II Redattore Sociale Milano 5-6 ottobre 2007

Miglioratori del peggio

Casa amara casa: pendolari, sfruttati e sfrattati in una città che non ha posto

Relazioni di Antonio Tosi e Riccardo Iacona. Intervengono Marco Pitzen e Sergio D'Agostini

Riccardo IACONA

Riccardo IACONA

Giornalista di Rai Tre, ha lavorato tra l’altro alle trasmissioni “Samarcanda”, “Il Rosso e il nero”, “Sciuscià”. Dal 2005 ha realizzato numerosi reportage per le serie di “W l’Italia” e, negli ultimi mesi, di “Presadiretta”, di cui è autore e conduttore.

ultimo aggiornamento 15 aprile 2010

Sergio D’AGOSTINI

Sergio D’AGOSTINI

Associazione Dar-Casa. 

ultimo aggiornamento 05 ottobre 2007

Antonio TOSI

Docente di Sociologia urbana e Politiche della casa al Politecnico di Milano, dal 1991 corrispondente dell'Osservatorio Europeo sulla Homelessness. 

ultimo aggiornamento 05 ottobre 2007

Marco PITZEN

Sicet Milano. 

ultimo aggiornamento 05 ottobre 2007

Riccardo Iacona

Sono molto contento di stare qui, 5 anni fa avevo partecipato ad un altro evento organizzato da il Redattore Sociale, era un periodo un po' buio della mia vita professionale, perché il programma Sciuscià edizione straordinaria era stato appena chiuso e poi son passati altri 2 anni prima che io riuscissi a fare altre cose, per Santoro ne son passati altri 4 prima che ricominciasse a trasmettere su Rai 2, lo dico non per fare una divagazione politica, ma perchè interessante anche per quello che diremo oggi: in realtà la sostanza del rapporto tra informazione e politica non è cambiato un granché, nel senso che assistiamo a uno scontro tra due mondi che non si fidano l"uno dell'altro, con un'invadenza della politica nella programmazione, nella gestione della televisione pubblica molto forte con poca attenzione alla sostanza dei problemi. Dico questo perché il rapporto tra politica e informazione del sistema pubblico evidenzia una forte degenerazione, tant'è vero che il politico esce dalla trasmissione televisiva e porta l'istanza direttamente sul tavolo del governo, con un corto circuito tra informazione e politica che è preoccupante, visto dall'esterno è patologico, anche perché il rapporto che ha avuto la televisione con la politica è stato un rapporto di servizio ad essere buoni anche per questo il politico si rivolta nei confronti del sistema pubblico, perché è stato abituato ad andare in televisione senza pagare pegno, perché c'è una disattenzione totale nei confronti delle questioni di sostanza, prima, durante e dopo. Alla fine la rappresentazione, lo scontro tra politica e informazione è tra poteri sostanzialmente, a chi ce l'ha più duro, a chi vince la partita. Normalmente non la vince nessuno sta partita, meno che mai il pubblico, perché in realtà un sistema che si regge sul riciclo di ricatti e sugli assalti successivi alle trasmissioni, è un sistema che produce autocensura e soprattutto la produce nei livelli più bassi dell'informazione, là dove ci dovrebbe essere l'innovazione, cioè nei programmi nuovi, che però non nascono mai e non a caso oggi se io dovessi iniziare a lavorare, probabilmente non farei le cose che sono riuscito a fare negli ultimi 15 anni. Quando ho cominciato io c'era un sistema dell'informazione in cui le botteghe che facevano informazione erano tante e quindi c'era spazio per tutti e il rapporto appunto con la politica era mediato; c'è sempre stata una televisione che ha vissuto, che ha uno spessore politico, ma aveva delle mediazioni tali che ti consentivano una libertà. Questo tipo di scontro sostanzialmente impedisce, cementifica, butta un sacco di cemento a presa rapida sulla situazione di fatto, impedisce che ci siano cambiamenti, ma chi oggi farebbe una trasmissione su De Magistris se è questo il risultato, si rischia di far cascare il governo dopo una trasmissione del genere, se questo è l'effetto, cioè che Mastella il giorno dopo va da Prodi che è costretto a prendere una posizione… La mia non è una divagazione, perché ha a che fare un po' col nostro lavoro, cioè il quotidiano, non tanto nei territori di nicchia, tipo Gabanelli, tipo me, o tipo altre piccole cose, ma nell'informazione, quella che passa tutti i giorni, questo rapporto di reciproco ricatto tra politica e informazione; in buona parte è una delle ragioni per cui alcuni territori narrativi non vengono attraversati, cioè anzi diciamo che è anche un po' il risultato di questo mancato attraversamento. Abbiamo un sistema dell'informazione che lavora sul qui e sull'ora. 

