Nel mondo 38 "predatori della libertà di stampa". Rapporto Reporters sans frontières

03mag2011
L'elenco comprende, tra gli atri, il presidente ruandese Paul Kagame, il bielorusso Alexandar Lukachenko, l'eritreo Isaias Afeworki e i cartelli di narcotrafficanti messicani. Per l'Italia c'è il presidente del Consiglio Berlusconi

MILANO - Sono 38 i "predatori della libertà di stampa" censiti nel rapporto 2011 di Reporters sans frontières, presentato questa mattina a Milano, in occasione della Giornata mondiale per la libertà di stampa. Un elenco che comprende, tra gli atri, il presidente ruandese Paul Kagame il bielorusso Alexandar Lukachenko, il presidente eritreo Isaias Afeworki e i cartelli di narcotrafficanti messicani. Per quanto riguarda l'Italia, anche quest'anno, tra i 38 predatori è presente la criminalità organizzata italiana, che continua a considerare propri nemici i giornalisti che ne parlano. Il rapporto ricorda i casi più noti di giornalisti minacciati (da Roberto Saviano a Lino Abbate a Rosaria Capacchione) così come il mancato sostegno del Primo Ministro italiano, Silvio Berlusconi, che -a novembre 2009- dichiarò che avrebbe voluto strozzare scrittori e autori di cinema che davano una cattiva immagine dell'Italia parlando di mafia e camorra.

Nel rapporto 2011 il "posto d'onore" va al Nord Africa e al Medio Oriente, luoghi che hanno visto negli ultimi mesi eventi drammatici e talvolta tragici. "La libertà di espressione è stata una delle prime richieste dei popoli in rivolta -si legge nel rapporto- una delle prime concessioni dei regimi transitori e uno delle prime realizzazioni, anche se molto fragili, delle rivoluzioni".

Tentativi di manipolare i giornalisti stranieri, arresti arbitrari e detenzione, deportazione, negazione di accesso, intimidazioni e minacce, la lista degli abusi contro i media nel corso della primavera araba "è sconcertante", si legge nel rapporto. Ci sono stati più di 30 casi di detenzione arbitraria in Libia e di un numero simile di corrispondenti stranieri espulsi. Metodi simili sono stati utilizzati in Siria, Bahrein e Yemen, dove le autorità fanno ogni sforzo possibile per mantenere i mezzi di comunicazione a distanza in modo che non possano girare video della repressione. "I media hanno raramente avuto un ruolo così fondamentale nei conflitti -si legge nel rapporto-. Questi regimi, già tradizionalmente ostili alla libertà dei media, hanno trattato il controllo delle notizie e delle informazioni come una delle chiavi per la loro sopravvivenza". Il testo integrale del rapporto, è scaricabile dal sito di "Reporter sans frontiere", www.rsf.org (is)