VII Redattore Sociale 1-3 dicembre 2000

Corre la lepre...

Resoconto dei workshop tematici

 

Edoardo Polidori - Medico, responsabile del Ser. T. di Faenza*

Adolescenti e i loro rapporti con le droghe

Nel nostro workshop, abbiamo parlato fondamentalmente del rapporto con il mondo delle droghe da parte degli adolescenti e non solo. Ho cercato di chiarire la differenza di rapporto con le sostanze possibili e che esistono tre tipi di consumatori: 

-    Gli esplorativi, quelli che usano le sostanze per curiosità, esplorano il mondo delle sostanze, le usano una-due-tre volte e poi assolutamente non le usano più;

-    I consumatori controllati o ricreazionali, quelli che programmano l'assunzione di sostanze, esercitano un controllo sulle sostanze conoscendone gli effetti e tentando di padroneggiarne anche i rischi;

-    I dipendenti, quelli per i quali, dopo il contatto con le sostanze, si sviluppa una situazione in seguito alla quale per loro è impossibile vivere il quotidiano senza l'ausilio delle sostanze. 

Esploratori, curiosi, uso ricreazionale, mondo della dipendenza: sono tre tipi di rapporti completamente diversi e connotano anche dei rischi e delle problematiche completamente diverse. Altra cosa affrontata è stata che l'uso di sostanze è molto connesso con la ricerca del piacere. C'è una lettura dell'uso di sostanze che le collega al disagio, ma in realtà l'uso, soprattutto delle nuove droghe oggi è fondamentalmente non connesso a un disagio, ma più a una ricerca di piacere in determinate situazioni. Le sostanze si usano perché piacciono. Questo può essere spiacevole da dire, ma le sostanze danno effetti piacevoli non a caso si chiamano stupefacenti. L'altra faccia della medaglia è che il piacere è connesso a rischi. Una delle sfide dell'informazione è cercare di portare il mondo degli adulti e il mondo degli adolescenti a non fissarsi sulla faccia della medaglia che a loro piace di più. Finché ci sarà un mondo di adolescenti che dice: "fai questo perché ti fa bene" e di adulti che controbatteranno: "non fare questo perché ti fa male", difficilmente si troveranno a dialogare, a scambiarsi informazioni. Gli adolescenti dovrebbero essere indotti a provare a ragionare sui pericoli, gli adulti a vedere anche gli aspetti di piacere, cercare di capire le motivazioni di piacere che spingono le persone ad usare sostanze. La mia percezione è comunque che tra i giornalisti le sostanze "droghe" non si conoscano bene, spesso capita di parlarne senza averne conoscenza. Qualcuno ha sottolineato come il parlare di aspetti piacevoli sia in un certo senso pericoloso e che andrebbero invece evidenziati maggiormente (per come l'ho percepito io) gli aspetti di pericolo e di rischio. Ognuno ha le sue impostazioni. L'informazione deve essere obiettiva e nel momento in cui tratta un argomento, affrontarlo dalla A alla Z. 

La seduzione delle sostanze

Tra chi usava sostanze, in particolare cocaina, c'era Robert Louis Stevenson, l'autore de " L'isola del tesoro" era un cocainomane, ha avuto un'esperienza drammatica con la cocaina, ebbe degli episodi deliranti con sdoppiamento di personalità. Quando si disintossicò decise di trasportare in un romanzo il suo dramma e scrisse "Il dottor Jekyll e Mr Hyde" che è un romanzo sulla cocaina. C'è tutto sulle sostanze, l'aspetto di fascinazione iniziale, la voglia di fare esperienze diverse e di approfondire degli aspetti della personalità. C'è all'inizio una valutazione positiva dell'esperienza, la seduzione delle sostanze, uno scoprire dei lati di sé che piacciono, diversi dalla propria routine quotidiana. Poi la progressiva perdita del controllo, le trasformazioni cominciano ad avvenire indipendentemente dalla volontà e alla fine l'impossibilità di esistere se non trasformati, il controllo completo della sostanza sulla volontà. Il romanzo si conclude con la morte di Jekyll e Mr Hyde. L'esperienza di Stevenson fu diversa. Per chi è amante di storia della droghe un altro consiglio, è il libro edito Bruno Mondadori "Storia dei generi voluttuari"' una rilettura della storia dell'Europa attraverso il traffico delle spezie, del caffè, del tabacco e della nicotina. Propone un modo di ragionare su come le sostanze hanno influenzato i costumi della nostra epoca e quelli dell'Europa.

