XVII Redattore Sociale 29-28 novembre 2010

Oltre L'apocalisse

Workshop: Se la società diventa meno maschile

Incontro con Elena Sisti e Isabella Menichini. Conduce Daniela Ducoli. Con un intervento di Maria Nadotti

 
Parte 1
Durata: 14' 13''
 
Parte 2
Durata: 14' 40''
 
Parte 3
Durata: 12' 32''
 
Parte 4
Durata: 11' 24'
 
Parte 5
Durata: 15' 20''
 
Parte 6
Durata: 09' 33''
 
Parte 7
Durata: 19' 27''
 
Parte 8
Durata: 21' 55''
 
 
 
 
Elena SISTI

Elena SISTI

Economista, ha lavorato a Londra per la Bloomberg e per la New Economics Foundation su tematiche di sviluppo e sostenibilità. Ha curato insieme a Beatrice Costa il libro “Le donne reggono il mondo” (Altreconomia, 2010).

ultimo aggiornamento 26 novembre 2010

Isabella MENICHINI

Isabella MENICHINI

Direttore centrale Servizi alla persona e alla famiglia del Comune di Parma, ha lavorato a lungo presso il ministero del Welfare.

ultimo aggiornamento 26 novembre 2010

Daniela DUCOLI

Daniela DUCOLI

Giornalista di Radio Montecarlo.

ultimo aggiornamento 26 novembre 2010

Maria NADOTTI

Maria NADOTTI

Giornalista, saggista, consulente editoriale e traduttrice. Ha curato il libro “10 in paura” (Epochè, 2010), dieci racconti di autori italiani.

ultimo aggiornamento 26 novembre 2010

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LEGGI IL TESTO DELL'INTERA SESSIONE*

Daniela Ducoli

Abbiamo alla mia destra e alla mia sinistra le due ospiti che sono Isabella Menechini e Elena Sisti. Interverrà per prima Isabella Menechini che è Direttore Centrale dei Servizi alla Persona e alla Famiglia del Comune di Parma e ha anche lavorato a lungo dentro il Ministero del Welfare . Siamo molto curiosi di sapere come vengono decise le politiche per le donne o meglio come non vengono decise, quali sono le priorità, insomma come si agisce nella famosa stanza dei bottoni, o non si agisce e anche chi può influire su queste azioni che poi determinano molti nostri comportamenti, perché non nascondiamoci che mettere su una famiglia dipende molto da queste politiche che in Italia evidentemente mancano.

Isabella Menichini

Oggi lavoro nel comune di Parma, un comune sicuramente molto all'avanguardia ma dove si parla sempre troppo poco di donne. Come oramai negli ultimi venti anni, non è poi che io abbia fatto chissà quale carriera, alle riunioni io sono sempre l'unica donna di staff e di coordinamento, e questo la dice abbastanza lunga, tenuto conto poi che nel pubblico la presenza femminile dovrebbe essere forte. Vengo da venti anni di ministeri e di politiche sociali diverse, e mi sono anche occupata di politiche per la famiglia. Ora dirigo un'area che è molto ampia che è quella dei servizi alla persona e alla famiglia e l'80% delle persone che lavorano con me sono donne, ma poi quando vai allo staff di coordinamento strategico io divento l'unica donna. Questo per me è sempre un motivo di riflessione. Il mio intervento sarà anche un po' provocatorio; più che dirvi come si decidono le politiche, vi vorrei far vedere alcuni errori che vengono commessi sia dalla politica sia da un punto di vista proprio della comunicazione.

 

Uno degli errori fondamentali è questa continua commistione tra donne e famiglia come se, come d'altronde è in Italia, parlare di donna e parlare di famiglia sia la stessa cosa . In realtà non è vero, le politiche per la famiglia sono una cosa e le politiche di genere o di promozione per i diritti delle donne sono un'altra. In Italia ora questi due ambiti sono quasi sovrapposti, sappiamo infatti che in Italia l'80% delle questioni che riguardano la famiglia in realtà sono gestite dalle donne e quindi siamo tutti abituati così, come se stessimo parlando della stessa cosa. Io ho provato a fare un ragionamento che spero possa essere chiaro. Partiamo da quelli che possono essere gli errori, e quindi l'ignoranza ma non nel senso dispregiativo, semplicemente per il fatto di non sapere. Ne parlavamo prima con Elena, c'è proprio una scarsa consapevolezza di alcune cose. Ad esempio in Italia parlare di donne o di famiglia è la stessa cosa, e questo è un errore dovuto a un'abitudine, a una scarsa consapevolezza invece di quali possono essere degli interventi appropriati per l'uno e per l'altro ambito, senza voler separare, perché è evidente che tanto più sosteniamo una famiglia, tanto più consentiamo a una donna di poter essere libera di scegliere e di poter organizzare la propria vita; secondo me però non sono la stessa cosa.

Vi porto alcuni esempi, il primo è questo: tutti avrete sentito parlare dell'iniziativa Freccia Rossa lanciata a settembre da Trenitalia per cui le donne avrebbero viaggiato gratis insieme alla propria famiglia ossia un gruppo da tre a cinque persone con almeno un bambino, il sabato invece un posto a costo zero per una coppia accompagnate da un passeggero munito di biglietto. Il Corriere della Sera ha commentato "alla faccia dell'emancipazione". Ieri mio marito quando ha visto gli appunti del mio intervento di oggi ha detto che avrei dovuto togliere questa frase e io gli ho risposto "guarda che non l'ho scritta io, l'ha scritta il Corriere della Sera". Il Codacons voleva presentare un esposto al ministro delle Pari Opportunità, perché ovviamente era discriminatorio rispetto alle donne sole. La verità secondo me è semplicemente che è stata proprio sbagliata la presentazione di quest'iniziativa, perché potrebbe essere una tipica iniziativa per le famiglie, prescindiamo dalle questioni se coppie sposate o no, perché a me non interessa questo, è un dibattito puramente ideologico, ma una famiglia con dei figli può vedere con grande favore il fatto di avere la possibilità di muoversi il sabato e la domenica con dei prezzi scontati, magari per andare a fare delle gite. Questa va presentata come una misura per la famiglia e non per le donne, perché altrimenti diventa assolutamente discriminatorio.

Elena Sisti

È interessante notare che io e Beatrice Costa, con la quale ho scritto il libro "Le donne reggono il mondo", abbiamo viaggiato il giorno del lancio di questa cosa ed abbiamo avuto la stessa identica reazione che hai avuto tu.

Isabella Menichini

Effettivamente se si fa per le famiglie... ma magari! Magari tutti mettessero in piedi delle iniziative che possano aiutare le famiglie a passare del tempo libero insieme, magari per andare a conoscere città nuove e monumenti, però non la vendete come un treno Freccia Rosa, è un'altra cosa.

Cambio ambito e parliamo invece di un documento molto più serio. Voi non lo dite che io adesso criticherò questo che è "Italia 2020" ossia il Programma di Azioni per inclusione delle donne nel mercato del lavoro , che peraltro è stato presentato dal ministro Sacconi e dal ministro Carfagna. Non voglio dire che ci sia malafede però per me non c'è approfondimento. Questo programma è stato venduto come un piano strategico di azione per la conciliazione dei tempi di lavoro con i tempi dedicati alla cura e alla famiglia e per la promozione delle pari opportunità nell'accesso al lavoro. Anzitutto trovo sbagliato mettere in fondo la dicitura promozione delle pari opportunità per l'accesso al lavoro, quando dovrebbe essere il primo aspetto di questo progetto. Le cinque misure, che sono state sintetizzate nel lancio del piano, non ve le sto a dettagliare, comunque sono: 10 milioni di euro per le Muttertag, che sono questa forma di baby sitter a casa, di mamme che di giorno a casa propria accolgono e curano quattro o cinque bambini, molto diffuso a Bolzano, un'ottima iniziativa che così semplicemente da sola non risolve il problema delle famiglie e neanche delle donne; 4 milioni di euro per la creazione delle badanti; 12 milioni di euro per i voucher destinati all'acquisto dei servizi, misure tendenzialmente non per le donne bensì di sostegno alle famiglie, dopo di che è ovvio che se ne dovrebbero avvantaggiare tutti, ma siccome noi continuiamo a pensare che tutto questo è materia che riguarda solo noi donne, naturalmente vengono presentate come misure di sostegno alla promozione dei diritti delle donne; 4 milioni di euro per favorire il telelavoro femminile; 4 milioni di euro per percorsi formativi di aggiornamento, destinati alle lavoratrici che vogliono reinserirsi nel mercato del lavoro.

 

Tutte queste diciamo possono essere considerate più delle misure target.

 

Un terzo esempio e veniamo al tema della conciliazione dei tempi di lavoro e di famiglia. Nel sito del dipartimento per la famiglia si parla di organizzazioni come uno strumento di innovazione rispetto ai modelli sociali, economici e culturali che riguardano appunto gli uomini, quindi teoricamente è la definizione corretta. Di fatto però quello che esce ad esempio dal piano di cui vi parlavo prima è che appunto la conciliazione continua ad essere un problema delle donne, proprio quando in tutti i paesi più impegnati sul fronte dell'uguaglianza di genere sempre di più la conciliazione è un tema legato invece all'organizzazione della vita e del lavoro all'interno della famiglia e quindi l'attività di cura viene diversamente organizzata tra i genitori. Vi porto un caso estremo: nel 2005 si disse alle donne magistrato che dovevano scegliere se fare figli o seguire i procedimenti giudiziari, perché c'era il rischio che alcuni procedimenti, soprattutto quelli legati alla mafia, avrebbero potuto subire dei ritardi; mi sembra che c'era stata la scadenza dei termini di qualche provvedimento giudiziario, per cui un detenuto di un certo profilo era stato rimesso in libertà, e così il presidente della commissione antimafia disse questa sciocchezza. Un procuratore scrisse anche una lettera alle donne magistrato dicendo appunto che si dovevano organizzare meglio, naturalmente questa lettera non è stata mandata agli uomini, visto che fare figli non è un loro problema, né la famiglia lo è.

 

Un altro degli errori che ho indicato come parola chiave è l'ignoranza che c'è in tutto questo. In Italia la maternità per le donne che lavorano è di fatto un disvalore, voi lo sapete, è scritto su tutti i giornali, quando le donne sono chiamate ai colloqui se vogliono avere il lavoro normalmente devono nascondere il desiderio di fare un figlio. Il 76% del top management del privato ritiene un inconveniente il periodo di maternità di una donna occupata, la percezione quindi è sostanzialmente negativa. Ora questa è un'altra di quelle cose che è veramente dettata molto dall'ignoranza, dagli stereotipi e dal pregiudizio, perché poi gli studi dimostrano, e per fortuna se ne cominciano a fare di approfondimenti su questa tema, che la maternità non è un problema per il lavoro. Questi sono alcuni dati che io ho tratto da studi vari ad esempio dell'Istituto Nazionale di Ricerca che si occupa di formazione e lavoro e che ci racconta appunto che la maternità è uno dei fattori critici in Italia, naturalmente lo è più che in altri paesi. Se prima della nascita di un figlio lavorano 59 donne su 100, dopo questo evento rimangono a lavorarne 43, nel 90% dei casi la motivazione dell'abbandono è proprio legata all'esigenza di cura dei figli. Nel 2006 il tasso di occupazione delle donne italiane senza figli era del 66%, poi discende al 60%, poi il 53%. Guardate cosa succede in Finlandia, c'è una differenza diciamo molto più contenuta tra le donne che lavorano senza figli e quelle che hanno figli. Ancora alcuni dati: nel 2005 il 18,4% delle madri occupate all'inizio della gravidanza ha lasciato il lavoro dopo il parto, nel 2002 era il 20%, quindi ci sono anche degli spostamenti che hanno cambiato sostanzialmente la condizione complessiva delle donne; una parte di queste è stata licenziata, la maggior parte si è licenziata da sola perché non era in grado di gestire gli orari di lavoro e naturalmente questo ha anche un differenziale territoriale: tenete sempre presente che i dati negativi in termini di occupazione, di offerte di servizi sono più accentuati al sud che al nord.

Elena Sisti

Il confronto con gli altri paesi è allarmante, noi siamo scivolati in termine di parità di genere a livelli bassissimi, siamo finiti dopo il Messico...

Isabella Menichini

Io lavoro a Parma che è un distretto industriale economico veramente privilegiato e una donna molto impegnata e che tra l'altro è un industriale , mi diceva che è pieno di aziende che fanno firmare le lettere di dimissioni in bianco prima dell'assunzione. Questa cosa è veramente drammatica, io non so se esiste negli altri paesi, ma la diffusione che c'è in Italia della firma delle lettere in bianco per le dimissioni da dare nel momento in cui si rimane incinta, è veramente un fenomeno drammatico. Se ne parla ogni tanto, sono intervenute anche delle norme di legge, poi però sono state tolte, la verità è che questo è il primo segnale di una arretratezza culturale sconfinata...

Elena Sisti

Io aggiungo che ho lavorato con una ditta americana dove fanno il training a chi fa i colloqui e un atteggiamento del genere è causa di licenziamento immediato; qualora io anche solo per errore avessi chiesto alla persona che mi stava davanti s'era sposata, ecc., e questo veniva riportato al mio superiore, era ben chiaro che io sarei stata mandata via immediatamente.

