XI Redattore Sociale 26-28 novembre 2004

Nascondigli

I fantasmi di Porto Palo

Intervento di Giovanni Maria Bellu

Giovanni Maria BELLU

Giovanni Maria BELLU

Giornalista, vicedirettore de L’Unità, è stato per molti anni inviato de La Repubblica. Ha scritto il libro reportage “I fantasmi di Portopalo” (Mondadori, 2004) e il romanzo “L’uomo che volle essere Peron” (Bompiani 2008).

ultimo aggiornamento 28 novembre 2008

Il naufragio fantasma*

Immagino che pochi conoscano le linee essenziali della vicenda narrata in "I fantasmi di Porto Palo". Questo libro scaturisce da un'inchiesta giornalistica che ho portato avanti 3 anni fa per il giornale per cui lavoro, la "Repubblica". E' la storia di un naufragio di cui si è parlato nei giornali come del naufragio fantasma. Avvenne la notte tra il 25-26 dicembre 1996.

Inizia il viaggio

Da anni esisteva una modalità, una tecnica per portare fino alle coste siciliane, quindi in Italia e poi in Europa, emigranti che partivano dei paesi dell'estremo oriente. La tecnica era questa: una nave grande raggiungeva un certo punto del canale di Sicilia tra le acque internazionali e lì aspettava un'altra piccola imbarcazione che la affiancava. A un certo punto avveniva un trasbordo e la barca più piccola, che era più idonea a raggiungere punti nascosti della costa, scaricava gli emigranti.
Era un sistema collaudato da anni. E anche quella notte, tra il 25 e 26 dicembre del '96 doveva essere fatta questa stessa operazione, però nacquero una serie di problemi.
Intanto, la nave grande dal nome "Joanna" aveva un carico enorme, il carico più grande che questa organizzazione avesse mai tentato, 450 persone portate in pieno mare da altre navi che partivano da porti della Siria, da Alessandria d'Egitto e da un porto della Turchia vicino alla città di Adana. Alcuni di questi emigranti avevano cominciato il loro viaggio addirittura nel mese di agosto. La tecnica consisteva nel fatto di raccogliere questi poveretti nei vari porti, dove attendevano per settimane o mesi, finché non confluivano in questa nave grande.

Uno sbarco mai avvenuto

L'arrivo in Italia, che nel piano originario era previsto all'incirca per il 15 dicembre, non avverrà mai.
I passeggeri passano all'interno della nave grande molto tempo; cominciano i primi problemi di sussistenza per mancanza di cibo e acqua e questo mette fretta ai trafficanti che alla fine decidono di compiere l'operazione benché il mare fosse in tempesta.
Durante il trasbordo 300 emigranti passano dalla nave grande su un imbarcazione più piccola : un 16 metri x 4 di legno, una vecchia barca utilizzata alla fine della guerra dalla marina militare inglese a Malta, successivamente dismessa, trasformata in peschereccio e quindi acquistata dai trafficanti.
Durante il trasbordo c'è un impatto, le due navi si toccano e alla fine la nave più piccola affonda col suo carico umano: soltanto 29 dei suoi passeggeri si salvano riuscendo a risalire sulla nave grande che nel frattempo si era nuovamente avvicinata perché aveva ricevuto un segnale di SOS.
La stima più attendibile è di circa 150 persone salvate, ma è chiaro che si tratta di una stima perché non ci sono le liste dei passeggeri nelle navi degli emigranti...tutti gli altri muoiono. Questa è la storia.

