I Redattore Sociale 27-28 maggio 1994

Redattore Sociale

Immigrati e giornalisti

Intervento di Germano Garatto

 

Germano Garatto*

"Nella "Guida per l'informazione sociale" che vi è stata distribuita è presente un capitolo sulla realtà dell'immigrazione in Italia. I tempi che abbiamo a disposizione non sono sufficientemente lunghi per esa­minare questa realtà. Io vi inviterei a leggere il testo di questa guida che ho preparato, dove, anche se molto rapidamente, quasi tutti gli aspetti del pianeta immigra­zione sono stati quanto meno indicati, anche se certamen­te non approfonditi.
Vorrei, in questo breve tempo che ci rimane, sotto­lineare invece alcuni aspetti di questo pianeta che mi sembrano maggiormente importanti; e mi situerei nei vostri confronti non tanto rispondendo al titolo che era stato dato al mio intervento, "Immigrati e giornalisti", perché penso che sia tutto sommato risaputo quali sono i limiti dell'informazione sull'immigrazione. Eventual­mente per questo vi darò delle indicazioni alla fine, se volete sapere degli studi fatti sull'approccio dell'infor­mazione all'immigrazione del nostro Paese. Il secondo motivo per cui non vorrei soffermarmi su come l'informazione si rapporta con l'immigrazione, è perché credo che chi è qui presente probabilmente non può essere accusato dei difetti, dei problemi che ci sono a questo livello.
Invece vorrei sottolineare alcune cose importanti a mio parere. Intanto mi presento: lavoro nel contesto dell'immigrazione da alcuni anni, coordinando a Genova le attività di ambito ecclesiale sull'immigrazione e al tempo stesso coordinando una rete del nord Italia che è cominciata a Genova, Milano, Torino e poi si è estesa a tutto il nord fino all'Emilia Romagna. Una rete di tutte le realtà ecclesiali che hanno a che fare con gli immigrati. L'intento di questa rete è di mettere a contatto gli operatori, scambiarsi quindi informazioni, ma soprattut­to riflettere sull'andamento della realtà e sul tipo di risposte che la società italiana sta fornendo ai problemi che emergono da questa presenza in Italia. Le cose che volevo dire le raggrupperei in quattro ambiti. II primo: l'immigrazione nel contesto europeo e mondiale, alcuni cenni. Il secondo: alcune caratteristiche dell'immigrazione in Italia. II terzo: le sfide che l'immi­grazione pone alla società italiana ora e nel prossimo futuro. Il quarto: alcune indicazioni circa l'approccio dei media al tema dell'immigrazione.

Immigrazione sud-sud

L'immigrazione nel contesto più ampio dell'Euro­pa e del mondo di oggi.
Innanzitutto va detto con molta chiarezza che l'im­migrazione a cui noi assistiamo non è il fenomeno più qualitativamente e quantitativamente importante che oggi accade di movimento di migrazione di popolazione. Le migrazioni oggi nel mondo sono in grandissima parte a livello sud-sud. Noi assistiamo ad una immigrazione verso il nord del mondo che però ha un suo corrisponden­te nell'emisfero sud di proporzioni molto, molto maggio­ri. Esiste cioè un'immigrazione all'interno dei continenti a sud del mondo e tra continenti e continenti di una rilevanza enorme. Basti pensare a tutte le migrazioni che sono date da sconvolgimenti sociali, guerre, ecc. per esempio nel continente africano dove si stanno moltipli­cando le migrazioni di intere popolazioni, di parte di popolazioni. Non ultima la realtà del Rwanda verso i Paesi circostanti.
Abbiamo quindi una realtà di migrazione all'inter­no del sud del mondo, per esempio nei Paesi del petrolio dalla vicina Asia, e migrazioni interne al sud-est asiatico molto importanti per l'economia di alcuni di questi Paesi. Le migrazioni che avvengono all'interno dell'Oceania, per esempio. Sono migrazioni a noi poco conosciute ma che hanno un'imponenza veramente incredibile. Le mi­grazioni di direzione sud-nord sono migrazioni che in qualche modo hanno invertito una migrazione preceden­te che era nord-sud. L'emigrazione a cui abbiamo assisti­to fino a trenta anni fa, che ha investito l'occidente, era prevalentemente dall'Europa verso il resto del mondo e in prevalenza verso le ex-colonie delle grandi potenze occidentali.

