XVII Redattore Sociale 29-28 novembre 2010

Oltre L'apocalisse

La coltivazione della paura

Interventi di Antonio Nizzoli e Ivo Diamanti. Conduce Roberto Natale

 
Parte 1
Durata: 13' 54''
 
Parte 2
Durata: 21' 52''
 
Parte 4
Durata: 17' 03''
 
Parte 5
Durata: 19' 41''
 
Parte 6
Durata: 16' 18''
 
 
 
 
Antonio NIZZOLI

Antonio NIZZOLI

Responsabile dell’Osservatorio di Pavia Media Research, che insieme a Demos Pi e Fondazione Unipolis compone l’Osservatorio europeo sulla sicurezza.

ultimo aggiornamento 26 novembre 2010

Ilvo DIAMANTI

Ilvo DIAMANTI

Docente di Scienza Politica all'Università di Urbino, dove ha fondato e dirige il Laboratorio di Studi Politici e Sociali, insegna anche all'Università Paris II. Responsabile scientifico dell’istituto di ricerca Demos & Pi., ha fondato nel 2010 l’Osservatorio per la sicurezza Demos-Unipolis. Collabora con La Repubblica.

ultimo aggiornamento 26 novembre 2010

Roberto NATALE

Roberto NATALE

Giornalista, è responsabile della Responsabilità Sociale Rai. E’ stato prima portavoce del “Gruppo di Fiesole”, poi vicepresidente dell’Associazione Stampa Romana. Dal novembre 1996 all’ottobre 2006 è stato Segretario dell’Ussigrai (il Sindacato dei Giornalisti Rai)

 

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LEGGI IL TESTO DELL'INTERA SESSIONE*

Roberto Natale

Sono il presidente della Federazione Nazionale della stampa, il sindacato di tutti giornalisti italiani, però dato che stasera il tema è la coltivazione della paura, ho il timore di essere stato invitato a coordinare in qualità di presidente di un sindacato di contadini , nel senso che ho il sospetto che veniamo considerati e giustamente, come parte di coloro che in questi anni hanno attivamente lavorato la terra della paura, in parte anche consapevolmente.

Gli imprenditori politici della paura…

C'è stata una parte della nostra categoria che ha deciso di seguire le campagne degli imprenditori politici della paura, espressione molto bella che ho sentito dire ieri da Gad Lerner, non so se ne abbia lui il copyright, comunque questa imprenditoria politica della paura è un qualcosa con cui in questi anni tutti abbiamo imparato a fare i conti. A proposito, dai giornali di oggi vi leggo quello che Giulio Tremonti parlando ieri a Pavullo con Bossi ha scandito con toni da comizio, facendo l'elenco delle differenze che dividono, a suo dire, la sinistra dal centrodestra: " Tremonti: quelli di sinistra vogliono più emigrazione, noi più ordine. Vogliono dare il voto agli immigrati, noi no. Loro vogliono dare gli immigrati case popolari e asili, noi preferiamo ai nostri giovani e ai nostri anziani. Loro amano i centri sociali, noi preferiamo le parrocchie. Loro simboleggiano la famiglia orizzontale con l'anello, qualcuno lo usa come orecchino, noi preferiamo la famiglia normale e l'anello al dito. A loro piacciono kebab e couscous, a noi la trippa e le crescentine". Questo per dire che sappiamo che la responsabilità della paura non è ovviamente solamente di noi giornalisti, c'è stato chi nel ceto politico ha speculato espressamente su questo e non necessariamente soltanto all'interno del centrodestra.

…i giornalisti e la loro parte di responsabilità nella costruzione della paura

Noi giornalisti sappiamo bene che, come soggetti dell'informazione, una grande parte di responsabilità ce l'abbiamo avuta e ce l'abbiamo ancora; dico in parte perché consapevolmente qualcuno di noi ha fatto delle vere campagne politico-mediatiche, penso a qualche titolo di alcuni mesi fa dopo le misure sulla sicurezza del governo Berlusconi, quando a tutta pagina veniva riportata una frase del ministro Maroni: "Finalmente cattivi". In gran parte però è stato fatto inconsapevolmente, e sottolineo comunque che l'inconsapevolezza non è un'attenuante essendo professionisti della comunicazione. Abbiamo talvolta, anche inconsapevolmente, dato il nostro contributo a campagne dall'impatto notevole, talvolta micidiale. Come presidente del sindacato dei giornalisti dico che abbiamo anche provato a far qualcosa per smontare un po' questo tipo di ingranaggio, con voi basta un accenno perché ne abbiamo parlato molto negli ultimi due anni. Faccio riferimento ad esempio alla Carta di Roma che spero ricorderete, con la quale due anni fa la Federazione Nazionale della stampa e l'Ordine dei giornalisti hanno varato una più corretta informazione in tema di immigrazione, rifugiati, richiedenti asilo, vittime della tratta. Anche qui c'entra la paura perché come è noto a tutti, i temi dell'immigrazione sono stati fra quelli maggiormente usati per sollecitare paura. Vi leggo una sola riga di questa carta: " Si invitano i giornalisti italiani a evitare la diffusione di informazioni imprecise, sommarie e distorte, e richiamiamo l'attenzione di tutti i colleghi, i responsabili di redazione in particolare, sul danno che può essere arrecato da comportamenti superficiali e non corretti che possono suscitare allarmi ingiustificati ".

Non una rappresentazione addolcita ma un equo trattamento delle notizie

Sappiamo bene insomma che l'allarmismo è una delle caratteristiche con le quali la cattiva informazione sa far crescere le paure. Chiarisco ancora solo una cosa al riguardo: non chiediamo con interventi del genere, di dare una rappresentazione addolcita delle eventuali durezze della cronaca, però poniamo ai colleghi e alle colleghe il tema di un equo trattamento. Per intenderci, con un esempio che da cittadino romano mi brucia particolarmente, pensate a una stazione della metropolitana come luogo di un delitto, è avvenuto tre anni fa, la povera vittima si chiamava Vanessa Russo, la ricorderete forse, uccisa da una giovanissima immigrata romena con un colpo di ombrello al termine di una lite nella stazione della metropolitana; poche settimane fa è successa più o meno la stessa cosa a parti invertite in un'altra stazione della metropolitana a Roma, una giovane infermiera romena è stata uccisa da un giovane italiano che la colpisce, lei rimane a terra e non si riprenderà più. Sobriamente sottolineo che la copertura giornalistica che hanno avuto i due fatti, sostanzialmente identici nella loro tragica drammaticità, non ha paragone: il primo fatto occupò per giorni e giorni le aperture e le prime pagine dei giornali, nel secondo caso non c'è stata eguale enfasi. Questo intendiamo quando diciamo che all'informazione non viene chiesto di essere buonista, per usare un aggettivo corrente, viene chiesto però di dare lo stesso risalto a fatti che hanno la stessa consistenza drammatica, se non lo facciamo stiamo, appunto, coltivando la paura, il razzismo, la xenofobia.

L'Ansi, Associazione Nazionale Stampa Interculturale

Altro frutto del lavoro che il giornalismo italiano ha fatto in questi anni è evidente anche qui al nostro incontro con la presenza di giovani colleghi di origine straniera che lavorano in Italia e che sono in rappresentanza dell'Ansi, l'Associazione Nazionale Stampa Interculturale . Ci siamo conosciuti sui temi della Carta di Roma, dell'immigrazione maltrattata, temi così brutalmente affrontati troppo spesso dalla nostra informazione e da lì è nata dentro il sindacato dei giornalisti, un'organizzazione di colleghi di origine straniera che ci dicono che è meglio che certi temi vengano affrontati e narrati da loro in prima persona; si sono anche offerti per fare formazione in tal senso. Questo mi sembra un piccolo, ulteriore buon segnale.

La mia introduzione finisce qui, adesso prima di dare la parola a Nizzoli e Diamanti, c'è un saluto di Walter Dondi , consigliere delegato della fondazione Unipolis che vi parlerà del Rapporto sulla sicurezza in Italia e all'estero, una ricerca annuale dove si parla della nostra situazione in maniera assai efficace.

Walter Dondi

Da diversi anni come Fondazione Unipolis collaboriamo con don Vinicio, Stefano Trasatti e gli amici di Capodarco , quindi ci tenevo ad essere qui a fare un saluto e augurarvi buon lavoro, ma soprattutto vorrei evidenziare l'attività che nel corso degli anni siamo venuti facendo con Ilvo Diamanti e con Demos e successivamente con l'Osservatorio di Pavia.