Mimmo Tartaglia - Inviato della Redazione cronaca-società del Tg1*

Mauro Croce - Psicologo, opera nel Ser.T. di Verbania*

Mimmo Tartaglia

Giornalismo: normalità e trasgressione

Parlare di trasgressione è giornalisticamente molto interessante. Quando si parla di trasgressione siamo nel cuore della notizia. È diventato un modo di essere: esisti se trasgredisci. Il nostro tema era "La normalità patologica". La normalità è quello che frega i giornalisti, essi devono pensare all'anormalità. La notizia è quello che esce fuori dal normale, dalla norma. I temi di cui abbiamo discusso sono temi di cui nessuno parla mai. Alcuni temi se badate bene vengono trattati solamente in alcuni momenti particolari. Parliamo della schedina quando esce quella da due miliardi. Il giornalista va, si muove quando si vincono 87 miliardi e si cerca il Paperone. Quand'è che parliamo degli alcoolisti e dei problemi degli alcoolisti se non per prendere in giro qualche volta bonariamente gli alcoolisti anonimi? Se un ubriacone non ammazza la moglie "quando è ubriaco" quando mai finirà sui giornali? E così è per la dieta, l'anoressia. Parliamo dell'anoressia quando c'è qualche bambina che muore, qualche giovinetta anoressica che muore. Ricordo l'anno scorso qui si parlava di barboni, qualcuno disse: "voi giornalisti parlate dei barboni solo quando muoiono", "e quando ne dobbiamo parlare?". 

Il gioco d'azzardo: fenomeno di massa

Il gioco d'azzardo è l'argomento che ha preso un po' il sopravvento su tutto il resto. Oggi il gioco d'azzardo è passato da fenomeno d'élite a fenomeno di massa. Quanto sono coinvolti in questa trasformazione giornali, televisione ecc. come fa un fenomeno a diventare di massa se noi vengono veicolate e divulgate certe idee? Siamo corresponsabili, correi di questo fatto, se la gente gioca d'azzardo ed è convinta di essere nella normalità, forse è pure colpa nostra. Di fronte a questi fenomeni come ci poniamo? Quando Veltroni, qualche anno fa, annunciò trionfante: "facciamo il lotto anche il mercoledì", come passarlo? Quando ci ha convinto che giocare al Lotto serviva a rifare il patrimonio artistico italiano, ci sentivamo tutti dei muratori pronti a rifare la nuova Pompei con i soldi del Lotto. Fabio Fazio che fa la pubblicità al Lotto è corrotto o no? Ci convinciamo tutti che giocare al Lotto, paradossalmente, è una cosa eticamente sana, giusta, doverosa. Guai a chi non gioca perché se non giocate al Lotto vi sentirete colpevoli di aver mandato in rovina il nostro patrimonio archeologico. Non possiamo continuare a tenere in piedi la figura dello "Stato biscazziere" e poi lamentarci che c'è gente che finisce in clinica psichiatrica perché ha giocato. C'è   una crescita costante del gioco d'azzardo. Gli operatori stranieri sono molto attratti dalla situazione italiana, perché è un mercato fiorente. Gli italiani, sono i giocatori d'azzardo tra i primi al mondo, vengono subito dopo gli australiani che sono i primi in assoluto e poi forse gli americani. Secondo una vecchia teoria pare che sia una forma di compensazione al sottosviluppo. In Italia l'80% degli italiani gioca d'azzardo, intendendo anche la schedina. Quali sono i costi sociali del gioco d'azzardo? Danni al soggetto; minore produttività industriale ed economica, criminalità; strozzinaggio; danni alla famiglia; attitudine a compiere reati; depressione; sindromi legate allo stress; sindrome d'astinenza dal gioco che ha varie analogie con quella da eroina.

