L’immigrazione tra responsabilità dei media, corridoi umanitari e accoglienza

02dic2017

Seconda giornata del seminario di Redattore Sociale. Marco Binotto (università la Sapienza), Daniela Pompei (Comunità di Sant'egidio) e Marika Di Prodi (assistente sociale) hanno discusso della rappresentazione mediatica, di vie legali e di accoglienza nelle famiglie dei minori stranieri non accompagnati

L’immigrazione tra responsabilità dei media, corridoi umanitari e accoglienza

CAPODARCO DI FERMO – Le responsabilità dei media nel racconto del fenomeno immigrazione, l’esperienza dei corridoi umanitari e l’accoglienza nelle famiglie dei minori stranieri non accompagnati. Di questo si è parlato questa mattina nella sessione che ha aperto la seconda giornata del Seminario di formazione di Redattore Sociale, in corso presso la Comunità di Capodarco di Fermo. A portare il loro contributo in tema di immigrazione ed accoglienza sono stati Marco Binotto, ricercatore presso la Facoltà di Scienze Politiche, sociologia, comunicazione dell'Università Sapienza di RomaDaniela Pompei, responsabile della Comunità di Sant’Egidio per i servizi agli immigrati, rifugiati e rom e Marika Di Prodi, assistente sociale dell'area infanzia e adolescenza del comune di Macerata. 

Media e immigrazione: rapporto conflittuale. “E’ ormai evidente che il modo in cui i media trattano l’immigrazione è uno dei grandi problemi oggi – ha spiegato Marco Binotto – . Siamo di fronte nella maggior parte dei casi ad un uso inadeguato dei termini, così come inadeguata è la politica nell’affrontare il fenomeno sia in Italia che all'estero. Gli sbarchi e le morti oggi fanno più notizia rispetto ai buoni esempi, che pure ci sono ma agli occhi dei cittadini sono in secondo piano. Non pensiamo poi che altrove queste dinamiche non ci siano, ma ad esempio nel Regno Unito i giornalisti non inseriscono mai il colore della pelle degli individui coinvolti in articoli di cronaca. C’è stata una forte presa di coscienza nel mondo del giornalismo inglese di quello che sta succedendo. I giornalisti hanno una grande responsabilità quando si parla di immigrazione, e se si decide di dare parola a tutti occorre poi correggere e fornire la verità dei fatti”. Binotto tra le altre cose si occupa anche di rappresentazione mediale dei temi di interesse, ed ha presentato i risultati di un suo lavoro dal titolo “Immigrazione ed informazione in Italia”. Si tratta di un excursus storico di alcuni esempi di disinformazione sul tema dell'immigrazione. “Negli anni '80 – ha proseguito Binotto - il tema dell’immigrazione sulla stampa era molto sotterraneo e ci si è iniziati ad occupare maggiormente del fenomeno con la legge Martelli del 1990 e la successiva crisi albanese. In quel momento l’opinione pubblica si accorse che il problema era reale. Da una ricerca recente avviata da Cospe Onlus e Osservatorio di Pavia, si è potuto notare che nei Tg la cronaca estera riguarda prevalentemente l’Europa(43%) e gli Usa(20%), questo significa che la percezione del fenomeno immigrazione è distorta perché i migranti arrivano da luoghi e da situazioni sconosciuti ai più”. 

Corridoi umanitari. Per quanto riguarda gli arrivi e gli sbarchi si è parlato spesso di come esternalizzare le frontiere e molto meno di vie legali e soluzioni alternative per evitare i cosiddetti "viaggi della speranza". Un esempio virtuoso in tal senso è rappresentato dai “Corridoi umanitari”, progetto nato dalla collaborazione fra la Comunità di Sant’Egidio, la Federazione delle Chiese Evangeliche Italiane e la Tavola Valdese e che vede come promotrice Daniela Pompei. “I Corridoi nascono dall'idea di intervenire in maniera molto tenace per creare una via alternativa al dramma dei viaggi in mare – ha raccontato Daniela Pompei - . Abbiamo cercato di superare una mentalità politica che ragiona sempre sul breve termine e non in prospettiva, trovandoci a studiare le Direttive europee per trovare il grimaldello giusto che ci consentisse di proporre un progetto. Successivamente ci siamo messi in contatto con il ministero dell’Interno e degli Esteri, trovando inizialmente un atteggiamento di chiusura per poi avviare una discussione positiva che ha portato alla firma del protocollo nel dicembre 2015 che ha dato alle associazioni la possibilità di accogliere, ospitare e seguire il percorso di integrazione dal punto di vista economico per minimo un anno”. Anche qui determinante è stata la comunicazione. “I due ministeri avevano paura di comunicare il progetto, era l'anno del milione degli arrivi. E si temeva la reazione dei cittadini. Per noi però era doveroso comunicare una via alternativa agli sbarchi e alle morti, la costruzione di una procedura per entrare legalmente in Italia che fino a quel momento non esisteva”. 

“Famiglie a colori”. Infine a prendere la parola è stata Marika Di Prodi, che si è occupata del progetto "Famiglie a colori", un modello di accoglienza in famiglia dei minori stranieri non accompagnati. “E’ un modello innovativo, che parte da famiglie già in carico ai servizi sociali. Tutto nacque con l’arrivo di un minore straniero sprovvisto di documenti all’Ufficio immigrazione di Macerata – ha spiegato la Di Prodi -. Inizialmente come Servizi Sociali lo abbiamo affidato al sindaco adoperandoci subito per cercare una Comunità di accoglienza, ma queste erano tutte al completo ed hanno dovuto rifiutare. Con il percorso standard e istituzionale non percorribile, abbiamo pensato che il posto più sicuro e più naturale per accogliere un minore straniero non accompagnato fossero le famiglie. Grazie anche alla disponibilità del dirigente comunale che ha appoggiato la proposta siamo quindi riusciti ad attuare un percorso alternativo rispetto al percorso tradizionale di inserimento in comunità”. Marika Di Prodi ha poi fornito alcuni numeri sul progetto di accoglienza e inserimento degli Msna. Dal 1 gennaio 2017 al 31 luglio 2017 il Comune di Macerata ha accolto 13 minori, in prevalenza maschi. Un numero inferiore rispetto al 2016, dove erano stati in totale 82 gli Msna accolti e ospitati prevalentemente in comunità, a causa anche della sospensione degli arrivi per via del terremoto. “Spesso i minori – ha concluso Marika Di Prodi - decidono di non andare in famiglia, il percorso infatti non è obbligatorio e culturalmente in molti non sono predisposti ad essere inserit nelle famiglie. L’abbinamento e la scelta quindi non sono automatici ma frutto di una condivisione con il tutore e il minore stesso”.