Rapporto sulla sicurezza in Italia e in Europa

Dal 2007 realizziamo questo Rapporto sulla percezione della sicurezza in relazione alla realtà, ossia l'immagine della sicurezza che danno i media e quella che è la percezione da parte dell'opinione pubblica . Nel corso degli anni ci siamo accorti che il tema della sicurezza era come dire assolutamente rilevante, proprio come veniva ricordato prima, per cui abbiamo deciso di approfondirlo ulteriormente. Abbiamo cominciato, con il coinvolgimento dell'osservatorio di Pavia, a fare prima l'analisi dei telegiornali nazionali e successivamente siamo passati a verificare come il tema della sicurezza veniva affrontato anche nei principali paesi europei. Da qui è maturata, tra la fine dello scorso anno e l'inizio del 2010, l'idea di costituire questo Osservatorio Europeo sulla Sicurezza e di sviluppare indagini ancora più approfondite su questo tema, che non hanno a che fare solo con la sicurezza. Vorrei precisare infatti che non ragioniamo soltanto sugli aspetti della sicurezza in chiave incolumità personale o criminalità comune, ma affrontiamo anche le tematiche della sicurezza e dei rischi, diciamo così, a 360 gradi. Non a caso il punto di partenza nel 2007 fu la sicurezza intesa come sicurezza sociale, perché di questo si trattava ( la protezione dai rischi, la protezione sociale, la previdenza, la salute, il welfare, la sicurezza sul lavoro, la sicurezza stradale…) prima che il tema diventasse imprenditoria della paura, come veniva ricordato prima e come ci ha insegnato Diamanti. Tra l'altro noi siamo una fondazione espressione di un gruppo assicurativo e quindi abbiamo particolarmente a cuore queste tematiche. L'Osservatorio Europeo sulla Sicurezza ci consente di avere una rappresentazione delle differenze con cui viene affrontato questo tema a livello nazionale rispetto alla dimensione europea, poi Antonio e Ilvo vi parleranno appunto dei dati. Credo che queste tematiche meritino davvero di essere approfondite e analizzate sulla base dei dati reali, non soltanto della percezione di ciò che ci viene rappresentato, questo è il cuore del problema.

Volevo preannunciarvi, visto che siamo in una platea di giornalisti, che a gennaio presenteremo il IV Report annuale sulla sicurezza e quindi spero che avremo un'ulteriore occasione per incontrare almeno una parte di voi per darvi conto di quello che è il lavoro di analisi, di studio, di approfondimento che riguarda l'intero 2010. Vi ringrazio, buon lavoro.

Roberto Natale

La parola ad Antonio Nizzoli dell'Osservatorio di Pavia. Questo Osservatorio ha purtroppo una fama imprecisa, infatti siamo abituati a considerarlo come quel soggetto che si occupa soltanto di quanto tempo, minuti e secondi, hanno i partiti del centrodestra e del centrosinistra in televisione. Sorvegliare il pluralismo politico è una funzione importante ma in questi anni se n'è fatto un uso quasi ossessivo da parte dei partiti e quindi sull'Osservatorio di Pavia è calata un'immagine quasi antipatica; in pratica l'Osservatorio di Pavia si occupa di televisione da tanti punti di vista con molta più ricchezza di quanto l'immagine prevalente di sentinella del pluralismo partitico faccia capire. Qui ce n'è una dimostrazione.

Antonio Nizzoli

Se siamo antipatici a tutti va bene, vuol dire che l'osservatorio funziona, quando saremo simpatici solo ad alcuni, come agenzia di monitoraggio, vuol dire che qualcosa non funziona.

55-60%, la percentuale di parte ansiogena nei telegiornali

Sono contento di poter dialogare con voi su un tema che è molto attuale. Pochi giorni fa è venuto un mio studente che stava facendo una tesi che analizza quanta parte ansiogena c'è in un telegiornale, non solo nella notizia, è chiaro che un omicidio, l'esplosione di una bomba o un attentato sono ansiogeni di per sé, ma anche nel tipo di narrazione e posso dire che siamo intorno al 55-60%. In molti telegiornali il complementare sono i cagnolini, la nonna più vecchia, il nano più alto e così via, quindi non è che il complementare sia proprio ricco, siamo in quella logica della disforia dell'ansia, dell'euforia e del tranquillizzante, del gossip. Mi ha fatto piacere l'intervento di Natale, perché cerchiamo di occuparci di tanti aspetti che sono molto più importanti dell'esplicito verbale. Se voi togliete al telegiornale le immagini, le analizzate nel dettaglio, scoprirete che la povertà di quello che viene detto e la ricchezza delle immagini, che poi spesso non hanno nulla a che fare con il livello informativo, è incredibile.

Cos'è l'emergenza?

Quando noi parliamo di crisi, emergenza, allarme, dobbiamo un attimino chiarirci cosa intendiamo ed è propedeutico per poi entrare nel merito della rappresentazione che si collega alla " realtà ", se c'è una realtà da rappresentare. La notizia che è degna di nota nei nostri telegiornali è spesso l'emergenza che etimologicamente significa uscir fuori, differenziarsi dalla superficie in cui è indistinguibile e diventare visibile. Un'emergenza può essere reale, attenzione però, intersoggettivamente condivisibile nelle sue manifestazioni e quindi può o meno essere rappresentata, oppure essere frutto di una rappresentazione fittizia, che la racconta, la evoca anche se in realtà non esiste. Se incrociamo la realtà o meno di un'emergenza e la sua rappresentazione, presente o assente, troviamo queste quattro combinazioni.

I verdi sono gli incroci corretti: cominciamo da esiste un'emergenza e una sua rappresentazione (terremoto di Haiti, alluvione in Pakistan, ecc…). C'è anche l'emergenza irreale e la rappresentazione assente, ovviamente è tutto quello che è insignificante: se io stamattina mi sono alzato alle 7.30 e ho fatto il caffè, è insignificante e non può essere emergenziale quindi non viene rappresentato. L'insignificanza porta al fatto che non si ha una sua rappresentanza. Nel caso invece in cui l'emergenza è irreale ed è presente, abbiamo quelle che noi abbiamo chiamato la bolla della criminalità, ad esempio l'influenza aviaria e suina e altri tipi di eventi che poi all'atto pratico sono sfumati. Se invece abbiamo un'emergenza reale, ma è assente nella rappresentazione, si tratta di tutto ciò che chiamiamo le crisi dimenticate.

Emergenza: reale o irreale

Detto questo non abbiamo ancora definito che cosa sia un'emergenza reale e un'emergenza irreale. Vi faccio degli esempi. La crosta terrestre si muove costantemente, alcune volte si muove di più altre di meno, per stabilire quando si tratta di un terremoto è necessario utilizzare tutta una serie di parametri che non hanno nulla dell'evidenza immediata. Un terremoto di eguale magnitudo può avere effetti diversi se avviene in pieno deserto, dove nessuno può avvertirlo, oppure in un centro abitato, dove può provocare danni e vittime. Quando decidiamo che è avvenuto un terremoto ma soprattutto come se ne determina l'intensità che troverà poi una rappresentazione mediatica? Il più devastante terremoto sembra irrilevante, mentre le esplosioni di stelle lontane, che liberano una quantità di energia straordinaria che cogliamo solamente con sofisticati strumenti di rilevazione, accompagnati da complesse teorie astrofisiche, possono avere più rilevanza. L'influenza aviaria ha colpito dal 2003 al 2010 cinquecento persone a livello mondiale, uccidendone 296. Esiste un'emergenza influenza aviaria? Che grado di pericolo ci si deve attendere? L'influenza suina o influenza A hanno tenuto con il fiato sospeso il mondo intero, ora il virus, ci dice il direttore generale dell'OMS, si è rivelato portatore di una pandemia fortunata, non è sparito, ma si sta comportando come un normale virus stagionale. Siamo ancora in emergenza o si tratta di un normale virus stagionale, quindi siamo alla fine dell'emergenza? Vi propongo una teoria che è abbastanza evidente, però vediamo se siete d'accordo, ossia che le emergenze non esistono "in natura" in modo immediato, il nodo decisivo risiede proprio nelle modalità che determinano l'emergenza, e qui voi giornalisti, anche se non i soli, avete la funzione principale. La fase di determinazione è separabile da quella della rappresentazione? Se l'emergenza non è un dato immediato, determinazione e rappresentazione saranno strettamente connesse.