Un gioco sempre più individuale

Il giocatore d'azzardo patologico come già descritto nel workshop è colui che risponde almeno a cinque di queste dieci definizioni:

1.   è eccessivamente assorbito dal gioco d'azzardo;
2.   sente il bisogno di giocare d'azzardo con quantità crescente di denaro; 
3.   è ripetutamente tentato senza successo di controllare o interrompere il gioco; 
4.   è irrequieto o irritabile, quando tenta di ridurre o interrompere il gioco d'azzardo;
5.   gioca d'azzardo per sfuggire ai problemi o per alleviare un umore disforico, per esempio sentimenti d'impotenza, colpa;
6.   dopo aver perso al gioco spesso torna ad un altro gioco per giocare ancora;
7.   mente ai membri della famiglia, al terapeuta o ad altri per occultare l'entità del proprio coinvolgimento;
8.   ha commesso azioni illegali come falsificazione, frode, furto;
9.   ha messo a repentaglio o ha perso una relazione significativa, oppure il lavoro;
10.  fa affidamento su altri per reperire il denaro per alleviare una situazione finanziaria.

Se rispondete a cinque di queste definizioni elencate siete dei giocatori patologici. In Italia non sappiamo quanti sono i giocatori patologici.

I giochi d'azzardo sono catalogabili in quattro  grosse categorie:
giochi di Agon, dove c'è l'agonismo;
giochi di Mimica, quelli che provocano il piacere di trasformarsi;
giochi di Vertigo, (vertigini) quelli tipo le montagne russe;
giochi di Alea, (dado) quelli dove la vincita è stabilita dalla fortuna

Oggi sta scomparendo la "funzione sociale" il gioco non è più un luogo di socializzazione siamo arrivati al gioco individuale, al gioco su Internet. Il gioco, che era anche un modo per socializzare è finito per diventare un modo di rimanere sempre più soli, accade col video poker e davanti allo schermo del proprio computer.

Abbiamo parlato di terapie, scoperto questo passaggio non ben definito tra il giocatore normale e il giocatore patologico e come questo passaggio avvenga grazie alle opportunità offerte e alla disponibilità: se un giocatore ha dei punti dove l'azzardo viene solleticato, enfatizzato, è molto facile che passi dal livello di giocatore a quello di giocatore patologico. L'opportunità "fa l'uomo ladro", è giusto allora far nascere nuovi casinò, aumentare punti in cui si può giocare?

Mauro Croce

Giocatori: persone "normali"

La difficoltà di ragionare sul gioco d'azzardo è dovuta al fatto che si tende a vedere o solo l'immagine di degradazione, sofferenza, rovina di molte persone oppure l'immagine comune di divertimento e sostanziale innocuità del gioco. Difficile è ragionare vedendo entrambe le questioni, la relazione che intercorre fra queste due parti. I proibizionisti dicono che bisogna evitare qualsiasi forma di gioco, i liberisti dicono: "lasciamo che le persone giochino". Difficile è restare in mezzo ad entrambe le due posizioni e offrire alle persone che di gioco si fanno male, la possibilità di fermarsi prima che sia troppo tardi e anche di uscirne una volta che sono andati oltre certi limiti. Il gioco sta diventando sempre più un fenomeno asociale, l'immagine nostra del tavolo verde, dei miliardi sulla roulette, è un'immagine che appartiene al folklore, esistono ancora personaggi di siffatta natura, sia chiaro, ma la realtà quotidiana, la realtà di oggi in Italia, non è più di quei tipi lì, ma è fatta di persone molto simili a noi: l'operaio, il figlio di operai, che più banalmente si gioca uno stipendio sudatissimo, in un video poker sotto casa. E anche la nostra fatica da analizzare a comprendere, a rispondere al gioco, probabilmente risente di questo stereotipo. In realtà queste cose ci interessano e interessano molte persone. Certe storie nella vita di queste persone favoriscono il gioco, ma sono persone assolutamente come noi. In questo è il senso di "normalità patologica". Persone che si sono trovate in un ingranaggio, stabilire come e perché è molto complesso.

