Lavoro, Colombi: ''Comunicazione ossessionata dai dati''

30nov2013
Il sociologo del lavoro Massimiliano Colombi al seminario del Redattore sociale: ''Questo tipo di comunicazione è collusiva con una volontà generale di essere spettatori delle catastrofi. Sembra che venga prodotto un effetto estetico e anestetico''

CAPODARCO - Come il lavoro fa notizia, come rischiamo tutti di parlarne in modo troppo semplificato, e come evitare questa trappola. Questo il nucleo delle riflessioni non stereotipate sul tema del lavoro  su cui si è incentrato il workshop che si è svolto stamani al seminario del Redattore Sociale “La sostanza e gli accidenti”. Con la conduzione della giornalista di Superabile Antonella Patete, il sociologo del lavoro Massimiliano Colombi ha accompagnato la platea attraverso un ragionamento articolato, partendo dalla constatazione che la crisi ha riportato al centro del dibattito pubblico il lavoro, ma non come questione etico-morale, bensì come problema drammatico. Come ha sottolineato il sociologo, tutte le inchieste degli ultimi anni dicono che il lavoro è la prima paura dei cittadini, per loro in prima persona, e soprattutto per il futuro dei propri figli. Quando una questione diventa emergenza e paura, c'è la tendenza a radicalizzare l'analisi, col rischio di incorrere in iper-semplificazioni: “rischiamo di parlare di lavoro come parliamo del calcio, in stile bar sport”, ha affermato Colombi.

“La comunicazione sul lavoro è oggi ossessionata dai dati, sparare il dato fa notizia, fa sensazione”, ha proseguito il sociologo, “come anche raccontare le storie particolarmente tragiche delle persone coinvolte da problemi su questo tema. Questo tipo di comunicazione è collusiva con una volontà generale di essere spettatori delle catastrofi. Sembra che venga prodotto un effetto estetico e anestetico”.

In questo contesto, secondo Colombi, sono cinque le sfide principali che deve affrontare un giornalista che voglia andare oltre il sensazionalismo: cercare di passare “dai dati alla conoscenza”, restituire al mero dato un senso, un significato, meglio se condiviso; comunicare in modo da vincere “l'effetto anestesia” e suscitare un minimo di partecipazione; essere consapevoli dell'importanza della conoscenza e del pensiero critico che possono in qualche modo favorire delle prese di posizione; capire in che modi proprio la conoscenza e il pensiero critico possono essere in grado di ri-attivare organizzazioni sociali che ragionino di nuovo sul tema; riuscire a dare conto dellla complessità del lavoro oggi, del fatto che ormai è più opportuno parlare di “lavori” e non più di “lavoro”, della “frammentazione delle condizioni”, delle caratteristiche profondamente mutate rispetto al secolo scorso.

Il passaggio dai dati alle storie è importante, ha sottolineato il docente, perché può fornire gli elementi che il mero dato e la mera condizione socio-demografica non consentono di capire. Le storie ci mostrano le intime correlazioni tra il lavoro e le altre sfere della vita, e quanto e come il lavoro vada visto anche per le conseguenze e le possibilità che ha rispetto i propri percorsi di vita. “Transizione è una parola chiave, ha poi affermato riferendosi al titolo del seminario, “abbiamo pensato a lungo che le transizioni fossero sfide per chi -minoranza- non aveva percorsi lineari. Oggi sappiamo che è una sfida ricorrente per ciascuno”. Un tema importante, che sconfina dalle questioni inerenti la comunicazione, ma riguarda tutti, è “come allestire luoghi sociali che sorreggano le persone nelle transizioni ricorrenti, come far sì che transitare non sia spezzattare la propria vita, ma dia la possibilità di ricomporre la propria biografia. Non esiste più il vecchio immaginario legato al lavoro, non ne esiste ancora uno nuovo. La maggior parte di noi pensa oggi il lavoro in termini individuali, senza più leggerlo in una dimensione collettiva: l'individualizzazione ci ha affrancato dall'idea di massa, ma ci ha reso più soli, e la solitudine non è adeguata per affrontare le transizioni. Dobbiamo quindi riflettere, “ha concluso Colombi, “su quali sono i legami sociali da tessere per starci dentro in modo positivo”. (Elisa Manici)