I Redattore Sociale Milano 29-30 settembre 2006

Città crudele

La speranza sta dove non te l’aspetti

Dialogo con don Gino Rigoldi

Gino RIGOLDI

Gino RIGOLDI

Sacerdote, fondatore di Comunità Nuova a Milano.

ultimo aggiornamento 23 aprile 2009

Franco Bomprezzi

Il prossimo dibattito si intitola "La speranza sta dove non te l'aspetti" e devo dire che ho avuto la sensazione durante i precedenti interventi che ci sia poca speranza, invece credo che sia indispensabile andare dentro la realtà per capire dove sono i possibili punti di ripartenza, anche informativa, anche rispetto al nostro mestiere; la parola adesso a Gino Rigoldi.

Gino Rigoldi

Quello che io vorrei segnalare è che la speranza sicuramente esiste, può essere meno evidente, può non avere grandi espressioni macroscopiche di visibilità, però esiste. Bisogna però anche definirla un po' meglio e anche indicare dei percorsi affinchè si concretizzi. Credo che noi dobbiamo incominciare a fare un ragionamento di realtà. La prima cosa che io direi a tutti noi, a chi fa il giornalista, è che dovremmo chiamare eccezionale soltanto alcune cose che sono veramente e assolutamente eccezionali e non invece mettere enfasi su impegni, su percorsi che sono assolutamente comuni. Voglio dire che definire eccezionale una persona che si occupa dell'educazione dei giovani, che si occupa di intercettare per strada dei gruppi che sono scivolati fuori dalla scuola e poi dal contesto sociale, che si occupi di ragazzi che sono in carcere, che devono fare un percorso di coscienza e poi di cambiamento, sia assolutamente sbagliato. Tra un po' apro un negozietto e vendo tutte le medaglie, le targhe, le targhette che ho ricevuto perché, per fare un lavoro per cui tra l'altro sono pagato e sto parlando del carcere… Faccio semplicemente un'operazione che è di rispetto della legge, che è dentro la costituzione e dentro a tutte le leggi di settore e poi, essendo io anche un cristiano, per un'operazione che è squisitamente cristiana: la misericordia. 

L'atteggiamento di chi dà al male il suo nome, ma è dalla parte di chi ha sbagliato per aiutarlo a cambiare vita, ad andare avanti, è nella normalità cristiana. Il compito dell'educazione dei propri figli, o dei propri alunni, il compito di educare chi ha sbagliato, che avuto qualche tipo di problema, è un compito della normalità. Perché sono eccezionali le persone che fanno questo tipo di lavoro? Tra l'altro per dire, parlando del Beccaria, lavoro con qualche decina di operatori, di psicologi e comunque di operatori che fanno un gran bel lavoro, perché io sono quello che deve prendere le medaglie? Questo è un costume capite… Io credo che i giornalisti, chi fa comunicazione, dovrebbe dare alla normalità il suo nome; dicendolo come prete, sarebbe una bella cosa che tutti quelli che si chiamano cristiani, che si dicono portatori di una cultura cristiana, chiamassero la capacità di perdono e la misericordia con un nome di normalità dell'essere cristiani e per quel che riguarda la rieducazione dei minori un luogo di osservanza della legge, della costituzione, della carta dei diritti dell'uomo, della carta dei diritti dei fanciulli e compagnia bella. E questo bisognerà che noi ce lo diciamo continuamente e ripetutamente.

Franco Bomprezzi

Hai fatto una riflessione eccellente e visto che è l'Anffas che ha promosso questo incontro, sulla disabilità vale esattamente lo stesso discorso. Le persone con disabilità, i loro familiari, sono persone normali, che non dovrebbero essere affatto eccezionali.