Isabella Menichini

Ultimamente è uscito un libro dal titolo "Maternità quanto ci costi" che se non altro, comincia a fare un po' di chiarezza. Qualcuno si è messo finalmente a studiare, ad indagare questa tematica e ne esce appunto che quello che dicono i manager, ossia che la maternità costa, è solo un pregiudizio, uno stereotipo. Le giustificazioni finora portate sono ad esempio che si deve individuare un'altra persona per le sostituzioni, che poi quando le donne ritornano al lavoro sono meno motivate o devono riorganizzare il lavoro ecc. La verità è che in termini economici la maternità costa pochissimo perché l'80% di quei cinque mesi di maternità è comunque coperto dall'Inps, giustamente, quindi di fatto alle aziende quello che viene chiesto è una cosa minima, un costo tipo lo 0,5% dei costi che sostengono in generale per i contributi sociali, il TFR e varie provvidenze.

Daniela Ducoli

Ci sono anche gli sgravi per le assunzioni di sostituzione anche quando si va in maternità però è una cosa poco sfruttata...

Isabella Menichini

Si, perché tra l'altro si dice che è complessa. Quindi queste sono le conclusioni degli studi di cui vi parlavo: la maternità non è un costo, il 20% dei costi a carico delle imprese rappresenta lo 0,016% del fatturato totale di imprese e servizi, il vero problema può essere di imparare a riorganizzare il lavoro, il che diciamo in molte strutture organizzative non può che essere un vantaggio, quello di mettere mano ogni tanto alla reingegnerizzazione dei processi o alla riorganizzazione nella ripartizione delle mansioni anche per un miglioramento dell'efficienza. La maternità se opportunamente gestita rappresenta un beneficio sia per l'azienda che per le lavoratrici. Naturalmente ci sono le grandi aziende che hanno dedicato più attenzione a questo tipo di problematiche, ma tutte le indagini che sono state fatte dimostrano che investire in una donna è vantaggioso, perché perlopiù sono laureate (in percentuale maggiore rispetto agli uomini, il 60% contro il 40%) e con una preparazione teorica maggiore; abbandonare una donna solo perché ha avuto un figlio è un dispendio enorme di capitale umano.

 

Il part-time, un'altra tematica importante. Io personalmente, ve lo dico, lo detesto, si tratta di una di quelle cose che nasconde tanti imbrogli, nel senso che viene venduto come una delle grandi misure che consente alle donne di conciliare la vita lavorativa con la vita familiare. L'ipotesi che entri qualcun altro e che si prenda un pezzo di quel carico e che quindi la tua conciliazione sia fatta su un arco di tempo più corto, più ridotto, per il momento non è stata presa ancora molto in considerazione. È uscito un articolo carino qualche tempo fa che diceva che le donne hanno la capacità di far durare la giornata 27 ore, si, siamo tanto brave, ma alla fine le uniche che non sono felici sono proprio le donne e questo ci dovrebbe far riflettere e non è che per essere felici dobbiamo rinunciare a qualche cosa, forse bisognerebbe cominciare a vedere quel tempo, soprattutto quello della cura, e a chi altro se ne può occupare oltre noi. Il part-time quindi non è un vero strumento che aiuta le donne, perché in realtà le tiene sufficientemente lontane dal lavoro e tutte quelle che avrebbero la possibilità, la voglia, il desiderio o la capacità di andare avanti, che non vuol dire necessariamente fare la grande carriera, ma semplicemente seguire le proprie inclinazioni, col part-time di fatto non lo possono fare, perché comunque stai poco al lavoro. Negli ultimi anni il part-time lo usano le donne sopra i 35 anni più che le giovani donne, e non per conciliare appunto maternità e lavoro bensì per la cura dei genitori, quindi un vero affossamento delle possibilità di avanzamento nel lavoro. Il part-time più che alle giovani madri sembra aver giovato alle figlie con genitori anziani, a dispetto del tentativo di venderlo come lo strumento principe per coniugare più figli piccoli e più lavoro. C'è una bella intervista fatta a Grazia Verderame, molto attiva su vari blog, ve ne leggo una parte: " Le donne vorrebbero sostanzialmente conciliare il lavoro con la famiglia e per fare ciò sono disposte anche a richiedere il part-time che ha delle grosse ripercussioni oltre che sullo stipendio, anche sulla possibilità di fare carriera. L'azienda non investe troppo sulla lavoratrice part-time, si ritiene che le sue priorità sono la famiglia, non certo il lavoro e questo di nuovo è banalmente un errore ".

Un'altra delle mie fissazioni che considero un pericolo: considerare il lavoro domestico, la ripartizione dei compiti, ecc. come una specializzazione di genere, una specializzazione produttiva delle competenze per natura innata.. . Un libro uscito quest'anno "Welfare fatto in casa" è stato il primo a chiedersi se veramente le donne che sono intelligenti, preparate, capaci, sono contente di stare dietro i fornelli e di non investire queste loro doti nello sviluppo complessivo della società, senza per questo denigrare lo stare dietro ai fornelli, ecc. Ma può essere veramente che le donne italiane ritengano ancora che il lavoro domestico sia di loro esclusiva competenza e quindi di fatto da una parte rinuncino e da una parte non mettano a disposizione della comunità tutti i loro talenti? Nel libro si sostiene che questo è uno sperpero di materiale umano, anche io sinceramente, anche se a me piace tantissimo cucinare e occuparmi della casa. I calcoli che vengono fatti su quanto una maggiore presenza di donne sul mercato del lavoro può impattare sul Pil sono sorprendenti, parliamo di cifre veramente consistenti: ad esempio 100mila donne in più al lavoro fanno crescere il Pil dello 0,28%, il che significa che si potrebbero utilizzare quelle risorse eventualmente per misure di sostegno alla famiglia e quindi incrementare la spesa pubblica di circa il 30%.

Daniela Ducoli

Sono usciti 10 giorni fa i dati dell'Istat relativi al 2009 e vi devo dire che è un fenomeno trasversale perché non c'è più la forbice tra nord e sud, siamo messe tutte nello stesso modo: se non ricordo male, il 76%, del carico del lavoro domestico ricade ancora sulle spalle delle donne o comunque è un problema della donna preoccuparsi di come farlo, se non lo gestisce lei lo fa fare a qualcun'altro, ma non è mai l'uomo a gestire un lavoro che comunque riguarda tutta la famiglia.

Isabella Menichini

Quando ho visto questa pubblicità sono inorridita, ovviamente mio marito non ha capito perché mi sono tanto inalberata, io la trovo terrificante. Sappiate che questa pubblicità è della Swiffer, un'azienda multinazionale e sono sicura che mai in nessun altro paese del mondo diverso dall'Italia farebbe una pubblicità così perché verrebbero denunciati immediatamente. In molti paesi, il primo che mi viene in mente è la Spagna, esiste un'autorità che controlla tutta la pubblicità proprio per combattere tutti gli stereotipi. L'unico commento che ho trovato in un blog, nessuno si è indignato più di tanto, diceva: "Perché quando la polvere suona alla porta nella pubblicità dello Swiffer l'uomo chiama la sua donna dicendo che c' qualcuno per lei alla porta? Ma perché la polvere non può essere cacciata da un uomo e di conseguenza cercare lui? Secondo la Swiffer gli uomini sono troppo impegnati a cacciare gnu per portare la cena a casa piuttosto che spolverare? Questa pubblicità è per caso un remake di qualche spot tormentone degli anni '50 o veramente c'è ancora gente che la pensa in questa maniera?". Io sono fissata con la questione della pubblicità ed è impressionante quello che passa e nessuno se ne rende conto: pubblicità delle macchine con la musica della marcia nuziale che dicono "vi dichiaro marito e macchina" come se noi fossimo intercambiabili rispetto a una macchina e così a seguire. Tutte le pubblicità dei prodotti per la casa, di cucina, ecc., fanno vedere solo donne che lavorano. L'altro giorno ne ho vista una di pannolini dove finalmente per la prima qualcuno si è degnato di metterci un uomo. Voi sapete che le pubblicità, quando vengono realizzate, sono costruite per intercettare la sensibilità dei destinatari sostanzialmente, per questo dico che una pubblicità così la Swiffer non la farebbe mai negli Stati Uniti, piuttosto che in Inghilterra e in Spagna, la fa in Italia perché sa di trovare un terreno fertile.

 

Qui appunto parliamo della questione "competenze naturali". Queste riflessioni sono desunte da questo altro volume uscito nel 2009, "Donne in attesa", dove si fa il punto della situazione, riporta una serie di dati di contesto e si chiede come mai appunto le donne stanno ancora in attesa che succeda qualcosa. Una delle questioni che viene affrontata è questa della competenza per natura. Esiste una specializzazione produttiva? La natura femminile, secondo questa teoria, porterebbe le donne ad avere un vantaggio comparato nel lavoro domestico, perché per loro è meno costoso dedicarsi a questa attività di quanto non lo sia per gli uomini. Allo stesso modo la natura degli uomini si avvantaggerebbe nel mercato del lavoro.

Elena Sisti

Da economista vi dico che una delle cose che mi affascina di più è che quando si parla di maternità, si parla sempre solo del costo . Noi abbiamo intervistato Simona Baretta, un'economista dell'Università Cattolica che parla di valore produttivo della generazione. In fondo la maternità è l'atto produttivo ed economico per eccellenza, una cosa che scandalizza moltissimo; quando si parla di divisione dei lavori non si considera mai che l'atto produttivo per eccellenza è quello di mettere al mondo chi farà poi economia. È una cosa che viene completamente tralasciata sempre in qualunque analisi, in qualsiasi studio anche economico.

Isabella Menichini

Questo è verissimo. Vi riporto alcuni commenti che si sono scatenati dopo l'uscita di libri su questo argomento, per esempio una donna dice: "Perché io che non voglio fare figli devo pagare i servizi per le famiglie che hanno deciso di fare i figli?". Dal mio punto di vista io non so come si possa affermare una cosa del genere perché per me fare figli è un fatto sociale, fermo restando la libertà di scelta di ogni donna/uomo di non avere figli, ma l'impatto sociale che ha il procreare o il non procreare è un elemento che comunque va condiviso con la comunità, tanto che tutta la questione legata al costo dei figli, che in Italia non ha rilevanza, quindi chi ha figli e chi non ha figli paga le stesse tasse, è tutto il dibattito sul quoziente familiare/fattore familiare. Io lavoro nel comune dove per primo si è fatto un ragionamento e si è individuato un algoritmo per far sì che i costi dei figli e comunque i costi per le famiglie siano ridotti in funzione della presenza o meno di figli, ma tutto questo per molte persone è un ragionamento sbagliato, come se, essendo quella una scelta assolutamente personale, dopo se decidi di farlo ne paghi pure i costi, ma non è così, perché fare figli ha un valore per tutta la comunità e una comunità che non fa figli è destinata a morire sia da un punto di vista culturale ma soprattutto economico.

 

Due anni fa, quando ancora lavoravo al ministero del lavoro, è uscita un'indagine dell'Istat su come i giovani occupano il tempo libero , da dove escono alcuni dati che sono davvero interessanti. C'è la parte del tempo libero, la parte delle occupazioni, il rapporto con le altre generazioni, ecc. e i dati che sono emersi già danno l'idea che purtroppo c'è una specializzazione che nasce da piccoli e che è diciamo molto responsabilità proprio della scuola e delle famiglie che instradano in qualche modo le ragazze e i ragazzi verso attività diverse, per cui le ragazze nel 35% dei casi puliscono la casa, nel 43% si rifanno il letto e i ragazzi no. Questa cosa poi va avanti e ce la ritroviamo in casa, ed è semplicemente una questione di abitudini. Ci sono poi appunto invece dei lavori tipo le riparazioni, ecc., alle quali vengono indirizzati maggiormente i ragazzi che non le ragazze.

Elena Sisti

Aggiungo che un'indagine dell'Istat dimostra che è raro che si dia alle ragazze la paghetta per i lavoretti svolti che invece prendono i ragazzi, quindi anche lo sviluppo del rapporto col denaro, con l'esigenza di chiedere un contributo rispetto a quello che si fa, nasce già in famiglia e da giovanissimi.

Isabella Menichini

Federcasalinghe ha svolto un'indagine da cui risulta che il buon funzionamento dell'economia familiare dipende dalle casalinghe e questo viene condiviso dal 78,6% delle donne, così pure il 66,3% ritiene che dalla casalinga dipenda la riuscita della famiglia. In un'altra famosa indagine che è stata fatta a livello internazionale, alla domanda se un figlio in età prescolare soffre se la mamma lavora, ben l'81% degli uomini italiani risponde di si mentre la media europea è circa il 50%. Quello che emerge da alcune indagini è che appunto è un fattore culturale se un figlio è abituato a una mamma che lavora; verosimilmente sarà anche più portato, intanto a scegliere una donna che lavora e anche forse a condividere un pochino di più i lavori di casa. Gli uomini che sono cresciuti invece in famiglie dove le mamme non lavoravano, dove non sono stati abituati a quest'idea della condivisione del lavoro, proseguono giustamente a non fare i lavori di casa.