Claudio Foti - Psicoterapeuta, presidente del Centro Studi Hansel e Gretel di Torino, presidente dell'associazione"Rompere ilsilenzio"*

Roberto Natale - Segretario Usigrai*

Claudio Foti*

La violenza sui minori è impensabile

Pedofilia, abuso sessuale, perversione; tre concetti sui quali ho cercato di soffermarmi per introdurre oltre la complessità, una logica di differenziazione che fermi i rischi di confusione e di appiattimento. L'ultima questione è stata in riferimento allo scandalo che alcuni errori giornalistici hanno rappresentato nel momento in cui hanno fatto circolare in prima serata nelle case italiane, in maniera magari discutibile, sicuramente non programmata, immagini inquietanti attinenti forme di violenza che quotidianamente, ne siamo o non ne siamo consapevoli, vengono perpetrate ai danni dei più piccoli. Traffici con finalità economiche, nelle quali si esprime anche il bisogno dell'adulto di erotizzare la relazione con i soggetti più teneri, più attraenti, malleabili. Nel momento in cui queste immagini sono circolate si è dimenticato che il vero scandalo è che queste cose possono tutt'ora capitare, con una risposta di prevenzione, repressione, responsabilità sociale molto scarsa. Esistono organizzazioni in Russia, ma anche in Italia, che gestiscono non solo il materiale pedo-pornografico, ma traffici di prostituzione minorile, forme di abuso sessuale che coinvolgono persone insospettabili, padri di famiglia, lavoratori modello che riescono nel segreto, con la minaccia, a portare avanti situazioni di violenza di questo tipo. La nostra cultura fa fatica a pensare il maltrattamento all'infanzia, è impensabile la violenza ai danni dei più piccoli. E' impensabile perché ascoltare le dimensioni diffuse e difformi dell'abuso sessuale, della grave trascuratezza, della violenza fisica, del maltrattamento in tutte le sue forme significa entrare in contatto con sentimenti di impotenza, di sofferenza, di rabbia, di confusione dei più piccoli e quest'ascolto è penoso. La mente umana tende a difendersi dalla condivisione di questo tipo di sentimenti, l'impotenza non ci piace. L'ascolto di questi sentimenti è una merce rara, per questo ci viene voglia di voltare la faccia dall'altra parte, di non pensare alla violenza. Per una seconda ragione la violenza ai danni dell'infanzia è impensabile, perché ci obbliga a pensare alla confusione e al caos. Confusione tra sesso e amore, fra l'innocente e il colpevole, perché un colpevole nega la propria responsabilità: "anche mia figlia ci stava". "in fondo questi bambini sono poveri, un po' di soldi non gli fanno male". "mia figlia è mia e ne faccio ciò che voglio". "in fondo gli faccio un po' di educazione sessuale". Da una parte un colpevole che evacua la propria responsabilità e dall'altra un innocente che interiorizza la colpa al posto dell'autore della violenza. C'è una terza ragione per cui la violenza è impensabile e che ci obbliga a mettere in discussione le nostre idealizzazioni. Tutti noi vorremmo un'umanità, magari un po' violenta, però buona, amorevole nei confronti dei suoi cuccioli, invece non è così. Affrontare la violenza significa mettere in discussione le idealizzazioni non solo della comunità umana e delle istituzioni umane, così carenti della prevenzione nella risposta e nella repressione a questi fenomeni, ma mettere in discussione anche l'idealizzazione di noi stessi. Non siamo così buoni e amorevoli come vorremmo. La perversione non c'è estranea, il pedofilo, l'abusante non è un mostro anche se fa cose mostruose. È  uno di noi, frequenta i nostri ambienti, ha le nostre facce e  la nostra comunità. Pensare al maltrattamento significa mettere in discussione le fiabe, le idealizzazioni, i buoni, i cattivi e accorgerci che invece il rischio di strumentalizzare anche eroticamente i minori non appartiene soltanto a dei cattivi che si chiamano pedofili, ma riguarda anche certi movimenti consumistici della nostra cultura, certe tendenze a usare i bambini per riempire i nostri vuoti, le tendenze della moda e della pubblicità ad erotizzare, ad adultizzare i bambini. È impensabile infine perché affrontare la violenza significa affrontare la prospettiva del conflitto, prendere posizione, entrare in conflitto con degli adulti. Anche la magistratura ha più facilità a colpire soggetti incapaci di negoziazione sociale, appartenenti a classi subalterne che organizzazioni di più adulti magari capaci di negoziazione economica, di potere politico e di potere mediatico. Dimenticarsi di un bambino maltrattato non comporta un rischio, non c'è nessuna istituzione in Italia, non c'è neppure un ufficio di pubblica tutela, che chiede conto agli operatori quando si dimenticano di portare avanti le ragioni dei più deboli e dei più sofferenti. Pensare all'abuso, farlo circolare, metterlo in parola, credo sia stata la grande funzione degli operatori dell'informazione, a partire dagli anni '80. Il silenzio, l'imbroglio o la minaccia perpetuano l'abuso. Rompere il silenzio, ma romperlo dando il senso della complessità, evitando gli stereotipi ancora molto diffusi, evitando esemplificazioni, che servono solo a suscitare reazioni emotive, ad aumentare il sensazionalismo, gli indici di ascolto. Evitare stereotipi come: "il genitore povero ma buono", "il cuore di mamma", "la separazione brutale imposta dal giudice senza cuore", "l'assistente sociale ruba bambini", "l'ingiustizia giudiziaria", "Il pedofilo cattivo, perverso, maniaco, che ha violentato la povera bambina e che ha suscitato la reazione di tutto il paese indignato". Sono i copioni più struggenti, più strappacuore e più facili da individuare.

