Non profit, Terzo settore e volontariato: "Le differenze non sono solo lessicali"

17giu2014
Al seminario per giornalisti di Redattore sociale a Roma a confronto le riflessioni di Rastello, Frisanco e Albanesi. "C'è una distinzione valoriale: per il terzo settore è la democraticità, il non profit l'aspetto economico e il volontariato la solidarietà e la gratuità"

ROMA - Non profit, Terzo settore e volontariato: le differenze non sono solo lessicali, ma si tratta di realtà complesse, con vocazioni spesso molto diverse tra loro e a volte rappresentati da dati e norme che non sempre riescono a cogliere tutte le diverse sfumature. E' stato questo il tema affrontato nei lavori pomeridiani del seminario per giornalisti organizzato da Redattore sociale a Roma, presso Porta Futuro, dal titolo "Miseria e Nobiltà, il declino del welfare e le risposte ancora possibili. A confrontarsi sull'argomento Renato Frisanco, sociologo e ricercatore della Fondazione Roma Terzo settore, Luca Rastello scrittore e giornalista e autore del romanzo “I buoni” pubblicato per Chiarelettere e infine don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco.

Per Frisanco, non si può parlare di non profit e terzo settore senza fare "distinzioni e precisazioni". Si tratta di "una galassia con specifiche vocazioni - ha spiegato Frisanco -. Dalla tutela dei cittadini alla sperimentazione e gestione dei servizi. C'è che dice che non si può arrivare ad una definizione di terzo settore perché i confini sono sfumati, opachi. Soggetti talmente diversi tra loro da lasciare a stento intravedere un denominatore comune". Secondo il sociologo della Fondazione Roma Terzo settore, tra Terzo settore e non profit c'è "una distinzione valoriale e non solo lessicale - ha aggiunto -. Terzo settore esprime meglio la peculiare dichiarazione di intervento della società civile, mentre non profit accentua l'aspetto economico del settore che non è la caratteristica principale del terzo settore". A caratterizzare quest'ultimo, infatti, c'è la democraticità. "Si tratta di realtà che nascono dalla partecipazione diretta dei cittadini - ha detto Frisanco -, gestite in modo democratico. In questo modo non sarebbero organizzazioni di terzo settore quelle controllate da soggetti altri o gestite in modo non democratico, come lo sono le fondazioni o i partiti". Diverso da entrambe le categorie, il volontariato caratterizzato "dall'esclusivo fine della solidarietà e dalla gratuità assoluta". 

Nato e cresciuto in un modo "magmatico, caotico, esponenziale", invece, il non profit italiano, secondo quanto ha raccontato Rastello che nel suo ultimo libro, "I buoni", ha raccontato gli aspetti oscuri che spesso si celano tra le attività di grandi organizzazioni non profit. Organizzazioni che "per il 94 per cento rappresentano un fenomeno giovane" che si è trovato di fronte ad una riforma del welfare che ha spinto verso la privatizzazione, costringendo questo mondo a "confrontarsi con una divisione economica e organizzativa" tipica dell'impresa sociale. "Negli anni 90 si viene lanciati in un meccanismo dove è richiesta la professionalizzazione degli attori - ha spiegato Rastello -. Arrivano gli specialisti del fundraising. Lanciati in una logica di mercato, di concorrenza, marketing, concorrenza spietata in un mercato di risorse limitate dove ha molto peso il mondo delle donazioni ed è molto difficile ragionare in termini di investimento". Una nuova dimensione dove preoccupa soprattutto la "percezione delle organizzazioni per quello che sono e non per quello che fanno - ha aggiunto -. Con la valutazione sull'affidabilità nei confronti dei donors e non sulla finalità sociale e sull'efficacia degli interventi che si realizzano. Questo è sicuramente un problema".

A chiudere gli interventi dei relatori, le riflessioni di don Vinicio Albanesi, presidente della Comunità di Capodarco, che denuncia la lontananza tra il mondo degli esperti che formula statistiche sul mondo del volontariato e la realtà. "Sulla storia del volontariato si persegue sempre il solito metodo - ha detto Albanesi -. Ci sono gli scienziati, gli architetti del volontariato che fanno le leggi, le statistiche, poi vanno nella realtà e vedono che non risponde alle loro teorie e siccome non hanno il coraggio di dire che non hanno monitorato bene, mischiano i dati. E' questa la realtà". Per don Vinicio, il volontariato, come ogni fenomeno sociale, "ha una sua evoluzione, ha un suo percorso che cambia - ha affermato -. La legge e la sua applicazione arrivano dopo. Ogni statistico dovrebbe fare cinque anni di prassi e poi fare le leggi sulle eventuali statistiche. Il volontariato è un mondo complesso: se mi fai una camicia e io sono ingrassato e dici che non entro nella camicia, sei tu che non hai preso la taglia giusta. I mondi li dobbiamo affrontare e conoscere, i dati vengono dopo e sono utili, se rispondono a realtà".(ga)