Gino Rigoldi

Nel mio caso il mestiere che faccio è l'unico che so fare, non saprei che cosa fare di diverso… Ho cominciato facendo il metalmeccanico; adesso ho pure una famiglia, ho pure una decina di giovanotti: cosa c'è di straordinario? È un modo di vivere, è una direzione che non ha bisogno di eroismi. Non dico che non bisogna più parlare delle persone che fanno delle cose strane, diverse e così via, dico che bisogna parlare molto di quello che è il compito di una normale convivenza civile, di un normale modo di relazionarsi, di vivere l'impresa dell'educazione invece che pensarla come qualcosa di strano. 

La seconda cosa che volevo dirvi è questa; io soffro molto quando leggo i giornali e vedo che i problemi vengono continuamente ripetuti: cocaina a Milano, cocaina a Milano, cocaina a Milano…. Allora penso ma quando verrà in mente a qualcuno di dire come mai succede una roba di questo genere? A che bisogno, a che desiderio, a che suggestione corrisponde questa faccenda qui? Come si fa a trovare delle risposte? Bè sarebbe una grande risposta se riuscissimo anche a leggerne i significati e ad avere in mente come si fa a venirne fuori. La mia esperienza è che molte volte quando mi capita di dire o proporre proposte di soluzione o perlomeno di intervento ai giornali, questo sembra che sia meno interessante. È molto più interessante sollecitare l'ansia o comunque l'interesse. Certo c'è da dire che anche noi operatori sociali qualche volta non siamo mica molto brillanti nello spiegare le cose che facciamo e perché le facciamo e che senso hanno. Io ho fatto alcuni giorni fa un incontro con degli operatori dell'intercultura, non capivo cosa dicessero e neanche loro, credo. Si usano paroloni che poi non spiegano la realtà vera.

Al Beccaria avevamo dei problemi a far dei progetti, che consisteva nel "concordare" ragazzi e ragazze di diverse nazionalità con le loro diverse culture e visioni del mondo; ma a noi tocca capire come si fa ad entrare in sintonia ed è una bella avventura, è una cosa importante ed interessante, perché se e quando riusciamo a concordare questi ragazzi e ragazze che arrivano in carcere, riusciamo ad avere anche gli strumenti poi per rispondere concretamente ai problemi; perché poi ci vuole la casa, il lavoro, una compagnia, quel che serve per una vita sociale. Più del 70% dei ragazzi e delle ragazze, per i quali facciamo un programma, riescono bene, la recidiva è molto modesta nel minorile. Qui a Comunità Nuova e non solo, il volontariato sociale di Milano fa dell'educazione di strada, vuol dire educare gruppi di ragazzi o ragazze stranieri o italiani che sono in giro per la città. Sembra che sia una cosa complicata ma vi meravigliereste se faceste questo lavoro, perché quando si va a parlare con loro si stabilisce subito un rapporto, perché la relazione è il parlarsi eliminando dalla mente e dal linguaggio ogni forma di giudizio.

Parlare semplicemente per incontrare quelle persone, per stabilire un rapporto e intanto vi accorgete che sono ragazzi, anche nell'età, nel modo di pensare, nei desideri del cuore. Quando finalmente poi si accorgono che qualche adulto, o qualcuno comunque gli dà valore, vuol star con loro, questi gruppi si mettono in movimento. Non è mica vero che questi sono gruppi di delinquenti che devono soltanto spaccare, incendiare e distruggere. Mi diceva qualche giorno fa un giornalista che stanno nascendo delle bande di italiani che controllano il territorio. Perché hanno bisogno di questa roba qui? Intercettandoli, poi capisci che hanno bisogno di segnalare al mondo che esistono anche loro, la vecchia storia di dire: "ci siamo!". Sapete cosa chiedono questi ragazzi: sicurezza. I giovani oggi chiedono sicurezza. Sicurezza vuol dire certamente la casa, da mangiare, ma non solo; chiedono degli adulti che siano degli interlocutori sapienti, accoglienti, non giudicanti, magari con qualche fantasia in testa, con qualche idea di futuro e di idealità da raggiungere. 