Realtà > mediazione > rappresentazione mediatica

La sequenza dovrebbe essere questa: Realtà > Mediazione > Rappresentazione mediatica . Siete d'accordo? Nel mondo succedono delle cose, un giornalista le segnala, le organizza poi le rappresenta. Dalla manifestazione di un evento, ad esempio l'esplosione di una piattaforma petrolifera, si collezionano tutta una serie di elementi che vengono messi in relazione tra loro. Possiamo dire, se siete sempre d'accordo, che la costruzione avviene rendendo coerenti una serie di elementi tramite un filo narrativo che ne dà la chiave interpretativa, emergenza X, la suina, l'aviaria, la criminalità, l'emergenza maltempo e così via. Una piattaforma che esplode di per sé non è un'emergenza, come non lo è il crollo di alcune case, si pensi a Pompei, ci vuole una messa in onda, una messa in narrazione. Per comunicare un'emergenza si devono mettere in relazione stati di cose, eventi, mutamenti, cause, effetti, reazioni, danni, responsabilità, rischi, vittime, costi, ecc. Più questi elementi sono determinati, ricchi e coerenti, più l'emergenza è ben strutturata e la sua comunicazione efficace; al contrario, quando gli ingredienti sono accostati, puramente coesi, allora la crisi si sfrangia e diventa difficile da determinare in modo coerente. Nel caso dei cambiamenti climatici, ad esempio, se voi andate su Google e fate una rassegna trovate di tutto e di più, navi bloccate dai ghiacci del Baltico e qui uno direbbe la temperatura sta diminuendo e quindi c'è emergenza ambientale, scomparsa delle farfalle, aumento degli uragani, aumento delle malattie, diminuzione delle nevicate... trovate di tutto e di più, con alcune volte difficili e incomprensibili passaggi per arrivare ai cambiamenti climatici. Se tralasciamo per un attimo tutti gli aspetti relativi alla determinazione scientifica di questi fenomeni, anche se in realtà non è così banale, rimane da prendere in considerazione il ruolo giocato dal sistema dei media nel dare forma a tutti gli altri aspetti della crisi. E' ovvio poi che le notizie hanno più peso ed è più facile che le emergenze emergano, se ci sono le immagini e se c'è una stampa libera.

L'emergenza è una costruzione narrativa

Determinare un'emergenza è un lavoro altamente complesso e non univoco, la cui mediazione non può essere pensata come un filtro neutro e la rappresentazione come uno specchio fedele. L'emergenza è una costruzione narrativa di senso, che utilizza dati, soggetti, a gradi e modalità di determinazione assai diversi e che necessitano di un'attività di messa in forma. L'attività di messa in forma è il risultato di un lavoro di selezione di chi fa la mediazione, risalto e oscuramento, risalto di qualcosa e oscuramento di altro, relazione causa-effetto, intenzioni, azioni e così via, tutti gli ingredienti per una narrazione funzionale, in cui finzione è intesa nel duplice significato di costruire e simulare. Quello che si costruisce si presenta come nuovo, prima non c'era. L'emergenza ha a che fare con la finzione, perché fingere è un'attività che modella, dà forma a qualcosa di nuovo. Se è chiaro che la verità non può essere la pura adeguatezza della rappresentazione come realtà in sé, ma un grado più o meno elevato di verosimiglianza, di plausibilità, allora lo studio di come si costruisce una crisi diventa propedeutico per poterla affrontare con gradi maggiore o minore insuccesso. Altro esempio, ricordate l'emergenza estiva dei funghi? Chi andava a funghi moriva, questa è una sintesi: "Ecatombe" - già il titolo dice tutto, e poi si scopre che uno si perdeva, all'altro gli veniva un infarto, un altro andava con le scarpe da ballo e andava giù in un burrone e uno probabilmente non stava neanche raccogliendo i funghi, ma si trovava lì, in un determinato sentiero, per altre ragioni.

Costruire la realtà dalla rappresentazione: la percezione e l'andamento delle notizie

Può succedere anche, e questo è il caso che c'interessa di più, che lo schema si inverta:Rappresentazione mediatica > Mediazione > Realtà. Se guardate il grafico che avete anche nel report, potete notare che c'è una correlazione incredibile tra percezione e andamento delle notizie sui reati, con un'esplosione casualmente attorno al 2007-2008. Questo della percezione ha determinato la decretazione d'urgenza, appunto nel 2007, con questa bella dicitura" Disposizioni urgenti in materia di allontanamento dal territorio nazionale per esigenze di pubblica sicurezza ". Sono stati mandati via gli immigrati perché c'era stata una bella ondata di servizi su immigrazione e criminalità.

Interessante anche il numero di notizie date nei telegiornali sull'aviaria: l'aviaria è un caso di emergenza particolare, non si era manifestato nessun caso di trasmissione del virus da uomo a uomo e non c'era ancora un interessamento diretto della popolazione, si trattava quindi di un qualcosa che riguardava solo i veterinari. In quel caso ci fu un'esplosione di attenzione in prima serata, addirittura una o due notizie di apertura dei telegiornali con titoli come: "Siamo di fronte a un rischio pandemia". Quando poi è arrivata l'influenza A, quest'ondata è stata devastante perché la gente incominciava a dire "Non sarà mica ancora come l'influenza aviaria?", Vaccinatevi - dicevano i medici - ma noi non lo so... mi vaccino? Non mi vaccino? Non si capiva niente. Quindi è importante studiare queste cose perché hanno dei costi sociali: mandare via gli immigrati non c'entrava niente, e non so quanti milioni di vaccini sono stati prenotati per l'aviaria e poi l'influenza A, e dove siano finiti, chi li ha comprati, sarebbe interessante analizzarlo…

 

La componente patemica nei telegiornali

I numeri relativi allo spazio dedicato all'emergenza non rende conto di un fenomeno correlato, ossia la forte componente patemica dei telegiornali. La bolla della criminalità non è solo sovraesposizione del fenomeno, ma una narrazione che tende a dare un significato di allarme sociale usando un ampio spettro di figure retoriche. Il caso della Storta nel 2008, lo ricordate? Un romeno tenta uno stupro a una ragazza, l'accoltella, viene arrestato e la ragazza per fortuna si salva. Questo caso viene narrato con una serie di collegamenti clamorosi, il primo era il più logico, il caso Reggiani di 7 mesi prima, omicidio da parte di un romeno di una donna di Roma, ma poi ci hanno messo di tutto, come ad esempio l'omicidio, subito correlato agli immigrati, di un'anziana di ottant'anni, la signora Stoppioni che dai primi servizi risultava essere una povera crista, uccisa durante un tentativo di rapina, dopo sei giorni invece si scopre che era un'usuraia, che aveva 100mila euro nel camino, quindi non c'entravano nulla gli immigrati. Da qui un elenco di stupri e tentate violenze sparse per tutta la penisola, condite con interviste a cittadini allarmati e indignati. Questi sono stati gli ingredienti di una ventata di xenofobia tanto fulminea quanto rapida nello scomparire subito dopo.

La stereotipizzazione della comunicazione tramite le immagini

Un altro aspetto decisivo, poco considerato perché difficile da studiare, è la stereotipizzazione della comunicazione tramite le immagini : campi rom e materassi ai bordi delle strade, stazioni abbandonate nel degrado, sporcizia e desolazione sono trasmessi in modo immediato tramite sequenze spessissimo di poco o nessun valore informativo. Le riprese da dietro, ad altezza polpaccio, un classico dei servizi televisivi sulla criminalità, file di prostitute sui viali squallidi e volanti che identificano stranieri hanno infarcito la comunicazione sul caso della Storta, con l'obiettivo di descrivere una situazione emergenziale e potenzialmente pericolosa. La figura del giornalista, come si evidenzia in altre ricerche, svolge sempre più nei nostri telegiornali il ruolo di collezionista di fatti e di immagini proposte con la contestualizzazione semplificatrice, che mirano a una finalità estetico-patemica. La mediazione giornalistica non è nella scena, il nostro giornalista medio non si vede, è nel retroscena e racconta. Questo noi lo abbiamo notato nella politica italiana dove non c'è il commentatore, solo Mentana sta ritornando a svolgere il ruolo dell'editor politico. Durante la crisi dell'aviaria in ogni telegiornale sono stati mandati in onda uomini in tuta stile Seveso, disinfestazioni a tappeto, migliaia di volatili gettati nei cassonetti, per l'influenza A invece messicani per strada e italiani al pronto soccorso con la mascherina, quantità enormi di vaccino e un calciatore messicano che tossisce apposta in faccia all'avversario… Il sistema dei media è sempre più determinato dalla ricerca di audience e questo bisognava dirlo all'inizio, ma voi lo sapete già. La regola aurea del giornalista è la ricerca del sensazionale, dell'anormale, dell'emergenziale. Distinguere tra emergenza reale, irreale e potenziale è assai problematico, spesso si rischia di passare dall'una all'altra nel giro di poche ore, l'influenza A è un caso esemplare.