Cominciamo ad entrare nell'argomento dell'emergenza abitativa: se una signora si suicida e si butta dal quarto piano perché è sotto sfratto, occupa le prime pagine dei giornali e per un po' ci si sta sopra, diciamo, dopo non ci si va più, si spengono le luci. Prima non c'è stato un racconto di che cosa è l'emergenza abitativa ma non c'è stato non nei posti che sono predisposti a fare questo tipo di racconto, o la rubrica, o il documentario, non è che ce ne stanno così tanti di lavori sull'emergenza abitativa in televisione, ma non ci stanno nelle grandi agenzie quotidiane, cioè questo è un paese che non accompagna mai, le questioni sociali sono problemi. Chi l'ha detto che le questioni sociali sono problemi? Le questioni sociali sono la punta che ti segnalano dei cambiamenti profondi a livello sociale, economico del paese, che vengono accompagnati, se uno li vuole comprendere… allora la donna si butta, anzi la donna si è buttata, dopo non si capisce più niente, alla prossima donna che si ammazza o al prossimo caso grave ritorna la televisione e così via, al punto che tu non capisci mai il contesto all'interno del quale succedono queste cose ed hai questa brutta sensazione del fatto che i fari si accendono solo sul fatto drammatico e solo precisamente in quel momento lì con pochissima attenzione alle dinamiche successive, anche con senso di frustrazione; spesso a me dicono che è inutile quello che faccio, tanto non cambia niente… a parte che non è vero che non cambia niente perché già è positivo il fatto che si sia acquisita una coscienza di che cos'è l'emergenza abitativa a Milano, per quelle 3-4 milioni di persone che hanno seguito quel programma lì e che adesso ne sanno di più. Quello che non cambia è il rapporto tra politica e istituzioni, fra cittadini e istituzioni, quello non cambia e allora tu le cose le sai, vedi che i cambiamenti non ci sono, aumenta il distacco fra cittadini e politica; ripeto che questa è responsabilità molto del sistema dell'informazione, per come è costruito, per questa sua incapacità di contenere al suo interno una dimensione temporale, del resto è la ricchezza di ogni tipo di racconto, non esiste un racconto senza dimensione temporale, non esistono persone ad esempio io sono Riccardo, ma sono un Riccardo che ha un suo passato, un presente e che probabilmente avrà un futuro, quindi ho un certo spessore di senso se qualcuno s'interessa di me. Se io m'interesso di uno sfrattato, questo sfrattato è arrivato nella condizione dello sfrattato dopo un percorso di vita che ha senso. Raccontare quel percorso di vita, raccontare il prima e il durante e anche il dopo, significa ridare, precisamente rimettere in sintonia l'informazione con il paese. Gli strumenti ci sono, lo strumento principe per ricchezza e complessità è l'inchiesta. L'inchiesta è complessa perché è un oggetto narrativo complesso, lo è perché è plurale per definizione. L'inchiesta, specialmente l'inchiesta televisiva, ha una forza emotiva in più da questo punto di vista, è sempre il risultato dell'intrecciarsi di parecchi fili narrativi e non è detto che questi fili siano coerenti l'uno con l'altro, possono anche essere non coerenti l'uno con l'altro e più fili ci sono nell'inchiesta e più è ricca, più è plurale, cioè è difficile ridurre quel racconto lì o a una posizione ideologica o a una pre-interpretazione, si presenta effettivamente come flusso di vita, ha senso. Allora entriamo di più ad esempio dentro il racconto dell'emergenza abitativa a Milano per spiegare bene questo meccanismo, perché è importante, va coltivato perché è prezioso, è un tassello fondamentale di quello che si chiama la democrazia reale, cioè ci consente a noi effettivamente di partecipare alla vita di questo paese da protagonisti anche quando non lo siamo di quelle storie lì. Ritorniamo a questa idea dei fili intrecciati: io lo faccio già quando al montaggio mi ritrovo con questi materiali, si parte da una situazione apparentemente molto estrema e molto lontana da noi, lo sfratto di una famiglia, cioè a me non è mai capitato, non so se è capitato a voi, sicuramente non è la maggioranza degli italiani ad essere sotto sfratto, sicuramente a pochissimi italiani è capitato che 4 camionette della polizia arrivassero la mattina presto in un quartiere popolare per buttarti fuori dopo una battaglia che è durata fino a mezzanotte…; incominci a vedere, a entrarci dentro questo mondo, incominci a vedere la città che si trasforma, cominci a capire che il caro prezzi sta trasformando la città. Quello che era il centro storico esclusivo si allarga piano piano, diventa esclusivo tutta la città, poi Milano è una città piccola, non è una città come Roma dove tra centro e confini del comune passano pochi chilometri in linea d'aria, il virus scorre veloce lungo tutte le strade e ti porta a mille euro a 40 metri quadri anche all'estrema periferia e mano mano che la gente si allontana perché non può vivere più dentro Milano, mano a mano che l'offerta cresce questo mercato, cominci a scoprire che questa città ti sta cambiando sotto, sono intere classi sociali quelle che vengono espulse dal centro storico, una vera e propria pulizia etnica che ha a che fare con gli anziani, che ha a che fare con quelli che non si possono permettere di vivere a due passi dal Duomo o come abbiamo visto alla fine fino ai confini di Milano, perché i prezzi crescono così tanto… Questa città cambia e non è stato deciso democraticamente in nessun modo che Milano debba essere così, cambia nel tessuto storico della città che è quello più prezioso perché è dove hanno vissuto tutte le classi sociali. Se noi avessimo accompagnato questi processi di trasformazione della città, l'avessimo vissuti mentre succedevano, l'avessimo vista la vecchietta mentre la sfrattavano, ve l'ho fatta vedere io, e fossimo tornati 9 mesi dopo per vedere come stava la vecchietta nella casa popolare dopo che era stata sfrattata dalla casa del centro, ci saremo resi conto che la questione dello sfratto riguardava alla fine tutti noi. Naturalmente c'è un problema che è la resistenza della politica ad occuparsi del problema casa, un problema rimosso da destra e da sinistra. Da destra in nome dell'idea che il mercato è sempre il migliore, in fondo bastava lasciare le libere energie, muoversi e a domanda sarebbe corrisposta l'offerta nel modo migliore possibile; dietro, poi, c'è stato un processo di accumulazione di capitali pazzesco, dietro questa semplice ricetta liberista apparentemente inattaccabile, intere aree delle città italiane sono state consegnate ai soliti immobiliaristi. Ritorno sul punto: chi ha deciso che gli immobiliaristi devono cambiare la faccia della città? La città è nostra. La sinistra era rimasta a gestire più o meno quelle poche isole di edilizia popolare che era rimasta, ma sostanzialmente in maniera passiva di fronte a questo tema: l'idea era che questo problema della casa fosse politicamente non rilevante, non sensibile, in fondo gli italiani si sono riscattati dal problema della casa, l'80% degli italiani sono proprietari di una abitazione, che cosa volete, cosa ci venite a rompere le scatole con questa idea di costruire ancora i ghetti, le case popolari, già abbiamo difficoltà a gestirle, ci costano una fortuna… Con l'entrata dell'euro questa cosa qui naturalmente esplode, con la crisi delle borse ancora di più, perché il mattone diventa un bene rifugio e finalmente ci svegliamo la mattina e scopriamo che gli italiani hanno il problema della casa, anche quelli che sono proprietari, perché hanno figli che ad un certo punto dovranno andare a vivere da qualche parte… Oggi Milano è una città chiusa, è una città inospitale, è una città dove anche un dirigente di una grande multinazionale che dovesse venire a lavorare qui, deve fare i conti col problema della casa. Gli studenti fanno i conti col problema della casa, gli infermieri che vengono dal sud fanno conto col problema della casa, cioè questo problema della casa sta improvvisamente interrogando tutti; se tu lo metti al centro del sistema delle informazioni, ci cominci a ragionare sopra e vedi di che cosa vibra, ecco perché l'inchiesta vibra di tanti fili, questo problema sta diventando uno degli elementi importanti per capire se questo paese è civile insieme all'ospedale, se funziona o non funziona. È uno degli elementi, dei motori che se non ci sono, ti fermano l'economia, perché t'impediscono la mobilità delle persone. Un ragazzo che oggi da Palermo vuole fare un'avventura a Milano deve avere le spalle coperte o deve andare a vivere in un centro diurno che non c'è. Lasciamo perdere l'emarginazione, lasciamola per un attimo da parte, perché quello è stato l'alibi di tutto. 

La casa è: 1 - un diritto costituzionalmente iscritto, 2 - un volano dell'economia, 3 - uno degli elementi fondamentali del vivere civile. Adesso tutti andranno a occupare, non ci si preoccupa della sostanza del problema e che cioè negli ultimi 20 anni non si è fatta la politica pubblica della casa, per cui tu adesso ti ritrovi ad avere un patrimonio mal gestito e soprattutto insufficiente. Anni fa è stata espulsa l'idea dell'equo canone, non siamo mica in Unione Sovietica… ma adesso stiamo ritornando al problema dell'equo canone o meglio al concetto che la casa deve avere un prezzo giusto e che su questo terreno si gioca non solo il futuro delle nuove generazioni di essere indipendenti, di costruirsi un futuro, ma persino il nostro modo di essere e di vivere una grande città come Milano, perché tutti mi potranno dire, ma non mi convinceranno mai che questa città è più bella di quella di prima. A me manca l'aria se sto in un quartiere dove siamo tutti uguali e se ci presentiamo con la denuncia dei redditi abbiamo tutti lo stesso reddito, tutti la baby sitter, tutti l'autista e la seconda casa così come si è trasformata una parte importante della nostra e della vostra città.

