“Né poveretti, né speciali”: verso una nuova comunicazione sulla disabilità

19gen2018

Seminario di formazione per giornalisti a Roma, per individuare priorità e modalità e mettere al bando “brutte parole” e “false credenze”, aiutando gli operatori della comunicazione a diventare più precisi quando si occupano di disabilità. Inail si impegna, “affinando ogni giorno gli strumenti per costruire il cambiamento culturale verso una società inclusiva”

“Né poveretti, né speciali”: verso una nuova comunicazione sulla disabilità

ROMA – “Cosa è prioritario fare, ma anche dire, per le disabilità? Quali campagne di comunicazione si potrebbero proporre su questi temi?”: è a domanda e la sollecitazione che oggi le istituzioni, tramite il Dipartimento Pari Opportunità della Presidenza del Consiglio dei ministri, ha posto agli operatori della comunicazione e i giornalisti che hanno preso parte, a Roma, al seminario “Né poveretti né speciali. Spunti per un’informazione più consapevole sulle disabilità”, organizzato dal dipartimento in collaborazione con Redattore Sociale e SuperAbile Inail. E ha assicurato, Giovanna Boda, capo del Dipartimento, che “le proposte che raccoglieremo in questa e in altre sedi diventeranno atti istituzionali”.

Ad aprire la riflessione sulla “cultura della disabilità” è intervenuta Alessia Pinzello, dirigente della Direzione centrale Prestazioni socio-sanitarie dell’Inail, che dal 2001 promuove “SuperAbile Inail, contact center integrato sulla disabilità, costituito da un portale d’informazione, una rivista mensile e un call center (800 810 810). “Dalla sua originaria funzione prettamente assicuratrice e risarcitoria, Inail ha dato vita a un sistema di presa in carico globale dei lavoratori – ha detto Pinzello - con prestazioni che vanno a monte e a valle dell’infortunio, con azioni che prevengono e prestazioni che seguono nel caso l’infortunio di verifichi”. Proprio questa “continuità con la persona con disabilità nel ritorno alla vita ha sviluppato una sensibilità dell’istituto – ha detto ancora Pinzello – che intende dunque dare il proprio contributo a quel cambiamento culturale che solo può essere alla base di una società inclusiva. In questo percorso si inquadra l’esperienza di SuperAbile Inail, ormai strutturato. Superabile è un sistema – ha riferito Pinzello – che si compone divari elementi: un call center alla pari (alcuni operatori hanno una disabilità), un portale aggiornato quotidianamente che si occupa a tutto tondo dei temi della disabilità, e una rivista specializzata. Affiniamo e ricalibriamo continuamente gli strumenti per parlare di disabilità, con la presunzione di accompagnare e stimolare questioni che riguardano la disabilità e cercando la giusta cifra, rifuggendo dalle tue tentazioni di ‘poveretti’ e ‘speciali’ e facendo sempre grande attenzione alle parole che usiamo per parlare di disabilità e, ultimamente, anche alle immagini che si usano per rappresentarla. Per questo abbiamo dato vita, alla fine del 2017, al concorso fotografico ‘Scatto InsuperAbile’, che ci ha dato grande soddisfazione. Il modo in cui rappresentiamo le cose influenza le cose stesse – ha concluso PInzello - ma molto c’è da fare anche a livello sostanziale per dare concretezza ai diritti”.

Sui “quattro atteggiamenti più diffusi nei confronti della disabilità” si è soffermato Stefano Trasatti, direttore editoriale di SuperAbile Inail e responsabile comunicazione di CSVnet: il primo atteggiamento p quello del “pietismo o compassione, che comporta l’intenzione di commuoversi e far commuovere fino alle lacrime. Questo atteggiamento porta con sé l’infantilizzazione della persona, a cui si dà invariabilmente del tu. Per chi si pone in questa modalità, la persona disabile è invariabilmente buona, mite, rassegnata, sorridente, asessuata e priva di pulsioni, concentrata sul suo essere disabile, come se lo facesse di mestiere, un angelo a cui  viene negata la possibilità di essere egoista”. Il secondo atteggiamento è quello della “prevaricazione e del disprezzo, che è nel sottotesto di molte rappresentazioni”. Il terzo atteggiamento è quello della “ammirazione, esaltazione, morbosità, che rappresenta i disabili come eroi e insiste su storie curiose e bizzarre” Il quarto atteggiamento, “più raro, è quello della leggerezza e ironia, suggerito ultimamente dai due spot di Checco Zalone per l’associazione Famiglie Sma. Ci sono quindi problemi da affrontare, nel modo di rappresentare la disabilità – ha concluso Trasatti – Primo, la sostantivizzazione della disabilità, per cui la persona sparisce dietro la sua disabilità; secondo, l’appiattimento delle disabilità; terzo, la superficialità e leggerezza, intesa come scarsità di conoscenza su aspetti tecnici”. E ci sono, infine, parole da mettere al bando, quando si parla di disabilità: come quelle contenute nella guida “Parlare civile” pubblicata da Redattore sociale, che elenca alcuni termini che, quando si parla di disabilità, non dovrebbero più comparire: come “invalido”, “handicappato”, “disabile”, “non vedente/non udente”, “diversamente abile/diversabile”, “speciale”, “normodotato”, “costretto sulla sedia a rotelle”, “affetto da disabilità”, “subnormale”, “infermo”, “impedito”, “mongoloide”, “minorato”, “storpio”.

Ne corso del seminario, si è parlato anche di lavoro, grazie alla testimonianza di don Andrea Bonsignori sacerdote, co-direttore dell’ente morale Piccola Casa della Divina Provvidenza e direttore della Scuola Cottolengo, che da anni scommette sulla possibilità delle persone con disabilità di essere “lavoratori capaci e spesso migliori degli altri, purché siano inseriti in un contesto in cui le loro potenzialità possano emergere”. Un lavoro non “per finta”, perché non è solo “terapeutico” per il lavoratore, o soltanto un “obbligo” per il datore di lavoro, ma un vero e proprio investimento, capace di produrre di profitto e di “dar vita a un competitor con le altre aziende”, ha riferito Bonsignori. Una possibilità resa concreta e reale grazie alle “leggi e agli strumenti economici oggi disponibili e che sempre di più saranno disponibili”, che sono stati ampiamente illustrati da Roberto Randazzo, avvocato, che negli ultimi anni ha sviluppato nuove aree di consulenza negli ambiti dell’innovazione, sia d’impresa che sociale. (cl)