi su uno dei mille e mille problemi che riguardano i nostri bambini e ragazzi.

Possiamo collaborare tutti per una crescita culturale, per una convergenza delle attività, delle professionalità e soprattutto delle volontà per cercare di dare delle risposte idonee ai tanti e troppi bambini e ragazzi che vivono situazioni di gravissimo disagio.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.