C'è in giro questa energia che è la nostra speranza, che è in grado di intercettare, di mettersi in ascolto, di vederli. A me resta in mente il ragionamento di un sociologo americano, il quale diceva che c'è una maniera per non incontrare nessuno, direi per declassare, per escludere, per ignorare, non so come si dice. Si può disprezzare le persone a voce con dei fatti concreti oppure apprezzarle. Si possono disprezzare invece senza neanche parlare, basta non vederli. Quelli che vedi e quelli che non vedi più. Io parlo di giovani perché questo faccio, ma immagino che lo stesso discorso va ampliato per i disabili, per gli anziani, per tante altre persone che vengono classificate in condizioni di marginalità. 

Un'altra cosa che io non so come si possa descrivere, ma credo che dovrebbe essere descritta, lo dicevo anche all'inizio, ma voglio ripeterlo adesso, è l'educazione: il tempo, le modalità, gli attori dell'educazione. Che vuol dire secondo me fare un discorso molto sommario, significa aiutare i ragazzi e le ragazze a capire i percorsi per fare una vita bella e buona, dove se tutti sappiamo dare aiuto a questi giovani, che è sempre un cammino di autonomia, di libertà, poi anche la ricchezza fuori, chiamiamola così, i percorsi della vita, saranno godibili, saranno occasione di crescita. Dove sono i luoghi dell'educazione? Certamente la famiglia, la scuola, le aggregazioni sportive… ma l'educazione che può essere anche una parola sterile, può anche significare capacità di relazione, di amore, di responsabilità, di vivere degli ideali. Abbiamo bisogno di ripeterci che star vicino alla crescita dei giovani è intanto una bella avventura, un lavoro assolutamente nobile, bello e di grande significato per chi lo fa ed è socialmente, assolutamente necessario e opportuno e anche questa è normalità. Noi dovremmo affermare anche in questo caso la nostra normalità di persone che credono di essere in grado di fare i genitori, gli insegnanti, i preti, gli operatori sociali, tutto quello che voi volete, a fare un'impresa bella e buona, che è fondamentale per la vita del singolo, ma anche per il futuro di tutta la società. 

Credo che ci vuole fede e amore per fare una roba di questo genere, però è importante che chi è responsabile dell'educazione sia consapevole che le persone devono essere dentro, al centro; la persona coi suoi tempi, coi suoi dinamismi, le sue ricchezze, le sue povertà, avendo in mente che ogni vita è tutto il mondo, che qui quando si parla di persone non si fa questione di numeri, ma di una vita che viene intercettata, viene promossa, cresce e diventa quello che desidera diventare.

Io ho un sogno: di fare a Milano un istituto della relazione e della comunicazione per studiare, per formare, per imparare, perché la relazione, come pure la capacità di comunicazione oggi non possono essere se non che una scelta e una disciplina. Prima ci diceva giustamente Daniele Checchi che una delle grandi povertà di Milano è la povertà relazionale e così non si va da nessuna parte, così la speranza non si semina. È mettendosi insieme e dando credito all'energia, alle risorse che l'altro ha per fare amicizia con me, per legarsi con me, per volermi bene, per costruire comunità, che noi cambiamo le cose che intorno a noi non vanno bene. Siccome sono un prete non posso che concludere così come faccio adesso: nel Vangelo c'è scritto che di Dio ce ne sono 2: uno è il Dio di Gesù Cristo, per gli islamici diciamo Allah e l'altro dio è il danaro con tutto quello che si trascina dietro. I giornalisti non devono essere quelli che educano il popolo, però possono essere un luogo di pensiero critico; insomma siete troppo importanti per la società in cui viviamo e potete vivere questa impresa come una grande fatica ma anche un grande esaltante impegno di cambiamento, di speranza, questo è l'augurio ovviamente che noi vi facciamo.

Intervento

Concretamente c'è la possibilità che nasca a Milano questo istituto della comunicazione e della relazione? E poi quali sono le basi tecniche su cui si fonderebbe un istituto di quel genere?