L'inchiesta non ha pretesa scientifica, però spesso riesce, in un arco di spazio di lavoro abbastanza ampio, a farti vedere in filigrana delle cose che poi potranno essere oggetto anche di ricerca sociale. Ci arriva in maniera un po' cialtrona e da dietro però magari arriva su terreni che sono simili.

Marco Pitzen

A  mo' di premessa vi ricordo che alla fine dell'800 è stato scritto un piccolo librettino intitolato "La questione dell'abitazione", io vi consiglio di rileggerlo, c'è una prima parte che sono forse una cinquantina di pagine con delle intuizioni eccezionali, incredibili. Una di queste riguarda appunto la questione abitativa che riemerge a periodi quando incomincia a toccare la classe media ed è una realtà soprattutto negli ultimi anni che è stata ripresa da alcune inchieste, alcune fatte molto bene, che cercavano di riprendere la realtà, ne ha citata una il dott. Iacona prima. Alcune però, molte, io direi la stragrande maggioranza, vanno ricongiunte con il grande terrore dell'impoverimento della classe media e del trascinamento di questa classe media nel gorgo della povertà e perciò che si è trovata ad affrontare tutto ad un tratto, negli ultimi 5-6 anni, il problema abitativo. Per chi non è riuscito a comprare la casa in questi ultimi anni, che sono aumentati nel giro di pochissimi anni, hanno visto dal 2000 al 2004 gli affitti aumentati anche del 600% e non sono indagini che ha fatto il Sicet, cioè il sindacato al quale io appartengo, le ha fatte un altro sindacato molto più moderato del mio che è il Sunia e forse su quel lato lì forse è più attendibile. Anche chi ha comprato la casa si è trovato ad affrontare delle spese, tipo quelle del mutuo, partiti con un certo importo e mano a mano, con l'aumento dei tassi, ci si è trovati magari a far fronte a un impegno economico gravoso; inoltre, mentre prima si aveva uno stipendio diciamo così "regolare", "fisso", adesso ci si ritrova a far fronte a questo impegno con uno stipendio da irregolare. La precarizzazione del mercato del lavoro è trasversale, riguarda sia il ceto popolare ovviamente ma comincia ad intaccare anche il ceto medio; perciò se ne è cominciato a discutere sia facendo emergere anche qual è il fenomeno dell'emergenza abitativa, però si è cominciato a discutere anche sulla questione della legalità: ecco tutto in un colpo l'occupante abusivo per esempio diventava un problema, una questione da stigmatizzare, diventava un bandito, diventava un problema comunque di sicurezza, non era più una faccia del problema abitativo, diventava questa cosa qua. Io vi dico che questa è diventata una priorità da parte della sinistra, come a volersi parare le spalle, coprirsi le spalle da un cavallo di battaglia che è solitamente stato di destra, però in questi anni, lasciamo stare Cofferati che forse è il principe di queste battaglie, però in generale è diventata un problema di sicurezza.

Nel 2001 c'erano 900mila alloggi pubblici, solo 10 anni prima ce n'erano 1 milione 200mila; l'iniziativa immobiliare pubblica nell'84 era dell'8%, nel 2004 si è ridotta all'1%. L'Italia, rispetto agli altri paesi d'Europa, è uno dei paesi che ha meno patrimonio pubblico oltre ad essere quello che ne ha svenduti più degli altri. Io dico che li ha svenduti perché con l'ultima legge che è stata adottata, la legge 560 del '93, per vendere il patrimoni pubblico, si è alienato in pochi anni il 10% di questo patrimonio a fronte dell'aumento delle domande di case popolari. L'altra cosa che bisogna tenere in conto, è che siccome che il prezzo medio che prevedeva questa legge era di un terzo in meno del prezzo di mercato, in pratica si è svenduto per 2 miliardi e mezzo un patrimonio di più di 9 miliardi, perciò c'è stato anche un danno erariale. non parliamo poi delle ultime leggi per fare cassa, che sono quelle delle vendite del patrimonio degli enti previdenziali. Solo a Roma si stanno vendendo circa 70 mila alloggi del patrimonio pubblico, di enti previdenziali, che bene o male, con le varie ruberie del caso, con le varie questioni clientelari, ha sempre avuto una funzione di ammortizzatore, ci andavano si i politici, i sindacalisti, gli attori, i giornalisti, ma ci andavano anche gli sfrattati, magari gli sfrattati con qualche pedata nel culo, però ci andavano. Perciò c'è stata una svendita generalizzata, c'è stato un aumento di questa domanda di casa a fronte di un aumento, si diceva giustamente, di percentuali di alloggi e non a caso sono aumentati i pignoramenti degli alloggi delle persone che non riuscivano più a pagare i mutui. Adesso poi è scoppiato il caso dei mutui spazzatura, gli Stati Uniti hanno fatto da apripista su questo tipo di fenomeno, un fenomeno che in Italia non è sotterraneo, è ben presente, con dati importanti.