Un omicidio "non annunciato" dai giornali

Dopo il naufragio la Joanna, la nave grande che ha un comandante libanese, fugge, lascia il luogo del delitto, raggiunge le coste della Grecia nel Peloponneso dove ha un supporto logistico e scarica tutto quello che gli è avanzato del carico, cioè i 29 superstiti e poi tutti quanti gli altri, diciamo circa 120 persone, che mai avevano fatto il trasbordo. Di queste persone, 107 vengono subito arrestate dalla polizia greca, dato che in Grecia l'ingresso clandestino è un reato, è un crimine. Vengono interrogate in pochi giorni e tutti, che parlano lingue diverse tra l'altro, raccontano la stessa identica storia: dicono di aver assistito ad una terrificante tragedia, ad un terribile naufragio; alcuni di loro hanno perso dei familiari, tutti hanno perso gli amici perché come si sa gli emigranti partono in gruppi che si formano nei paesi di origine; quindi tutti vivevano un lutto.
La storia arriva ai giornali greci e poi arriva anche alle agenzie di stampa internazionali e qui la prima notizia viene lanciata dall'agenzia inglese Reuters il 4 gennaio del '97, a dieci giorni dal naufragio.
La notizia viene ripresa da tutti quanti i giornali in Italia, ma viene riportata in uno strano modo e cioè con un certo scetticismo.
Le autorità marittime italiane davanti a questa notizia riconoscono immediatamente che si tratterebbe della più grave sciagura navale avvenuta nel Mediterraneo dalla fine della seconda guerra mondiale.
Naturalmente, è una notizia enorme, che se fosse stata presa per vera, avrebbe necessariamente occupato grandissimo spazio nelle prime pagine di tutti quanti i giornali. Invece questo non succede: i giornali danno la notizia ma nelle pagine interne e rimane dunque una sproporzione assoluta tra il fatto e lo spazio che i giornali danno.
L'unica eccezione in Italia è stato il quotidiano "Il Manifesto", che immediatamente dà la notizia con grandissimo rilievo e poi prosegue nelle settimane successive con molta forza. Durante tutto il mese di gennaio segue i fatti con una serie di conferme, perché un inviato dello stesso giornale, Livio Quagliata va in Grecia e lì incontra i superstiti che gli raccontano la loro versione.
"Le Monde" dedica una prima pagina alla vicenda mentre la Rai realizza un servizio per il Tg 7, curato da Puccio Corona che parte per Malta e intervista i parenti delle vittime maltesi, due uomini dell'equipaggio assoldato dai trafficanti (erano tre in tutto: i due maltesi morti nel naufragio e un greco che si salva assieme ai 29).
La polizia greca che ha visto i superstiti non ha alcun dubbio che questa tragedia sia veramente avvenuta, così come la magistratura greca. Hanno dei dubbi, invece, le autorità marittime italiane e maltesi. Ma perché non credono a questo racconto? Si verifica un fenomeno strano: a fronte di una tale quantità di vittime non viene recuperato nemmeno un cadavere. In un tratto di mare che secondo una definizione di Andrea Camilleri "è trafficata come la via centrale di una città nell'ora di punta, è inverosimile che non venga trovato neanche un cadavere". Questo alimenta lo scetticismo delle autorità italiane.

La crisi albanese e la discussione politica sull'immigrazione

Certamente il periodo in cui avviene questa tragedia è particolarmente delicato per le tante discussioni sul problema dell'immigrazione a livello politico. Inoltre l'Italia era all'epoca in attesa dell'esame di appello per l'ingresso nel sistema di Shenghen (ossia l'apertura delle frontiere) perché precedentemente esclusa. La giustificazione ufficiale poneva un problema tecnico nel senso che la rete informatica italiana non era stata adeguata alla rete informatica internazionale, ma il vero problema, ed era chiaro a tutti quanti quelli che all'epoca leggevano i giornali, era un altro, e cioè che i confini italiani, che con Shenghen sarebbero diventati i confini dell'intera Unione Europea, erano chiamati i confini "colabrodo" dato che erano migliaia gli emigranti che riuscivano ad entrare in Italia. Addirittura pochi giorni dopo il naufragio, praticamente lo stesso giorno in cui la Reuters dava per la prima volta la notizia del naufragio, il giornale "The Economist" scriveva un articolo che suonava più o meno così: "Il presidente del consiglio italiano Romano Prodi ha detto di essere sicuro che l'Italia supererà la prova di appello di Shenghen, ma i partners europei non sono tanto convinti di questo, proprio perché sono decine di migliaia le persone che entrano in Italia clandestinamente e soprattutto, di queste persone solo una parte si trattiene in Italia mentre tante altre sciamano per tutta l'Europa e vanno quindi ad entrare clandestinamente in Germania, in Francia, in Inghilterra e così sia".
Inoltre nel marzo del 1997 ci fu la catastrofe finanziaria in Albania, col fallimento di una serie di finanziarie nelle quali i cittadini albanesi avevano investito buona parte dei loro risparmi con conseguente guerra civile e un esodo di massa che si aggiunse a quello che già l'Italia conosceva tradizionalmente. Arrivavano fino a 1000 albanesi al giorno sulle coste italiane. Diverse le interrogazioni parlamentari da parte dell'opposizione di centro-destra con in testa la Lega, e fu allora che una parlamentare che adesso fa la soubrette televisiva e che in passato è stata anche presidente della Camera, Irene Pivetti, suggerì sostanzialmente che queste persone dovevano essere ributtate in mare. In questo clima, il governo di centro-sinistra, probabilmente, ebbe anche la necessità di mostrare di essere in grado di affrontare questo genere di emergenze e il ministro della difesa dell'epoca diffuse una direttiva alla marina militare che diceva praticamente di trovare i mezzi per dissuadere le persone dall'arrivare in Italia.
La cosa fu probabilmente presa alla lettera da qualcuno della marina militare, o comunque accadde un fatto che fa pensare che fosse presa alla lettera, perché una nave della marina militare la "Sibilla", colpì una nave dove c'erano centinaia di albanesi che colò a picco e fu una strage. Questa strage che suscitò un grande scandalo con un'enorme eco internazionale, ebbe l'effetto di coprire definitivamente l'interesse della stampa, e di allontanare ancora di più l'interesse rispetto al "naufragio fantasma".

