A Capodarco Uliano Lucas, il “fotografo della trasformazione”

30nov2012
Nella prima giornata del seminario Redattore Sociale, l’incontro con uno dei più grandi foto-giornalisti italiani. “Il giornalismo degli anni ’60 era fatto di cialtroni. Ho scelto di fare il free lance in un Paese di analfabeti della fotografia”

 

CAPODARCO DI FERMO - Il fotografo e il sociale. Il 19° seminario Redattore Sociale ha aperto i lavori con l'intervento di uno dei più grandi fotogiornalisti italiani: Uliano Lucas. Entrato giovanissimo in contatto con il gruppo di fotografi riunito a Milano attorno al 'Bar Giamaica' (storico circolo milanese), Lucas - oggi 70enne - ha collaborato con numerose testate italiane e internazionali e ha realizzato decine di libri e di mostre personali. Ha fotografato, tra l'altro, l'evoluzione del lavoro, della salute mentale dai manicomi in poi, della tossicodipendenza, della disabilità, delle periferie, del volontariato, delle diseguaglianze sociali, unendo sempre la durezza della denuncia alla testimonianza documentata e all'attenzione alle storie delle persone incontrate.
Intervistato dal direttore dell'Agenzia Redattore Sociale, Stefano Trasatti, Lucas ha parlato e ha consigliato la giovane platea sui modi di dipanarsi senza difficoltà nel "labirinto" dell'informazione. "Lucas è stato dentro il romanzo della società italiana e internazionale - ha affermato Trasatti -. In realtà è stato ed è il fotografo della trasformazione. Lontano dai circoli e dai compromessi", ha aggiunto.
La storia. Ma cosa significava in quel periodo far parte di quel gruppo? "Per me è stata l'assoluta libertà, la capacità di parlare e ragionare con gente straordinaria, che arrivava dalla provincia - ha ricordato Lucas -. Non si ragiona spesso sull'immigrazione intellettuale che ha fatto grande Milano. Milano diventa grande per questo: l'arrivo di personaggi che hanno fatto grande la città. Un mondo di gente libera e libertaria, che si godeva la vita".
"La mia vita è stata una grande sequenza di incontri - ha continuato -. Ho scoperto il cinema, Brecht, il dadaismo, ecc… In un contesto che era provinciale e che rimane provinciale".
"Il giornalismo degli anni '60 era un giornalismo di veri cialtroni - ha cggiunto Lucas -. Andate a sfogliare i rotocalchi di allora, che arrivavano a 20 milioni di copie. Argomenti irreali: sua maestà, le maggiorate fisiche, i cantanti… La realtà italiana, le periferie, i problemi delle donne che entravano nel mondo del lavoro… Niente!! Non se ne parlava! Non c'erano diritti, libertà. Il gruppo del Giamaica era gente che viveva con proventi di foto vendute ai grandi giornali europei. In Italia non si vendevano. Non si pubblicavano, perché il conformismo era tanto. Per fortuna poi è nato l'Espresso, il Mondo e l'Europeo, e noi abbiamo trovato una nostra collocazione".
Questione di scelte. Lucas ha sempre sostenuto i generi, inventandone alcuni. Ha fotografato le scritte di protesta sui muri,per esempio,e ha introdotto la fotografia stradale. Ha anche dato un timbro alla foto sociale. Poi c'è stato l'impegno civile. Il tutto ha creato una figura di fotografo indipendente ma che prende sempre posizione. "E' una scelta - ha affermato -. Ho scelto di fare il free lance in un Paese analfabeta in fatto di fotografia. E la fotografia, oggi, è ancora controllata dal direttore. Non c'è un direttore specifico come in Francia o in altri Paesi. In quei tempi si è potuto fare del giornalismo libero perché la società era in fermento!  Si andava alla Fiat per capire 50 mila operai da dove arrivavano, dove vivevano, la loro formazione… Inchieste vivendo dentro. L'ho fatto con Basaglia per gli ospedali psichiatrici. E l'ho fatto dappertutto nel mondo, con la solidarietà degli altri. Il primo reportage all'Ilva di Taranto l'ho fatto andando lì per una settimana, nel 1982! Ma non vendevo le foto. Non è merce! E' parte della mia storia! Ed ancora: i primi immigrati sono stati fotografati nel 1969 a Mazara del Vallo. Il 'Giamaica' mi ha insegnato a non avere miti. Smettiamola con queste cose. Ai tempi si viaggiava per mesi con grandi giornalisti. Ma finiva lì.  La necessità era solo quella di raccontare". (da.iac)