L'apocalisse è l'annuncio di un evento negativo, dell'evento finale

Concludo giocando su un titolo, "Apocalittici e integrati", un vecchio libro di Eco degli anni '60: dopo aver descritto un'informazione tesa a massimizzare gli ascolti, sfruttando la costruzione di narrazioni emergenziali, basati su effetti patemici e estetici rimane una doverosa causa finale, perché un telegiornale senza emergenze e note ansiogene è tipico di regimi poco democratici. Probabilmente il telegiornale del Nord Corea in questo momento sarà diviso in due parti, uno dove si dice che c'è l'attacco del capitalismo ed è ansiogeno e l'altro sarà una serie di inaugurazioni di strade e di ospedali ecc. L'apocalisse è l'annuncio di un evento negativo, dell'evento finale. Il problema è riflettere su come mediare appunto la formazione di un'opinione pubblica consapevole delle emergenze con l'evitare la diffusione di paure indeterminate o strumentali. Il ruolo del giornalista, difficile da svolgere ora più che mai, è ovviamente centrale, deve tenere sotto controllo le due facce del dilemma. È buona cosa che se ne discuta anche per evitare casi estremi. Grazie.

Roberto Natale

A proposito dell'Auditel, c'è una proposta alla quale come sindacato dei giornalisti teniamo molto e che i nostri direttori di Tg fin qui hanno ignorato: siamo moderati, non diciamo di cancellare l'Auditel, ma almeno evitare per quanto riguarda i telegiornali, il minuto per minuto, dare quindi solo il dato complessivo, che non ci fosse il picco che dice che la notizia su Avetrana sta al 38% mentre i monaci birmani hanno fatto il 12%... Come ben sapete così si parla nelle riunioni di redazione e dunque il giorno dopo si raddoppiano i servizi su Avetrana e ai monaci birmani se va bene gli tagli un vivo più immagini…

Passo adesso la parola a Ilvo Diamanti e gli restituisco anche la paternità dell'espressione che ho usato prima ossia imprenditoria politica della paura che ho erroneamente attribuito a Gad Lerner.

Ilvo Diamanti

Grazie dell'invito, sono sinceramente contento di essere qui anche se il mio compito è quello di parlarvi della costruzione della paura e spero di essere all'altezza, cioè di andarmene e lasciarvi terrorizzati... questo sarebbe un buon risultato...

 

L'Italia è specializzata nella comunicazione dell'insicurezza e nella trasmissione della paura

Dopo la cornice di carattere teorico e concettuale che vi ha proposto Antonio Nizzoli, andrei direttamente sul tema. Vorrei proporvi un ragionamento che si fonda più direttamente sui dati comparati che anche voi avete, vi sono stati consegnati, che tengono conto delle tre diverse dimensioni, attraverso cui noi possiamo analizzare e osservare il tema della sicurezza e dell'insicurezza. La tre dimensioni, come vi è già stato proposto, sono: la rappresentazione, la percezione e la realtà.

Partiamo da un'osservazione. Perché è importante incrociare queste tre dimensioni? È importante perché ci servono per poter rispondere a un problema di fondo, cioè al perché in questa società conta molto l'insicurezza più che la sicurezza, e perché l'insicurezza effettivamente è anzitutto così importante e inoltre così diffusa. Il nostro paese è specializzato nella comunicazione dell'insicurezza e nella trasmissione della paura. Sull'importanza dell'insicurezza, dal punto di vista della comunicazione, c'è poco dubbio, andate a vedere i dati che avete nel fascicolo che vi abbiamo consegnato, sono dati prodotti dal nostro osservatorio [di Pavia]. Relativamente all'analisi dei Tg di prima serata, scoprirete che all'interno delle varie dimensioni dell'insicurezza, quella economica, occupazionale, relativa all'ambiente ecc., ce n'è una che prevale nettamente ed è quella della criminalità, ma non della criminalità organizzata bensì di quella comune, dei piccoli crimini quotidiani, dacci oggi il nostro crimine quotidiano… Guardate che finirò proprio con questa osservazione ossia abbiamo bisogno di essere più sicuri e di rassicurarci, per cui abbiamo tanto bisogno di insicurezza. Prendetevi i Tg e vedrete che in Italia l'insicurezza intesa come criminalità, la fa da padrona, sia a livello interno, all'interno dei palinsesti dei singoli telegiornali, sia a maggior ragione a livello comparato. In Italia le notizie sulla criminalità sono assolutamente rilevanti e se non mi credete, credete ad Antonio Nizzoli e a questo fascicolo, dove peraltro trovate anche una distribuzione per rete che è significativa. Anzitutto metà delle notizie ansiogene, come le definisce Antonio, stanno nei Tg maggiori, Tg5 e Tg1. Perché? Perché sono i Tg più popolari e si inseguono, sono direttamente concorrenti, poi viene Studio Aperto che ha una sua specializzazione nella paura, impaurire è uno dei suoi mestieri. Attenti però, non è un problema specifico del Tg1 o di altri Tg, la paura è un buon argomento, sennò non andrebbe in televisione, ve l'ha spiegato Natale. Poi c'è il Tg2 e ultimi e più o meno alla pari come numero, ma anche come percentuale di notizie ansiogene, ci sono il Tg4 e il Tg3, e questo perché sono i Tg più politici e più politicamente orientati. Per cui il problema non è tanto l'audience in sé ma è anche un'informazione che è caratterizzata e "predefinita".

 

L'Italia è in Europa il paese che ha il maggior numero di notizie di crimini nei Tg…

Domanda: ma perché è così presente, così numerosa l'informazione ansiogena? E' solo nostra? Sarà così dappertutto o no? Perché un andamento, peraltro non costante nel corso del tempo, dell'informazione sulla criminalità comune e perché in Italia più che altrove?

È vero che si tratta di una questione di mercato in tutta Europa ed è così dappertutto, però il problema è che se voi comparate i Tg di prima serata in alcuni paesi europei, vi accorgerete che più o meno, se non sbaglio, quelli italiani hanno 40 volte il numero di notizie sui crimini rispetto ad esempio alla tv tedesca, 4 o 5 volte quella francese, l'unico Tg che compete con le tv italiane è la prima rete privata spagnola incidentalmente Telecinco ossia il Tg5 spagnolo…

 

…e con il più basso tasso di reati per abitante

La prima spiegazione potrebbe essere che c'è tanta esposizione perché la realtà è così, probabilmente in Italia il tasso di criminalità è molto più elevato rispetto agli altri paesi europei , per cui di conseguenza lo spazio, la catena che vi ha mostrato Antonio poc'anzi, è realtà, comunicazione cioè media e quindi tanti delitti, tante notizie. Peccato però che dal punto di vista di numero di reati per abitante, l'Italia è esattamente il paese con l'indice più basso tra quelli che abbiamo esaminato. L'Italia è il paese col più alto tasso di notizie di crimini sui Tg e col più basso tasso di reati per abitante. Il problema è che in Italia per qualche ragione, la criminalità o la paura collegata al tema della piccola criminalità rende di più, quindi la tv ansiogena rende di più. Allo stesso tempo, se fosse vero che l'Italia ha un tasso di criminalità più elevato, perché i crimini minori sono quelli che fanno paura a tutti e non la criminalità organizzata? Questo perché la prima può riguardare tutto e tutti, il furto, lo stupro, l'aggressione, mentre non riguarda tutti la macro criminalità, la criminalità organizzata. Vorrei sottolineare che la criminalità organizzata a parole fa paura, di fatto però nelle zone che ne sono oppresse, dal punto di vista della percezione, si hanno spesso livelli e indici di insicurezza più bassi. Le zone nelle quali si ha il massimo di insicurezza sono agli estremi, le periferie delle metropoli e i piccolissimi paesini delle periferie, due mondi diversi perché nei primi la criminalità si lega a un degrado molto violento della vita sociale quotidiana mentre nei secondi non succede mai nulla, per cui hai paura. Perché chi può aver più paura ne ha meno rispetto a chi si trova in una situazione dove non succede nulla? Perché ha paura che succeda qualcosa. Chi ha più paura dello straniero se non coloro che ne vedono uno per la prima volta? Non si ha di certo paura degli stranieri nei luoghi dove non sono gli altri bensì gente che è tra noi a cui ci si è abituati, lì non li chiami neanche stranieri. Vi posso garantire che la camorra fa più paura in alcune zone nel nord che ad esempio nel quartiere Sanità perché lì è un dato per scontato, chi nasce ci convive, è diverso nei luoghi dove non c'è, ma potrebbe arrivare. Questo è molto rilevante perché spiega il motivo dell'importanza della criminalità comune: la criminalità comune può colpire tutti quindi fa più paura.