Si pensa sempre che il fenomeno dell'emergenza abitativa sia un fenomeno marginale, dato che la maggior parte degli italiani sono proprietari di casa e ci sono 6 milioni di alloggi sfitti in Italia, di seconde case, case per il figlio che diventerà grande, case delle vacanze, case per ufficio. Io ho iniziato a lavorare 30 anni fa in questo sindacato e al primo intervento ero un po' incosciente, venendo dalla politica del Leoncavallo ero più a menar le mani a volte che non a riflettere su quelle che erano le problematiche effettive del proletariato: seguivo una persona anziana di 80 anni, un po' sordo, mi dice che il lunedì seguente avrebbe avuto lo sfratto, e dico va bene, faranno lo sfratto, vediamo un po' come funziona, sapevo un po' quali erano i meccanismi dell'assegnazione, delle proroghe, così via. Arrivo lì al mattino e c'è l'ufficiale giudiziario, l'assistente sociale, i vigili, la polizia, suoniamo a questo vecchietto qua, abitava in Garibaldi, non risponde e dico: guardate che questo qua è sordo. Non c'erano i cellulari, non si poteva chiamare, aveva dei problemi, aspettiamo un po', chiamiamo la vicina, ho cercato di fare quel minimo di mediazione sindacale per quello che ero capace di fare in quel periodo, ho cercato nel giro di una mezz'oretta di tergiversare, aspettare, mi son messo davanti e poi cosa è successo? È arrivata la polizia e con i loro anfibi hanno tirato giù a calci la porta e c'era questa persona qua in pigiama con la vestaglia, guarda mi vengono ancora adesso i brividi a ricordare una cosa di 30 anni fa, tutto impaurito, si è trovato questi energumeni che hanno sfondato la porta, con gli assistenti sociali che dopo un po' cercavano di tranquillizzarlo, di trascinarlo in una maniera allucinante, comunque tranquillizzandolo e ha avuto la sua bella casa a Quartogiaro ed è morto dopo qualche mese… Vi ho detto questa cosa per dire che i problemi della questione abitativa sono problemi di gente in carne ed ossa, con del sangue che circola, delle persone che possono essere il vostro vicino di casa, che possono essere l'amico di vostro padre, l'amico di vostro zio ed è un problema che ha dei grandi numeri. Solo per restare agli sfratti, a Milano ci sono 10mila sfratti che devono essere eseguiti e ad ottobre scadrà, tra qualche giorno, scadrà la proroga. Tra l'altro, a fronte di questi numeri importanti, solamente nell'ultimo bando sono state protocollate 15mila domande e ne erano attese 30 mila, ma perché la gente si è stancata di farle. Tenete conto che adesso gli sfratti sono per il 70% per morosità, perciò per persone, per famiglie che non riescono più a pagare l'affitto. Finisco con un altro aneddoto, tanto per dire che le cose di 30 anni fa si sono trascinate fino ad ora: vi racconto di uno sgombero che c'è stato qualche mese fa, non è stato seguito dalla stampa, nonostante i nostri comunicati, sfortuna vuole che questo sgombero fosse nei confronti di una donna lavoratrice precaria, una lavoratrice precaria cui era morto il marito e che era stata costretta ad affidare i figli ad una comunità per mancanza di reddito, aveva occupato una casa a Quartogiaro; il Tribunale, vedendo che aveva un lavoro, seppure precario, le ha affidato nuovamente i figli, e dopo qualche mese è arrivato uno schieramento impressionante di polizia, saranno state 6 o 7 camionette, pompieri, vigili urbani, assistenti sociali… Hanno sfondato la porta, hanno preso questi figli e li hanno riportati alla comunità, tra l'altro una comunità a Crema, tipo a 100 km di distanza da Milano… Forse questo è un caso limite ma di sgomberi che hanno questo tipo di connotati ce ne sono un sacco, perché chi occupa, soprattutto a Milano e a Roma che sono le due città col problema di emergenza abitativa più grosso, nella stragrande maggioranza lo fa per necessità. Il problema dell'emergenza abitativa che viene sottovalutato, in realtà riguarda moltissime persone.

Antonio Tosi

Vi porrò all'attenzione 5 punti che sono punti abbastanza polemici e devo anche dire, non particolarmente condivisi da chi si occupa di costruire delle politiche o di fare delle politiche.

Il primo punto: la povertà, che ci porta non solo fuori da Milano, ma addirittura in Europa. Cosa c'è di nuovo in questa questione abitativa che noi oggi conosciamo? Non riconosciamo la novità di questa questione e non ne traiamo le conseguenze che dovremmo. In realtà il problema, volendo collocarne l'origine, dovremmo farlo risalire tra gli anni '70 e '80. Ricordo che all'inizio degli anni '90 abbiamo fatto un'indagine per la Caritas italiana, per quel che si è riusciti a fare a livello nazionale, e ne venne che circa un milione di famiglie, ossia 2 milioni e mezzo di persone, aveva veri problemi abitativi. Cifre considerevoli. Eravamo nei primi anni '90 e non è cambiato niente, ancora dimostrazione che certe volte i numeri non servono a mobilitare delle politiche, ci vogliono ben altre condizioni perché le politiche nascano. Collocarsi in quegli anni vuol dire collocarsi negli anni della grande svolta di tutte le società occidentali: il passaggio certe volte si chiama post fordismo, certe volte post industriale, certamente un cambiamento di logiche sociali di cui è anche facile capirne alcuni connotati, anche alcune ragioni, sono gli anni in cui cominciano ad affermarsi le politiche neo liberali, della riduzione della protezione sociale o quanto meno la riduzione dell'intervento diretto dello stato. Sono gli anni dei grandi flussi migratori che finalmente interessano tutti i paesi europei e non soltanto quelli che avevano avuto delle colonie, sono gli anni in cui si riducono certi sistemi di solidarietà tradizionali, compresi quelli legati al mondo associativo, alle grandi associazioni, nel caso italiano, sono gli anni in cui ricompare la povertà. Adesso questo termine povertà, sia nel campo abitativo, sia come termine generale, va preso come viene usato oggi nel dibattito, cioè pensare alla precarietà lavorativa che è un dato del passaggio al post fordismo, pensare appunto alla rottura di certi sistemi di solidarietà, quindi non pensare al povero soltanto reddituale, come a volte si dice, ma a una serie di fragilità, di vulnerabilità sociale. Sono aumentate le persone, le famiglie vulnerabili socialmente nella nostra società. Tutto questo ha una ricaduta sulla casa, tanto più che le politiche neo liberali trovano nel campo abitativo una delle manifestazioni più dure. Cosa ne è venuto fuori? E' aumentata la quantità di persone, di famiglie che hanno problemi abitativi, molto semplice, chiamiamola per restare sul generico deprivazione abitativa. Questo è un aspetto, è una delle facce della medaglia. Ce n'è un altro che forse è ancora più difficile da gestire in termini di politiche: la complessità di questa povertà abitativa, di questa deprivazione abitativa, le domande articolate, le figure sono diverse. Voi pensate che negli anni '50-'60 in definitiva il destinatario delle politiche abitative sociali era una figura abbastanza semplice, c'era un grado di omogeneità, era l'operaio o il neo operaio che da alcune regioni italiane si muoveva verso il triangolo industriale, era una grande marcia verso la modernità a cui tutti gli italiani in quegli anni partecipavano, il miracolo economico, la televisione, ecc.; oggi evidentemente non è così. Intanto dentro questa varietà di situazioni, ci sono quelle di normale disagio abitativo, poi ci sono le situazioni di estremo disagio abitativo, i senza casa e poi ci sono quelle di rischio abitativo, cioè quelli che la casa magari ce l'hanno ma o perché costa troppo o per tutta una serie di ragioni,  in mancanza di politiche può facilmente degenerare nella caduta, nel disagio anche estremo. E poi si moltiplicano le figure: non è più l'operaio, o il neo operaio, è l'immigrato appena arrivato, che è un'altra cosa rispetto all'immigrato che è qui da tempo. E poi lo zingaro insidiato nella bidonville regolare che è diverso da quello insediato nella bidonville non regolare e il senza dimora che va per le strade e per dormitori e il senza dimora che inserito in un processo di reinserimento sociale è invece ospitato in un ostello, in una struttura di accoglienza… Sto citando solo le situazioni estreme. Allora primo punto la povertà: intesa in questo significato ampio è la determinante della questione abitativa. Se non lo riconosciamo le politiche sono sbagliate

