Bomprezzi: “Il giornalista sociale non deve essere buono, ma bravo”

28apr2011
Il giornalista e blogger al seminario di Redattore Sociale a Milano: “Da un lato ci sono i professionisti del sociale, molto competenti, ma che tendono a usare toni un po' edulcorati. Dall’altro chi cade in errori e banalizzazioni”

MILANO - Quando ci si cimenta con il giornalismo sociale si oscilla tra due opposti. Da un lato quello di professionisti molto competenti ma di parte che, proprio per la grande vicinanza alle realtà che raccontano, tendono a usare toni un po' edulcorati. E che per questo non sono credibili. Dall'altro l'approccio di chi non ha sufficienti competenze e che cade in facili stereotipi, banalizzazioni, veri e propri errori. "Il nodo principale è sempre quello di verificare la notizia, così come avviene in tutti gli altri settori dell'informazione -commenta Franco Bomprezzi, giornalista e blogger-. Il giornalista sociale non deve essere buono. Deve essere bravo e fare bene il suo mestiere". Franco Bomprezzi ed Elena Parasiliti, direttore di Terre di mezzo, hanno animato il dibattito nella prima parte del seminario "Il tesoretto delle notizie" con un incontro intitolato "Lei non sa chi sono io... figli, nipoti e orfani dell'informazione sociale".

Durante l'incontro, sono stati presentati alcuni esempi di come la stampa italiana (nazionale e locale) ha trattato alcuni temi legati a vari temi sociali: dalla disabilità all'immigrazione. "Ci ha stupito leggere sulla prima pagina de La stampa il titolo Attenti ai cinesi, sono qui per copiare -commenta Elena Parasiliti-. Nell'articolo si parlava di una ricerca condotta nel Regno Unito che però veniva legata a una città in cui vivono circa 2mila studenti cinesi". Nel pezzo non veniva data voce alla comunità cinese e, nei giorni successivi, non è stato dato spazio alla replica dei giovani di Associna che, ben lontai dall'essere degli 007 infiltrati nelle università italiane, promuovono iniziative di integrazione e conoscenza reciproca che coinvolgono immigrati e italiani.

I relatori hanno chiamato in causa non solo la professionalità del cronista che scova e costruisce la notizia, ma anche quella di chi, all'interno della "macchina-giornale" contribuisce a costruire il sistema dell'informazione. È il caso, ad esempio, del "Gazzettino di Padova" che ha dato spazio a una notizia fuorviante che riguarda una donna rom cui viene appiccicata l'etichetta di "falsa invalida":  la donna, che è seguita dalla Caritas locale, chiede l'elemosina in carrozzella perché non può stare in piedi troppo a lungo. "Il giornalista che ha scritto il pezzo la osserva semplicemente, non le ha mai parlato. Se lo avesse fatto, avrebbe scoperto un'altra realtà", commenta Elena Parasiliti.

Altro caso presentato, quello della copertina del settimanale Panorama che riporta in copertina la figura stilizzata di un omino in carrozzina con le sembianze di Pinocchio e il titolo "Scrocconi". "Questa non è un'inchiesta, ci diversi errori, molti dei quali grossolani -commenta Franco Bomprezzi- il pezzo si limita a riportare i dati Inail senza dare voce alle tante associazioni di disabili che quei dati li hanno contestati".

Ultimo caso, quello dell'asilo "Obra del nino" di via Padova, gestito da alcune donne peruviane in collaborazione con la cooperativa Comin. Una piccola realtà che lavora per l'integrazione dei bambini stranieri, ma che per Il Giornale, diventa semplicemente "L'asilo dei bambini clandestini". "I bambini non sono mai clandestini -puntualizza Elena Parasiliti- Se la giornalista avesse visitato l'asilo e non si fosse limitata a una telefonata, avrebbe scoperto che la realtà di cui stiamo parlando è molto più complessa". (is)