IX Redattore Sociale 6-8 dicembre 2002

Maschere

Il volto vero delle "maschere"

Intervento di Vinicio Albanesi

Vinicio ALBANESI

Vinicio ALBANESI

Sacerdote, presidente della Comunità di Capodarco e di Redattore sociale. Dal 1988 ha ricoperto la carica di presidente del tribunale ecclesiastico delle Marche per 15 anni ed è stato direttore della Caritas diocesana di Fermo per altri dieci. Dal 1990 al 2002 è stato presidente del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca).

 

Vinicio Albanesi*

Confermo il benvenuto. Vedo molte facce giovani e questo mi conforta visto che andiamo verso l'età pensionabile. Ciò significa seminare e quindi chi semina raccoglie, dove 30, dove 50, dove 100, però si raccoglie. Saluto gli amici più fedeli, ma saluto anche chi viene per la prima volta in questa comunità. Sappiate che qualsiasi cosa vi servisse non avete che da chiederla, dovete sentirvi in casa perché è nel nostro stile accogliere le persone, farle sentire a proprio agio e non farle sentire estranee. Dopo l'introduzione a questa nona edizione daremo un tempo riservato a Paolo Serventi Longhi e a Roberto Natale, perché stanno dentro alla bufera. Siccome non siamo nati ieri e far finta di nulla non è possibile, ve li lascio tranquillamente, li potete divorare con le vostre domande, con le vostre riflessioni, dopo di che riprendiamo invece i temi caratteristici di questo nono seminario, che abbiamo chiamato "maschere". Questi titoli da dove nascono? Nascono lungo i tragitti in automobile che faccio da solo, non avendo l'autista, non potendomelo permettere viaggio spesso da solo. Dopo terminato il seminario, una settimana, 15 giorni dopo, incomincio a pensare e nascono così, coltivando idee, coltivandole, alla fine esplodono, naturalmente dopo aver affrontato il tema sostanziale che vorremmo affrontare nell'edizione successiva. Questo di "maschere", per la verità, non è quello originario. Stefano, che è il direttore dell'agenzia, me l'ha corretto. "Maschere e giocattoli", questo era il titolo.

Il senso delle "maschere"

Vivendo un momento difficile anche per il mondo della marginalità, per noi che siamo oramai invecchiati in questo mondo, in senso buono, cioè irrobustiti, la reazione non è quella di mollare, ma è invece quella di andarci dentro, cioè quella di affrontare in profondità i problemi, senza girarci intorno. Vedendo che quella dell'agenzia è una strada in salita, anche se sale lentamente, (pensate che vive di soli ed esclusivi abbonamenti, di fronte ad un'editoria che copre i costi con gli abbonamenti di media di non più di un terzo o il 40%) abbiamo ritenuto di dover affrontare in radice uno dei problemi che ci si sta ponendo. Il problema è che oramai l'editoria, sia su carta stampata, che in video, è fatta da imprenditori che hanno degli interessi, per carità autentici, ma che in realtà allungano l'attenzione, quindi gli investimenti nell'editoria. Ciò comporta che il giornalista che era stato sognato, vissuto come colui che gira il mondo a guardare, a narrare la realtà, sta diventando un dipendente e quando uno è dipendente significa che ha un padrone. Le "maschere" allora diventano quella realtà che in qualche modo viene narrata, ma che realtà non è. Stefano ha poi scelto una frase molto bella: "I fatti sono un velo dietro il quale la verità si nasconde" è un ulteriore approfondimento della verità, perché già scoprire la verità dai fatti è difficile, ma è ancora difficile passare attraverso la narrazione dei fatti e scoprire la verità. È un tema a me caro, perché lo applico molto spesso ai no global. I no global sono ragazzi come una miniera d'oro. Una miniera che non è fatta tutta di lingotti, ci sono delle pepite e bisogna avere la capacità di prendere le pepite in mezzo al fango, alla roccia e alla terra.