Secondo punto: quali politiche? Quali sono state le conseguenze per le politiche abitative? O quali dovrebbero essere? Quali politiche sono richieste da questo nuovo quadro della deprivazione abitativa? Le politiche ne vengono sconvolte perché anzitutto i confini tra politiche scompaiono quasi o comunque si attenuano molto. Una volta c'erano le politiche abitative e poi c'erano le politiche assistenziali ecc. Le politiche abitative non possono più essere politiche che danno a una persona o ad una famiglia l'oggetto casa, come oggetto fisico, né politiche che danno i soldi per pagarle. Accompagnamento sociale è il termine un po' sloganistico che indica una serie di prestazioni che spesso è bene che accompagnino appunto la fornitura di una casa o di altre risorse che permettano di avere una casa. Questo mescolamento o attenuazione dei confini è tanto più interessante se pensiamo che dentro i destinatari delle politiche abitative cadono ormai delle figure che tradizionalmente non erano considerati tali o i cui problemi non erano considerati di pertinenza delle politiche abitative. I senza dimora da che mondo è mondo sono affidati a politiche assistenziali; gli zingari ancora oggi a dire il vero sono una delle tematiche da discutere, sono affidati a politiche di controllo territoriale e quello che spesso è spacciato per soluzione di problemi abitativi in realtà è la soluzione di un problema di controllo della loro presenza nel territorio. A me piace sempre ricordare la legge Besson della Francia, una delle più interessanti con la quale si prende atto che la tradizione delle politiche abitative sociali potrebbe non bastare per affrontare questi problemi di povertà, è necessario un supplemento di socialità.

Terzo punto: la sindrome di povertà abitativa in Italia è oggi una delle più gravi in Europa. In parte scontiamo una storia di politiche abitative fortemente orientata all'accesso, alla proprietà come soluzione principe per risolvere il problema, un intervento sempre leggero e riduttivo nel campo dell'edilizia sociale pubblica nel caso italiano, salvo qualche eccezione come il piano Ina-casa, perché le politiche ridistributive attraverso la casa sono state deboli, perché poi c'è sempre stato su questo tono un certo occhio di riguardo per i ceti medi.

Quarto punto: il ritardo lo spiegano le categorie culturali e mentali che utilizziamo per definire e affrontare il problema che sono vecchie, vengono dal passato, più che dal presente. Le nostre politiche sociali sono poco selettive socialmente, cioè non sufficientemente attente alle priorità, alle urgenze; dentro questa scarsa selettività c'è l'idea che la proprietà debba continuare ad essere considerata la strada privilegiata per risolvere uno degli elementi di disturbo. Io non nego che la proprietà della casa possa essere una misura sociale, però certamente nel quadro che stiamo affrontando non è questo il tipo di priorità che risponde alle esigenze di cui parlavo.

Quinto: gli interventi che hanno una funzione ridistributiva del reddito anche quando non passano per le politiche abitative. Non è detto che le politiche per risolvere il problema della casa, devono essere politiche abitative nel senso tradizionale, cioè dare una casa. Il problema delle politiche è sempre stato in Italia, in modo quasi drammatico, quello del cosa vuol dire sociale: qual è il modo tipico in cui in Italia vengono evocati i destinatari delle politiche abitative sociali? Io ho qui alcuni esempi: Regione Marche, alloggi da destinare a particolari categorie sociali quali anziani, portatori di handicap, giovani coppie, sfrattati, immigrati ed altre categorie individuate sul piano regionale; Regione Lomardia alloggi per studenti, per lavoratori temporanei e interinali, per giovani coppie e per altre categorie che si qualificano per situazioni di disagio sociale; Regione Toscana, affitti a costo intermedio in caso di giovani coppie, single, immigrati, studenti, ma anche di molte famiglie che hanno redditi medi… C'è da mettersi le mani sui capelli di fronte a questa maniera di presentare il problema, perché l'elencazione ha il merito di ricordarci che queste sono tutte categorie coinvolte in quella ricomparsa della povertà in generale, non abitativa, di cui parlavo all'inizio; detto questo, inoltre, noi non sappiamo niente dell'incidenza del problema casa in queste categorie, con l'eccezione forse degli immigrati che non a caso è una delle più studiate anche da questo punto di vista, allora elencare così casualmente, non ha senso, comunica un procedere per categorie. Prima di tutto comunica un'idea molto italiana, un sociale molto estensivo, praticamente è come se il diritto a una prestazione sociale non si negasse a nessuno. È un paese in cui tutto è sociale e chiunque può essere destinatario di politiche sociali, il che è bene però poi uno deve gerarchizzare, deve definire le urgenze ecc. La legge francese che citavo prima è molto saggia, la  titolazione è la casa per persone svantaggiate, se tu sei svantaggiato entri dentro con nessun riferimento a categorie, se non un piccolo interessante cenno alle aree di sosta per gli zingari, previsione disattesa in Francia. Ecco però dentro questa gamma di categorie sociali differenziate è innegabile che l'accento è messo sui ceti medi se voi leggete tranquillamente quegli elenchi che io ho fatto. Questi ceti medi hanno conquistato un'evidenza enorme nel discorso pubblico attuale come se il problema della casa fosse di ceti medi oggi in Italia. Certo che tutto va affrontato, non sto dicendo allora basta non facciamo più politiche abitative per i ceti medi, no, perché sono effettivamente problemi sociali, di disagio sociale da affrontare e hanno una funzione preventiva, se io non intervengo a quel livello lì un po' più alto me li ritrovo poi nelle situazioni di disagio estremo, però oggi come oggi, stando così le cose, cerchiamo di tener conto di uno squilibrio storico e investiamo molto, ma molto di più in termini non solo economici ma di energie ideative su queste componenti fragili, marginali della domanda sociale. Io credo che non se ne venga fuori senza immaginare anche da noi una cosa del tipo del diritto alla casa come è stato in Francia, un po' in Scozia definendolo cioè per le popolazioni normali che hanno disagi normali.