Roberto Natale*

L'agenzia: approfondimento e notizie

Nell'approfondimento sull'agenzia  Redattore Sociale al quale ho partecipato è emersa un po' l'esigenza di fare già qui tra di noi un primo test su quella che può essere l'accoglienza di questo progetto nelle redazioni, nel circuito dell'informazione. Siamo partiti dalla domanda più radicale. C'è davvero bisogno di questo tipo di iniziativa? I contenuti che sono prospettati possono essere utili a una specificità? Ha uno spazio nel mercato dell'informazione quest'agenzia? Allora la risposta secca è "sì bisogno c'è, uno spazio c'è, anche se il materiale sul sociale è tanto" anzi proprio perché il materiale sul sociale è tanto, un'infinità, c'è spazio e motivo per un'agenzia che lo tematizzi. Soprattutto sarà utile per i piccoli giornali, ma riteniamo forse che uno spazio ci sia anche per la grande informazione, laddove solo in alcuni casi ha preso piede l'abitudine a completare la notizia con schemi che la contestualizzino (dati, box) che la rendano più comprensibile. Approfondimenti magari che talvolta rispondono a uno sforzo di volontà encomiabile, ma sono di qualità professionale scarsa. Questo supporto, tra le altre si propone anche di rompere il giro degli esperti ormai, così, standardizzato. Ma l'agenzia sarà anche in grado di dare notizie, di competere con il circuito della grande informazione, anche nel voler essere fonte primaria? La risposta anche qui complessivamente è stata positiva. Serve una rete di corrispondenti che sia solida e larga, serve la capacità di interagire anche con le notizie che vengono dalla grande rete d'informazione sapendole riprendere e rilanciare con aggiunte specifiche, serve soprattutto la capacità di fare approfondimento in velocità. La fatica di dover completare una storia senza poterne conoscere tutti i dettagli è una fatica alla quale siamo esposti come giornalisti dalla cialtroneria di chi ci guida e che non sa programmare, non vuole approfondire, altre volte questa fatica è ineliminabile e i tempi di produzione richiedono lo sforzo di mettere insieme la notizia e l'approfondimento. A questa sfida l'agenzia deve rispondere.