 

Io credo che ci sia veramente molta poca chiarezza e molta confusione. Ci sono alcuni fattori che sono la famiglia, il welfare, le donne, ecc. che vengono variamente combinati tra di loro e sostanzialmente è diventato anche un presupposto sul quale la politica ha molto ideologizzato . In realtà si scarica sulla famiglia tutto quello che è diciamo il servizio che dovrebbe invece essere svolto da un sistema di welfare sviluppato; quest'idea della famiglia ammortizzatore sociale è una cosa assurda, non può stare in piedi, nessuna famiglia ce la può fare a fungere da ammortizzatore sociale, né in termini economici né in termini proprio di organizzazione del tempo.

Daniela Ducoli

Io credo già sia importante sottolineare alcuni elementi che sono usciti e che ci fanno riflettere proprio su come viene confezionata la notizia, come per esempio Isabella ci ha mostrato prima sui dati del ministero piuttosto che la pubblicità sul treno Freccia Rosa che sono assolutamente fuorvianti. Qua c'è la nostra responsabilità di giornalisti. Spesso non abbiamo questo ruolo di mediatori per tanti motivi, anche magari di conflitto di interesse; ad esempio, rispetto a quello che le Ferrovie dello Stato volevano pubblicizzare, stava al giornalista dopo aver letto il comunicato stampa e magari aver effettuato un viaggio, verificare che le cose stavano o meno esattamente come ce le avevano vendute. La sostanza di quella campagna infatti non era assolutamente che le donne viaggiavano gratis, che poi sarebbe stato, come sottolineava Isabella, discriminante nei confronti degli uomini, e neppure che le famiglie viaggiavano gratis, che sarebbe stato discriminante nei confronti delle single, ma qualcos'altro, è quel tipo di famiglia che è l'unica che ancora oggi viene in qualche modo certificata in Italia. Del resto il forum delle famiglie della scorsa settimana, dove il nostro premier non si è presentato per una questione forse di buon gusto dell'ultima ora, il ministro Sacconi ha detto una volta di più cosa si intende per famiglia; di Dico e di Pacs non se ne è mai più parlato, perché anche la sinistra si è resa conto che forse non gli conveniva. Siccome siamo in vista delle elezioni, non se ne parlerà per tantissimo tempo, perché se in Italia parli di questo, cioè delle famiglie di fatto, subito automaticamente perdi consensi o comunque quel tipo di consenso che vuoi raggiungere. Questa è una piccolissima parentesi per dirvi che comunque stiamo parlando non soltanto di maternità, sicuramente si parla del valore aggiunto delle donne.

Daniela Ducoli

Volevo chiedervi: se una società è soprattutto maschile è necessariamente maschilista?

Elena Sisti

Nonostante tutti gli altri libri noi siamo usciti prima, infatti Altraeconomia parla di genere da diverso tempo, nel 2007 è uscito un bellissimo mensile di Pietro Raitano intitolato "Le donne reggono il mondo" e da lì in poi è partito tutto un discorso. Io sono convinta che nonostante il nostro svantaggio in termini di economia come è concepita adesso, le donne abbiano oggi un enorme potenziale per portare un cambiamento che però non è solo il cosiddetto fattore D quindi più donne sul lavoro, più Pil ecc., ma ripensare che cosa stiamo facendo e perché lo stiamo facendo. Con Beatrice Costa abbiamo scelto di fare questo libro "Le donne reggono il mondo" che nasce da un incontro con Altreconomia, soprattutto perché questa crisi economica ha messo in crisi una teoria economica che negli ultimi vent'anni si era cristallizzata su delle certezze ritenute assolute e inconfutabili. Abbiamo intervistato Marina Terrani che ha dato una definizione che ritengo bellissima: " la teoria economica degli ultimi vent'anni è stato l'assoluto maschile assunto in cielo... ". Non è stata né colpa degli uomini né colpa delle donne, probabilmente è stata una coincidenza dovuta al fatto che la maggior parte dei grandi economisti degli ultimi vent'anni sono uomini. La crisi ci ha aperto la possibilità, lo spiraglio. Le economiste donne adesso sono tantissime e le persone che riflettono di economia oggi sono molte, esiste la possibilità di portare il punto di vista di genere.

 

Io vi vorrei fare un distinguo: il genere non vuol dire solo donna, il genere vuol dire la costruzione sociale, religiosa, di tutto quello che è culturale, che oggi viene attribuita agli uomini o alle donne . Io non voglio entrare nelle nostre capacità diverse dal punto di vista naturale, sicuramente oggi culturalmente ognuno di noi porta con sé un carico che è di genere, le donne fanno di più determinate cose, gli uomini altre, tendenzialmente le donne che diventano più maschili vengono considerate migliori e gli uomini che diventano più femminili, quindi aprono al sentimento, all'emozione, tendono a nasconderlo. Questa propensione, secondo me, la crisi ci dà la possibilità di cambiarla. La copertina de l'Economist in cui si scioglie il libro della teoria economica è la mia preferita e dice "Io me lo tengo", non so se l'avete mai vista. Noi oggi come donne in questo contesto abbiamo una condizione privilegiata, perché possiamo mettere in discussione come viviamo e come operiamo nella nostra famiglia, quelli che sono stati gli assoluti di questi ultimi 20 anni. La forza lavoro femminile ha superato quella maschile negli Stati Uniti d'America, questo non potrà non portare a un cambiamento, la disoccupazione maschile si è comportata diversamente, è diversa da quella femminile; inoltre, nel corso della crisi per la prima volta nella storia il premio Nobel per l'economia è stato attribuito ad una donna che si occupava di governance in particolare.

 

Quando preparavo l'intervento di oggi mi sono detta: che cosa vorrei trasmettere, che cosa vorrei dare, che cosa mi piacerebbe che un giornalista cominciasse ad usare di più , ed è proprio questo il grande vantaggio che secondo me può dare una crisi femminile, a guardare l'economia con gli occhi di una donna di oggi, vuol dire spalancare gli orizzonti, vuol dire avere la capacità di mettere in discussione l'uso del linguaggio economico che è collassato in una sola visione. L'uso del linguaggio economico ci deve dire cosa una donna vive sulla sua pelle. Oggi la definizione di economia è legge della casa, uso delle risorse scarse per soddisfare al meglio i bisogni degli individui della comunità. Nel linguaggio comune l'economia è collassata in mercato.

 

Cosa succede? Negli ultimi trent'anni la teoria economica ha completamente separato quello che è l'ambito del vivere sociale della famiglia, da quello che è il mercato e quindi abbiamo costruito una società in cui l'economia si è trasformata nella percezione generale da una scienza sociale ad una scienza esatta. La legge della casa si è trasformata in legge di ciò che viene svolto prevalentemente dagli uomini fuori casa, nel mercato, riducendo a "zero" il contributo all'economia fuori dal mercato di donne e di uomini. Non è tanto fondamentale che i due si siano divisi i compiti, quanto il fatto che il valore di colui che va sul mercato è continuato a salire mentre il valore di colei che è rimasta a casa è scomparso, è svanito nel nulla, e solo recentemente si sono cominciate a fare statistiche su questo. Il valore di quello che si fa viene raramente percepito, tutto è diventato il "soldo". Secondo me questa è la grossa possibilità che abbiamo oggi, pensare di nuovo a parlare di economia e non di mercato. Quando parlo di economia parlo di produzione, anche di cucinare, di stirare, di allevare i figli, ma non tanto per ridistribuire i ruoli, quanto per ridare valore a queste cose e quindi tentare di dire, dividiamocela un po' di più, non perché non lo voglio fare io, ma perché è una cosa che ha valore di per sé, calcoliamolo, guardiamolo... Il concetto di relazione e di emozioni è estraneo completamente al concetto di economia. Il mercato è questo sistema neutro nel quale ci si trova e ci si scambia in base ad un prezzo. In realtà non è vero, lo sappiamo tutti che non è vero, è una cosa che è cambiata enormemente nel corso degli anni. Pensate al commercio equo e solidale che introduce la relazione in un sistema di mercato. Una donna per come vive oggi, non perché siamo intelligenti e più brave, sa quanto siano fondamentali le relazioni. È possibile che non possiamo portare dentro all'economia queste cose? Simona Beretta lo dice molto bene. È possibile che noi quando parliamo d'impresa, parliamo di lavoro e di capitale, senza renderci conto che la base, ciò che rende un'impresa produttiva sono le relazioni che stanno all'interno di questo? È possibile che l'economia si occupi di salari, di capitale, di rendimenti, senza rendersi conto che l'impresa funziona e va avanti perché esiste una relazione? Le emozioni esistono, il capitale emozionale esiste, c'è tutta una nuovissima teoria. Noi, lo sapete, siamo individui razionali che massimizzano la propria utilità, ma quando? Io sfido chiunque a dire che oggi i trainer che lavoravano nella City erano individui razionali, che massimizzavano la loro utilità probabilmente sì, ma che erano individui razionali no. Hanno sottovalutato completamente il rischio? Non si rendevano conto di cosa stava succedendo? Individui razionali in che senso? Seguivano modelli matematici? Forse sì, e qui entrano tutte le nuove teorie, quelle che sono state considerate un po' da pezzenti, e che oggi invece vengono riscoperte. C'è tutta la teoria economica comportamentale che è interessantissima, non è un caso che il capitale emozionale e i beni razionali siano due concetti introdotti nell'economia da donne, non è un caso, sarà un caso, non lo so, parliamone...

 

Guardare alla vita di una donna oggi, secondo me, rende più evidenti quelli che sono un po' i paradossi dell'economia moderna. L'economia è collassata nel mercato perché noi nella nostra testa come individui dobbiamo massimizzare la nostra utilità, come nazione dobbiamo massimizzare la nostra economia, perché l'obiettivo ultimo di tutte le economie è massimizzare il prodotto interno lordo. Esistono maree di studi che dimostrano che una volta soddisfatti i bisogni primari fondamentali, l'aumento del prodotto interno lordo, del reddito e dei consumi, non si trasforma in un aumento di benessere. Questa cosa per una donna che lo fa tutti i giorni è abbastanza evidente e la nostra posizione è proprio quella di rimettere in discussione che cosa vogliamo fare. La società vuole massimizzare il benessere della società o massimizzare il mercato? È il mercato che deve essere il mezzo per massimizzare il benessere, o il benessere il mezzo per massimizzare l'economia? O il mercato è fine a se stesso. Possiamo tranquillamente decidere che l'obiettivo della politica economica è quello di massimizzare l'ampiezza del mercato, quindi mi va benissimo, ma teniamolo presente, sono due cose diverse. Non è detto che la massimizzazione del mercato, quindi aumentare il prodotto interno lordo, si traduca in un miglioramento di benessere. Una delle cose che ho notato quando ho letto la pubblicazione dell'Istat è quello che dicevano sul lavoro maschile e femminile ossia che per tutti è diminuito il tempo libero. Chiediamocelo: è questo il mondo in cui vogliamo vivere? Una riduzione del tempo libero per i maschi e per le femmine è il mondo che vogliamo? Parlare di questa cosa in un momento di crisi talvolta mi sembra quasi assurdo, nel senso che c'è gente che oggi ha perso il lavoro, è questa la cosa fondamentale, è vero, ma è altresì vero che è giusto ripensare per non tornare a dove eravamo prima e per intraprendere un cammino, comunque andare alla ricerca di un qualcosa di diverso. Il Pil negli ultimi anni è cresciuto enormemente in quasi tutti paesi, il benessere no, chiediamoci il perché di questo; le donne in questo forse hanno un grosso vantaggio di vita percepita, di vita quotidiana, noi donne facciamo forse il 60% del nostro lavoro ogni giorno al di fuori del Pil, quando nascono i figli sicuramente è al di fuori del Pil, ma questo vuol dire che non ha valore? La donne hanno una posizione privilegiata, vivono e operano in modo diverso e sono, oggi, in una posizione privilegiata per vedere i limiti dell'economia così come è architettata.

Isabella Menichini

Tra l'altro, se posso aggiungere, è diminuito il tempo libero per tutti e le donne hanno avuto solamente un travaso di 19-20 minuti dal tempo dentro casa al tempo fuori casa, ma quello che si chiama il tempo liberato, cioè il tempo che puoi dedicare appunto a te stessa, ai tuoi interessi, di fatto non esiste quasi; anche per gli uomini questo aspetto è un po' peggiorato, ma loro comunque hanno ancora tantissimo tempo liberato rispetto a quello delle donne. C'è, inoltre, molto tempo che si spende nei trasporti, nello svolgimento di pratiche burocratiche, ecc. e quindi questo è un dato veramente allarmante della qualità della vita complessiva di tutti ma soprattutto delle donne che hanno zero tempo liberato.

