Del Grande: "L'Ue dovrebbe dare ai migranti un visto per viaggiare in aereo"

16giu2014
Il regista e autore di ‘Io sto con la sposa’, l’atteso docu-film su 5 profughi siriani e palestinesi in viaggio verso la Svezia guidati da contrabbandieri d’eccezione, commenta così l’operazione militare del governo italiano Mare Nostrum: "Ci fa onore, ma non si risolve così il problema"

BOLOGNA – “Se non ci pensa l’Italia a salvare la gente in mare, chi lo fa? Di fronte a una tragedia come quella del 3 ottobre, con 366 morti, come si può pensare che l’operazione Mare Nostrum non sia una buona idea? Gli interventi in mare aperto ci fanno onore”. Gabriele Del Grande, classe 1982, giornalista, scrittore, regista del docu-film ‘Io sto con la sposa’, commenta così Mare Nostrum, l’operazione militare varata dal governo per fronteggiare l’emergenza umanitaria del Mediterraneo, ma poi aggiunge: “In senso generale, però, per risolvere il problema reale questi interventi non servono a nulla. Perché i migranti devono viaggiare in nave e non in aereo?”. Del Grande è stato oggi tra i relatori del seminario di formazione "I numeri e le persone" organizzato a Bologna da Redattore Sociale con l'Ordine dei giornalisti dell'Emilia Romagna. 

Quale può essere, allora, una soluzione?
L’impegno dell’Unione Europea. Innanzitutto, dovrebbe fornire ai migranti in partenza dalle coste dell’Africa settentrionale un visto per viaggiare in aereo ed evitare di morire in mare. Poi, andrebbe cambiato Schengen: tutti i migranti, una volta arrivati in uno Stato europeo, devono poter muoversi liberamente e raggiungere la loro destinazione. I 50 mila migranti che arrivano ogni anno in Italia devono avere il diritto alla mobilità. Bisognerebbe anche modificare il Regolamento di Dublino: arrivi in Italia? Ti fai il permesso e poi vai dove devi andare. È controproducente costringere i migranti a rimanere nel nostro Paese contro la loro volontà.

Il ministro dell’Interno Alfano ha minacciato di bloccare Mare Nostrum. Denuncia poca collaborazione da parte di Bruxelles…
Per questo ha deciso che le impronte si prendono il giorno dopo l’arrivo: l’Europa non collabora? Allora noi ‘aiutiamo’ i profughi – soprattutto siriani ed eritrei – ad arrivare a destinazione. Le impronte digitali non si prendono subito ma il secondo giorno, le porte dei centri d’accoglienza sono lasciate aperte. Così, possono scappare e andare a Milano, dove pagano un contrabbandiere che per mille, 2 mila euro mette loro a disposizione un autista che li porti in Svezia. In Italia sia la prima, sia la seconda accoglienza sono gestite malissimo: la maggior parte delle strutture Sprar (sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, ndr) sono nel meridione, l’area più depressa del Paese. Che senso può avere? Perché i rifugiati dovrebbero voler restare lì, quando anche i calabresi, i pugliesi, emigrano? Poi, è chiaro, non bisogna fare di tutta l’erba un fascio: ci sono anche tante associazioni puntuali e ben gestite, ma è il percorso che manca. 

Lei un percorso l’ha fatto, e anche molto ricco…
Ho cominciato facendo il giornalista. Mi occupavo di sociale, ho scritto un libro dopo la mia esperienza tra i clochard della capitale (‘Roma senza fissa dimora’, ndr). Poi ho cominciato a viaggiare in tutto il Mediterraneo. A Djerba, isola nordafricana, ho conosciuto un postino, che ogni giorno andava con un sacco a raccogliere tutto quello che, alla fine della giornata, rimaneva sulle spiagge: tornato a casa, usava quei materiali – secchielli, palette, palloncini esplosi – per creare installazioni in giardino. Un giorno trovò un paio di scarpe, e poi un altro ancora. E un altro. E un altro. A decine. Centinaia. Mi misi in testa di scoprire di chi erano tutte quelle scarpe: erano di tutti i morti che il mare aveva inghiottito. Quella montagna di scarpe è l’unico monumento dedicato ai naufraghi delle traversate. Così, cominciai a raccogliere una specie di rassegna stampa di tutte quelle tragedie: volevo fare i conti e aprii un blog, www.fortresseurope.blogspot.it. Poi, decisi di dare un nome a quei numeri, e cominciai a cercare le loro storie. Il Mediterraneo è un cimitero a cielo aperto: ci sono in zone in cui la pesca a strascico viene evitata perché le reti si incastrerebbero tra tutti i relitti sommersi.

Come è arrivata l’idea di ‘Io sto con la sposa’?
Sulle tracce dei migranti, mi sono imbattuto in storie strazianti ma meravigliose. Ho cercato i parenti delle vittime, gli amici. Mi hanno raccontato vere e proprie odissee. Ragazzi della mia età – all’epoca, era il 2006, avevo 24 anni – che si mettevano in viaggio senza paura, perché la paura più grande era quella di restare nel loro Stato. Ho sentito storie bellissime, e mi sono chiesto come mai tutta quella bellezza non passasse in televisione o sui giornali. Il mio nuovo obiettivo era diventato quello di rovesciare l’estetica della frontiera.

E come?
Facendo in modo che il migrante, il rifugiato, il profugo diventasse l’eroe del racconto. Volevo che chi leggesse, provasse ammirazione per lui. Così è stato in ‘Io sto con la sposa’. Un viaggio tragicomico, che inverte l’estetica e la ricrea. L’idea ci è venuta a Milano, al piano ammezzato della stazione Centrale che accoglie un centinaio di siriani al giorno. Ne abbiamo messi insieme 5, una coppia di vecchi comunisti da anni in esilio in Libia, un padre con il figlio, un amico, tutti siriani o palestinesi. Con loro, noi e la sposa. Un corteo a tutti gli effetti. Ci siamo messi in viaggio attraverso 5 Stati, da Milano a Stoccolma, in macchina. Quando vedi il film, un po’ resti scioccato – abbiamo attraversato illegalmente 5 frontiere – e un po’ rosichi, perché vorresti essere con loro in mezzo a quell’assurda avventura. Così, l’estetica si ribalta: vorresti essere nei panni di un profugo in fuga. Cosa c’è di più paradossale? 

Avete avuto paura?
Sì, tanta. Solo in Italia, rischiavamo fino a 15 anni per favoreggiamento dell’immigrazione clandestina. E poi c’era il sistema legislativo di Francia, Germani, Danimarca e Svezia! Il nostro viaggio, il nostro film, è evidentemente un atto di disobbedienza. Sarà anche sbagliato, ma secondo noi è legittimo. Ci sentivamo in debito con loro. Un po’ come succedeva a chi nascondeva gli ebrei durante la seconda guerra mondiale. Sappiamo che molto probabilmente qualcuno ci porterà in un tribunale: per questo chiediamo aiuto a tutti. Il film è realizzato attraverso il crowdfunding e dal basso. Così, tutti possono contribuire acquistandolo in anticipo e sulla fiducia. In un processo, la nostra voce sarà più forte, grazie al contributo delle 3, 4 mila persone che ci avranno aiutato a produrre e distribuire ‘Io sto con la sposa’. (ambra notari)