V Redattore Sociale 20-22 novembre 1998

Acciaio e Cristalli

Editoria del non profit: cosa mettere in prima pagina?

Incontro con Vinicio Albanesi, Stefano Trasatti e Gerolamo Fazzini

Vinicio Albanesi - sacerdote, presidente  del C.N.C.A*

Introduzione

E' un tema delicato quello che Fazzini di Avvenire affronterà. Noi del non profit facciamo una serie di rimproveri al mondo della comunicazione e il mondo della comunicazione rimprovera noi di saper fare solo bollettini parrocchiali, con tutto il rispetto delle parrocchie. Credo vada fatta una connessione: il mondo del non profit sta a fianco del mondo della marginalità. Ritorna ancora una volta la storia dell'agenzia. 
Dove c'è un'alluvione, una frana, una ragazza prostituta, un immigrato, ecc., lì incrociate sempre dei volontari. Molti di voi provengono da questo mondo e molti di quelli che appartengono al mondo del non profit vorrebbero passare a quello della comunicazione. Sono scommesse che durano decenni. 
Nelle nostre redazioni non abbiamo mai parlato della comunicazione religiosa e pensare che Famiglia Cristiana stampa un milione e 100 mila copie; Il Messaggero di S. Antonio 1 milione e 200 mila; rispetto alle 36 mila copie di Capital o del Liberal su cui hanno speso 13 miliardi di campagna pubblicitaria. In Italia, attenti al non profit sono il mondo cattolico e quello dell'impegno politico a oltranza e certe notizie le dovete leggere o su Avvenire o sul Manifesto. Questa è la realtà non è che ci sia un giudizio di valori.
Gerolamo Fazzini con gli strumenti di cui dispone vi incamminerà in questo percorso e Stefano Trasatti lo accompagnerà cercando di fare incrociare questi due mondi.

Stefano Trasatti - segretario C.N.C.A.*

Questa sessione era nata come un workshop. Prevedevamo infatti l'interesse di quella parte di iscritti al seminario - circa il 25% - che operano nella comunicazione del non profit. Invece è diventata una cosa molto più ampia, intanto perché è una plenaria e poi perché cercheremo, a partire dalla relazione di Fazzini di far dialogare questi due mondi (chiamiamoli così anche se in realtà il mondo è uno solo).
Quello che a noi più interessa è semplicemente questo: cercare di trovare forme efficaci per comunicare. L'idea dell'agenzia è stata più volte ribadita; per sgombrare il campo ad alcuni malintesi spiego velocemente che noi abbiamo pensato (ed è un po' l'uovo di colombo) a un'agenzia vera che arrivi nei terminali dei giornalisti insieme alle altre agenzie più prestigiose e per fare questo ovviamente occorre che il prodotto giornalistico sia di qualità. Questo tema dell'agenzia rientra nel filo conduttore della gerarchia delle notizie perché la domanda: "cosa mettere in prima pagina?" vuole significare che anche le riviste del terzo settore, anche il più umile bollettino interno, sono comunque prodotti giornalistici, comunicativi e quindi devono sottostare a delle regole per essere letti, fruiti e capiti. Anche qui vanno fatte delle scelte e date delle priorità.

Gerolamo Fazzini - giornalista Avvenire*

Avevo preparato un intervento mirato come è già stato spiegato per chi si occupa di comunicazione all'interno del no profit. Molti di voi rispetto ad alcune delle cose che dirò si troveranno già d'accordo perché abbastanza ovvie. Vorrei che a partire da queste cose apparentemente ovvie si innescasse poi un dibattito. Preciso un'altra cosa, mi considero un po' a metà tra il mondo del non profit, del volontariato, ecc. e il mondo della comunicazione. Di mestiere faccio il giornalista, sono vicecaporedattore e sono responsabile dell'informazione religiosa di  Avvenire, in passato ho lavorato prima in una rivista missionaria e poi in un settimanale diocesano come direttore. Ho avuto a che fare - lo dico semplicemente per far capire il lungo itinerario professionale  - col mondo del non profit in maniera diretta in più occasioni e dall'altro versante mi sento anche parte del non profit. Sono a volte oggetto e spesso soggetto d'informazione, mi pare di leggere certi problemi da angolature diverse a seconda del versante in cui colloco il mio punto di vista e questo può già aiutare a leggere le cose in un certo modo.
Sbaglia a chi pensa al "giornale non profit" come a un prodotto editoriale semplice. Realizzare uno strumento di informazione è invece impresa complessa: perché costringe a verificare gli scopi dell'attività dell'ente-gruppo-associazione che lo promuove, perché chiede di confrontarsi con il quadro complessivo dell'editoria, perché - a meno di non voler fare uno strumento autoreferenziale (e perciò inutile!) - obbliga a riflettere su alcune dinamiche sociali e culturali nelle quali il mondo del volontariato e del non profit in generale è implicato.