Sergio D'Agostini

Sono il presidente della cooperativa DAR e mi sono occupato per tanti anni come ricercatore di politiche abitative dell'area metropolitana milanese, adesso collaboro con la provincia in questo senso, ma sempre con una particolare attenzione diciamo alle soluzioni possibili e all'offerta e non tanto all'analisi del disagio su cui appunto si è parlato molto. Io come piccolo operatore dell'offerta e della domanda mi preoccupo soprattutto che queste quantità poi possano essere fuorvianti per certi aspetti. Le quantità dell'emergenza abitativa stanno diventando tali per cui si rischia di arrivare tardi, in un momento in cui s'inverte la tendenza. Io sono molto preoccupato di questa distanza enorme tra i bisogni e questa capacità di risposta che rischia di produrre una situazione dalla quale poi è veramente difficile risalire e rischia di creare una situazione in cui poi appunto, la mancata risposta crea delle situazioni di disagio sociale, di allarme sociale, probabilmente anche di reale aumento delle situazioni di illegalità, di delinquenza, ecc., Credo che vada denunciata, vada stigmatizzata fortemente questo atteggiamento delle istituzioni che di fronte a un quadro delineato che è ormai abbastanza certo, è abbastanza condiviso, continuano a ritardare le risposte. La situazione italiana ci è stato detto è peggiore di quella di altri paesi europei, ma anche i paesi europei che hanno minor tradizioni di politiche abitative, quando hanno capito che la situazione stava degradando fortemente, hanno messo in atto delle politiche e poi hanno avuto la capacità di verificare dopo un numero di anni diciamo tollerabile, l'efficacia delle cose fatte. Il comune di Milano ha lanciato, ormai 3 anni fa, un piano che finalmente preannunciava 20mila alloggi in affitto come realizzabili; in realtà questi 20mila alloggi in affitto erano collocati in aree di cui solo meno della metà erano aree vere utilizzabili e quindi non avrebbero offerto più di 5mila alloggi. Insomma anche le poche cose che sono state decise e concordate da tutti, non vanno avanti, si perdono in un magma di veti incrociati in una burocrazia che è tipicamente italiana, soprattutto quella conflittualità tra livelli istituzionali e conventicoli di partito che bloccano e ritardano ogni azione concreta. Stamattina si diceva che da queste situazioni non si esce da soli, cioè è necessario stare tutti insieme, è necessario coordinare tutte le forze che vogliono operare in modo da realizzare il massimo di sinergie, quindi era un richiamo  un  po' alla solidarietà della città su questi temi. Mi sembra che la situazione cada molto nel vuoto; ad esempio la provincia di Milano, pur non avendo competenze specifiche nel settore, né risorse significative da dedicare a questo, sta cercando di mettere assieme i soggetti e di proporsi diciamo come soggetto facilitatore, in politiche abitative, non è un'impresa facile, però credo che vada nella direzione giusta. Quest'inerzia, questa mancanza di risultati concreti configura una situazione fortemente ipocrita in cui appunto quando c'è il fatto di cronaca della vecchietta che si butta dal balcone si ritorna a parlare della casa per un po' di tempo e si fanno questi programmi, però poi nessuno verifica i tempi di attuazione e il risultato. Non so se avete letto in questi giorni la notizia che siccome vengono gli ispettori europei per verificare le idoneità di Milano ad accogliere l'Expo 2015, si fa una grande operazione di pulizia in tutti i sensi, dell'area della stazione centrale, dove si concentrano gli effetti più evidenti del degrado sociale e della mancanza di abitazioni. Direi che è veramente una cosa vergognosa, perché non si può non essersi resi conto prima di questa questione, che il fatto di non risolvere questi problemi costituisce non solo una grave pecca sociale, ma costituisce anche un elemento di crisi, di un posto per la città anche in termini di immagine, di sviluppo, ecc., cose che si sanno.

Noi, come cooperativa DAR abbiamo provato a dimostrare che anche in queste situazioni qualcosa si può fare e l'abbiamo fatto per un settore particolarmente disagiato o che ha delle caratteristiche particolari di disagio aggiuntivo, come quello degli immigrati e soprattutto abbiamo cercato di dimostrare che anche un soggetto privato, cioè un'impresa sociale, nella fattispecie una cooperativa edilizia, può fornire un'azione sussidiaria interessante e realizzare una risposta concreta anche con un limitato aiuto pubblico, quindi integrando fortemente con risorse proprie. L'abbiamo fatto sia per recuperare il patrimonio pubblico inutilizzato e degradato che ci è stato dato in comodato per un certo periodo in diversi quartieri e aree di Milano, l'abbiamo fatto costruendo nuove abitazioni insieme ad altre cooperative, alcune delle quali vendute consentendoci così di trasferire una parte dei proventi della vendita a favore della quota in affitto. Il problema però rimane sempre che quello che abbiamo fatto noi, qualche centinaia di alloggi, sono una goccia nel mare dei bisogni. L'intervento più noto che ha fatto la nostra cooperativa è quello della Stadera: 50 alloggi a canone concordato in un progetto di 200 alloggi, nel quadro di un programma di recupero di un intero quartiere, questo progetto è abbastanza noto e anche sicuramente il più celebrato di quelli che sono stati fatti, non ci si può lamentare della scarsa pubblicità in questo caso anche se in realtà è stato molto pubblicizzato perchè la provincia l'ha premiata come buona pratica nel bando Città di Città; quello di cui ci si può lamentare è che a partire da questo non si è ampliata e replicata l'esperienza, quindi tutti sono d'accordo, ma si passa continuamente da rinvio a rinvio, come se l'emergenza non ci fosse. Ecco direi che questo va evitato e che forse la buona informazione anche in questo senso può fare qualcosa.

Gregorio

Mi chiedo come si fa a fare un raffronto con l'Europa a livello di competizione, competitività, ecc. quando si pensa che in Francia hanno costruito 200mila case in un anno, di cui l'80% date in affitto o in vendita a prezzi veramente competitivi, e noi? Adesso si parla solo di Expo per far fare i grossi affare a qualcuno, si va a pulire le facciate, che è una roba scandalosa, si pulisce la città solo in questa occasione, come se quelli che devono venire a giudicare guarderanno che non ci siano in giro palazzi sporchi o carte per terra, come se fossero degli imbecilli con l'anello al naso. E tutte le energie della città, dei governanti, sono sull'Expo, quando queste cifre che abbiamo appena detto sono veramente impressionanti…

Corrado Fontana - Affari Italiani

Il mio problema dal  punto di vista del raccontatore è questo: come riesco a trasmettere la serietà e l'importanza del problema della casa rendendolo leggibile e comprensibile anche a chi crede che sia un problema di minoranza? Altro punto: finché non si supera questo tipo di problema di comunicazione, non credo che la politica interverrà particolarmente sul problema anche dal punto di vista fattuale. Come riusciamo a penetrare il muro dell'interesse, senza peraltro allontanare chi poi è interessato o perché è proprietario o è affittuario o ha difficoltà coi lettori…

Intervento

Il problema della comunicazione riguarda spesso anche i nervi scoperti che si vanno a toccare, nel senso nomi di importanti costruttori che finanziano partiti, finanziano giunte comunali, regionali, ecc., a vari livelli; come giornalista sarebbe molto più efficace forse farli chiaramente questi nomi, cioè dire chiaramente che cosa succede. Per esempio io conosco bene la realtà romana, dove chiaramente il piano regolatore di Roma l'ha fatto Caltagirone, non c'è uno straccio di edilizia popolare e nello stesso momento vengono svenduti, quindi praticamente regalati gli alloggi popolari che ci sono già, vengono dati sia a famiglie che ci vivono da anni, sia ad altre persone che non ne avrebbero assolutamente bisogno di comprarli a prezzi stracciati. Allora come giornalista io mi chiedevo quanto fosse possibile fare questi nomi e in qualche modo trattare male i politici che ci stanno dietro, ma gridarle queste cose perché probabilmente la gente vuole sapere questo più che riflettere insomma su cose che tanto ormai le viviamo sulla nostra pelle…