I contenuti: no ai casi umani

Qualcuno dei colleghi intervenuti ricordava che il modo per lanciare l'agenzia potrebbe essere quello di fornire l'elenco di casi umani per ognuna delle diverse tipologie di emarginazione. Ovviamente non è questa l'impostazione che qui è gradita. L'agenzia può servire in alcuni casi, usata con discernimento, ad indirizzare verso alcune situazioni individuali, ovviamente da raccontare non per strumentalizzare, per praticare l'informazione del dolore. Nella parte sui contenuti, l'indicazione è che essa possa essere, nella sua visione più ambiziosa, anche un elemento di dialogo con chi dell'informazione, o di questi problemi, è oggetto e possa diventare anche un luogo di raccolta di segnalazioni dalle quali magari forse sarà possibile filtrare notizie.

L'agenzia riferimento per le redazioni

Secondo grande tema: il rapporto col mercato. L'agenzia ritiene di avere un suo spazio; riteniamo che ci sia la possibilità anche di trovare le risorse, perché questa agenzia possa vivere. Si è parlato di spazi di raccolta pubblicitaria, riflettendo sul fatto che chi userà l'agenzia è sì giornalista, ma è anche magari nelle sue molte dimensioni, cittadino consumatore e dunque può anche essere interessato a messaggi di questo tipo. Si è parlato della necessità di ricerche di mercato, che consentano di individuare gli spazi nei quali può muoversi. In omaggio allo spirito di Capodarco, l'agenzia deve saper praticare prezzi differenziati a seconda della rilevanza economica e della solidità economica dei soggetti abbonati. L'obiettivo che ci si propone è: l'uscita dal circuito della banalità.

Giornalisti: curarsi dal corporativismo

Ci siamo detti tante volte, anche negli anni scorsi che i giornalisti sono bravissimi a discutere di qualità dell'informazione. Qui a Capodarco avevamo capito già da 7 anni, che parlare di qualità dell'informazione nei convegni del fine settimana non basta, c'era un salto da fare, quello della formazione, per provare a vedere se, al di là della virtù del momento, dei dibattiti, nella testa dei giornalisti si riuscisse a far entrare nella pratica quotidiana gli attrezzi del mestiere, le cose che nei convegni vengono invocate. Avevamo capito che non bastava il pur importante passaggio rappresentato dalle Carte deontologiche e dai codici che i giornalisti italiani avevano cominciato a darsi dalla fine degli anni '80. Il salto importante è stato quello della formazione praticato qui a partire dal 1994. Oggi facciamo un altro importante passo avanti, proviamo a entrare direttamente nei meccanismi quotidiani di produzione della notizia, facciamo la scommessa di esser diventati maturi sulla base del lavoro di questi anni per entrare in quello che ogni giorno i giornalisti fanno nelle redazioni, per provare a sottrarre alla cronaca sociale, come tante volte abbiamo detto, alla strumentalizzazione della cronaca nera, al rischio che sia considerata solo un'appendice, un fiore all'occhiello per attenuare un po' la truculenza del modo in cui solitamente descriviamo i casi di cronaca. In altri termini, per affermare la pari dignità di questo tipo di racconti, che all'interno delle nostre redazioni sono ancora collocati in situazione subalterna.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.