Elena Sisti

Per questo io dico che noi siamo in una posizione svantaggiata, allo stesso tempo avvantaggiata per il fatto di vederle tutte queste cose e per avere l'opportunità di chiedere anche agli uomini di riflettere. Vogliamo un mondo in cui il tempo liberato è sempre di meno? In cui il lavoro è l'unico motivo della nostra esistenza? Come dice Marina Terrani, dove la vita è un ostacolo al lavoro? È vero, noi donne lo viviamo, ma io sono convinta che neanche gli uomini vogliano una cosa del genere. Non so se sapete che Sarkozy ha voluto una commissione a proposito del benessere, David Cameron ultimamente ha dichiarato che si occuperà di un nuovo indice del benessere della società. Tutti questi sono cambiamenti ai quali secondo me le donne possono contribuire in modo particolare.

 

L'altra mia ossessione, ma l'abbiamo già sentito, è il concetto di lavoro. Il concetto di lavoro nella nostra società è un assalto all'idea di occupazione, noi quando parliamo di lavoro parliamo di occupazione, questa può sembrare una cosa ridicola, ma a livello di politica economica ha un effetto enorme. Ad esempio io penso a quando si dice che si vuole risparmiare sulla sanità, quindi si introducono delle leggi o delle modalità che fanno si che si utilizzi il Day Hospital; con questo assumo che il valore di colui che accompagnerà la persona malata vale zero, ma questo non è vero, però io non lo considero, non esiste, non c'è, non c'è statistica... Quindi mi diminuiscono i costi e faccio risparmio, ma a spese di chi? Il fatto è che non esistono dati sull'ammortizzazione sociale di famiglia, e quando la famiglia non c'è? Da economista a volte vorrei riprendermi un po' il diritto a distinguere quello che è l'economia dalla monetizzazione perché non sono la stessa cosa. L'economia è analisi di costi e benefici, che non sono analisi dei flussi finanziari positivi e negativi, è tutto diverso; negli ultimi vent'anni questo sistema è collassato, cioè prima gli economisti facevano l'analisi dei costi e dei benefici, oggi gli economisti fanno, nella percezione comune poi a livello di università non è vero, l'analisi dei flussi finanziari.

Isabella Menichini

Ti interrompo un secondo su questa cosa del Day Hospital perché è uno dei punti fondamentali del dibattito nelle politiche pubbliche degli ultimi due o tre anni , vedi anche ad esempio la questione della gestione della non autosufficienza per gli anziani. Il ministro dice di chiudere gli ospedali per ridurre la spesa sanitaria, è stato istituito un fondo per la non autosufficienza che dovrebbe favorire i servizi per la domiciliarietà però il governo forse ha anche deciso di non rinnovarlo questo fondo, allora cosa succede? Quando esistono dei servizi pubblici o comunque un sostegno pubblico, la famiglia veramente poi partecipa, e quel valore del lavoro di cura diciamo si amplia, si enfatizza in una virtuosa partnership con i servizi pubblici; dove invece questi non ci sono, di fatto la famiglia viene completamente schiacciata, e quel lavoro di cura non ha più un valore anzi diventa un disvalore, perché assume, appunto, solamente il ruolo dell'ammortizzatore sociale. E' anche vero che eliminare delle risorse finanziarie che possano sostenere dei servizi alla famiglia significa anche consentire la valorizzazione di quel lavoro di cura perché, una serie di indagini lo hanno dimostrato, tanto più c'è una presenza di servizi organizzati, tanto più questi sinergicamente riescono a favorire poi una responsabilità e una partecipazione della famiglia nel lavoro di cura; tanto più tu lasci la famiglia da sola, tanto più quella è schiacciata e scappa e lascia l'anziano solo per esempio.

Elena Sisti

Qui si entra un po' in quello che è per me l'aspetto fondamentale a cui le donne potranno contribuire, cioè il concetto di ciò che ha valore. Io spesso mi sento dire che non è giusto che le donne non siano mai arrivate a ricoprire posizioni nei ministeri importanti, che sono considerati quelli dell'economia, i trasporti e il bilancio, ma i ministeri importanti sono quelli del welfare e della cura. L'importante è la nostra vita, l'importante è stare bene e su questo scusate, ma secondo me noi donne siamo avvantaggiate e dobbiamo dirlo ad alta voce. Uno dei miei report preferiti è quello di alcuni studiosi inglesi della New Economy Foundation, io ho lavorato con loro, sono bravissimi, i quali hanno fatto uno studio sul valore sociale dei lavori ed io l'ho trovato affascinante. Questi studiosi vivono in una realtà molto diversa dalla nostra dove ci sono i ricchi ricchissimi e poveri poverissimi, e qui loro calcolano in termini monetari il valore sociale del lavoro, calcolano quanto in termini monetari sono pagate diverse professioni e quanto apportano all'economia intesa come la società e intesa come l'ambiente, quindi sostenibile. E' bellissimo perché ad esempio ci dicono che un commercialista per un pound che produce ne distrugge 47, mentre il valore di un pound di una persona che lavora in un asilo nido genera 10 pounds di valore sociale... E' vero, qualunque donna può dire che il suo commercialista ha meno valore della propria baby-sitter o dell'insegnante dell'asilo nido, per noi è una cosa abbastanza scontata. L'idea di una società più femminile vuol dire che è fondamentale garantire pari opportunità di accesso a determinate posizioni soprattutto quando si parla delle posizioni svantaggiate; ma non vuol dire solo più donne al potere, bensì dare importanza a ciò che è veramente importante. Che il valore di cura e il valore di educazione siano considerati così poco è dannosissimo, ma non solo per noi, anche per la nostra economia. Non esiste investimento migliore di quello in educazione...

Isabella Menichini

Però quando succede che in un asilo nido pare che ci siano le maestre che commettano cose come si vede nella cronaca degli ultimi giorni, allora finiscono su tutti i giornali , perché quello è legato al tema succoso della violenza sui bambini, ecc., in realtà poi nessuno si occupa della qualificazione che è uno dei punti fondamentali.

Elena Sisti

Io sono mamma di tre bimbi e non so se vi è mai capitato a scuola di sentire le mamme che discutono sulle metodologie e l'insegnamento delle maestre, oggigiorno tutte formate e che hanno studiato anni di pedagogia; è come se, nel mio caso, che faccio finanza di progetto, chiunque venisse e mi discutesse i miei calcoli, eppure nessuno si sogna di farlo, perché io ho fatto economia ma siccome loro hanno fatto "solo" pedagogia, allora si può discutere. Per me è fondamentale questo aspetto. La maestra fa la maestra, quello che insegna lei ha esattamente lo stesso valore del bilancio della società che mi fa il commercialista, se non di più anche da un punto di vista economico, non solo da un punto di vista ideologico, per me questo è fondamentale.

 

Chiudo con il concetto di impresa: che cosa è impresa? L'impresa è l'organizzazione dell'attività economica. Impresa è avere un'intuizione e prendersene cura. L'idea che l'impresa è la massimizzazione del profitto viene dalla teoria economica, ma non è vero. Cosa vuol dire parlare d'impresa sociale? Vuol dire dare ragione a chi ha fatto collassare l'idea che l'imprenditore è colui che massimizza profitto, ma non è così. Chi fa impresa fa 1000 altre cose, ha un'intuizione, se ne prende cura, cura le relazioni dei suoi dipendenti, cura quello che fanno, alcuni se ne approfittano, ma quelli sono gli speculatori, sono i profittatori, non è chi fa impresa. La teoria economica degli ultimi vent'anni si è impossessata del nostro immaginario e tante volte io faccio fatica quando mi parlano d'impresa sociale. Io non voglio parlare d'impresa sociale, io voglio parlare d'impresa, l'impresa è sociale. L'impresa che massimizza il profitto va chiamata con un altro nome. Chi ha l'unico obiettivo di distruggere il territorio per impossessarsi è un criminale, non è un imprenditore. Questo è un po' quello in cui secondo me noi donne possiamo contribuire oggi, dare valore e riappropriarci del linguaggio. Gli uomini se ne sono appropriati negli ultimi vent'anni e la teoria economica in questo è molto maschile, fino all'altro ieri eravamo sicuri che facendo così andava tutto bene, poi è collassato tutto improvvisamente. Ripensiamo al linguaggio, riappropriamocene, cos'è il valore, cos'è l'impresa, cos'è il lavoro e cos'è l'economia che dà il benessere.

Isabella Menichini

Proprio di recente nel comune di Parma stiamo lanciando un progetto con alcune aziende proprio sulla questione della responsabilità sociale d'impresa, della conciliazione, ecc., molti però spacciano come responsabilità sociale dell'impresa quello che dovrebbe essere il governo ordinario delle proprie risorse umane con un valore aggiunto, ma quella non è una certificazione, quella dovrebbe essere l'ordinaria gestione dell'azienda, dei processi produttivi, dell'organizzazione del sistema e quindi anche della gestione delle risorse umane, questo è l'assurdo. Talmente si gestisce solo nella logica del profitto che tutto il resto viene rivenduto come un impegno che ti puoi prendere, ma puoi anche non prenderti.

Lorenzo Invernizzi

A volte, forse troppe volte, le pubblicità sono state censurate perché si credevano lesive di particolari categorie, penso alla volta che, in epoca di esame di maturità, hanno fatto una pubblicità che diceva "In bocca al lupo" poi l'hanno cambiata perché gli ecologisti si sono lamentati, oppure quella delle patatine con l'attore Rocco Siffredi che le femministe hanno voluto fermare perché così lesiva delle donne. Forse questa azione preventiva a volte viene fatta un po' troppo.

Elena Sisti

Una delle cose che trovo affascinante in Italia è che le donne esercitano pochissimo potere nella società ma ne esercitano una enormità in famiglia. La mamma italiana ha un grande potere e mi dispiace dirlo, non solo di creazione, anche di distruzione. Le italiane dedicano al lavoro domestico molto più tempo rispetto alle donne di qualunque altro paese. Ora lungi da me dire che non deve essere fatto perché un pò di lavoro domestico lo dobbiamo fare tutti, ma forse anche ripensare a quanto il nostro potere viene trasferito sul fatto ad esempio che ti stiro i pantaloni… Pensiamo anche noi alla nostra relazione con il potere.

Isabella Menichini

La conclusione di tutto il mio ragionamento è che tutto ciò è uno stereotipo che è ancora profondamente radicato nella nostra mentalità di donne e di uomini. Anche le più recenti indagini confermano questa convinzione, ne ricordo una presentata un paio di anni fa ad un seminario dalla sociologa Monica Fabris, che riportava i dati di interviste fatte a delle donne, dove il 70% hanno risposto affermativamente a domande del tipo se ritenevano che stirare o pulire la casa fosse una loro competenza. Questo significa che si scambia per una competenza naturale lo svolgere una serie di lavori che in realtà diciamo può svolgere chiunque, perché non è che ci vuole una propensione particolare. Quello che appunto Elena dice, e i dati lo confermano, è che le stesse donne ritengono che tutto quell'ambito sia loro proprio e sul quale fanno una grande fatica a delegare; ma sapete quante donne fanno le valigie di tutta la famiglia?

Elena Sisti

La questione del potere è essenziale.

Isabella Menichini

A volte molte pensano che se si liberano pure di quello poi non avranno più niente , ma magari è proprio il momento in cui si può ricominciare...

Roberto Morelli (Scuola di Perugia)

Riguardo alla questione della pubblicità dello Swiffer, io volevo portare un esempio. Le pubblicità degli abbonamenti ai campionati di calcio sono colonizzate solamente da uomini spaparanzati su un divano con la birra in mano... Ora secondo me, posto che l'obiettivo di una pubblicità non è quello di promuovere la parità fra i sessi bensì quella di vendere un prodotto, la pubblicità dello Swiffer non può essere vista alla luce del fatto che chi produce quel panno ha come target esattamente le donne, magari di una certa fascia di età? Io non credo che qualche donna si senta discriminata dalla pubblicità dell'abbonamento al calcio...

Elena Sisti

Io questo argomento lo vorrei approfondire dopo con Maria Nadotti che partirà dall'uso del corpo nella pubblicità cartacea, ci sarà anche modo di andare oltre credo.

Isabella Menichini

Io sono d'accordo che aumento del Pil non significa necessariamente aumento del benessere, ma questo non è un concetto trasversale, voglio dire non è una differenza di genere, può riguardare uomini e donne.

 

Altra cosa: riappropriamoci dei concetti, chi è che dice che matematica e razionalità siano per forza maschili? Matematica e razionalità sono anche femminili. Sembra che un riappropriarci dei concetti significhi necessariamente fare di necessità virtù, cioè dove noi non possiamo arrivare, allora dobbiamo ridefinire il concetto, dobbiamo ridefinire la nomenclatura. Matematica è anche donna, razionalità è anche donna.

Elena Sisti

Quando abbiamo scritto libro "Le donne reggono il mondo" l'idea è stata proprio questa. Nella vita quotidiana per genere, non per caratteristiche, le donne occupano un ruolo, svolgono delle mansioni, alle donne vengono attribuite delle caratteristiche diverse per genere. Se questo può essere una debolezza, in un momento di crisi di teoria economica come quello che viviamo oggi, può diventare anche un'enorme forza. Nel momento in cui si dice che la donna è meno razionale si dice che questa è la caratteristica di genere. Non è che tutte le donne o tutti gli uomini sono più o meno logici, assolutamente no, ma per genere lo stereotipo dice che le donne sono meno razionali degli uomini o che gli uomini sono più portati alla matematica delle donne... È vero che la maggior parte delle facoltà di matematica, di ingegneria e fisica, sono ancora a maggioranza maschile e questa è una divisione di genere, non di sesso, lungi da me dire che le donne sono meno portate alla matematica. La nostra posizione, cioè essere considerate meno razionali, oggi ci dà la forza di poter dire: scusate, ma dove stava la razionalità nei mercati finanziari? Se allora la razionalità non esiste, noi che siamo considerate meno razionali, non è che possiamo riconsiderare il concetto di razionalità? Sfruttare lo stereotipo, ma non per rinforzarlo, ma per dire magari che la razionalità che voi avete considerato fino a ieri un assoluto valore, non è un valore di per sé. Questa è una grossa differenza.