Rocco

Io lavoro a Tor Bella Monaca, sono un operatore sociale, tento anche un po' di fare comunicazione, proprio su questo tema specifico; più passano gli anni e più è una situazione veramente confusa. A Tor Bella Monaca c'è una parte ristretta di edilizia privata, una grossa fetta di edilizia pubblica, quindi persone bisognose hanno fatto la domanda, hanno aspettato 10, 15 anni, qualcuno si è trovato mille espedienti, raccomandazioni e quant'altro, pur di avere assegnato un alloggio. C'era un comitato di quartiere inizialmente, stiamo parlando del 1985-86 che cercava con le associazioni di fare in modo che gli appartamenti non venissero saccheggiati, molti sono gli occupanti, però per paradosso sono persone che a tutt'oggi sborsano 20, 30, 40, 50 mila euro ai camorristi o alla 'ndrangheta che di fatto è proprietaria di questo quartiere. Noi vediamo ultimamente le camionette della polizia e dei carabinieri che sgombrano gli appartamenti occupati, quindi come fare a raccontare tutto questo? Noi lavoriamo come servizio sociale perché la Comunità Capodarco ha una postazione di frontiera in quel posto e naturalmente la richiesta che viene fuori è si quella di una casa, però fondamentalmente c'è un problema anche di accesso al reddito, alle opportunità, ai servizi e la cosa paradossale poi è che nel momento in cui a dei giovani riusciamo ad attivare dei tirocini formativi di lavoro, spesso non li accettano perché se gli si alza di quel pochino il reddito del nucleo familiare, non hanno più diritto alla casa e quindi si ritrovano a perdere un alloggio a fronte di un guadagno, magari di appena 200 euro…

Intervento

Per rimanere in ambito romano, vorrei portare l'attenzione su un altro paradosso, a parte le cifre dell'emergenza abitativa che comunque appunto anche a Roma sono altissime; qual è il paradosso? E' che rispetto alle ultime occupazioni a proposito dell'intervento della politica e del rapporto con la politica, è che queste battaglie tra associazioni e il consiglio comunale romano e l'assessorato specifico che si occupa adesso di emergenza abitativa, si verifica una situazione di stallo: in consiglio comunale ci sono dei progetti che stanno stagnanti, fermi, perché praticamente c'è una sorta di ricatto, di pretesto, per cui si dice alle associazioni che si occupano e che seguono le famiglie che hanno questo tipo di problema, di non occupare più case, far desistere le famiglie da fare le richieste e le occupazione, in modo tale che tutti i provvedimenti che sono in consiglio possano andare avanti; si è creata una sorta appunto di ricatto per cui o si dice voi adesso fate finire le occupazioni, in qualche modo non rompete più le scatole, non ci create problemi e noi facciamo andare avanti in consiglio comunale non solo la sanatoria, ma anche l'approvazione della costruzione di alloggi previsti secondo il nuovo piano regolatore e quello che dovrebbe riguardare specificamente l'edilizia pubblica. Ecco quindi che si viene a creare una situazione per certi versi paradossale, perché appunto, poi le associazioni alla fine o cedono in qualche modo a questa sorta di ricatto, in qualche modo politico, oppure alla fine si fermano i provvedimenti.

Mariangela Paone - Redattore Sociale

Io vorrei che mi aiutaste a conciliare una cosa che io non riesco a conciliare, ovvero la positività presunta della notizia contenuta nella finanziaria della costruzione di nuovi alloggi popolari e l'altro dato del patrimonio sperperato attraverso le dismissioni, cioè è come se si reinveste in una cosa che si è svenduta.

Emanuela Lucertini - Redattore Sociale

Io non vivo in una grande città, vengo da una zona di periferia e il problema della casa non c'è solo nelle grandi città, inizia ad esserci anche da noi. Per me, è strano dirlo, però single, giovane che è uscita da casa, inizia a diventare difficile pagare un affitto da sola in una zona di periferia, anche per le condizioni lavorative dei giovani. Vicino a dove abito io c'è un paese, forse conosciuto, Fabriano, un grandissimo cuore industriale, che purtroppo sta vivendo un momento di declino e anche lì per un periodo di tempo, non so se ancora continua la situazione, una trentina di persone hanno vissuto, dormito in stazione e sono famiglie che lavorano, la mattina vanno a lavorare, però non riescono a pagare gli affitti; siamo arrivati ad affitti di 550-700 euro al mese, per uno stipendio medio di 950-1000 euro se va bene. Allora quello che dico io è che forse sarebbe il caso di iniziare a distinguere bene, come ha detto il prof. Tosi, sia a livello di politica, ma anche d'informazione, tra la vera esigenza, la vera emarginazione, quelli che stanno già in una situazione di emergenza e coloro che per diverse situazioni nella vita possono caderci e quindi fare delle politiche diverse; nel caso, in particolar modo di questo secondo gruppo, ovviamente anche per il primo, ma soprattutto per questo secondo che è un potenziale soggetto che può avere dei problemi a livello anche abitativo, non è il caso d'iniziare a pensare non ai reparti standard, io mi rivolgo soprattutto ai politici, iniziare a pensare a delle politiche integrate tra loro? Non c'è una semplice politica della casa, una politica dell'immigrato, sono diverse realtà che vanno ad impattare tra di loro, le politiche sociali, le politiche sanitarie, perché una persona si può trovare in una condizione di emarginazione, magari sta bene in un momento e all'improvviso cambia tutto: io ho vissuto questo, stavo bene con il mio stipendio, facevo anche 3 o 4 lavori e mi andava bene da giovane, sana e libera, una malattia però mi ha portato a vivere un periodo di problemi, fortunatamente però, anche se sono andata fuori di casa, ho una famiglia che mi ha aiutato e che sempre lo farà; diversa è la situazione ad esempio dell'immigrato, quindi io dico che magari andrebbero viste diverse le sfaccettature e queste sfaccettature secondo me, non so se anche secondo voi, andrebbero anche viste cercando di togliere nella nostra cultura tipica italiana la politica del furbo. Perché secondo me molti non sono interessati al problema della casa, al problema di quelli che piangono perché manca questo, manca quest'altro, perché molto spesso non coincide la vera esigenza, cioè l'esigenza vera con la persona che veramente ne ha bisogno, paradossalmente alla fine sono più quelli che stranamente non hanno bisogno che ricorrono a degli ammortizzatori sociali, che ricorrono a degli aiuti e chi veramente ne ha bisogno non riesce anche per l'impossibilità di raggiungere i posti giusti. Questa è la mia constatazione, ma volevo sapere anche da voi se può essere una lettura corretta questa, dell'uscire dalla nostra cultura un po' del furbacchione, del piagnone, che vuole apparire povero quando fa bisogno, ma ricco e far vedere che comunque sta bene, che ha la macchina, che ha il cellulare, quello e quell'altro, poi magari piange ah non ho la casa, non riesco a pagare l'affitto… Ecco iniziare un po' a sfatare questi miti a partire anche dall'informazione, perché no.