"L'anatra zoppa"

Tutto questo naturalmente confrontato con le nostre storie. È uscito pochi giorni fa un rapporto scritto a più mani dalla Caritas sui cittadini invisibili. Sono i cittadini che non contano e sono decine di milioni. Sono i poveri, sono i disabili, sono i pazzi, sono i carcerati, sono i minori in istituto. Oltre 16000. Sono tutti coloro che non hanno le carte in regola e la devolution, la partita che si gioca è questa battaglia che si sta facendo perché le risorse rimangano laddove sono prodotte. Questo è il senso della devolution. Per cui dicono: le regioni ricche hanno il diritto di tenersi le proprie risorse perché le hanno prodotte, le regioni povere si arrangino. Se ci spostiamo sul versante della marginalità stesso identico risultato. Siamo costretti a correre. Questo correre si materializza sempre di più, domani chi è sposato, chi lo sarà, o chi metterà comunque su famiglia dovrà campare, dovrà monetizzare questo suo correre. Il tutto messo insieme alla paura e alla precarietà, perché oggi abbiamo tutto precario: lavoro, casa, luogo, affetti che sono diventati precari, tutto è precario, subentra quel senso di paura e quel senso di sicurezza che s'invoca. Chi non corre con queste caratteristiche l'ho chiamato con un'immagine simbolica l' "anatra zoppa". Il branco corre, chi rimane indietro, rimane indietro. Allora quella non diventa più una storia umana, quella diventa una storia di numeri, diventa una storia di razza, diventa una storia di minoranza, diventa una storia che non ha senso. E faccio, per essere esplicito, due esempi. Era stato promesso un milione a chi non raggiungeva il reddito, per gli anziani poveri, perché questa è la dizione esatta. Il milione non è stato dato a tutti gli anziani poveri, è stato dato ai lavoratori anziani poveri, per dire che cosa? Che in fondo chi non ha lavorato non ha diritto ad avere quest'integrazione. Tra questo non è che ci metto la persona strana o stramba, ci metto le casalinghe ultra sessantacinquenni che hanno lavorato una vita, che però non sono riconosciute come lavoratrici, quindi non è riconosciuta nemmeno la loro povertà. Altro esempio: per l'emersione dell'immigrazione sono stati chiesti svariati euro, non so quanti siano se 300, 700, a seconda. una sensibilità minima voleva che, di questa quota, una piccola parte fosse dedicata all'insegnamento della lingua italiana, all'insegnamento delle leggi civiche, a quello che con parola complessa si chiama "integrazione". Bene, nemmeno una lira. Allora voi capite che queste anatre zoppe diventano invisibili e i mondi nei quali queste anatre zoppe sono in qualche modo immerse, diventano invisibili loro stessi.

La dignità non si discute

Il rischio che corriamo, noi come comunità, come Ong, è quello di essere gli operatori ecologici, quelli che servono a mantenere pulita la città. Possono alzarsi molto presto, devono finire il lavoro entro le otto, oppure nella sera tardi, nella notte, ma durante il giorno devono scomparire, perché il messaggio è: signori o guarite - è il messaggio che viene dato sulle tossicodipendenze - oppure verrete accuditi al minor costo possibile. C'è un ragazzo nella nostra comunità, non qui, in un'altra comunità, che ha 18 anni ed è autistico grave. È stato ricoverato a Milano per un anno a 800 mila lire al giorno in ospedale, perché è di una gravità veramente unica. Dopo un anno l'ospedale milanese ha detto: non sappiamo che farci, l'abbiamo sedato con dosi massicce di psicofarmaci, più di questo non possiamo fare. Il direttore dell'Asl mi chiama e mi dice: lo prendete? Si, lo prendiamo. A quali condizioni? Che questo ragazzo deve avere tutto il giorno, tutti i giorni, due persone accanto a lui che lo accompagnano lungo l'arco della giornata, altrimenti l'autolesionismo arriva a non fare pipì per 3 giorni. Poi i misteri del corpo e della mente sono di una tale gravità che a volte sono inimmaginabili. Bene. Questo ragazzo viene accudito, questi fenomeni stanno scemando, lo psichiatra mi ha garantito che ha fatto scendere del 40% le dosi degli psicofarmaci. Mi chiama, visto che ci sono problemi in sanità, il direttore sanitario dell'Asl e mi dice: "Questo ragazzo spende un po' troppo". Al ché con altrettanta calma io dico: "Allora lo prenda, lo ammazzi, così risparmia. Io non ho nessuna voglia di essere correo della salute di questo ragazzo, perché questo ragazzo può anche costare mezzo miliardo all'anno, ma la sua vita ha lo stesso valore della mia, della sua, di quella del Presidente della Repubblica e del Papa". Ha uguale dignità, perché sulla dignità non si può discutere. Nel momento in cui discutessimo di ciò una serie infinite di misurazioni ci direbbero che il bambino disabile non vale la pena, che il tossico zombi di 50 anni è ora di sopprimerlo, che l'anziano ultra sessantacinquenne ha fatto la sua carriera, che il disabile è meglio farlo morire. Un vecchio parroco, quando non c'erano le città e i trasporti erano rari, mi ha raccontato che i bambini disabili prima dell'ultima guerra vivevano poco, perché quando l'ostetrica aiutava la mamma a partorire e si rendeva conto che questo bambino aveva problemi, si rivolgeva al padre della famiglia per dire che cosa fare. Se il padre di famiglia senza parlare faceva il segno di no, l'ostetrica non chiudeva l'ombelico e il bambino moriva, in un accordo che era unanime.

