“Benvenuti in Italia”: ironia, angoscia e speranza nelle storie dei rifugiati

25gen2012
Anteprima alla casa del Cinema per i corti di cinque autori stranieri sulla quotidianità dei rifugiati somali, afgani, curdi e burkinabè. Uno sguardo attento e allo stesso tempo lieve sull’Italia che cambia

ROMA - Sempre ben vestita con colorati abiti tradizionali del suo paese, Margherita Bambara è la padrona di casa di una piccola pensione, ristorante e ritrovo dei burkinabè a Napoli. È anche una rifugiata. Ha lasciato il suo paese e i suoi figli perché il marito la picchiava e minacciava di ucciderla. "Chez Margherita" è il posto dove tutti i fratelli africani trovano alloggio. Se hanno soldi contribuiscono all'affitto. Sennò mangiano e dormono gratis. Ma per Margherita diventa un problema continuare a pagare il canone mensile. Dipinta con ironia e delicatezza, la storia vera al centro del corto di Hamed Dera, rifugiato ivoriano, è uno dei cinque lavori del film documentario "Benvenuti in Italia", realizzati da altrettanti rifugiati. Un opera ben riuscita che ha poco da invidiare ai migliori documentari italiani sul tema delle migrazioni. Margherita, ripresa nella quotidianità, buca lo schermo. Quando va a fare la spesa e quando a fine giornata segna su un quaderno i crediti dei tanti clienti che non pagano, domina la scena con battute divertenti o riflessioni amare, ma soprattutto con la forza delle donne africane. Hamed Dera ha incontrato Margherita nel ghetto di Pianura, prima dello sgombero. Lì, in quelle condizioni precarie, Margherita aveva già impiantato una piccola attività. Poi è andata a trovarla con la telecamera anche a Napoli per raccontare uno spaccato di vita dei migranti con il quale gli italiani entrano difficilmente in contatto. " Da bambino sognavo di diventare un cineasta e di poter partecipare al Festival del Cinema Africano a Ouagadougou. Spero che il grande sogno diventi realtà" dice il regista.

Faceva invece il giornalista Zakaria Mohamed Ali, costretto a lasciare Mogadiscio dopo l'omicidio del suo maestro di giornalismo e di altri colleghi. Per la prima volta nel ruolo di documentarista, ha raccontato la storia di Dadir, ex calciatore della nazionale somala. In Italia Dadir è costretto a fare la spola tra Milano, dove vive in un centro d'accoglienza, e Roma, dove può giocare a calcio con una squadra composta da altri somali. Non può pagare il biglietto del treno. Così il viaggio è una lunga rincorsa con i controllori che lo fanno scendere alla prima fermata. "Anche se mi hanno fatto la multa quattro volte, sono qui per la Somalia" dice ai compagni di squadra che lo aspettano con le sacche sportive fuori dalla stazione Termini. "Mi dispiace per le occasioni perse in Somalia - racconta Dadir nel corto - Da quando sono nato ho vissuto solo 2 o 3 anni di pace. Qui non ho nessun valore, non importa a nessuno che giocavo nella Somalia, vorrei vedere un giorno anche il mio nome scritto su un muro". Il monologo fa parte di una passeggiata per le strade di Milano e si ferma bruscamente davanti a una scritta: "Seedorf non sei italiano, sei un negro africano".

Il razzismo diventa il tema centrale del documentario firmato dall'unico filmmaker esperto del gruppo di cinque autori: Dagmawi Yimer, rifugiato etiope già noto per altri documentari di successo, tra cui "Come un uomo sulla Terra". La telecamera di Yimer segue le performance dell'attore senegalese Mohamed Ba, trapiantato a Milano. L'attacco è ironico. Ba sottolinea di essere "italianizzato" perché vive nel paese da 12 anni. "Ma un tronco d'albero può stare in acqua per secoli e non diventerà mai un coccodrillo" spiega Ba davanti ai bambini di una scolaresca. Con l'attore afferriamo pillole di una vita a metà fra il Senegal e l'Italia, profondamente segnata dal viaggio. "Mio nonno mi accompagnò in aeroporto - dice Ba - e mi disse: caro nipote ti auguro di fare un bel viaggio e di non rincorrere l'avere. Rincorri il sapere perchè prima o poi sarai tu a dover gestire quello che hanno trovato loro". Ma la cultura di Ba nulla può contro la violenza che irrompe quando il 9 dicembre del 2008 un trentenne italiano con la testa rasata lo accoltellà ripetutamente all'addome, lasciandolo esangue alla fermata dell'autobus. Qui comincia la parte più drammatica del corto "Una Relazione" di Dagmawi Yimer. Un pugno nello stomaco per gli spettatori, una riflessione breve e intesa sulle conseguenze del razzismo sulle strade d'Italia.
Hevi Dilara, rifugiata curda, racconta la quotidianità di una giovane coppia di curdi fuggiti dai processi politici in Turchia. Abitano a Ercolano e hanno una bimba di pochi mesi, anche lei si chiama Hevi. La mamma ha 8 processi in corso nel paese d'origine ed è già stata condannata a 10 anni di carcere. Il loro dramma, di essere bloccati in un limbo, si consuma giorno dopo giorno senza che gli abitanti di Ercolano ne sappiano nulla. Angoscia per il passato e allo stesso tempo speranza per la vita futura della piccola Hevi si dischiudono solo davanti alla telecamera amica dell'autrice del corto "Una vita per lei".

Angoscia è pure quella che arriva dal lungo sospiro di Nasir che chiude il corto "Tanti auguri", girato dal rifugiato afgano Aluk Amiri. Anche Nasir è un giovane afgano e compie 18 anni in un centro d'accoglienza a Venezia. Da maggiorenne dovrà lasciare il centro e non sa cosa sarà il futuro. Anche guardando indietro alla vita di prima, nel passato non vede nulla. Nasir non ha più notizie dei suoi genitori da quando ha lasciato l'Afghanistan, non sa se sono vivi o morti. Non conosce neppure la sua lingua d'origine, non sa leggerla né scriverla. Per questo, dice, in Italia gli piace molto studiare. Lo studio era un sogno proibito in Afghanistan. Attraverso gli occhi di Nasir e dei giovani afgani, il regista Amiri compie un salto nel passato e rivive la sua esperienza del viaggio a soli 15 anni fino in Italia. E un ragazzo racconta davanti alla telecamera: "sono arrivato chiuso in un baule nel cofano di una macchina di una coppia di turisti che non sapevano nemmeno che io fossi lì".
Ironia, sofferenza, razzismo versus dignità umana. Sono racconti brevi, semplici nel filmare la vita quotidiana ma densi di riflessioni sull'Italia di oggi i cinque cortometraggi realizzati da rifugiati politici di cui c'è stata l'anteprima alla Casa del Cinema di Roma. Il 27 per la giornata della Memoria, "Benvenuti in Italia" sarà proiettato in contemporanea in cinque città: Milano, Roma, Napoli, Venezia, Verona.  A formare i rifugiati sul cinema documentario è stato l'Archivio delle memorie migranti, grazie al sostegno di Open Society Foundations e Lettera27. (rc)