Migrazione = Crisi

Questa tendenza si è invertita ma ha una sua carat­teristica importante e nuova rispetto alla storia dell' immigrazione ed è che sono soprattutto fattori espulsivi che determinano oggi la decisione delle persone a lasciare il proprio Paese (...). Voglio dire che, mentre fino ad alcuni anni fa si emigrava perché si sapeva di andare a trovare del lavoro sicuro, oggi si emigra, si ha necessità di emigrare, ma senza la certezza di dove si va a finire e di cosa si trova.

Quindi oggi le migrazioni sono più che mai il luogo e il momento di una crisi. Pensiamo per esempio a tutte le migrazioni che ruotano intorno al Mediterraneo: sono migrazioni provocate da una crisi profonda delle realtà sociali-politiche-economiche che si affacciano sul Medi­terraneo. Intorno al Mediterraneo si sta convogliando il vecchio continente europeo, si sta incontrando la crisi dell'uomo del Maghreb, la crisi dell'uomo dell'Est; ma questo avviene non di fronte ad una situazione dell'uomo europeo forte e sicuro, bensì contestualmente alla crisi dell'uomo europeo.
E le migrazioni di oggi sottolinea­no sempre più questa realtà di crisi, di passaggio, di cambiamento. Per esempio, anche le migrazioni tra l'America Latina e l'America del Nord - ma anche verso l'Europa - sono sintomo di una crisi di un sistema economico e politico che si sta sempre più imponendo su tutto il pianeta, dove non è più visibile nessuna forza di contrasto, ma solo un sistema che è profondamente in crisi a sua volta.
Proprio (nel momento della) sua massima espan­sione (esso) è anche nella sua massima incertezza e fragilità. Basti pensare a cosa significa il debito estero dei Paesi del terzo mondo per interrogarsi su cosa potrà essere l'economia del futuro; con masse enormi di denaro che sono state investite nei Paesi del terzo mondo con un sistema perverso di interessi (ovviamente, perché altri­menti non era più un investimento) e che ora non sono più in grado di ritornare dove sono partite, o che ritornano comunque ma a dei costi umani spaventosi...

Occidente non più "onnipotente"

Dunque, assistiamo oggi ad un movimento di popo­lazioni verso l'Occidente che è il miraggio di gran parte dell'umanità. E' un movimento che non va verso un Occidente tranquillo e sicuro: va verso un Occidente che si sta imponendo sempre più come modello economico e politico, ma che già sente al proprio interno quanto sia critica questa sua "onnipotenza" (pensiamo anche a tutta la problematica legata all'ecologia).
Di fronte ad una situazione mondiale critica, dove non c'è uno sviluppo possibile, nell'attuale sistema economico, per grandissima parte dell'umanità, dove c'è una crisi politica e sociale diffusa ovunque, dove c'è un punto di domanda enorme su cosa sarà il pianeta dentro questo sistema di civiltà, le popolazioni si muovono e vanno ad evidenziare i nodi cruciali, sia come testimo­nianza di queste crisi - perché provengono dai punti dove queste crisi sono più acute - sia andando a sottolineare le crisi esistenti nei luoghi dove riescono ad arrivare.

L'immigrazione italiana, un modello anomalo

E passiamo quindi ad alcune caratteristiche del­l'immigrazione nel nostro Paese.
Si tratta dell'immigrazione che, da questo punto di vista, guardandola complessivamente nel contesto mon­diale, è stata anticipatrice. Nel senso che il caso italiano è stato visto dagli altri Paesi, negli anni '70-'80, come un caso anomalo: si emigrava verso un Paese che aveva ancora allora 5 milioni di emigranti all'estero con passa­porto italiano e al tempo stesso ciò avveniva in un momento in cui la crisi era già grave, in cui lo sviluppo industriale nel nostro Paese era già senza fiato. Quindi in modo totalmente diverso da quanto era avvenuto negli altri Paesi industrializzati.
Ebbene questo modello anomalo italiano non era altro che l'anticipazione di una realtà che ormai è comune a tutto l'Occidente. Non c'è nessun Paese europeo o sudamericano che abbia oggi un'immigrazione di lavoro come era negli anni della crescita industriale. Hanno tutti un'immigrazione che è caratterizzata da una presenza all'interno delle società post-industriali di persone dispo­nibili ad inserirsi soprattutto nel settore dei servizi, perché è l'unico settore che questa società rende possibile come inserimento. E' un'immigrazione, quella verso l'Italia, recente; e poiché recente, formata prevalente­mente da persone singole e non da nuclei familiari.
Questo è un dato molto importante perché sottoli­nea uno stato d'animo ben preciso di questi emigranti, cioè la determinazione alla riuscita, che è la scommessa che hanno fatto di fronte al loro mondo di provenienza. Ovviamente tutto questo accade nel contesto che ho appena descritto, senza le garanzie che si potevano avere 15-20 anni fa.