 

La sicurezza in Italia è un buon argomento politico…

Non c'è alcuna differenza nel tasso di criminalità in Italia dall'80 a oggi. Dall'80 a oggi voi avete uno zero virgola qualcosa di aumento, capite? È sempre lì l'indice dei crimini. Certo, alcune tipologie di crimini crescono, magari sono anche rilevanti, ad esempio i furti d'appartamento hanno un impatto sulla sicurezza o sull'insicurezza che è fenomenale, perché noi siamo abituati ad immaginare la nostra casa, il nostro domicilio, come l'ultimo ridotto nel quale ci difendiamo, e tanto più si abbatte la comunità, tanto più siamo soli, e di conseguenza per noi casa nostra diventa intangibile. Se qualcuno ci entra in casa ci sentiamo turbati nella nostra sicurezza, tenete conto che proprio per questo, normalmente ormai ci chiudiamo sempre di più in casa e ci difendiamo desertificando il territorio intorno a noi, affidando alla video sorveglianza il compito di sostituire la comunità che controlla, chiudendoci con sistemi di allarme. A casa mia dopo che avevano derubato un paio di abitazioni non lontane, hanno messo un sistema che era terribile, suonava tutto il giorno, bastava un movimento di una persona o di un cane… finché l'abbiamo tolto. Ci si chiude in casa, si mettono dei cani che sono mostruosi e che aggrediscono i padroni per primi, poi ti stupisci se hanno sbranato il figlioletto... Ci si chiude in casa, si guarda il mondo attraverso la tv dove ti fanno paura perché tutte le sere ti sbattono 800 notizie di crimini, sei solo, hai fuori un cane che non ti conviene uscire, sei isolato dal mondo e volete non aver paura? Ma è evidente che una società del genere è assolutamente terrificante, quindi non è il tasso di crimini che determina la paura. Il massimo grado di concentrazione delle notizie criminogene, della paura, si sviluppano quando c'è una partita elettorale, come possono confermare i dati: ad esempio abbiamo avuto un picco clamoroso di notizie di crimini intorno al secondo semestre del 2007, che è proseguito fino al primo semestre del 2008 (quando incidentalmente si è votato) e dopo è scomparso. Quando cominciate a vedere tante notizie sui crimini, preoccupatevi, si vota... Finito il voto, conclusa la campagna elettorale, l'anno dopo abbiamo rimonitorato la situazione e il tasso di informazioni sulla criminalità, quelle ansiogene, erano letteralmente dimezzate rispetto al 2008, siamo tornati più o meno al 2005. I crimini nel frattempo vanno per conto loro, ci sono o non ci sono. Allora come vedete, non è la realtà, io gli ho dato un'altra spiegazione, forse è la politica, perché in Italia più che altrove, il nesso tra la politica e la comunicazione è stretto, non soltanto perché c'è un presidente del consiglio che è proprietario del più grande gruppo mediatico privato, ma perché storicamente nel nostro paese la comunicazione, radio e televisione, è sempre stata collegata alla politica, fino al paradosso. Già da prima che arrivasse Berlusconi, in Italia ci sono sempre state tre reti ciascuna affidate ai partiti, via via che si allargava l'offerta politica, il primo alla Dc, il secondo ai socialisti, il terzo il Pci... In una certa misura le nomine in Rai sono sempre state orientate dai partiti, con una commissione di vigilanza nominata dai partiti anche quella, cioè un raro caso, anzi un non raro caso di autocontrollo, chiamiamolo così, dove controllati e controllori sono gli stessi. In una situazione di questo genere evidentemente la politica conta, non a senso unico, perché in realtà, soprattutto in un sistema bipolare di maggioranza e opposizione, di destra e di sinistra, la paura ha un colore politico e favorisce alcune forze politiche, altre no. Sia chiaro che se il ministro Tremonti dice le cose che ha detto, è perché sa e immagina che quel tipo di parole corrispondano a un effetto politico, ossia che la paura dell'altro, dell'immigrato e il sicuritarismo , premi alcuni soggetti politici piuttosto che altri, cioè la destra piuttosto che la sinistra. Il problema è che anche la sinistra poi, convinta che questo sia vero, cioè che si tratti di argomenti popolari, insegue la destra sugli stessi argomenti, con l'esito che alla fine si preferisce sempre l'originale all'imitazione, per cui si è normalmente puniti.

 

Non esiste oggi un'argomentazione di sinistra sul tema della sicurezza

In campagna elettorale ciascuno cerca di intervenire sull'opinione pubblica scrivendo l'agenda, oggi la campagna elettorale è tutta una questione di agenda, devi imporre le priorità ai cittadini . L'opinione pubblica è quello, costruire l'opinione pubblica significa concentrare l'attenzione dei cittadini su un argomento piuttosto che un altro. Se l'argomento è la sicurezza, allora è più probabile che un soggetto politico di destra prevalga, perché ne è avvantaggiato, ha delle risposte più credibili, più accettabili, nel senso che non esiste oggi un'argomentazione di sinistra, non so come definirla, sui temi della sicurezza, che sia diversa da quella della destra. Normalmente e storicamente una spiegazione di sinistra punta sulla comunità, sulla capacità della comunità di controllare sé stessa. Un territorio vuoto, dove non cammini e dove non incontri gli altri è meno sicuro di uno dove vive la gente, è un territorio dove c'è più paura rispetto ad un altro dove c'è molta vita, c'è molto società, incontri e vedi gli altri. Senza tornare a vecchi argomenti nostalgici, ma nelle comunità tradizionali tutti conoscevano tutti e quindi si avvertivano quando c'era qualcosa che non andava, capite? Ma se non c'è più nessuno e non conosci manco il tuo vicino, tutti diventano stranieri… Fate questa prova in giro, andate in alcune zone dove c'è molta paura e chiedete il nome dei vicini di casa, di quelli che stanno al di là della strada, vedrete che una buona parte non ve lo saprà dire.

 

Anche il mondo della comunicazione e dei media non è innocente…

Attenti però, non è solo questa la spiegazione, cioè non è solo colpa della politica. Faremmo torto ai media e agli uomini dei media, se pensassimo che agiscono in modo del tutto dipendente dalla politica . Non è così. Oggi in questo sistema di forte intreccio fra comunicazione e politica, gli uomini della comunicazione sono attori che hanno in molti casi lo stesso potere, se non di più, dei politici. Vi faccio un esempio, quello della trasmissione di Fazio e Saviano: due persone mettono in piedi una trasmissione bizzarra che qualcuno ha definito una specie di messa cantata alla sera, ogni giudizio etico ed estetico però è inutile perché si tratta di un segno della società, in cui una parte di società si riconosce, e fanno 10 milioni di spettatori; in questo caso hai potere, sì o no? Ma certo che hai potere e infatti costringi un ministro a chiederti ospitalità, nel frattempo lo stesso ministro è andato dovunque, da Vespa, a Report, dalla Paragone... però là voleva andare, non altrove perché là ci sono 9-10 milioni di persone ad ascoltare. Non è innocente e non è dipendente la comunicazione. Gli uomini che fanno comunicazione hanno potere, sono attori politici esattamente come gli altri e come gli altri sono attori mediatici.

 

Dacci oggi il nostro crimine quotidiano…

 Con l'Osservatorio di Pavia abbiamo provato a vedere anche le distinzioni tra il modo in cui viene rappresentata la criminalità in Italia rispetto agli altri paesi . Ci sono due differenze che sono abbastanza importanti. Prima differenza: anche negli altri paesi può esserci l'informazione sui delitti, può anche essere dato un buono spazio ad un delitto, ma solo nel momento in cui c'è la circostanza e inoltre si deve trattare di un fatto rilevante, poi il caso si chiude. In Italia invece diventa un fatto quotidiano: c'è la rubrica della politica, c'è la rubrica dello sport, c'è la rubrica del dacci oggi il nostro crimine quotidiano che è anche consistente, robusta. Seconda differenza: in Italia i delitti e i crimini vengono sceneggiati. Negli altri paesi tu hai un crimine e lo racconti, quando hai finito, hai finito, oppure lo connetti a una problematica, lo tematizzi, in Francia ad esempio la violenza nelle scuole è diventato argomento di dibattito politico invece qui in Italia viene tutto sceneggiato: c'è il delitto di Avetrana e ogni giorno c'hai il politologo, il sacerdote, lo psicologo, la criminologa, addirittura il criminale che analizzano, parlano… è il massimo, non hai la vittima perché sennò avresti ancora più ascolti, ma quello è difficile... Allora senti dire ad esempio che la presunta assassina è un po' grassa, forse è per quello che ce l'aveva con la cugina che ha ucciso... Ho sentito cose da cui io onestamente mi ritraggo... In Italia di un delitto si fa l'indagine, si celebra il processo, è questa la differenza con gli altri paesi. I francese dicono che in Italia lo si trasforma e lo si sceneggia come fosse un film. Allora capite che un caso dura quattro, cinque e anche sei anni, Cogne è viva e lotta insieme a noi, ma quel poverino è stato ucciso nel 2002... Nel primo semestre di quest'anno, ben otto anni dopo, abbiamo rilevato ancora 30 notizie in prima serata… Certi casi non muoiono mai, restano sempre lì, sono continuamente riesumati. Un buon caso dura tre o quattro anni e se rende anche otto, capite? Questo è tutto nostro. Altrove, come negli Stati Uniti, ti fanno un canale specifico come Fox Crime, noi non ne abbiamo bisogno...