Intervento - Anffas Milano

Recentemente abbiamo fatto una ricerca sul territorio di Milano e provincia, riguardo i problemi abitativi e la situazione abitativa delle persone con disabilità,  il dato che secondo me è assolutamente significativo alla luce anche di tutto quello che si è detto oggi, è che solo il 3% delle persone con disabilità vivono da sole in Milano e provincia: solo il 3% delle persone con disabilità ha la possibilità di vivere una vita autonoma, perché poi di questo si tratta, cioè il continuare a vivere in famiglia vuol dire perpetuare una situazione assolutamente di dipendenza.

Mirabella Felice

Sono responsabile di una comunità per adulti disabili. Effettivamente è vero, chi maggiormente ha bisogno difficilmente riesce ad accedere alle informazioni, per cui voi che vi occuperete d'informazione cercate di essere sensibili sotto questo aspetto e di scrivere in modo tale che l'informazione possa circolare, ma quella corretta che purtroppo non fa notizia,  perché non sempre fa notizia la disabilità, la sofferenza, il disagio sociale.

Sergio D'Agostini

Qualcosa sulla gestione del patrimonio pubblico, che oggi è ormai in uno stato di molto avanzato degrado; non penso che ci sia una ricetta, però indubbiamente dal mio punto di vista posso dire che in questo senso potrebbe essere affidato un ruolo maggiore a quel terzo settore abitativo che opera nella realizzazione, nella gestione di alloggi, anche se so che su questa questione forse gli amici del sindacato sono per certi versi critici. L'esempio appunto di Stadera è sicuramente uno di questi.

Antonio Tosi

Occupazioni abusive dell'edilizia pubblica: in Italia sono abbastanza numerose rispetto ad altri paesi. Le occupazioni abusive di immobili privati o comunque abbandonati forse no, però nelle case pubbliche noi abbiamo un certo primato e questo perché? Ovviamente la prima ragione è perché abbiamo poche case accessibili, è proprio l'esiguità dell'offerta a spiegarlo, non solo poche case popolari, poca offerta sociale. L'altra ragione secondo me importante, comune in questo caso almeno ad alcuni altri paesi in Europa, è che l'edilizia sociale, pubblica in particolare che in Italia poi è l'unica edilizia sociale tradizionale, è stata mal gestita per un periodo lunghissimo. 

Dal punto di vista tipologico nessuno costruisce più edilizia pubblica di questo tipo e da un lato è un peccato perché si chiude un occhio anche sulle esperienze positive di edilizia pubblica, perché non è vero che è tutta così negativa. Anch'io auspico che dentro i produttori sociali di case intervengano dei privati, ma non del tipo di Caltagirone, semmai fondazioni… 

L'altro punto è quello che è stato accennato un po' col termine integrato sulle politiche: non mi rimangio quello che ho detto all'inizio, che bisogna mettere insieme delle politiche, però con il termine "integrato" c'è un problema di comunicazione, non vi voglio insegnare a fare il vostro mestiere, è un paradigma ormai delle politiche sociali, cioè tutto nel discorso degli addetti ai lavori, deve essere integrato. Integrato vuol dire in questo caso, multidimensionale, l'intervento o la politica multi attore. Se uno dicendo integrato intende che bisogna coordinare, che la destra deve sapere qualcosa di quello che fa la sinistra, va bene, ma se integrato vuol dire, come anche nelle politiche integrate locali, l'area di quartiere oppure le politiche di reinserimento degli homeless, un progetto contrattato in cui tratto i tuoi problemi di alcool, di salute insieme con quelli abitativi, inserimento, qui bisogna stare molto attenti. Il fatto che i problemi siano multipli, non vuol mica dire primo che l'intervento debba essere multiplo, tutti abbiamo tanti problemi, non è che si debba intervenire a risolverli tutti assieme. L'abilità dell'intervento e della politica anche è trovare il punto di attacco nella miriade di problemi, devi trovare quello che può rompere un circolo vizioso, non di trattarglieli tutti, tanto meno di preoccuparsi di metterglieli assieme. Sono d'accordo con voi, c'è bisogno dell'accompagnamento, di quello che dicevate voi: informazione: spesso molti semplicemente non sanno, la debolezza è tale che non rende facile di saperlo, un accompagnamento leggerissimo di connessione, d'informazione.

Riccardo Iacona

Riguardo alle domande che avete fatto voi sulla questione dell'autonomia e della libertà dell'informazione: non mancano né le inchieste della carta stampata, né gli interventi di televisioni locali sullo specifico aspetto quando ci stanno degli episodi di cronaca, né la grande inchiesta; il problema non è fare il nome di Caltagirone, il  problema è che la questione casa non c'è nell'agenda politica del paese da parecchi anni e non veniva percepita come tale neanche dalle persone, perché se tu vai in giro per Roma e vai nei bar e negli autobus non è che ti parlano della casa e del problema di Caltagirone, o della periferia: non c'è solidarietà nella città. Quello che diceva la ragazza di Roma prima ha a che fare con l'immagine della città non a caso, è un po' l'immagine, dopodichè certo che c'è un problema di autonomia. Voglio dire però che ognuno faccia il suo percorso, ognuno porti un tassello, si faccia il mestiere della cronaca da giornalista con la schiena dritta. Ripeto che non esiste solo l'informazione, cioè l'immagine che basta una trasmissione, che i mali di questo paese sono dovuti al fatto che esiste una classe di giornalisti che questo paese non lo racconta, è una stupidaggine, non è vero, non è così, perché i giornalisti sono l'immagine del paese, questo è un paese a democrazia ridotta dove nei luoghi dove ci dovrebbero essere dei controlli, non ci sono. I luoghi che dovrebbero essere i luoghi delle decisioni trasparenti come i municipi non lo sono,  perché le decisioni vengono prese da altre parti. I partiti a loro volta non sono più dei templi dove si discute, perché le correnti si fanno come abbiamo dimostrato persino nei partiti del centro sinistra più per interessi locali di gestione dei posti e degli assessorati… Allora complessivamente tutti quanti noi dovremmo far diventare questo paese più civile, soprattutto per quanto riguarda la sostanza della rappresentanza democratica, cioè della responsabilità. Se tutto questo funzionasse così, questo paese andrebbe un po' meglio compreso l'accesso alle professioni, che è il mio cavallo di battaglia sul quale ho fatto forse 5 o 6 ore di trasmissione in prima serata e adesso che ho messo su la redazione per fare questo  programma ho preso tutti ragazzi, per modo di dire, perché da noi i giovani hanno 35 anni per gamba, però non hanno mai avuto un contratto con la Rai… il disastro totale, ho penato le pene dell'inferno ma sono contento così.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.