Persone con grandi risorse

Dunque, persone fortemente motivate. E persone che non sono tra le più povere e sprovvedute del Paese di provenienza, ma sono quelle che hanno avuto le risorse economiche e soprattutto le risorse psicologiche per fare il salto, per rischiare.
Quindi, se volete, noi trattiamo oggi questo tema, all'interno di questo seminario, in modo un po' anomalo, perché gli immigrati non sono di per sé assimilabili agli handicappati. Al contrario sono persone con grandi risor­se. Il problema è che le risorse di cui dispongono non sono richieste dal Paese in cui arrivano. E questo è certamente la parte più faticosa dell'essere immigrato, oggi, in Occidente.
Solitamente l'immigrato oggi in Occidente è una persona socialmente retrocessa, non promossa. Chi ha pratica dell'immigrazione può facilmente rendersi conto che molto spesso l'immigrato, prima di arrivare nel nostro Paese, ha percorso altri itinerari di emigrazione, ha molte esperienze professionali, conosce più lingue, ha nel suo Paese un livello di inserimento sociale buono, si muove con disinvoltura all'interno della pro­pria società, dico mediamente (naturalmente ci sono eccezioni); e mediamente l'emigrante di oggi dal sud del mondo è una persona che dispone di molte risorse personali.

La speranza di tornare a casa

Ma queste risorse nella prima fase del suo inseri­mento non gli sono utili in nessun modo. Deve ricomin­ciare a parlare. La lingua italiana non è diffusa nel mondo, non è veicolare. Deve ricominciare a imparare dei codici di comportamento. Deve imparare a muoversi sul territorio con sufficiente dimestichezza sulle risorse, sulle possibilità. Deve uscire, deve rendersi conto, fare lui stesso un percorso; deve rendersi conto che il progetto che lui aveva di essere immigrato per poco tempo è un progetto illusorio, perché tutta la storia dell'emigrazione dimostra che tutti emigrano per qualche anno ma pochis­simi ritornano a casa. E questo i nostri immigrati in Italia non lo sanno ancora. La maggior parte di loro è ancora tesa e protesa al mondo da cui provengono. Questo quindi condiziona psicologicamente il loro atteggiamen­to nei confronti della società di accoglienza. Ebbene, questo condiziona anche la società, l'immagine che noi abbiamo di loro e di cui parlerò nel terzo punto.

167 nazionalità...

La nostra immigrazione è quindi di persone singole che sono dentro ad un processo di cambiamento in cui loro stessi non hanno la percezione chiara di dove si va a parare. Sono persone singole e quindi nella prospettiva della quantificazione del fenomeno sono persone che mettono le basi per un aumento della realtà immigratoria del nostro Paese, perché sono persone che formeranno una famiglia, nonostante loro pensino che non accadrà.

E' un'immigrazione diversificata e complessa, diversa­mente dalle migrazioni verso i Paesi industrializzati degli anni precedenti, dove solo alcune nazionalità costi­tuivano l'ossatura portante, i gruppi fondamentali del­l'immigrazione. Troverete le statistiche nella Guida, ve­drete come in Italia su 834.000 immigrati regolari, non c'è una nazionalità che prevalga in modo molto grande. Siamo in presenza di 167 nazionalità, all'interno di questi 850.000 immigrati, ma le presenze significative sono di una decina di Paesi, quindi non di poche nazio­nalità.
Un altro dato importante che vorrei sottolineare (dico tutto questo dico perché può sollecitare l'attenzione del giornalista ad andare a scoprire i volti nascosti dell'immigrazione) è che sono donne la metà degli immigrati ed è la parte meno visibile dell'immigrazione. Anche questa è una peculiarità italiana. Noi vediamo soprattutto i maschi, a parte le prostitute, ma la metà degli immigrati in Italia sono donne.