 

L'Italia è il paese del melodramma

Esiste una vocazione nazionale solleticata evidentemente dai media e sfruttata dalla politica che è attratta dall'orrore, dalla paura, dal crimine anche perché da noi esiste quasi una sorta di tradizione storica che è quella del melodramma . L'Italia è il paese del melodramma, dei grandi delitti, delle grandi storie, noi sceneggiamo la realtà. La Sorbonne di Parigi ha recentemente dedicato un seminario, cui ho partecipato, all'Italia e alla sua passione per il crimine. In Italia la violenza, i crimini, la paura, fanno ascolto più che altrove. Come è successo con il caso Avetrana, la gente normale inorridisce quando durante una diretta tv alle 11.30 di sera viene data la notizia del ritrovamento del corpo di una ragazzina, con la mamma collegata dalla casa del probabile assassino. Tutti a criticare la speculazione sulla morte fatta da questa trasmissione, però poi quando si vede che da 1 milione e 100mila spettatori passi a 4 milioni e mezzo e che ogni trasmissione su questo caso innalza l'audience di 2-3-4-5 punti di share, allora lo fanno tutti, magari dicendo e premettendo che è uno scandalo. Si fanno dirette continue da quei luoghi, c'è la casa di questi poveracci con davanti i giornalisti e le telecamere fissi, ci sono trasmissioni fisse il pomeriggio, non solo i Tg, e poi magari ci si scandalizza per il fenomeno del cosiddetto turismo dell'orrore, di quelli che vanno a vedere quella casa. Ma sapete perché vanno là? Perché ci sono le telecamere, è come il palazzo di giustizia ai tempi di Tangentopoli.

 

Se coltivi l'insicurezza puoi dare delle risposte sicuritarie

 Per chiudere, cosa intendo dire con questo? Intendo dire che quando parliamo del rapporto tra i media, la società e la paura, parliamo di una materia che è complicata e dove ci sono molte complicità, molti attori protagonisti . I crimini ci sono, sennò non li racconteresti, però attenti, i meno responsabili della rilevanza di notizie ansiogene nella comunicazione sono i crimini e i criminali. C'è questa tendenza della nostra società che è insicura per ragioni che non riesce a controllare e a comprendere. E' insicura perché è una società di uomini soli, globalizzata, una società che, come dire, si ritrova al proprio interno un malessere che non riesce a spiegare e che trova più facile, proprio per questo, cercare delle soluzioni negli altri. Lo sapete che in Italia normalmente, nei sondaggi che curo io, il 70% delle persone quando devono scegliere tra l'opzione "non bisogna fidarsi degli altri perché mi possono fregare" oppure "bisogna fidarsi degli altri perché comunque l'altro per me può essere un amico", scelgono la prima? Il 70% degli italiani nutre una solida, forte, sfiducia nell'altro e allora l'altro diventa un nemico: c'è l'altro immigrato perché è visibile, identificabile, ma tutti sono immigrati per noi, tutti sono extracomunitari, questa è una società di extracomunitari, perché perlopiù gli altri non li conosciamo. Infatti quand'è che si abbassano gli indici di paura? E presso quali gruppi sociali? Noi abbiamo una sorta di geografia sociale della paura che è molto evidente, molto precisa. Quelli che hanno più paura sono le persone sole, gli anziani, quelli che non partecipano, le donne appunto, le casalinghe che guardano la televisione oltre 4 ore al giorno… con oltre 4 ore al giorno di consumo televisivo, la paura dilaga. Chi sono le persone che hanno gli indici di angoscia più bassa? Quelli che partecipano, quelli che hanno legami di vicinato, quelli che hanno rapporti quotidiani con molte altre persone. L'altro è un antidoto alla paura però probabilmente ha meno mercato, è più difficile da costruire, è più difficile costruire relazioni sociali e la comunità, ricostruire un ambiente nel quale ti riconosci. Allora conviene, per bisogno di sicurezza, coltivare l'insicurezza, perché se tu coltivi l'insicurezza puoi dare delle risposte sicuritarie.

Io che ho tanta paura e voglio vincere la mia paura, vi chiedo: per favore, fatemi paura.

Fausto Spegni

Sono un giornalista in pensione, mi sono occupato professionalmente fra l'altro anche di un fattore ansiogeno come l'immigrazione, facevo una trasmissione dal titolo "Non solo nero" e non solo per questo parlo di paura; ne ho anche già parlato qui a Capodarco addirittura nel lontano '98, perché evidentemente la paura, come dire, si coltiva da lungo tempo.
Tempo fa sono stato intervistato da un giornale locale, perché queste cose non vengono distribuite soltanto a livello nazionale ma anche a livello locale, che aveva fatto un titolo a tutta pagina: "Nel porto di Senigallia come nel Bronx: uno scippo al giorno". Ho avuto modo di dire ai giornalisti di questo giornale che, uno, se fosse stato vero, dal Bronx sarebbero venuti a Loreto in ginocchio per ringraziare la Madonna per un solo scippo al giorno; secondo, la notizia è falsa perché nemmeno in tutte le Marche c'è uno scippo al giorno. Un fatto che mi confortò molto è che il prefetto di Ancona assieme al comandante dei carabinieri, della guardia di finanza e il questore, convocò i giornalisti e spiegò loro quale era la situazione reale con tutti i dati precisi. Naturalmente questa notizia, che era rassicurante, non rassicurò per niente i direttori dei giornali che misero due righine perché non vendeva, perché è la paura che vende. Un altro tipo di discorso è infatti la responsabilità del pubblico. Sappiamo benissimo come si fanno i giornali, mirano ad un determinato pubblico, si ha un target preciso; il pubblico non vuole l'informazione, vuole essere confortato nelle proprie opinioni, non solo quelle della paura, compro il giornale che mi dice che ho ragione. Ci sono due giornali che hanno Liber nella propria testata, Libero e Liberazione. Sono simili? Evidentemente no. L'uso della parola che esce dal ventre è pure molto importante perché fa sfogare quelli che non solo hanno paura, ma hanno anche voglia di essere riconfortati, allora c'è la responsabilità dei giornalisti. Della responsabilità dei giornalisti già se ne è parlato, ma attenzione, molto dipende anche dall'informazione frammentaria che viene data: i telegiornali, i giornali radio, sono pezzettini, ritornano sullo stesso argomento ma difficilmente lo approfondiscono. Esistono anche le trasmissioni di approfondimento però molto dell'informazione il pubblico la riceve proprio dall'informazione quotidiana, ci saranno pure 10 milioni di persone che occasionalmente vedono Fazio e di Saviano, ammesso che facciano l'informazione corretta di approfondimento, giusta e doverosa, ma la stragrande maggioranza delle persone prende quello che è l'ordine del giorno del paese e cioè i maggiori telegiornali e giornali radio. Il pubblico ha quindi una grossa responsabilità. C'è una terza gamba di questa macchina che dovremmo forse approfondire, sto parlando della scuola dove non si insegna il ragionamento, la valutazione dei dati. I dati che ci sono stati forniti sono quelli che non vengono presi in considerazione, perché noi non vogliamo essere contraddetti nelle nostre percezioni. Ecco volevo farvi riflettere su questo.

Francesca Pietrobelli - Racconti di vita - Raitre

Mi viene da approfondire di più con il professor Diamanti le cause di questo ritratto, di questa immagine che lei ci ha dato come italiani. Lei ha descritto un paradosso italiano: siamo un paese molto densamente popolato eppure abbiamo paura, ci chiudiamo e non sappiamo più il nome del nostro vicino. A tal proposito le volevo chiedere cosa ne pensa delle ronde.
Mi chiedo poi se quella di cui lei ha parlato si debba chiamare paura, io non la chiamerei così; non credo che noi guardiamo Avetrana perché abbiamo bisogno di rassicurarci e via dicendo, probabilmente lo chiamerei in un modo molto più diretto, io direi che siamo molto individualisti ed egoisti. Non perché mi ritenga brava, però io di istinto non ho provato nessun interesse per questo caso e non ho mai visto una di quelle trasmissioni che ne parlava, perché sinceramente credo sia l'unico mezzo che noi abbiamo: non guardarle punto.

Fabrizio (Genova)

Volevo fare una domanda secca e molto semplice: se la tendenza generale a livello ufficiale dei mass media è quella di costruire una realtà che poi non è, come dire, basata sulle statistiche veritiere, chi fa questo lavoro mistificatorio non paga mai? La Carta di Roma ha un'operatività che va, come dire, a dare delle sanzioni a chi poi fa un'informazione così scorretta, perché poi di questo stiamo parlando no?