I. Gli obiettivi della stampa non profit

1. Le motivazioni che portano un'associazione, un'impresa del terzo settore, una cooperativa di lavoro a dotarsi di un bollettino o di una rivista sono all'apparenza evidenti, quasi banali:
a) mettere in circolo le notizie che riguardano l'operato dell'ente, per diffonderne la conoscenza presso un pubblico sempre più vasto (tale pubblico è formato da altre realtà del non profit, singoli e istituzioni);
b) motivare e incrementare il consenso attorno al lavoro che viene condotto;
c) sensibilizzare sulle problematiche di cui l'ente (e di conseguenza la rivista) si occupa;
d) raccogliere eventualmente fondi a sostegno delle iniziative intraprese e/o in cantiere.
In tutto questo - almeno apparentemente - il bollettino di un'associazione di volontariato non si differenzia di molto dall'house organ di un'azienda, una sorta di vetrina dell'operato, magari con un filo di retorica di troppo, dell'ente promotore.
In realtà, a queste funzioni (informazione, sensibilizzazione, fund raising), ne aggiungerei una quarta, molto importante, che chiamerei funzione "aggregativa".
Il bollettino di un'associazione non profit è anche una sorta di album di famiglia, un punto di incontro fra persone diverse accomunate da ideali di solidarietà e impegno che lungo il cammino spesso intessono legami di amicizia. Lo strumento di collegamento diventa così anche un'occasione ulteriore per lavorare insieme.

2. Un'analisi più attenta mostra come il bollettino di una qualsiasi delle tante realtà che formano la galassia del non profit assolve a funzioni che vanno oltre quelle semplicemente "ad intra" che abbiamo delineato poc'anzi.
Detto in altri termini: un prodotto editoriale del genere serve non solo all'associazione, ma può servire (anche, forse soprattutto) a chi sta al di fuori di essa.
Consapevolmente o no, l'editoria no-profit svolge, talvolta confusamente, in maniera spesso non professionale, ma de facto, un ruolo complementare a quello della stampa profit, dei grandi organi di informazione.

Informare per cambiare

Un ruolo che si declina in una triplice forma:
- riscatta dalla spirale del silenzio molti soggetti e realtà che altrimenti non avrebbero diritto di cittadinanza sulle pagine del quotidiano o della rivista che va in edicola. In altri termini, l'editoria del non profit, l'insieme dei bollettini e dei fogli di associazioni e cooperative che esprimono un sottobosco della solidarietà spesso dimenticato, dà voce costantemente a chi non ha voce, a chi sta ai margini della notizia;
- denuncia situazioni di ingiustizia, casi di leggi non applicate, disfunzioni burocratiche, ma anche ritardi culturali nell'approccio ai problemi sociali. Per questo, se ben intesa nelle sue potenzialità, l'editoria del non profit può diventare una sorta di pungolo nei confronti dell'opinione pubblica;
- c'è poi un importante compito "politico" (in senso alto e vasto) che l'editoria del non profit può mettere in atto: si tratta cioè non solo di far conoscere, ma far muovere le persone, sensibilizzare la coscienze. Detto con uno slogan, al non profit interessainformare per cambiare.