Gino Rigoldi

Io credo che a Milano una cosa che non manca siano i soldi, dopo qualcuno li ha e qualcuno non li ha e questo è un altro discorso. Ma è questione io credo di promuovere, di sollecitare, di essere insistenti a chiedere. Io ho fiducia che si riesca a fare, stiamo in una fase abbastanza avanzata di progetto.

Bernarda Ricciardi - Corriere delle opere

Mi ha colpito molto nel suo intervento quella sottolineatura della proposta, una proposta che mette in movimento e inoltre la critica che fa invece ai giornali che tendono a riproporre il problema, ma non si soffermano sul significato di quel problema. Da sacerdote, che lavora da tanti anni in questo settore, in che cosa lei individua l'imprevisto e il criterio con cui far emergere il significato dei problemi, quindi che ci dia la chiave di lettura del problema stesso?

Gino Rigoldi

Con l'impegno. Al Beccaria quando incontro il ragazzo o la ragazza che sono lì, stabilisco subito una relazione che comincia con delle banalità poi diventa qualcosa di un po' più serio. Cosa cerco? Per me è chiaro. Questo è un portone per entrare nella relazione, dopo di che il problema di cui questo ragazzo o questa ragazza sono portatori diventano abbastanza chiari e va da sé che i ragionamenti che facciamo, cioè quello che io mi sento di comunicare, non lo faccio con le prediche; quello che secondo me è giusto e vero lo metto nella disponibilità di questi ragazzi e di queste ragazze. E siccome io sono un prete, sono un cristiano, sono quello che vuoi, ognuno ha la sua storia, dico quello che secondo me sono le cose giuste e vere. Va da sé che questo crea anche un giudizio su ciò che è successo a lui, alla sua vita alle sue scelte e compagnia bella insomma. Secondo me la relazione non è un parlarsi, sono due umanità che s'incontrano e dentro questo incontro capita che si fa un giudizio, se si vuole, o comunque un confronto di valori. Andando nelle scuole, negli oratori, nei gruppi giovanili sa che cosa trovo io regolarmente? Trovo che quando chiedo a loro cosa fanno me lo dicono in un istante, quando chiedo come sono i rapporti all'interno, quanto si conoscono, quanto si dicono in faccia le cose che pensano, quanto soccorrono qualcuno che sta male, a questo punto c'è regolarmente tempo di silenzio e di difficoltà, perché la nostra normalità non prevede questa caratteristica. In gruppo parrocchiale, sportivo, scolastico qual'è la cosa più importante da fare? È che la gente che è lì si parli, sia relazionata, si conosca, dopo di che faranno anche delle cose straordinarie, che sono necessarie, sono cogenti come può esserlo in una scuola, ma guai se il fare uccide lo stare insieme, è la fine ed è purtroppo la quasi normalità. Certo qualcuno viene coinvolto in certe imprese allora l'imprevisto diventa per lui il momento del risveglio dell'attenzione, dell'accorgersi che esiste questa persona, però è questa nostra normalità che secondo me dal punto di vista del relazionale non è nel programma. In una scuola, in un gruppo giovanile non può non essere nel programma una cosa di questo genere qui.