Marta Rovagna (Freelance)

Attualmente sono incinta, quindi stavo seguendo questa storia della maternità in modo particolare. La prima cosa che mi colpisce è che lo studio parla di donne dipendenti di aziende che in questo contesto è una situazione un po' superata, nel senso che io che lavoro come freelance non so cosa succederà quando nascerà questa bambina e diciamo che tutti questi incentivi sono per persone comunque fortunate. Rispetto al part-time io sono d'accordo sul fatto che è uno spreco di risorse, come si diceva, però è anche vero che oggettivamente è necessario, ad esempio io che ora sono incinta sto male con le nausee mentre mio marito no, è una differenza di genere ed è sostanziale.

 

La seconda osservazione: io ritengo che sia sbagliato accomunare la categorialavoro domestico, assistenza agli anziani e cura dei figli come lo stesso sovraccarico di lavoro per le donne. Io penso che mia figlia avrà bisogno di me nel primo anno di vita probabilmente più di quanto io abbia bisogno della baby-sitter, della nonna o dell'asilo nido, diversamente la cura dei nonni anziani o i lavori domestici si possono affidare ai badanti o a persone che ti aiutano nella gestione della casa. Quindi diciamo accomunare i figli e la loro cura ad altre incombenze secondo me è sbagliato.

Ramadori (Scienze della comunicazione - Bologna)

Prima si accennava ad un dato importante ossia al fatto che in America con la crisi oggi sono maggiormente occupate le donne rispetto agli uomini: volevo riflettere sul fatto che magari gli uomini occupati hanno un lavoro più stabile e più retribuito, mentre le donne ok sono più occupate, però che tipo di lavoro hanno?

Intervento

Sono di origine albanese ma vivo a Milano.Volevo chiedere alla signora Menichini solo per il fatto che lavora già in comune, la situazione degli Urp, vedo un po' trascurato questo aspetto che può avere un collegamento visto che l'argomento delle donne può o non può fare notizia.

Serenella Pascali (Redattore Sociale, corrispondente dalla Puglia)

In Puglia c'è una bella sperimentazione sulle politiche di genere e sulle politiche familiari. Negli ultimi quattro anni sono stati investiti 228milioni di euro per le politiche familiari, ma per politiche familiari diciamo genericamente intese, intendo, e porto degli esempi concreti, assegno di cura, prima dote, quindi azioni di sollievo al carico di cura, asili nido (per cui sono stati stanziati 80 milioni di euro). C'è quindi c'è un'attenzione particolare, eppure, comunque, ci sono anche delle arretratezze culturali molto forti e molto evidenti. Si passa da questi voli pindarici nel tentativo di costruire faticosamente con le amministrazioni locali dei piani, dei tempi e degli spazi, a situazioni in cui assessori provinciali per promuovere la giornata internazionale della lotta alla violenza contro le donne chiamano un tronista e vanno nelle scuole, non si capisce quale sia il messaggio culturale nonché educativo che possa passare.

 

La mia domanda è questa: io ho un focus molto particolare sulla Puglia, sia perché ci vivo sia perché ci lavoro, ma che cosa si sta muovendo di significativo in questo senso, in altre parti d'Italia? C'è qualcosa che si muove in questa direzione e che quindi diciamo c'è da auspicare vada ad incidere in quella cultura che ancora oggi ci fa vedere pubblicità come quelle della Swiffer?

Luisa (Genova)

Lavoro per una pubblica amministrazione. Mi chiedo come è possibile che dopo tutto quello che è successo negli anni '70 in Italia dal punto di vista di rivoluzione culturale, di modelli culturali, siamo rimasti sempre gli stessi. Ve lo chiedo perché ho quarant'anni e sono rimasta molto delusa nel trovare nel mio mondo lavorativo, che comunque è privilegiato perché è quello della pubblica amministrazione, dei modelli culturali assolutamente maschili, messi in atto dalle stesse donne, quindi donne che discriminano altre donne che sono carrieriste nel senso più deteriore del termine. Il modello che incarnano è fatto di competizione basato sull'arroganza, sulla prevaricazione, ecc., e discriminano quelle donne, qui ci sono anch'io, che hanno fatto del lavoro invece una "missione sociale". La mia domanda è: che cosa è successo di quella rivoluzione culturale e perché dal punto di vista valoriale siamo non al punto di partenza, mi permetto di dirvi anche con una certa rabbia, siamo tornati indietro? Tutto quello che era necessario fare, si è fatto finta di farlo ed è entrato in un sottobosco che adesso tirarlo fuori sono cavoli, è diventato ancora più pericoloso di prima.

Intervento (borsista dell'associazione Ilaria Alpi)

Si è parlato stamattina di politiche che in verità sono più azioni rivolte alle famiglie piuttosto che alle donne, quindi come possiamo effettivamente fare politiche per le donne e quindi di genere? Questa è la prima domanda.

 

Ora due osservazioni: ho in mano la guida per l'informazione sociale del Redattore Sociale, ci sono 13 tematiche, 2 di queste noi le stiamo trattando nei workshop di stamattina, ma manca il terzo tema dei workshop, questo che stiamo trattando noi adesso sulle donne. Visto che questa è una platea di donne, la mia proposta-osservazione è quella appunto di inserire questo tema dalla prossima edizione della guida.

 

La seconda osservazione riguarda la maternità: penso che certe questioni si dovrebbero trattare come diritti di principio e come valore. Prima è stato esposto lo studio che si trova nella pubblicazione "Maternità quanto ci costi": effettivamente la maternità deve avere un costo però si tratta di un valore sociale su cui dobbiamo investire, invece facciamo il loro gioco dicendo che in verità non costa così tanto. Inoltre è vero anche che certi aspetti non vengono fuori, come quello delle donne che non lavorano o che fanno il part-time, quelli che vengono licenziate e quant'altro.

Isabella Menichini

Io partirei da quest'ultima osservazione perché voglio fare una specificazione. In questa prima parte della presentazione volevo evidenziare alcuni errori, naturalmente non sono esaustivi, alcuni esempi di cattiva informazione o di ignoranza. La questione della maternità, che veramente è l'unica vera differenza se vogliamo rispetto all'uomo ma che è sostanziale nel momento in cui accedi al lavoro, l'ho posta appunto perché è uno dei motivi per cui le donne spesso non riescono ad accedere o devono barare. Il management delle aziende è convinto che la maternità sia un costo. Io ho la mia più cara amica che è una top manager e finché non si è messa a studiare le questioni di genere, mi ha sempre detto che le donne costano perché vanno continuamente maternità.... E' il classico prodotto di ignoranza di chi non sa proprio di che cosa sta parlando. Ora per carità, tutto è complesso, se vogliamo, però quella menzione è stata fatta per dire, lampadina rossa, guardate attenzione che pure questo non è vero!

Elena Sisti

Il fatto che una donna sia incinta, che una donna debba allattare, è una cosa naturale; il fatto che la donna debba preparare la borsa per il bambino quando si esce di casa e l'uomo non ne sia capace, è di genere. Nessun uomo non può non sapere che si deve portare un pannolino, un cambio, un biberon, però lo fanno solo le donne. Quello che mi piace dire è che a noi donne sta anche il valutare il benessere che deriva dal portarti con te tuo figlio che è enorme ma che non entra nel Pil, questo è quello che dobbiamo dire anche all'uomo, goditelo anche tu. Io sono convinta che ne trarrebbero un enorme vantaggio anche gli uomini a sapersi preparare da soli la borsa per uscire di casa con i propri figli... È questa la differenza tra il sesso che ci rende esclusive generatrici. Si, alcuni papà lo sanno fare, altri no.

Isabella Menichini

Questo è veramente il tema cruciale della vita delle donne, la possibilità di scegliere. Una può scegliere di occuparsi del proprio figlio o degli anziani o scegliere di tornare a lavorare, dovrebbe poter scegliere. Quello che in questo momento non esiste in Italia, quasi, è la possibilità di scegliere, perché non c'è un sistema e non c'è soprattutto una cultura che ti consente di scegliere se puoi farlo tu o il tuo compagno e/o marito oppure dei servizi che ti possono sostenere in questo. Questa è la differenza fondamentale che manca completamente. Rispetto al mondo del lavoro una donna non può scegliere di avere un figlio perché, come dimostrano i dati, deve nascondere la maternità fino in fondo, perché ha paura e sa che quando e se rientrerà a lavoro probabilmente non troverà neanche la scrivania e questa non è libertà di scelta.

Elena Sisti

Libertà di scelta anche per l'uomo…

Intervento

Mi domando come vengono scelte queste donne che diventano il campione delle ricerche… Questo stereotipo di cui parlava la ragazza prima noi non dobbiamo cavalcarlo, dobbiamo assolutamente demolirlo, stroncarlo e ripartire liberandoci da questo stereotipo della donna accudente o che si prende cura o che ha soltanto relazioni di aiuto, che sembra l'ancella del sistema capitalistico. Il sistema capitalistico sta alle donne esattamente come sta a qualsiasi altro individuo in questo momento. Dalla Marcegaglia in giù abbiamo delle dimostrazioni di donne che non esprimono un genere femminile secondo uno stereotipo, esprimono un modo di essere nel sociale che non viene mai codificato, sfuggente rispetto a queste indagini di cui voi parlate. Ci sono tantissimi papà che spolverano e puliscono le case e che lavorano molto di più nella casa delle donne, ma sono dati di fatto emergenti, di cui tutti abbiamo il polso in maniera concreta. Questa immagine della donna che dice facciamoci forte dello stereotipo sulle donne e proponiamo dall'interno di questo stereotipo una società diversa, per me è inaccettabile...

Daniela Ducoli

Mi sono tenuta pronta la conclusione dell'introduzione del tuo libro per una provocazione che avrei voluto fare nella seconda parte, che però è relativa a questo di cui parliamo ora. Mi permetto di dire che i dati sono quelli che ha esposto Isabella anche se purtroppo forse in qualche modo sono falsati perché spesso chi viene intervistato dice una cosa e non è esattamente quella che succede in casa e così via. Sicuramente già questa platea ha una percezione diversa perché tu sei una scrittrice, io sono una giornalista, lei è una dirigente, lei un'economista, loro sono giornalisti, operatori del sociale, veramente facciamo parte di, non voglio dire élite, ma sicuramente non siamo rappresentative del sociale. Spesso si parla di cose che oramai sono accadute, si va oltre e la ragazza, la futura mamma prima giustamente sottolineava il fatto che stiamo parlando di diritti acquisiti, giustamente acquisiti, attenzione però a non metterli in discussione soltanto perché una larga fetta di giovani non ne gode... Se anche chi non ne ha la possibilità non deve godere di questi benefici, significa veramente rimettere in discussione quello per cui si è combattuto e questo a prescindere dal fatto che vi sia maternità o paternità. Della paternità si è discusso tra l'altro anche nell'Unione europea che voleva rendere obbligatorio per esempio il periodo di congedo del papà per almeno due settimane per evitare tutto il problema della questione post parto e altre cose, oltre che rendere obbligatori almeno cinque mesi, cosa che in Italia lo sono già e in altri paesi no... La conclusione dell'introduzione del tuo libro dice; " Le donne del bel mondo ogni giorno vanno a lavorare, preparano da mangiare, puliscono le case, coltivano le terre, cuciono i vestiti, partoriscono, educano e curano i bambini, si prendono cura degli anziani e delle persone deboli delle comunità. La maggior parte di tutto questo non lascia traccia nelle statistiche ufficiali. Solo il loro lavoro formale verrà rilevato nel calcolo del Pil, anche se nessuno mette in discussione il contributo di queste attività al benessere delle nostre società. Possiamo tentare un'altra strada? Ce lo chiediamo nelle prossime pagine ".

 

Il discorso del Pil che facevi anche relativo al Day Hospital, che costa meno allo Stato, ma costa di più a chi chiederà un permesso, giorni di ferie, ecc., forse ci dà il ritratto della nostra società che è un pò già alle spalle, nel senso che già il fatto che la futura mamma diceva io ritengo giusto stare un anno a casa con il mio bambino, ma magari dell'anziano si può occupare la badante, anticipa qualcosa. Forse anche l'anziana mamma ha diritto ad avere noi che ci dedichiamo a lei e non la badante, ma ormai nella nostra società in cui tutti lavoriamo, o si torna indietro laddove la donna si faceva veramente carico di tutto, dell'anziano, del bambino, della figlia, della figlia della sorella ecc., oppure il discorso è un altro. Noi siamo già oltre questa tua conclusione, perché di queste cose, di molte di queste cose, si occupano già le colf, le badanti, le baby-sitter, mentre la donna sta facendo altro.

