Fotogiornalismo, come salvarsi dagli stereotipi

30nov2014

A Capodarco la presentazione del progetto "Questione d'immagine", che analizza foto e servizi video dei principali media nazionali. Tornari (Contrasto): piu' consapevolezza nello sguardo. Dondero: il fotografo, un mestiere da trappista

CAPODARCO DI FERMO - "La foto è un mezzo ambiguo e tecnico; sono anni che dibattiamo se la fotografia sia arte o no e, nel caso del giornalismo, se sia una testimonianza reale o no". Giulia Tornari, editor dell'Agenzia fotografica Contrasto, al XXI seminario per giornalisti di Capodarco di Fermo, "Rimozioni" parla di "oggettività fotografica", presentando il progetto "Questione d’Immagine", che segue lo spirito di "Parlare Civile" sul fronte delle immagini. Il progetto indaga, infatti, per la prima volta in Italia sui meccanismi di costruzione dell’immaginario collettivo sulle tematiche sociali e i rischi di discriminazione delle minoranze, attraverso l’analisi delle fotografie e dei servizi video dei principali media nazionali.

"Le immagini costruiscono un'idea rispetto a un tema, che non corrisponde all'analisi complessa di quel tema", sottolinea la Tornari. Ma, secondo l'editor di Contrasto, è possibile migliorare lo sguardo, "si può costruire una consapevolezza della lettura delle immagini che vediamo tutti i giorni". Ed è da questa considerazione che nasce il progetto "Questione d'immagine", finanziato da Open Society Foundations e promosso da Redattore Sociale, Parsec e Zona, associazione nata proprio da un’idea della stessa Tornari.

Le tematiche selezionate sono nove, le stesse del progetto "Parlare Civile" (aids, disabilità, droghe, genere e orientamento sessuale, immigrazione, povertà ed emarginazione, prostituzione e tratta, rom, salute mentale); per ogni tema sono selezionati e analizzati una serie di casi tipo; le testate scelte sono quelle che più influiscono sull'opinione pubblica in Italia, come La Repubblica il Corriere della Sera, La Stampa o  i video della Rai.

L'obiettivo è capire come l'informazione italiana rappresenta una serie di tematiche sociali, spesso generalizzando e creando degli stereotipi. Ne è un esempio il cassonetto che i media utilizzano per rappresentare la povertà o, per le droghe, la mano con lo spinello e il tavolo pieno di pasticche. Il sociologo Claudio Cippitelli  (Parsec), esperto in  droghe e consumi giovanili, ha analizzato una serie di copertine e pagine di periodici e quotidiani in cui l'uso di sostanze è raffigurato prevalentemente dall'immagine femminile, a partire da quella del Daily Mirror che ha pubblicato alcuni scatti rubati a Kate Moss intenta a preparare ed assumere droga. In alternativa i media utilizzano spesso l'immagine di un  teschio. "Potete fare qualcosa di piu'", ha sottolineato Cippitelli rivolgendosi ai giornalisti in sala. "E' un canone vecchio. Le donne si rivolgono pochissimo ai servizi, forse gestiscono meglio le sostanza, non sappiamo quali sistema di cura adottano. L'approccio che ci aspetteremo e che servirebbe è quello dell'indagine". Per Cippitelli in questa ottica è stata invece una svolta la scelta della famiglia Cucchi di diffondere la foto di Stefano. "Ci è stato restituito il volto di una persona. - ha detto - La famiglia Cucchi ci ha fatto capire che non si muore solo di droga ma per politiche sbagliate". 

Lo stereotipo sull'immigrazione è l'immagine di un uomo africano o quella dei barconi, in cui il migrante è un uomo disperato, stereotipo contrapposto all'immagine dei migranti che ce l'hanno fatta, come  Rachid, venditore di accendini che è riuscito a laurearsi. "C'è un vuoto nel nostro immaginario", secondo il giornalista Gabriele Del Grande."Nell'immagine del soccorso, - ha detto - ci sono salvatori e salvati: è un'immagine consolatoria e acritica, perché sembra che arrivano dal niente e noi ci sentiamo più buoni, ma ci manca il perché quella gente è arrivata lì. Poi c'è la massa, difficile vedere un volto, con un nome. E poi c'è l'orizzonte del mare. Ci farebbe bene il racconto di cosa c'è al di là del mare e di  come sta cambiando".

Il fotografo Mario Dondero ha raccontato la sua esperienza in tempi oggi considerati favolosi per il fotogiornalismo, quando affidava i rullini delle sue foto ai viaggiatori del Parigi-Milano, in una occasione ad un viaggiatore d'eccezione come il noto attore Fernandel. E rispondendo alle domande dei giornalisti ha spiegato: "Quello del fotografo è un mestiere da trappista, disperatamente solitario". (cch)