Fabio Fioroni - Italia solidale

C'è una cosa che mi ha colpito, quando parlavi dei bambini dei paesi dell'est che non hanno avuto praticamente un'esperienza di amore e quindi dicevi, è più difficile lavorarci. Però quando poi in realtà incontrano persone che le rispettano e che quindi le amano, questi ragazzi escono fuori con le loro forze, le loro capacità. Ora siccome il motto dell'incontro è "siamo tutti disabili", a me mi ha colpito prima quando si diceva che la nostra disabilità dipende da qualcosa che è fuori di noi, fuori dalla persona, ad esempio per il rumore non si riesce ad avere un dialogo. Ora prima per fare un esempio abbiamo assistito a un dialogo tra due professori, che però era la somma di due monologhi, quindi non era un vero e proprio dialogo, c'era un gran silenzio. Allora a me mi viene da pensare che la disabilità reale che è vera sia qualcosa che però dipende da dentro la persona, non da condizioni esterne. Questa mancanza di amore probabilmente, questa che tu hai riscontrato nei ragazzi dei paesi dell'est, probabilmente in realtà è un'esperienza molto comune qui, probabilmente è la radice del perché siamo tutti disabili, che è vero. Ti volevo chiedere: per te siamo tutti disabili? Questo io lo do per scontato, ma dipende da questa mancanza di amore? Amore cioè che sia un rispetto della nostra natura, del nostro modo di essere.

Gino Rigoldi

I ragazzi dell'est hanno proprio qualcosa di molto specifico, perché se neanche la loro mamma gli ha detto: sei il mio tesoro, prima di credere a un altro che ti dice: io ti voglio bene sono tuo amico, ce ne mettono di tempo. Invece chi ha avuto, come molti di noi, la fortuna di avere il papà e la mamma che gli hanno sempre detto sei il mio tesoro, abbiamo fatto già una bella sicurezza. Il problema di tanti adolescenti che delinquono è legato anche a quel fatto lì. Dopo di che il discorso dei cristiani e dei figli di Dio e dell'amore del prossimo, qui ce n'è di cammino da fare. Anche i rom sono nostri fratelli? Anche Erica ed Omar sono nostri fratelli? Anche gli islamici sono nostri fratelli? Tutti figli di Dio con un'uguale dignità? Il travestito che batte e il Papa hanno la stessa dignità, perché non c'è nessuna dignità superiore ad essere Dio? Prima parlavo del danaro, ma vogliamo dirci che la ricchezza è un furto? Per me è impensabile che Dio ha dato i suoi beni a tutti i suoi figli e a tutte le sue figlie e c'è qualcuno che ha assolutamente in eccesso quella che è una ragionevole sicurezza sua e un altro muore di fame? E un altro che è mentre una baraccopoli di Nairobi? Gesù Cristo secondo me era un laico, intanto ha fatto l'operaio fino a 30 anni ed aveva le mani con i calli, lo conoscevano come il falegname, il figlio del falegname. Non era un dottore, non era mai andato a scuola, sapeva leggere e scrivere perché suo papà e sua mamma glielo hanno insegnato, ma non è mai andato a scuola. Qualcuno ha detto: ma forse andava con gli Esseni, questi filosofi nel deserto, e quando mai? Non c'è nessun elemento per dirlo… Gesù dice a un certo punto: alla fine del mondo sarete tutti davanti al trono di Dio a destra e sinistra perché avevo fame e mi avete dato da mangiare, avevo sete e mi avete dato da bere, ero senza casa e mi avete ospitato, ero in carcere e mi avete visitato, ero malato e mi avete curato…bene siete dei miei! Non ti dice neanche se andavano o non andavano a messa, se avevano rispetto per il Papa, per i Vescovi, per i Preti, se hanno votato per il partito giusto… E' scritto, non sulla settimana enigmistica, è scritto sul Vangelo che per noi è parola tassativa come legge, sarebbe una bella cosa che lo diventasse veramente, per noi, per chi è credente.

Intervento

Io propongo un corollario al tuo sogno: vedere se siamo capaci dopo tanti anni di creare una Milano che sia la città dell'integrazione, perché mi ha fatto specie sentire che ci sono 10 mila persone senza fissa dimora. Così come mi fa specie, trovo scandaloso che ci siano ancora i ghetti in cui le varie etnie dialogano solo tra di loro e addirittura i rom sono messi nelle estreme periferie della città, gente per cui non esiste nessuna speranza, se non di continuare a stare lì per tutta la vita.

Gino Rigoldi

Questa è una grande impresa che bisognerà pur cominciare.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.