Intervento

Ma bisogna poter scegliere, è la libertà di scelta che manca...

Isabella Menichini

Non voglio adesso essere polemica, anzi, però tutte noi pensiamo che in fondo il tuo compagno, marito, insomma ti aiuta, ma non è vero che ti aiuta perché quella non è una tua competenza, punto. Quello che diceva benissimo Elena, c'è un fatto naturale e ci sono competenze naturali che non esistono, cioè il fatto di occuparsi della casa non è un fatto naturale, lo può fare chiunque e non è che mio marito mi sta aiutando, dovrebbe farlo lui come lo posso fare io. Siamo finite a parlare tanto di questo perché il punto cruciale secondo me è la questione della gestione del tempo e della libertà di scelta. Io anticipo tutta la fine del mio ragionamento: la verità per me è che per rendere la società meno maschile bisogna fare in modo che ci sia una rimodulazione completa dei tempi dove ci stanno per forza i tempi della cura, della casa, ecc. e il poterlo scegliere, cioè lo faccio io, lo fa qualcun altro, condividerlo. Il mio è un pò il ragionamento che fa Marina Piazza, che parla di conciliazione condivisa, appunto dice di conciliazione si muore, perché se poi appunto devo conciliare tutto io dentro il mio tempo, non ce la farò mai.

 

Il presidente dell'Istat ha presentato i dati alla conferenza nazionale sulla famiglia dieci giorni fa: si parla del 78% del lavoro di cura sempre a carico delle donne, parla di un'assenza del tempo liberato appunto, di un trasferimento del lavoro delle donne di 17 minuti del lavoro dentro casa a quello fuori casa, ma sostanzialmente il lavoro di cura ampiamente detto, sta sempre in carico alle donne. Questi sono dati Istat, non sono dati parziali, poi potranno essere parziali, ecc., ad esempio l'altro giorno al comune di Parma dovevamo fare una presentazione e il professore di università che ha lavorato con me è arrivato tardi perché mi ha detto che mentre stava uscendo di casa il bambino aveva bisogno di essere cambiato, io l'ho guardato, lui c'ha quarant'anni, gli ho detto "ma dai, veramente...". Quindi ci sono dei casi così, ce ne sono tanti, ma io sono convinta che stiamo parlando di fasce evolute, forse evolute è una brutta parola ma di una fascia specifica della società…

Intervento

Ogni mattina il mio compagno sveglia mia figlia, la cambia, la veste, le fa fare colazione, la porta al nido, e mio padre dice sempre: che bravo! Allora io spiego a mio padre che io mi sveglio un quarto alle cinque per essere in redazione alle 5.30 che magari non sarebbe corretto se mio marito facesse tutto questo mentre io dormo e anche se mi concedessi una bella dormita forse sarebbe legittimo…

Isabella Menichini

I dati Istat dicono che l'80% degli uomini italiani non ha mai acceso un fornello del gas, poi non so, per carità può darsi che tutti i dati siano contestabili però quelli pubblici sono questi, noi da questi dobbiamo partire per forza...

Elena Sisti

Io posso darti ragione però abbiamo fatto un intervento con ragazzi di 17 anni in un liceo e quando abbiamo chiesto cosa volevano fare da grandi, i maschi hanno tutti specificato un determinato lavoro, le femmine no. Io mi auguro che sia come dici tu, mi piacerebbe moltissimo ma io non lo vedo...

Isabella Menichini

Volevo dire solo una parola sulla questione del lavoro precario, perché diciamo quello è un punto fondamentale. Finalmente ci si è resi conto che in Italia esistono due mondi, cioè il mondo dei lavoratori a tempo indeterminato che sono coperti dal sindacato, che hanno tutte le tutele, ecc., e quello dei precari, che nessuno riconosce, tantomeno secondo me i sindacati purtroppo e che sono completamente privi di qualsiasi tutela. Questo è il welfare italiano, e questo punto prescinde dalla donna, perché riguarda perlopiù i giovani. La cosa che a me fa più impressione è quanto poco la società civile mette sotto pressione la politica, le istituzioni, per essere migliori e produrre una migliore politica, in Italia la società civile è come se fosse scomparsa. Io sono andata a New York tre anni fa, lo raccontavo ad Elena, a discutere del monitoraggio sulla Convenzione Internazionale sui diritti delle donne. La procedura prevede che il governo porta un rapporto ufficiale, il comitato intervista separatamente le associazioni di rappresentanza, ottiene da loro un rapporto ombra dove si dice spesso qual è la verità, perché poi il governo se la racconta come vuole; bene, al comitato di monitoraggio del rapporto italiano è andata una suora, non c'era un'associazione di rappresentanza femminile, questo è successo 2-3 anni fa. Il comitato di monitoraggio che è fatto per lo più di donne, tutte donne straniere molto femministe, ci guardavano con due occhi così, si sono chieste come fosse possibile che in Italia non ci fosse l'associazionismo, una lobbie che faccia pressione su questo argomento. Nel caso dei minori e della disabilità ci sono fior fiore di associazioni che partecipano, seguono attentamente la tematica. Bene, a quella delle donne non c'era nessuno, si è presentata una suora…

Daniela Ducoli

Adesso passiamo a quello che io ho definito un'irruzione, un'incursione, un momento di rottura in questo dibattito che però c'entra molto con il tema, tanto che qualcuno di voi poco fa lo ha sollevato, ed è quello della pubblicità e dell'uso del corpo in quella cartacea. E' una provocazione di Maria Nadotti, una collega oltre che scrittrice, che vi propone un filmato e una riflessione poi si esporrà a vostre domande ed eventualmente contestazioni. La cosa che mi è piaciuta finora è che rispetto a situazioni analoghe, intervenite con passione che dovrebbe essere un sentimento che caratterizza sempre la nostra professione e chiunque. Quindi, eventualmente, contestate i dati e gli spunti che vengono esposti durante il workshop, nel senso che non c'è una bibbia ed è giusto poterne discutere.

Maria Nadotti

Ho deciso di lavorare sulla pubblicità cartacea anzitutto perché i giornalisti che scrivono si ritrovano molto spesso " insanducciati " proprio là, proprio chiusi in delle immagini pubblicitarie, per cui mi sono accorta nel corso del tempo e degli anni che si potevano scrivere le cose più sensate, avanzate e provocatorie nel proprio articolo. La pubblicità cartacea ha molto a che vedere con il mestiere dei giornalisti anche su Internet... Ma perché dentro a questo workshop sulla demascolanizzazione della società? Perché è vero che la pubblicità conferma che stiamo andando verso una società sempre meno maschile, ma non è detto che una società meno maschile sia più femminile e poi comunque bisogna che ci intendiamo su che cosa mai vogliamo dire con femminile e maschile. Il genere è un'invenzione, come voi sapete, il sesso no, però avete notato che è uscito di scena il termine sesso, non se ne parla proprio più, si parla di genere, però poi si parla di maternità che non appartiene al campo del sesso? Allora mi viene proprio a fagiolo lavorare sulla pubblicità con voi oggi e con le due relatrici che mi hanno preceduto perché nel mondo ci sono degli esseri umani in carne ed ossa, dei corpi che sono femminili, maschili, intermedi, trans, di tutti colori, chi più ne ha più ne metta, ma di tutte le età. Che cos'è una donna? Una donna è quella cosa, secondo i dati che ci hanno dato prima, in età riproduttiva, eterosessuale, madre, ma non è vero, ci sono anche le donne anziane che non sono più riproduttive, ci sono le bambine che non sono ancora riproduttive, ci sono delle donne che scelgono altro nella vita, lesbiche, donne che non vogliono figli, donne che non possono avere figli, insomma il mondo è vario, è proprio per questo che è così bello e per favore non riduciamolo a delle esemplificazioni, perché non ci fa gioco.

 

Allora donne reali in un mondo reale e complesso accanto a uomini reali anche loro . Gli uomini non sono solo quel modellino lì nulla facente, con di solito una mamma che li ha educati male, no, ci sono anche uomini di altro tipo naturalmente e poi le cose cambiano, le cose sono in mutazione perenne, per cui a me per esempio, rispetto ai discorsi di prima, interessa molto quella fascia privilegiata, quella minoranza che annuncia un futuro possibile, annuncia o forse ricorda un passato che è stato possibile. Sapete che le cose si possono sempre leggere o di qua o di là, sarebbe stato bello incrociare i dati 2009-2010 con i dati 1998, 1952, ecc. Ci sono le cose reali, i corpi reali delle persone nella loro mutazione, nella loro varietà, poi ci sono le rappresentazioni dei corpi e i corpi delle donne, degli uomini, dei bambini, dei vecchi, dei malati, dei meno abili, dei diversamente abili che possono essere rappresentati in mille modi, e la pubblicità è un modo di rappresentarli. La statistica, i dati numerici sono un altro modo di rappresentarli, poi certo ognuno fa il suo mestiere ed è proprio questo il bello però è importante che sia chiaro che c'è un mondo reale e poi tanti modi di descriverlo, fotografarlo e poi interpretarlo. Ed è lì il bello. Il giornalismo che cos'è se non il tentativo di dire a chi legge: ho visto questo, ho ascoltato questo, lo racconto così, lo interpreto così, mettendo i lettori e lettrici in grado di dire io la penso diversamente, è questo il buon mestiere. Oltre a protestare come ogni tanto facciamo, perché la pubblicità ci fa arrabbiare, allo stesso modo ci potrebbe far arrabbiare anche la grande arte rinascimentale perché la pubblicità, se voi la guardate con una certa pazienza, in realtà non inventa niente, cita... cita... L'importante è secondo me porsi quest'altro problema: ok ci rappresentano così da sempre, in occidente i corpi sono stati rappresentati in un certo modo da quando esiste la storia dell'arte, che non sia un'arte troppo astratta, troppo stilizzata, ma come ci rappresenteremmo noi? Perché c'è questo problema di come si fa a rappresentare i corpi e la vita degli individui in un altro modo. Le donne in Italia per esempio, si stanno muovendo lentamente rispetto alla rappresentazione dei corpi femminili attraverso la pubblicità e si stanno muovendo non in una logica creativa, propositiva, ma in una logica un pochino, come dire, non so se dire esattamente repressiva, censoria...

 

Adesso vediamo il montaggio che ho preparato perché curiosamente ci sono delle pubblicità che fanno gridare allo scandalo. C'è una commissione di controllo disciplinare in Italia , c'è e mi risulta che vietino tipo 18 pubblicità cartacee all'anno, ma le altre 5 milioni no... In queste pubblicità non è neanche che noi le guardiamo, sono loro che guardano noi, lo stesso succede quando sfogliamo i quotidiani. Temo inoltre che anche il cartaceo del sociale ogni tanto caschi involontariamente in questa rappresentazione dei corpi, non solo femminili, su cui si potrebbe molto ragionare.

 

•  Proiezione di una serie di immagini tratte dalla pubblicità

Daniela Ducoli

Sono rimaste alcune domande lasciate aperte prima di fare la pausa . La collega della Puglia aveva chiesto se si stanno facendo delle cose concrete, c'era il discorso sulle donne che tra colleghe si fanno la guerra come diceva Luisa di Genova, la collega della Calabria che diceva che a lei questi dati sembrano all'acqua di rose, fin troppo ottimistici rispetto alla realtà che vive personalmente nella sua regione…

Volevo capire se eravate rimasti in qualche modo soddisfatti del dibattito che si è aperto , se vi aspettavate degli altri contenuti che le nostre relatrici possono proporvi, sicuramente c'è tantissimo da dire quindi approfittiamo ancora della loro presenza. Intanto le lasciamo rispondere a queste tre domande e poi magari riflettete sugli spunti che non sono stati approfonditi.

Isabella Menichini

Per noi che lavoriamo nelle istituzioni, insieme ai decisori politici, i dati sono fondamentali, non si può prescindere da quello, nel senso che sui dati si può costruire un ragionamento, però lo sforzo di guardare i dati credo che sia un'abitudine che in Italia non è stata ancora veramente sviluppata e quindi spesso si tende poi a ragionare sulle impressioni, sulla propria esperienza personale. Partire dai dati è fondamentale, perché altrimenti parliamo solo di cose. Sono venti anni che mi occupo a vario titolo di sociale, e credo che ci sono tanti livelli per poter parlare delle pressioni che hanno a che fare col sociale, ma c'è anche un livello che è proprio quello delle politiche pubbliche e su quelle diciamo non si può prescindere da una certa conoscenza dei dati. Ho apprezzato molto il fatto che negli ultimi due anni sia stata data tanta attenzione all'ambito femminile, è la prima volta credo che escono uno dietro l'altro cinque o sei libri sul tema delle donne. Per noi che ci occupiamo di queste cose, chiaramente questi sforzi rappresentano veramente degli strumenti preziosi.