Ilvo Diamanti

Una nota su l'ultimo intervento: non so se qualcuno paghi o non paghi, però il problema è che banalmente gli standard sono dati dagli ascolti, lo sapete benissimo. Questo tipo di informazioni che poi divengono qualcosa di diverso, cioè una vera e propria narrazione, producono ascolto, e se non lo producono, semplicemente vengono chiuse le trasmissioni, come capitato in molti casi, oppure si passa ad un altro argomento. Il problema non è tanto d'informazione corretta o scorretta, qui arriviamo al vero nodo del nostro tempo che è la costruzione dell'opinione pubblica. Tutto si fonda su questo dato per scontato che è l'opinione pubblica. Il vero problema è che ci si muove di giorno in giorno usando i sondaggi che servono a definire, delimitare, produrre, promuovere una realtà. Ripeto, questo è. Che differenza c'è tra la realtà e la percezione? Se io ho paura, ho paura, se anche mi dicono che non ho ragione di aver paura, io ho paura. Se la percezione sociale dice che c'è un'incertezza e un'inquietudine diffusa, quella è la realtà. Non c'è differenza tra realtà e percezione, la percezione è realtà, capite? Per cui oggi e non soltanto dal punto di vista politico, c'è l'imposizione di un'opinione pubblica che è ciò che dicono le persone, la società. Un tempo i leader politici, anzi gli uomini di potere, giustificavano sé stessi dicendo "Dio è con noi", oggi invece "l'opinione pubblica è con noi". L'opinione pubblica è per definizione maggioritaria, per come viene costruita, ad esempio attraverso i sondaggi; non è mai la società, però nel momento in cui è evocata lo diventa. Se diciamo che il 40% la pensa così, il 30% cosà, il 20% non ha un'idea e gli altri non rispondono, quel 40% diventa l'opinione pubblica che siamo noi. Tenete conto che per questo è importante lavorare sui meccanismi di definizione, di costruzione della rappresentazione sociale. Ho sentito quello che diceva Natale sul differente modo di trattare i due omicidi, più o meno preterintenzionali avvenuti a Roma a distanza di poco tempo, e anche lì, su che basi vengono scelti determinati omicidi? Ogni giorno in Italia ci sono 500 reati contro le persone, 150.000 in un anno, e non sono mica tutti riprodotti e presentati, se non magari, come veniva detto in precedenza, dai giornali locali che li enfatizza perché vendono. Ad un certo punto questo diventa lo standard e si impone a tutto il pubblico.

L'annosa questione delle ronde, annosa perché è durato molto tempo ed è finita in modo ridicolo, è però assolutamente esemplare. La vicenda delle ronde risponde alla teoria dell'imprenditoria politica della paura: generi paura perché poi rassicuri attraverso determinate azioni. Si tratta dell'ultima fase della Lega, da quando nella seconda metà degli anni '90 si specializza in questa direzione ed è ad esempio una risposta alla paura della globalizzazione. L'area pedemontana del nord è la più globalizzata di Italia e la globalizzazione produce tutta una serie di effetti che può gestire e governare in modo diverso, ma che comunque ti spaesano: ti spaesa scoprirti al centro del mondo, ti spaesa essere un luogo nel quale subisci la concorrenza internazionale, ti spaesa il fatto che la globalizzazione diventa visibile attraverso gli immigrati che evidentemente lavorano per te, perché tu ne hai assolutamente bisogno... Nelle zone leghiste l'integrazione degli immigrati e degli stranieri è abbastanza elevata, come mostrano le indagini della Caritas Migrantes, per una semplice ragione, perché ci sono le case e soprattutto c'è il lavoro, sono quindi regolati dal mercato e in buona parte sono occupati. Allo stesso tempo però tu devi predicare male anche se razzoli bene, perché la paura dell'altro comunque giustifica il tuo ruolo. Il tuo ruolo è quello del tutore della comunità che non esiste più perché si è scomposta; la tua comunità non c'è più perché è divenuta una megalopoli diffusa sul territorio, perché non conosci il vicino, l'altro… Ed ecco che la ronda diventa una sorta di testimone della comunità che non c'è più, la comunità che si autodifende e allo stesso tempo afferma di esistere. Il problema però è che si tratta di una risposta ad un problema inesistente. Sapete che dopo alcuni mesi di discussioni, è stata istituita una sola ronda in tutt'Italia, e sapete perché? Un sindaco di una grande città del nord-est mi ha detto che il vero problema delle ronde è che costano un sacco di soldi perché per ognuno di questi signori anziani che vanno in giro in bici, il comune deve mettere tre vigili a difenderli; inoltre questi delle ronde non vanno certo nelle zone pericolose, perché sennò li massacrano, "me li copa tutti" ha detto in dialetto, ma è evidente... Pensate che vadano davvero dove ci sono quelli che fanno spaccio duro? Giustificano sé stessi andando a fermare non gli irregolari bensì i regolari. Lo stesso è avvenuto nella lunga discussione sul fronteggiamento contro gli sbarchi, ma in Italia soltanto il 14% dei clandestini arriva attraverso i mari e i flussi dipendono non certo dall'intercettazione dura da parte della nostra marina, bensì dalle condizioni del mare semmai, quella è la verità. Questo tipo di messaggio però tende a rassicurare.

Noi siamo in una situazione nella quale la paura diventa un meccanismo che tu agiti, alimenti per sapere che esiste. Questo lo dovremmo sapere tutti. Per cui uno come Tremonti che non fa il mestiere del propagandista, racconta quelle cose lì perché raccoglie voti.

Roberto Natale

Peraltro Tremonti è autore del libro "La paura e la speranza", bisognerebbe ricordarlo sentendo quella dichiarazione, passa anche per l'ideologo della possibile speranza…

Temo che una parte della domanda fosse rivolta anche a chi rappresenta la categoria dei giornalisti... non pagate mai pegno...
Segnalo due cose velocemente: sulla vicenda di Avetrana, ad esempio, tanto l'ordine dei giornalisti, che ha annunciato l'apertura di alcuni provvedimenti, quanto il sindacato che rappresento, hanno manifestato la troppa esagerazione. Ci vuole tempo però perché queste cose divengano coscienza comune. Intanto mi permetto di segnalare che l'ordine di giornalisti, sulla questione di una selezione deontologica, sta mostrando in questi ultimi tempi maggiore attenzione non solo su queste vicende ma anche ad esempio sulle questioni di un'informazione razzista o xenofoba. Sono molti i colleghi, non solo stranieri, che hanno su questi temi particolare sensibilità e che fanno segnalazione all'ordine regionale di appartenenza di coloro che scrivono pezzi razzisti o xenofobi, chiedendo una sanzione. È un piccolo positivo segno di superamento del corporativismo, cioè del fatto che cane non morde cane. Il cambiamento più profondo è quello di cambiare la testa di noi giornalisti e i cambiamenti di testa, appunto, sono i più difficili e profondi da fare. Io ricordo che la Carta di Treviso, quella che tutti conoscete su informazione e minori, ha cominciato a produrre buonissimi effetti, ma sono vent'anni che è stata scritta. Segnalo ad esempio come fatto positivo che la Carta di Roma da qualche mese è uno dei testi da studiare per superare l'esame per diventare giornalista professionista, bisogna quindi dimostrare di conoscere le regole di un'informazione non razzista.

Eva

Appartengo alla minoranza dei sinti e lavoro per "Articolo tre", osservatorio sulle discriminazioni di Mantova, un'associazione che si è creata due anni fa grazie all'unione di diverse minoranze: la comunità ebraica di Mantova, l'Arcigay, l'istituto di cultura sinta, l'istituto di storia contemporanea e le persone con disabilità, tutte minoranze che si sono unite nella lotta contro il razzismo. Una delle attività fondamentali del nostro osservatorio è proprio quella di osservare la stampa. Noi facciamo monitoraggio della regione Lombardia, analizzando circa 47 testate riferite alla nostra regione e purtroppo abbiamo visto che molti articoli hanno una predilezione nei confronti delle minoranze rom e sinti nelle comunità di fede musulmana. Abbiamo visto alcuni articoli veramente indecenti, della serie "il pugno duro funziona, in due anni e mezzo decimati gli zingari" oppure "gipsy store" o ancora "l'illegalità insita nel Dna dei rom". Di fronte a questa situazione, noi che non vogliamo mollare, abbiamo pensato che la strada migliore fosse proprio quella di iniziare a fare delle segnalazioni all'ordine dei giornalisti e ne abbiamo fatte alcune, sono passati penso tre o quattro mesi e non abbiamo ancora ricevuto delle risposte. Quali sono le tempistiche per ricevere una risposta? Giusto per sapere se posso avere fiducia, io vi sto tempestando...