Saper leggere le maschere

Riprendo il filo e dico che proprio nel momento in cui ci sono questi problemi noi dobbiamo saper leggere le maschere, quello che rappresentano e soprattutto dobbiamo andare a leggere i volti veri. Questo avviene attraverso una serie di azioni civili e sociali, ma avviene anche attraverso azioni di comunicazione. Non abbiamo rimproveri da fare a nessuno, perché siamo tutti immersi in questo meccanismo, ma in questo meccanismo bisogna che, con saggezza e con grande capacità, andiamo a leggere la realtà, qualunque essa sia. Termino dicendo: noi non ci piangiamo addosso, perché non serve. Le difficoltà ci spingono a leggere la realtà con più evidenza e con più forza, appellando a che cosa? Appellando all'intelligenza, alla capacità delle persone, perché molto spesso nei momenti dell'acuzie, proprio in quei momenti, occorre capacità, occorrono risorse, occorre intelligenza. Se permettete occorre anche un po' di coraggio. Mi auguro che possiate star bene, non ho potuto ordinare il sole ma non è di mia competenza, però tutto il resto cerchiamo di non farvelo mancare. Annuncio, l'avrete saputo che ho lasciato il Cnca il 30 novembre scorso, qui in mezzo ci sarà il futuro presidente, andatelo a pescare, possiamo fare una pesca per vedere qual è il volto di questo nuovo presidente. Approfittate di questo piccolo ricordo. Da provincia mi ha fatto guarda all'Italia e al mondo con entusiasmo e con coraggio. Per me è stata - e per noi tutti lo è stata - un'esperienza molto bella e molto gratificante, però siccome è finito l'impero romano, dopo 12 anni, forse era bene che finisse anche l'impero del Cnca. Lo lascio in questo grande accordo, in questa grande fiducia e soprattutto mi auguro - e termino - che possiate, con grande forza, entrare nei mondi che vi proponiamo e nei problemi che vi proponiamo, senza lasciarvi prendere né da angosce, né da paure, ma facendovi prendere da coraggio e da sfida, in questo senso una sfida positiva, una sfida grande. L'ultimo passaggio è con Marco Vitale, ne approfitto adesso perché poi quando c'è lui è più difficile parlarne. Io l'ho incontrato casualmente nell'Operazione Arcobaleno in Kosovo. È uno dei pochi manager veri, di quelli che in 25 secondi prendono una decisione. L'ho incontrato, ho voluto che venisse perché al di là poi degli entusiasmi, degli ideali, voi sarete chiamati a impattare con questa economia che è diventata talmente invasiva da determinare i grandi problemi dell'informazione, ma non solo di essa. Chiudo ringraziando tutti i relatori per la loro presenza e la loro disponibilità ad affrontare anche questi temi.

* Testo non rivisto dall'autore.