La scarsa consapevolezza italiana

L'immigrazione nel nostro Paese è avvenuta in un contesto di distrazione, di non consapevolezza da parte della nostra società, che non è mai stata una società di immigrazione "da fuori". Ci sono state delle migrazioni interne molto importanti e noi siamo soprattutto stati un popolo di emigranti: dicevo che 4 milioni e mezzo di Italiani hanno il passaporto italiano e sono all'estero; e sono circa 30 milioni gli Italiani che hanno lasciato l'Italia negli ultimi 70 anni.
La scarsa consapevolezza, la scarsa attenzione a questa realtà è forse uno dei problemi cruciali che dobbia­mo affrontare ora. Questa scarsa consapevolezza si è tradotta nell'opinione pubblica in un atteggiamento ab­bastanza penoso da sopportare, appunto, anche per l'opi­nione pubblica, di disorientamento. Sono ancora molti gli Italiani che pensano che l'emigrazione sia una realtà di cui potremmo fare a meno se soltanto avessimo un po' più di energia nell'affrontare i problemi.

Fenomeno stabile. E in crescita

Ora, una cosa è certa: l'immigrazione in Italia è un fenomeno oramai stabile, ed è un fenomeno in crescita. Non sto a documentare eccessivamente queste due affer­mazioni. La stabilità è nel fatto che si è ormai a più di 1 milione di immigrati regolarmente presenti nel nostro Paese, di cui 850.000 extracomunitari; però si basa sulla osservazione, che facevo, che la maggior parte sono soli. Quindi si tratta di una cifra che nei prossimi anni è destinata quantomeno a raddoppiare se non a triplicare. In secondo luogo c'è l'andamento demografico del nostro Paese che, nel medio termine di una decina-quindicina d'anni, prevede che noi dovremo, nonostante la crescita dell'immigrazione dall'interno attraverso il formarsi dei nuclei familiari, attingere a manodopera straniera nei prossimi anni, destinata quantomeno a raddoppiare se non a triplicare.

Distratti dalle elezioni

Questa distrazione dell'opinione pubblica si è an­che manifestata attraverso l'incapacità di governarlo, questo fenomeno. Abbiamo lasciato che la gente arrivas­se senza nessun progetto nostro. Loro ce l'hanno un progetto, sanno cosa vogliono ottenere; ma noi non avevamo nessun progetto per inserire questa presenza nella nostra realtà italiana. Non solo, ma purtroppo l'avvicendarsi di continui momenti politici, di elezioni in particolare, ha favorito anche in Italia la strumentalizza­zione dell'emigrazione a scopi politici. E nel 1990 la legge Martelli, che è stato il primo tentativo di dare organicità normativa a questa presenza, si è imbattuta in elezioni (della primavera di quell'anno) che hanno stru­mentalizzato ancora una volta questo tema, creando confusione.
Confusione si è creata non tanto sulla comprensio­ne dell'attualità del fenomeno, ma soprattutto sulla sua quantità. E qui vorrei dire per inciso una cosa: sul numero degli immigrati in Italia si è fatta veramente una battaglia incredibile. Il problema cruciale è: quanti sono gli immi­grati di fatto? Non i regolari soltanto, ma anche gli irregolari? Ebbene si è sostenuto in più sedi, senza che nessuno mai potesse controbattere perché non ci sono purtroppo fonti serie e attendibili di rilevazione, si è sostenuto che gli immigrati irregolari sarebbero quasi altrettanti dei regolari. E' un'affermazione assolutamen­te infondata. E' possibile stimare con sufficiente appros­simazione quanti sono i clandestini in Italia: non supera­no certamente il 15% della cifra dei regolari. Però sulle cifre si è fatta una battaglia durissima e questo è stato uno dei motivi che ha confuso maggioramente le idee della gente.

Un approccio solo emotivo

E' mancato quindi un progetto sull'emigrazione, cioè quello che dovrebbe essere l'obiettivo dei prossimi anni; ma al tempo stesso ciò ha determinato questo modo di risvegliarsi improvvisamente di fronte al problema, di affrontarlo come emergenza, non come una situazione che è diventata parte del nostro panorama sociale. L'approccio emergenziale ha significato un approccio emoti­vo, ci si è schierati facilmente tra pro e contro, quasi dovessimo essere noi a scegliere se questi c'erano o non c'erano, se dovevamo occuparci di loro o no. Questo approccio emotivo ha creato molti danni: da una parte sull'opinione pubblica, perché si è sentita quasi necessi­tata a schierarsi a sua volta, e d 'altra parte ha creato danni nelle risposte perché l'approccio emotivo ed emergen­ziale ha fatto sì che l'immigrato non fosse visto come risorsa ma semplicemente come problema. Questo approccio emotivo ha avuto anche una connotazione parti­colare ed è stata la quasi totale assenza dell'amministra­zione pubblica nei confronti di questa realtà.