Siamo in presenza dunque di un'editoria che sa di non essere neutrale, che non vuole essere statica, non si rassegna a funzioni notarili, di registrazione dell'esistente.
Di più: la stampa del terzo settore sa di assolvere un più vasto compito di natura culturale e storica, perché il "mercato" cui dà vita è una "terza via" che può permettere nuove forme di convivenza nell'ottica di una solidarietà estesa. 
Scrive Rifkin, nel suo noto saggio La fine del lavoro: "La visione del Terzo Settore offre l'antidoto ormai necessario al materialismo che ha così profondamente dominato il pensiero industriale del XX secolo. Mentre il lavoro, nel settore privato, è motivato dal guadagno materiale, e la sicurezza è vista in termini di aumento dei consumi, la partecipazione al Terzo Settore è motivata dallo spirito di servizio verso gli altri e la sicurezza è vista in termini di rafforzamento delle relazioni personali e di senso di appartenenza al consorzio umano. La sola idea di ampliare lealtà e affiliazioni personali al di là dei ristretti confini del mercato e dello Stato nazionale per includere la specie umana nella sua interezza e il pianeta nel suo complesso è rivoluzionaria e impone cambiamenti profondi nella strutturazione della società ".
Chi fa informazione nel Terzo Settore non è quindi neutrale per il semplice fatto che si fa portatore di una visione del mondo "rivoluzionaria", che punta a cambiamenti strutturali nella società, che mira a orientare il baricentro del benessere in maniera diversa da com'è oggi.
Ancora Rifkin: "I nuovi visionari considerano la Terra come un'entità organica e indivisibile, costituita da miriadi di forme di vita riunite in una comunità. L'agire in rappresentanza degli interessi di tutta la comunità umana e biologica, invece che nel nome del proprio bieco e ristretto interesse materiale, rende il paradigma del Terzo Settore una vera e propria minaccia alla visione orientata al consumo tuttora dominante nell'economia di mercato". 
Singolare destino dei giornalisti del non profit: debbono essere - in certa misura - dei "visionari", gente cioè capace, mentre racconta di anticipare il "mondo nuovo" che l'utopia del Terzo settore va inseguendo.

II. Cosa mettere in pagina

Se sono vere le premesse fatte, è evidente che i contenuti dell'informazione per una rivista del non profit non potranno che partire dalla vita concreta dell'associazione/gruppo/ente, ma senza fermarsi ad esse.

Questioni preliminari

1. rivista elitaria o "popolare"?

Per definizione una rivista che si occupa di un segmento del terzo settore (ad esempio descrivendo la realtà e l'attività di una cooperativa di lavoro per il reinserimento nella società di ex detenuti) è "settoriale". Con ciò, non s'è detto che la rivista debba interessare soltanto coloro che si occupano di disagio sociale e di carcere in modo particolare. Il punto è un altro: si tratta di fare uno strumento che, senza dimenticare il suo specifico, risulti più "popolare" possibile, evitando la tentazione del foglio patinato per un'élite.

2. rivista locale o "nazionale"

Non c'è nulla di più insopportabile che leggere certe esibizioni e sdottoreggiamenti moralistici sulle riviste del volontariato e del non profit tanto vaghi negli obiettivi e nell'esposizione quanto inconcludenti nei risultati. Una rivista, espressione di una realtà del non profit, deve innanzitutto e fondamentalmente parlare della vita dell'ente che la esprime. Tuttavia, se stanno le coordinate culturali che abbiamo delineato, non si può dimenticare il quadro generale nel quale il non profit si muove. Per usare uno slogan caro al '68 occorre "pensare globalmente, agire localmente". In altre parole, si può dar notizia di tutto quanto è culturalmente affine alle problematiche di cui si occupa la rivista, privilegiando il legame con il territorio che rimane fondamentale. Detto con un esempio banale: se l'ente interessato si occupa di handicap e lavoro, fa notizia per il suo bollettino l'incontro di coordinamento delle associazioni cittadine che si occupano di handicap, così come un commento sul progetto di legge nazionale per la riforma del collocamento obbligatorio dei soggetti disabili.

Proviamo a immaginare una sorta di timone fittizio. 

· Editoriale

In genere (ma non è certo obbligatorio!) è firmato dal presidente dell'associazione; talvolta coincide con la relazione a un convegno appena tenuto, spesso non brilla per appeal giornalistico e accessibilità. Come renderlo se non appetibile, almeno leggibile? Intanto occorre contenerne la lunghezza entro le 60-90 righe (assolutamente non oltre); poi va "spezzato" con dei sommari o delle parole-chiave evidenziate graficamente, eventualmente una fotina dell'autore per "muovere" la pagina...

· Vita dell'associazione

In questa sezione vengono raccolte notizie e informazioni relative alla concreta attività del gruppo: cronaca di iniziative, presentazione di esperienze significative, condotte in Italia o all'estero, illustrazione di nuove proposte. 
Come scegliere? Per quanto non si tratti di un prodotto che deve misurarsi col mercato (sono relativamente poche le testate del non profit che accedono all'edicola) si deve tener cura di alcuni parametri giornalistici essenziali:

- l'interesse del pubblico,
- il grado di novità,
- l'emblematicità di una storia,
- la qualità della resa finale (scrittura + immagini...).