Roberto Natale

Può avere fiducia nel senso che la procedura stabilita per legge, che non dipende dall'autoregolamentazione, prevede questi lunghi tempi. Se avete seguito la vicenda Feltri, che non c'entra nulla con questo, avrete però visto che ci sono voluti alcuni mesi prima che si arrivasse alla sanzione, uno dei motivi per i quali chiediamo, come giornalisti italiani, la legge di riforma dell'ordine. Vogliamo insomma procedure di controllo deontologico e di sanzione più snelle e più veloci. Al momento i tempi sono questi però vi assicuro che chi rappresenta la categoria in questi organismi sta mostrando un'elevata sensibilità nelle questioni, insistete che arriverà una risposta.

Intervento

Io sono un ragazzo albanese, vivo e scrivo da Milano. Vi chiedo un consiglio su cosa possiamo fare tutti noi giovani giornalisti per migliorare questa informazione. In che modo dobbiamo intervenire per migliorare la situazione?

Roberto Natale

Temo che il problema non siano i presenti, ma gli assenti. Ai giornalisti e alle giornaliste presenti qui consegnerei volentieri altrettante direzione di testata. Il punto non è chi ha questa sensibilità, è chi non ce l'ha. Mi sento anche di dire che il lavoro fatto a Capodarco negli ultimi anni sta dando dei risultati. Rifacendomi anche alla precedente domanda, non perdete la speranza che questa insistenza possa produrre risultati. Ci vuole per tutti noi grande tenacia, ricordavo prima i tempi della Carta di Treviso, i cui risultati però sono un segno di speranza. I frutti sono ad esempio l'Associazione Nazionale Stampa Interculturale, la cui presidente è Viorica Nechifor, una collega di origine romena che lavora da anni a Torino che è qui con noi, ed anche l'iniziativa di questo seminario avviata qui 15 anni fa con Vinicio e Stefano. Tutto ciò può produrre un giornalismo italiano migliore anche se non fa notizia. C'è comunque una sensibilità crescente su questi terreni, e Capodarco ne è una testimonianza solida, perché fa formazione, ha continuità, lavora nel profondo esce dall'emergenzialismo che è uno dei vizi della nostra informazione. Possiamo aver fiducia che questo produrrà risultati, perché sta arrivando anche a contaminare positivamente le istituzioni della categoria. Se l'ordine dei giornalisti ha deciso due anni fa di sottoscrivere un testo come la Carta di Roma, è il segno che i nostri temi, permettetemi di dire così, possono passare, possono vincere, insomma ce la giochiamo, abbiamo gli strumenti per farlo.

È compito nostro poi come sindacato, cercare di tutelare al meglio i colleghi che stanno qui, magari consentendo loro anche condizioni di lavoro più dignitose, infatti come ben sapete, anche per esperienza direttissima, c'è un fortissimo precariato, il che non migliora la situazione. E' compito nostro fare in modo che chi ha forte sensibilità deontologica, possa lavorare in condizioni garantite.

Chiudo con uno spot: nei documenti trovate anche la Carta di Trieste, di cui mi ha pregato di parlarvi il professor Giuseppe Dell'Acqua che è stato ospite ad una delle ultime edizioni di Capodarco. Si tratta di una carta sul disagio mentale un po' modellata su quella di Roma. Anche qui ci viene insegnato a usare le parole in maniera rispettosa e precisa. È uno dei tanti passi che il giornalismo italiano, con tutte le sue contraddizioni, i suoi momenti di arretratezza, sta facendo in direzione di un uso dell'informazione più civile, più in sintonia con il diritto di tutti i cittadini.

Ilvo Diamanti

Due cose rapidissime anche per dare un approccio seppure minimamente diverso da quello utilizzato fino a adesso. Il primo non è rassicurante, ma serve a dire che ok, a noi in Italia ci piace l'orrido, ma non siamo gli unici e questi sono tempi non buoni; ad esempio nei confronti dell'immigrazione gli atteggiamenti di ostilità stanno crescendo un po' in tutta Europa, ci sono anche paesi come la Francia, che ha una importante tradizione di accoglienza e di integrazione interculturale, che sta utilizzando una campagna contro i rom come capro espiatorio… Questo vuol dire che il problema non è solo nostro, tanto più che tutto ciò ha effetti, pensate infatti al crescere e al diffondersi delle destre populiste un po' dappertutto, paesi vicini e meno vicini, nord Europa, in Austria, in Francia… Il male del nostro tempo è lo spaesamento, ci sono soluzioni e scorciatoie che ci permettono di rassicurarci, ma ci rassicurano per pochi minuti perché poi hanno bisogno di essere riprodotte di continuo. E' questo il vero problema di questa logica, che la paura riproduce paura.

Secondo aspetto. Noi non siamo condannati a tutto questo. C'è ad esempio la convinzione generale che il male comune ha più successo e che è più popolare del bene comune. Si dice che oggi non sia il tempo dei buoni sentimenti, della solidarietà, ma chi ve l'ha detto? Finché siamo convinti di questo, finché non si sceneggiano o non si tenta di sceneggiare anche l'altra realtà, l'altra società, finché si continua a negare il fatto che esista un 30-35% di italiani che fa attività volontarie e pratica altruista quotidianamente, allora noi ci rassegniamo esattamente a una realtà come questa e al fatto che il bene comune lo si fa ma non si dice, si diventa quindi dei benefattori anonimi perché ci si vergogna. Probabilmente un buon marketing anche di questo settore, se qualcuno avesse un po' di coraggio, non dico che faccia i 10 milioni di Fazio e Saviano, non tutti sono bravi come loro due, ma magari può anche fare gli stessi ascolti della nostra Avetrana quotidiana. Ecco io credo che probabilmente quello che manca è anche un po' di voglia di rischiare, di cercare e di esporsi. Si è parlato ad esempio del caso della trasmissione di Fazio e di Saviano che è quanto di più antitelevisivo esista, è una televisione fatta di parole, di narrazione, tra il pedagogico e l'educativo che ha fatto 10 milioni di spettatori. La mia spiegazione è letteralmente di tipo socio-politico: lì dentro ha trovato sbocco e sfiato una domanda sociale che è assolutamente insoddisfatta, a prescindere dalla qualità estetica. Un tempo c'erano le tribune politiche, poi abbiamo avuto le tele-piazze, poi i salotti e poi la video-politica. Adesso esiste, evidentemente, anche una domanda d'altro.

Paola Vivanco - ANSI - Associazione nazionale stampa interculturale

Siamo l'ultimo gruppo di specializzazione creato all'interno della federazione nazionale della stampa italiana e siamo qui grazie anche ad una borsa di studio, perché è utile mettere a disposizione gli strumenti, ma anche la possibilità di partecipare ad incontri come questo. Visto che stiamo ragionando anche sul che fare, visti i dati che ci avete presentato e che spingono noi giornalisti ad essere sempre più responsabili, ma anche a cercare sponde tra i colleghi, penso che sarebbe importante arrivare un po' di più anche ai direttori, a chi cioè influisce molto su quello che poi deve uscire. Mi chiedevo ad esempio rispetto al lavoro di Redattore Sociale, se voi organizzatori avete avuto modo di valutare, di conteggiare se riuscite ad influenzare e semmai quanto, per esempio in termini di quanto arrivate ai telegiornali nazionali che a quanto pare hanno un'importanza fondamentale. Mi chiedevo quante delle vostre news arrivano, se le avete contate e se c'è stato un miglioramento, se insomma questo lavoro ha un senso, per me ha un grande senso.

Stefano Trasatti - Direttore di Redattore Sociale

Credo anch'io che abbia un senso, però noi non facciamo monitoraggio. Ci sono delle testate che sono abbonate come ad esempio il Corriere della Sera, Avvenire, Famiglia Cristiana, Affari Italiani, alcune testate della Rai... Spesso vediamo delle nostre notizie o dei temi che noi abbiamo tirato fuori per primi che vengono trattati, magari in ritardo, questo è anche normale perché noi non siamo come l'Ansa che sta sull'attualità più stretta. Credo che abbia un senso perché in questi 10 anni, il 21 febbraio dell'anno prossimo come agenzia compiamo 10 anni mentre il seminario ne ha 17, abbiamo contribuito a diffondere un linguaggio, a immettere dei temi dentro il grande flusso della comunicazione. Da qui a dire che abbiamo cambiato la comunicazione, no. Con la nostra agenzia e il seminario abbiamo creato una specie di comunità di giornalisti, 3400 presenze in questi 17 anni, magari non tutti sono tornati ma li rincontriamo nelle situazioni più disparate e sono persone che stanno anche dentro ai grandi giornali, una specie di comunità trasversale. Non ci facciamo illusioni su quanto questo possa contribuire a cambiare, però questo è quello che siamo riusciti a fare.

Roberto Natale

Grazie a tutti. Solo una cosa tra le tante interessanti che hanno detto Nizzoli e Diamanti: il richiamo alla complessità e alle molte complicità dei diversi attori, insomma tutti abbiamo motivo per sentirci coinvolti.

* Testo non rivisto dagli autori.