Lo scoop de l'Observer

Intanto viene aperta un'inchiesta in Italia e questo perché la Joanna, la nave grande del naufragio, riverniciata in modo approssimativo dai trafficanti, aveva ripreso la sua attività e nel febbraio del '97 venne fermata a Reggio Calabria mentre sbarcava alcuni emigranti. Fu sequestrata, ma restò là e vi sarebbe rimasta probabilmente in eterno se non fosse successo che un giornalista inglese de l'Observer, John Huper, che si era occupato della vicenda come corrispondente dall'Italia e dalla Grecia, sentendo per radio la notizia di una nave di una certa dimensione con una bandiera dell'Honduras, non avesse iniziato le ricerche con il sospetto che si trattasse proprio della nave della morte.
Così John Huper salì su questa nave e trovò, esplorando, dei graffiti, tanti graffiti, tante stratificazioni che raccontavano decine e decine di viaggi... delle preghiere... dei lamenti... delle proteste... e una di queste era: "Dio mio ti prego fammi uscire da quest'inferno della Joanna".
John Huper aveva portato con sé un fotografo che, con un sistema speciale, con una tecnica speciale di sviluppo, riuscì a rivelare sotto lo strato di pittura bianca la scritta con il nome originario: Joanna.
E' interessante notare questo, che appunto in Grecia la Joanna era stata identificata due mesi prima per via del racconto dei superstiti e che era stato anche individuato il comandante, e che poi partì, attraverso l'Interpol, un ordine di cattura internazionale e un ordine di ricerca internazionale per la Joanna. Mentre John Huper si aggirava liberamente dentro la nave, ovviamente sconvolto per la scoperta ma anche inorgoglito per il grande scoop, uno dei poliziotti che avrebbe dovuto custodirla si destò, vide che c'era un intruso sulla Joanna, fece scendere il giornalista, il quale emozionato gli disse: "ho fatto questa scoperta, cioè questa è sicuramente la Joanna, è la nave che state cercando".
Il poliziotto non ne sapeva nulla e il prodigo giornalista fu portato negli uffici della polizia di Reggio Calabria dove riportò lo stesso racconto e scoprii che non ne sapeva nulla nessuno, nessuno sapeva che quella nave era ricercata. Jonn Huper ha custodito gelosamente il lancio dell'Ansa di quei giorni che comincia così: "con un certo scetticismo la polizia valuta l'articolo apparso su l'Observer dove si afferma che la nave sequestrata a Reggio Calabria sarebbe la Joanna". Passò un mese e l'Ansa diffuse un altro lancio che diceva: "la questura di Reggio Calabria ha individuato la Joanna" perché in quel mese chi doveva, evidentemente si era informato ed aveva capito che era importante.
Comunque, il sequestro della Joanna in Italia fece sì che fosse aperta un'inchiesta, inchiesta poi passata alla procura di Siracusa, perché a distanza di parecchi mesi la stessa imbarcazione si arenò in una spiaggia vicino a Siracusa, nella spiaggia di Brucoli, lasciando un cadavere. Il patologo esaminò il cadavere e disse che si trattava di un annegato presumibilmente deceduto attorno al dicembre del '96. Quindi la procura di Siracusa, perché ormai nessuno aveva più dubbi che il naufragio fosse avvenuto, attribuì quel corpo al naufragio del Natale del '96.
Fu individuato, insieme al comandante (un libanese) della Joanna, l'intero equipaggio e anche il trafficante che da Malta aveva organizzato la spedizione disgraziata della barca più piccola. Tutte queste persone furono rinviate a giudizio per omicidio colposo plurimo e tutto ciò avvenne praticamente nel silenzio della stampa italiana. Qualcuno pubblicò in breve la notizia, tranne ancora una volta "Il Manifesto" che seguì il caso con più attenzione, ma appunto si trattava e si tratta di un giornale di una diffusione limitata.
Io non vorrei annoiarvi ancora perché sto parlando da un sacco di tempo, in realtà vi ho raccontato la storia della vicenda e non ho parlato per niente del libro che invece parte dal 2001 quando per una serie di circostanze questa vicenda si riapre.


* Testo non rivisto dall'autore.