· Le storie

Il racconto di esperienze di vita vissuta, di storie di solidarietà concreta, di interventi di volontari per risolvere situazioni di disagio rappresentano uno degli strumenti più efficaci per trasmettere i messaggi che stanno a cuore al mondo del non profit. Esistono però una serie di tentazioni nelle quali si cade facilmente:

- la tentazione agiografica: propria di chi descrive una storia esclusivamente o quasi per "beatificarne" il protagonista;
- la tentazione eroica: tratteggia la persona (o le persone) in questione come Buoni Samaritani dotati di caratteristiche eccezionali, al punto che inevitabilmente scava un abisso fra il lettore (che si avverte come persona comune) che di conseguenza si sente "tagliato fuori" (perché non all'altezza) da un'avventura del genere.

Il racconto dell'esperienza è utile, anzi indispensabile, nella misura in cui permette al lettore di: 
- rileggere le motivazioni alla radice di una determinata scelta di solidarietà (motivazioni nelle quali anch'egli può specchiarsi);
- capire i meccanismi che hanno portato a un determinato risultato il protagonista di una certa esperienza;
- rendere coscienza che un certo progetto-pilota o un'esperienza che a prima vista sembrava irripetibile in realtà può essere riproposto in altri contesti.

Se "la storia" ottiene il risultato di indurre all'azione ha funzionato, se invece si traduce in alibi ("quella persona è troppo capace, io non sarei in grado di fare altrettanto"), certamente no.

· Approfondimenti- riflessioni

Una rivista del non profit ha nel suo Dna quello di "far pensare" che legge, si configura necessariamente come strumento di riflessione, di analisi delle problematiche, senza venire meno alle sue ambizioni di testata tendenzialmente "popolare". Ciò significa che andranno previsti spazi di approfondimento di temi sociali, presentazioni e spiegazioni di provvedimenti legislativi attinenti l'attività dell'ente interessato. È utile - se il parco-collaboratori lo consente - stabilire rubriche apposite da affidare a esperti in materia.

· Notizie di servizio

Un bollettino, proprio in quanto strumento di collegamento, si curerà sempre di offrire gli elementi necessari al lettore per una sua partecipazione attiva non soltanto alla vita dell'associazione, ma anche a quei momenti della vita sociale del territorio che si ritengono importanti.

III. I linguaggi

Un buon giornale è un po' come un menu ben assortito: c'è il piatto forte, c'è la pietanza piccante, c'è l'aperitivo, il dolce...
Vale a dire: non tutto, non tutti i temi e quindi non tutti i pezzi, all'interno di un numero di giornale-rivista-bollettino ha la stessa importanza. Ciononostante è l'equilibrio generale del prodotto, il dosaggio fra argomenti seri, impegnativi e altri relativamente più leggeri, la sapiente distribuzione di pezzi lunghi e altri brevi ad assicurare leggibilità e dunque successo al prodotto finale.
È determinante saper utilizzare nella maniera migliore i diversi generi giornalistici: l'articolo di cronaca (può essere il resoconto di un'iniziativa), l'intervento dell'esperto, l'intervista (oppure il "giro") su una questione di scottante attualità, il racconto di una o più storie (magari sotto forma di reportage), l'analisi di un problema sociale fatta con il linguaggio tecnico...

Questo permette anche di accontentare probabilmente il palato di una vasta fascia di  pubblico.

- Utilizzare un linguaggio semplice, comprensibile, anche - se possibile - negli articoli a tema "specialistico": occorre assolutamente spiegare i termini tecnici adoperati. Far sfoggio di conoscenze che alcuni lettori potrebbero non avere è una forma di pavoneggiamento inutile e dannoso!
- Ricorrere molto a tabelle e grafici: i numeri parlano più delle parole. 
- Dedicare molta attenzione al linguaggio delle immagini. In genere si fa grande uso di fotografie sui bollettini del non profit, ma spesso il risultato è discutibile, perché le foto sono di bassa qualità, i "tagli" prevedibili o addirittura errati. È raccomandabile la supervisione di un esperto in comunicazione visiva nella scelta e nell'impiego del materiale fotografico, specie se in quadricromia, che comporta costi tutt'altro che indifferenti. Precisazione doverosa: non è vero che la rivista in bianco e nero sia meno "prestigiosa" di quella a colori... 
- Curare molto la grafica: in genere i bollettini vengono impaginati da tipografi amici o da gente che gravita attorno al gruppo e "ci permette di risparmiare". I risultati sono in molti casi osceni: utilizzo di caratteri completamente fuori moda, impianto confuso della pagina, mancanza di gerarchizzazione delle notizie, confusione complessiva, disordine... Esistono felici eccezioni: la rivista del Csi Stadium ha chiesto a uno dei più noti (e costosi) grafici italiani di ridisegnare la grafica.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.