 

Vengo alle domande. Sulla questione della regione Puglia mi si chiedeva se anche in altre regioni ci sia la stessa situazione: la situazione in Italia è molto diversificata, sia con riferimento alle questioni di cui ci occupiamo oggi, sia più in generale alle questioni del welfare, e questo dipende dal fatto che non essendoci un sistema nazionale di livelli essenziali delle prestazioni, cioè non è stato definito a che cosa hanno diritto i cittadini, diciamo, come servizio essenziale, come prestazioni essenziali, ogni regione e ogni comune si muove un po' liberamente; ci sono, quindi, regioni e comuni che sono molto avanzati, c'è la regione Toscana che ha fatto una bellissima legge, per esempio, sulle pari opportunità, tra l'altro una legge trasversale a 360° che tocca tutto, dalla rappresentanza politica-istituzionale, alle misure di supporto all'occupazione, ecc., ci sono altre realtà come ad esempio la regione Emilia-Romagna, un'altra regione dove si fa molto, dove c'è molta legislazione, ci sono una serie di azioni e di progetti sia di sostegno alla famiglia che all'occupazione femminile, in altre regioni ci sono delle iniziative per esempio di risorse specifiche che vengono anche dal fondo sociale europeo che sono state destinate per esempio all'occupazione femminile, piuttosto che alla promozione dei voucher di conciliazione, piuttosto che allo sviluppo di servizi. In Italia, dunque, non c'è omogeneità.

 

Sugli URP, io concordo pienamente, tenete conto che in questa ipotesi appunto mai realizzata di schema di prestazioni essenziali , l'accesso alle informazioni dovrebbe essere il primo diritto riconosciuto a noi cittadini, a noi cittadine, perché la carenza di informazioni è uno dei gravissimi problemi proprio del rapporto tra una buona istituzione, una buona politica e i destinatari degli interventi. Io quindi sono d'accordo sul fatto che spesso ancora nelle realtà italiane non ci sono dei punti di informazione completa, integrata, quindi le persone sono costrette, nel nostro caso le donne, a fare una specie di pellegrinaggio, di porta a porta, da un ufficio all'altro; per esempio il sociale e il sanitario sono spesso molto contigui ma non sono mai integrati anche a livello di informazione, quindi le persone sono costrette ad andare prima al comune poi alla Asl… Adesso lavoro in un comune e devo dire che ci si confronta molto anche con altri comuni, e ci si rende conto che c'è tanto sforzo a livello territoriale per promuovere progetti, nuove iniziative, ecc., però poi non vengono comunicate, rimane appunto questo scollamento tra il bisogno e l'offerta, che è un gap difficilissimo da ridurre.

Daniela Ducoli

Io sono d'accordissimo sul fatto che i dati sono fondamentali, sennò non si discute di niente; i dati sul mondo femminile in Italia non esistono e quelli sul sociale in generale vengono considerati una cosa privata, invece sono una cosa pubblica che determina scelte politiche completamente diverse. Possiamo discutere anni ed anni sulle metodologie di calcolo dei dati, ci sono gli statistici e sono molto più bravi di noi, però io faccio fatica quando mi si dice che i dati non rappresentano la realtà, allora la realtà cos'è? Quella che percepisco io a casa mia?

Elena Sisti

E' pericolosissimo far passare il piccolo per il tutto, perché ognuno di noi ha il proprio portato culturale , la propria esperienza di vita, ma quando si parla di politiche pubbliche non posso ragionare in base a quello che percepisco io; ad esempio io sono laureata, i laureati in Italia sono pochissimi, quindi io sono già fuori da qualunque statistica, anche voi immagino, no? Siamo istantaneamente non rappresentativi del mondo.

 

Per quanto riguarda "donne contro donne", io sono convinta che in questa società maschile, perché è stata dominata dagli uomini, soprattutto per quanto riguarda la teorizzazione, le donne per arrivare ai posti di potere devono tirare fuori ancora di più quelle che sono a volte le caratteristiche maschili, uno sforzo enorme di superarli sul loro stesso campo. Io insisto dal punto di vista pratico, sul fatto che ci devono essere più donne sul lavoro e che dovrebbe esserci una politica attiva per aiutare e facilitare le donne ad occupare posti di lavoro anche di amministrazione, questo permetterebbe anche alle donne di portare il proprio apporto all'interno delle società e questo permetterebbe anche ai papà di fare altro; il mondo diventerebbe non più femminile bensì più "uguale".

 

Donna contro donna, è vero, succede spessissimo. Si discute ad esempio delle donne che sono arrivate a posizioni apicali e si va a guardare il curriculum, cosa che non succede nel caso degli uomini; è vero, ci sono delle donne che arrivano non per curriculum, ma quanti uomini sono arrivati così, però è rarissimo che sentiate contestare ad esempio un politico uomo in base al proprio passato, eppure penso che le forme di reclutamento all'interno della politica siano pressoché identiche tra uomini e donne.

Daniela Ducoli

Non soltanto in questo workshop ma in generale a Capodarco ci sono più donne perché anche quella del giornalista sta diventando sempre più una professione femminile , non so se l'ha migliorata o meno però è vero ci sono più donne giornaliste, anche in ruoli importanti, anche se i direttori donne sono sempre troppe poche. Quando ho fatto l'esame, c'era una giornalista donna direttrice de "Il Tirreno" e sembrava un caso clamoroso, adesso abbiamo almeno quattro quotidiani e un Tg, quello di RaiTre diretto da Bianca Berlinguer, diretti da donne, ed è importante perché hanno tantissima qualità e molta più cura per la politica e per tante altri aspetti.

 

Dopo il racconto della nostra collega sulla sua esperienza in Calabria, volevo chiedere agli uomini di intervenire per sapere se voi vi siete mai sentiti discriminati , per una questione di genere appunto e non di capacità e anche se, visto che la vostra percezione delle pubblicità mostrate inizialmente da Isabella è stata diversa da quella del pubblico femminile, può esserci insomma anche un eccesso di sensibilità da parte nostra. Occorre anche il vostro occhio e la vostra sensibilità per aiutarci a capire se davvero queste differenze sono così radicate oppure se a volte si tratta di una nostra "permalosità" ed eccessiva sensibilità alla questione. Vorrei sapere se vi siete mai sentiti discriminati e anche se secondo voi un mondo più femminile, non più femminista, migliorerebbe le cose, se davvero l'occhio femminile, soprattutto nell'economia, come ci spiegava Elena nella prima parte del workshop, potrebbe in qualche modo migliorare il mondo e anche dare una diversa lettura economica, un'interpretazione diversa per una svolta positiva. Vorrei sapere se voi riscontrate nella vostra esperienza quotidiana che le donne in qualche modo sono migliori, che hanno una marcia in più o che invece il discorso è soltanto nostro.

Maria Scaramuzzino (Redattore Sociale)

Vivo e lavoro in Calabria e sono la referente di Redattore Sociale per la mia regione.Riprendendo il discorso di Milena Magnani che si sentiva offesa appunto dai dati illustrati, per quanto mi riguarda mi fa piacere che magari al nord ci siano realtà dove si è già oltre, si è già avanti. Per quanto mi riguarda, visto che vivo e lavoro al sud, non siamo oltre, siamo indietro, molto indietro, i dati sono per noi futuribili, sono avveniristici e credo che di questi seminari al sud se ne dovrebbero fare parecchi, perché ci sono le commissioni di pari opportunità, perché c'è l'associazionismo che si muove, ma c'è un sistema politico malato, lottizzato, è inutile nasconderci dietro un dito. Quando la politica, il sistema politica non permette alle donne di diventare quel valore economico nuovo di cui si parlava fino a poco fa, chi sceglie di non avere né padrini né padroni, chi sceglie di non fare la carrierista e di danneggiare le colleghe, le altre donne, chi, scusatemi il termine ma non me ne viene un altro, sceglie di non far parte della "mignottocrazia", scusatemi ma è così, perché vige anche da noi questo sistema, allora chi sceglie di essere libera, fa una grande fatica a farsi avanti, a far valere le proprie idee, a diventare quel piccolo granello di sabbia in quel sistema economico nuovo, che si vorrebbe creare e instaurare, perché le difficoltà sono tantissime.

 

In Calabria non ci sono direttori di testate donne, nei grandi quotidiani non ci sono capi servizio donne, non ci sono capi redattore donna, in qualche televisione privata c'è qualche direttore donna, ma è difficile che sia libera, è molto difficile, perché la tv è mantenuta dal privato, il privato è legato ad un partito, il padrino di turno potente e quindi la linea politica è quella. Il direttore non ha la sua libertà. Cambiamo campo, andiamo nel sociale. Nel 1988 è morta Roberta Vanzino, violentata e uccisa, un delitto rimasto ancora impunito, c'è ancora il processo che va avanti; i genitori hanno creato una fondazione per le donne in difficoltà, per le ragazze madri e i minori a rischio. Questa fondazione è stato l'unico centro antiviolenza che da anni in Calabria ha lavorato e che ha funzionato. La fondazione è a rischio di chiusura perché non ci sono fondi, però nessuno ne parla, la fondazione sta chiudendo in sordina e i media non se ne occupano. Se proponi a un giornale o in tv di fare un servizio, non gliene frega niente a nessuno. Altro esempio pratico. Io vivo a Lamezia, dove c'è il più grande campo rom della Calabria, dove io entro ed esco, oramai scherzando i colleghi mi dicono che ho la cittadinanza onoraria del campo. L'anno scorso si è diplomata la prima ragazza rom del gruppo e ne abbiamo parlato, finalmente abbiamo avuto un po' di spazio in più. La gente che mi conosce, mi ferma per strada e mi dice "ma adesso la volete finire di parlare di questa zingara che si è diplomata? Non abbiamo altri problemi a Lamezia che state sempre a parlare di questa zingarella?". Allora se non lavorano, se non studiano, sono delinquenti, nessuno li vuole, se ne devono andare, se fanno altro di buono come diplomarsi non ne dobbiamo parlare. In campagna elettorale, perché noi abbiamo votato anche per le comunali sei mesi fa, alcuni candidati a sindaco nei loro programmi prevedevano la polverizzazione del campo rom.

 

Altro esempio: Raffaella Cosentino di Redattore Sociale l'altro giorno ha scritto un articolo sul libro "Malanova" scritto da Anna Maria Scarfò insieme alla giornalista Cristina Zagaria, che è stato presentato anche a Lamezia. Anna Maria Scarfò è una ragazza di Taurianova che per anni ha subìto la violenza del branco di alcuni ragazzi del suo paese, finalmente ha trovato poi la forza di denunciare, per tutti è diventata la prostituta del paese, la bocca di rosa da mettere alla berlina. Questa è ancora la Calabria... Ci sono tante realtà che si muovono, ci sono tante voci fuori dal coro che però non avendo né padrini né padroni, vi assicuro che fanno una gran fatica ad uscire.

 

Ultima notizia: la cooperativa "Le agricole" di Lamezia che è nata dal "Progetto sud", la gemella di Capodarco, ha subìto tantissime intimidazioni. È sostenuta da donne disabili, donne rom, donne e ragazze madri. L'ultima intimidazione è venuta quando avevano piantato degli ortaggi da vendere: tutto il raccolto è stato distrutto, devastato e sono state rubate anche le sementi. Allora per le donne in Calabria è difficile su tutti i campi, tutti, a meno che tu non abbia il padrino, a meno che tu non voglia fare la carrierista, a meno che tu non fai parte appunto del sistema di "mignottocrazia" che ti permette di far carriera a discapito delle altre.

Daniela Ducoli

Grazie per la testimonianza che credo non abbia bisogno di risposte, è una testimonianza che parla da sola.

Intervento (Freelance)

Per spezzare una lancia a favore degli uomini che sono intervenuti prima, nel senso che in questo impopolare intervento di donna, volevo far notare una cosa sulla pubblicità della Swiffer che a me sinceramente ha solo fatto sorridere, né inorridito, né scandalizzato, nel senso che se per analoga pubblicità suonasse alla porta un idraulico, mi sembrerebbe altrettanto naturale che la stessa situazione si proponesse con l'uomo, e che la donna dicesse "caro è per te", forse sono sensibilità personali... Su questo mi ricollego a quello cui accennava Elena sulla questione del potere: tante volte siamo noi donne che ci riteniamo "regina della casa" come cosa positiva e quindi, a pari passo con il potere, anche una delega che a volte diamo perché ci fa comodo, cioè deleghiamo l'idraulico e ci teniamo i fornelli o altro. La questione la vedo anche in modo più tranquillo e rilassato. Questo però è un punto di vista personale e allo stesso modo, fossi un uomo, mi riterrei scandalizzata dal fatto che un pubblicitario possa pensare che solo mettendomi una bella gnocca io spendo un sacco di soldi per una macchina che poi consuma troppo.

Milena Magnani

Quella pubblicità era peraltro collegata ad un ragionamento che è la questione se esistano delle specializzazioni; la cosa grave di quella, come di tutte le pubblicità sugli uomini e sulle donne, è il promuovere continuamente uno stereotipo. Negli altri paesi controllano le pubblicità per fare in modo che non vengano diffusi stereotipi. Quello invece è uno stereotipo, poi a noi ci può fare anche sorridere o inorridire, dipende, ma quello che non dovrebbe funzionare è che le immagini, una pubblicità, promuovano stereotipi di genere, promuovano e diffondano l'idea che esiste una competenza innata rispetto a dei compiti, per cui l'idraulico lo fa l'uomo, la pulizia della casa spetta alla donna, ecc. Ora forse non serve soffermarcisi più di tanto, ma quello era un esempio per ragionare su un tema, che invece da un punto di vista poi di definizione delle polis e degli interventi ha valore ed è quello di verificare se esistono delle competenze innate, per cui poi, una donna è chiamata per sua appunto natura a svolgere una serie di compiti che in realtà può svolgere chiunque, quello non è una delega, ognuno fa il suo, c'è chi sa fare bene l'idraulico, sono professioni, sono lavori. La questione è quando esiste un sistema con dei compiti esattamente divisi tra chi sta in casa e svolge dei compiti e chi sta fuori casa e ne svolge degli altri, è questo, diciamo, il nocciolo del problema, non è la questione della pubblicità. Quella pubblicità era una scusa se vogliamo.

Elena Sisti

Per me è fondamentale la questione del linguaggio , stiamo parlando di generi, però il fatto che tu hai detto che è naturale, dentro di noi, questo per me è il succo del problema... non è naturale, poi che anch'io mi sia fatta la mia bella risata, mi arrabbio di più o di meno ecc., è una questione soggettiva, sensibilità diverse. A me piace far la polvere, tu odi lavare i piatti, va bene, però il fatto è che nel linguaggio, nella percezione collettiva queste cose, in realtà costruite, sono diventate naturali e quindi nessuno ne parli più, è questa la mia preoccupazione, non chi fa in realtà la polvere, quello è solo un esempio.

Claudia Bruno (Scuola di Perugia)

Sono d'accordo con tutto e sono auspicabili tutte le politiche di cui abbiamo parlato per facilitare le donne, per l'accesso al lavoro ad esempio. Secondo me il discorso è molto positivo e va ampliato. Non mi trovo molto d'accordo sui discorsi teorici e in questo volevo fare delle osservazioni. Nella prima mi ricollego all'intervento di Elena quando si è parlato delle maggiori emozioni da introdurre nella società per arrivare ad una società meno maschile: mi ricordo un servizio che ho visto mesi fa di un imprenditore uomo che ha provato per qualche mese a vivere con 1200 euro al mese e che dopo questo esperimento ha detto di essersi messo nei panni dei suoi dipendenti e ho alzato lo stipendio a tutti. Questo volendo è un discorso che in questo convegno magari avremmo definito femminile, questo per dire che esistono esempi maschili di un certo tipo, esistono esempi femminili di un altro tipo, ridurre quindi la discussione a questo, secondo me, è riduttivo sia per gli uomini che per le donne.

 

Seconda osservazione e vengo alle pubblicità, perché lei giustamente ha chiesto un parere dal punto di vista maschile, se magari voi esagerate un po' nel ritenervi offese. Io posso dare anche un punto di vista femminile, ho visto quelle pubblicità che sono state proiettate da Maria Nadotti, però quattro erano oggettivamente volgari tipo quelle della Sisley, nelle altre onestamente io non ho visto questa volgarità, non mi sento offesa come donna, cioè viene usato il corpo, ma il corpo se vogliamo è naturale, è una cosa naturale che viene usata della pubblicità, nella fotografia, in letteratura, nell'arte, come viene usato il resto della natura, quindi perché poi esagerare dall'altra parte?

Milena Magnani

Io veramente su queste cose non riesco a stare zitta, cioè la letteratura o l'arte sono una cosa, ma questi vendono prodotti, cioè con il corpo delle donne, e anche degli uomini, ci vendi qualsiasi cosa, le macchine, mozzarelle, la pasta, e comunque è proprio il principio che non funziona, è l'uso del corpo che non funziona, tanto più quando ci devi vendere dei prodotti, c'è il rispetto della persona... Le donne sono persone esattamente come tutti, questa è la cosa sulla quale ancora non abbiamo ragionato, le donne sono persone e come tali devono avere la stessa vita, gli stessi diritti, le stesse cose nella loro specificità. Usare il corpo di una donna per venderci dalla mozzarella al gelato, perché io ci ho visto vendere qualsiasi cosa, lo trovo sbagliato e solo in Italia succede e in nessun altro paese al mondo. Io ho vissuto in Germania per due anni, la letteratura e l'arte sono un'altra cosa, non servono per vendere prodotti.

Claudia Bruno

D'accordo, se si sfocia nella volgarità sono d'accordissimo, cioè le cose della Sisley col cetriolo in bocca onestamente è volgare, però se c'è una mamma che sorride, un papà che sorride, con un bambino, o la pubblicità della Giulietta, secondo me non c'è nulla di male...

Daniela Ducoli

Faccio rispondere a Maria Nadotti sulla prima parte. Sul discorso della pubblicità non credo che Maria Nadotti abbia detto soltanto che era volgarizzazione, lei ha fatto un collage di foto che ha cercato su tutti i cartacei, scandalizzandosi, indignatosi per l'uso fatto. Poi sono d'accordo che molto fotografie, lo ha detto anche lei, in genere sono bellissime, sono delle opere d'arte, sono artistiche e non pornografiche, sono delle belle fotografie quanto lo sono quelle esposte fuori fatte in Cameroun dal fotografo che è intervenuto ieri. La cosa che invece deve scandalizzare è l'uso di questi corpi in tutti i modi in pubblicità, per vendere qualunque cosa, poi non sono mica occhi di cattoliche a scandalizzarsi? Non è che tutti si debbano scandalizzare per la stessa cosa e neppure la ragazza in fondo si deve sentire obbligata a indignarsi per la pubblicità del panno, se lei questo moto di indignazione proprio non le viene, non è un obbligo, quello che invece Elena sottolineava è che non deve essere definito naturale il fatto che la donna per forza faccia il letto e l'uomo per forza butti la spazzatura, come invece è emerso dai dati. A me può far piacere approfittare uscire un attimo a prendere una boccata d'aria per buttare la spazzatura e un uomo non si deve sentire meno uomo perché tira su le coperte. Era un po' questo il concetto.

Maria Nadotti

Come sempre succede qui a Capodarco è talmente denso il discorso e talmente tanti sono i piani che poi non riusciamo a districarci e sembra che ci siano delle contraddizioni . In realtà ognuno di noi sta facendo un ragionamento. Allora lungi dal mio discorso sollevare il tema della volgarità, io mi accorgo che in un mondo globalizzato, dove è rimasto in piedi un unico sistema, un unico sistema economico, che è quello capitalistico, per di più un capitalismo parecchio selvaggio, parecchio libero, la pubblicità è uno strumento del sistema. Pensate quanti detersivi ci sono al mondo, quante automobili, come si fa a vendere il proprio detersivo o la propria automobile? C'è anche il tema proprio dell'informazione: come fa il produttore di automobili non soltanto a farti sapere che fa un'automobile con determinate caratteristiche che non sono quelle degli altri produttori o magari sono le stesse, però deve spiccare, come fa? Inevitabilmente deve intercettare qualcosa che nei nostri inconsci di potenziali clienti consumatori risponda e guarda caso è proprio uno stereotipo che risponde bene. Come si fa a chiedere alla pubblicità di non fare uso degli stereotipi? Se oggi il pubblicitario si accorgesse che per vendere anche un buon prodotto, va bene mettere sulla pagina o in televisione la recita del padre nostro lo farebbe… Diciamo che è un linguaggio molto spregiudicato e molto poroso, non è detto che la volgarità faccia vendere di più, in alcuni casi si, in altri no. In alcuni casi quasi eclatanti è successa questa cosa che è il sogno di qualsiasi pubblicitario e di qualsiasi ditta a monte del pubblicitario, ossia che la pubblicità sia così sconvolgente, secondo i parametri della società italiana, da richiamare l'attenzione. Vi ricordate la pubblicità di Dolce & Gabbana, quel caso che sollevò le indignazioni di tutte le istituzioni così dette democratiche italiane, dalla Cgil alla presidente della regione Lazio? Tutti scambiarono quelle immagini per una citazione secca da un quadro di Madrid , per un'istigazione allo stupro di gruppo. Ora è sempre molto pericoloso scambiare un'immagine per la realtà e poi è molto pericoloso scambiare una rappresentazione per un'istigazione a delinquere, perché se così fosse viva i talebani, viva l'Islam che vieta la rappresentazione del corpo. E' pericolosissima questa cosa. Il problema è no vietare la pubblicità, questo sì, questo no, il problema, ed è grossissimo perché è un fatto di profondo lavoro culturale, è attrezzare noi stessi, noi, i cittadini, le cittadine a guardare e a vedere quello che ci stanno facendo vedere, non per dire non voglio vedere il brutto, il volgare e il violento, ma per dire mi stanno facendo vedere una cosa che può essere una citazione di un quadro di Madrid con un'istigazione allo stupro di gruppo, ma fondamentalmente per vendermi un paio di calze. E' lì che secondo me, soprattutto chi fa questo mestiere nelle sue varie forme, deve attrezzarsi seriamente, che vuol dire proprio guardarsene, riguardarsele e anche, come dire, andare ad analizzare, appunto, perché noi rispondiamo a certi stereotipi. Perché? Perché le pubblicità quando sono ben fatte, lascia stare la volgarità, ci fanno sognare, è un pò come potremmo dire, Berlusconi ha fatto sognare l'Italia, è un po' una pubblicità, poi non ha mantenuto niente, ma nessuna delle pubblicità manterrà quello che promette, non può per definizione...

Elena Sisti

Scusa, posso risponderti sulla teoria? Il concetto di maschile e femminile, e qui torniamo di nuovo all'importanza dei dati della ricerca, non è un concetto relativo a me e a te, all'imprenditore o no, il concetto di maschile e femminile è frutto di dati, di psicologia, di economia, che dimostrano inconfutabilmente che un gruppo di uomini si assume più rischi di un gruppo di donne. Ora che questo sia naturale a me non interessa, quello che m'interessa è che guardando il mondo com'è oggi, il gruppo di uomini si assume più rischi di quanto se ne assume un gruppo di donne. Questo non è un'impressione, sono fior fior di studi che lo dimostrano. Che una donna dia più valore ad ogni decisione, a cosa succederà nel futuro, non è un'opinione personale, è bensì frutto di studi.

Questa è una classificazione maschile e femminile che può variare, che è fluida, che viene modificata dalla pubblicità, ma che è frutto di analisi, quindi quando io dico un mondo più femminile, intendendo un mondo più consapevole del rischio e sottintendo che oggi in generale, non in media, non i singoli, gli uomini insieme assumono più rischio, considerano di meno le conseguenze di quanto fanno le donne. E' per questo che gli uomini vengono a volte preferiti, ma non vuol dire che siamo statici, non vuol dire che tutti gli uomini si assumono più rischi di tutte le donne, assolutamente no, non vuol dire che tutte le donne guardano di più il futuro rispetto a tutti gli uomini, però che le donne valutino le proprie scelte tenendo più conto del futuro, è vero. Ci sono miriadi di studi che dimostrano che laddove c'è una maggiore parità tra uomini e donne, nel lungo periodo si smussano i picchi da un punto di vista economico, quindi magari meno profitti nel breve periodo, ma meno varianza, quindi in statistica meno su e giù. Questo significa che le donne tendono a scegliere cose in cui dicono magari rischio di meno, ma sto in piedi nel lungo periodo. Una società più femminile in questo senso ad oggi è solo questo, una società in cui i valori considerati tradizionalmente femminili, quindi meno rischio, più sguardo verso il futuro, più emozione, più relazione, può non superare, lungi da me, ma almeno rendere uguale rispetto ai valori considerati tradizionalmente maschili, l'importanza della dominanza, la competizione, la maggiore assunzione di rischi. Questo è fondamentale, però guai ad avere una società tutta ribaltata, nessuna società penso, correggimi se sbaglio, che l'abbia mai sperimentata, tutti i posti di potere solo con donne. Non è questa la società che io auspico, ma una società in cui ci sia più equilibrio e al femminile venga riconosciuta anche la rilevanza economica, quando fino a ieri era considerato una follia perché le donne non hanno coraggio e sono avverse al rischio, mentre oggi si parla di consapevolezza del rischio.

Isabella Menichini

lo sto sperimentando nuovamente nel mio lavoro, e non per la prima volta, che gli uomini rischiano tantissimo mentre noi donne tendiamo invece a raggiungere più degli obiettivi , in un modo appunto più lungimirante, portare a casa il risultato che poi ti consente uno sviluppo ulteriore, non semplicemente risolvere il problema. C'è un grande studioso, esperto di politiche sociali e politiche di welfare di questi anni che Elena sicuramente conosce, che parla di rivoluzione delle donne, che sono quelle che stanno per fare la rivoluzione del mondo, e ritiene appunto che tanto più le donne parteciperanno a tutti gli aspetti della società, tanto più ne guadagneranno tutti. Parla anche di femminilizzare il percorso di vita maschile come per un periodo le donne si sono molto mascolinizzate, soprattutto nel lavoro.

Daniela Ducoli

Il tempo è volato veramente questa mattina, oggi faremo la sintesi e ci sarà modo comunque di fare qualche altra domanda, scusate se non abbiamo potuto dare voce a tutti e grazie a quelli che sono intervenuti.

* Testo non rivisto dagli autori.