L'errore del volontariato

L'amministrazione ha delegato al privato-sociale tutto il tema dell'immigrazione. Il privato sociale in questo senso ha sicuramente svolto una funzione impor­tante di valvola di sicurezza, ma a nostro avviso ha sbagliato ad assumersi questa delega. E' stato un errore strategico molto grave, di cui è difficile ora scrollarsi di dosso il peso, ed è stato un errore molto grave soprattutto nei confronti degli immigrati stessi che hanno acquisito un'immagine tutta particolare del nostro Paese. Come di un Paese dove i diritti sono più di carta che sostanziali...e che poi ci si deve arrangiare.
Su questa affermazione vorrei innestare un'altra considerazione: in ogni società l'immigrazione è uno specchio della società stessa. In Italia l'immigrazione non ha fatto che evidenziare una realtà di un Paese che effettivamente di leggi ne fa tante, anche "carine", ma non si dà i mezzi per applicarle.
Quali sono allora le sfide che escono da questa situazione italiana? 

Un futuro insieme a loro

Innanzitutto la prima sfida è quella culturale. Biso­gna che noi recuperiamo la capacità di vedere il nostro futuro con gli stranieri che ci sono, perché di fatto sarà così. Allora dipenderà da noi se li vogliamo relegare da qualche parte, scegliere quale criterio di integrazione e intesa reciproca vorremmo attuare. Su questo progetto ancora nulla è stato detto. Questo progetto chiederà agli italiani uno sforzo mentale notevole perché la nostra società non ha mai avuto grandi esperienze di incontro con culture diverse. Non abbiamo un passato coloniale significativo. Quindi per noi il diverso, anche dal punto di vista della cultura della provenienza, della razza, è un illustre sconosciuto, ci fa paura. La gente non vede nell'immigrato una risorsa, vede solo un problema.

L'immigrato perpetua la sua "immagine"

L'altra sfida è come sarà possibile creare una socie­tà insieme agli stranieri in Italia in una situazione in cui loro non possono, fin da subito, dare il meglio di se stessi. Perché qualunque sia la loro abilità professionale, la loro preparazione culturale, linguistica ecc., dovranno co­munque passare attraverso dei modi di inserimento che sono necessari, obbligatori e che, come dicevo prima, li fanno retrocedere socialmente rispetto a quella che è l'immagine che hanno di se stessi. Questo è un grave problema, anche proprio di atteggiamento psicologico dell'immigrato nei confronti della nostra società. Perché non solo l'immigrato ha capito che bisogna arrangiarsi in Italia, perché i diritti di fatto poi non esistono davvero, salvo quelli che è possibile avere in qualche modo, ma si rende anche conto che se vuole riuscire deve farsi conni­vente, deve accettare l'impostazione del Paese ospite, e quindi deve arrendersi un po' su tanti fronti.
Uno è quello, per esempio, della sua partecipazione attiva, dell'essere protagonista del suo futuro, del nostro comune futuro. Siccome il nostro Paese su questo punto è ancora molto rigido, siccome noi agli immigrati diamo dei ruoli comunque di subalternità rispetto all'immagine che complessivamente abbiamo di noi stessi, l'immigra­to è tentato ad accettarli, questi ruoli, è tentato ad assuefarsi e ad avere di sé l'immagine che noi vogliamo che sia. Questa è certamente una sfida molto importante.

Attore di una trattativa nascosta

Un'altra sfida, anche molto precisa, sarà quella del contesto economico-sociale. L'immigrato, oggi poco tute­lato, deve adattarsi a dei ruoli compatibili con la situazione di crisi economica in cui stiamo. Cosa significa? Significa che l'immigrato, sia regolare che non, è invitato in qualche modo ad essere attore di una trattativa sociale privata tra dei bisogni della popolazione italiana, e questo lo dico per esperienza diretta sul campo, non è un discorso politico. Ci sono nella nostra società dei bisogni di persone che non hanno sufficienti mezzi per poterli soddisfare: l'immigrato si inserisce in questo contesto e tratta direttamente con la persona che ha un bisogno per vedere se gli conviene, e fino a che punto può essere questa persona la risposta alla sua necessità. Mi riferisco per esempio all'assistenza agli anziani. E' uno dei campi preferenziali dell'inserimento degli immigrati. Gli anziani aumentano sempre più nel nostro Paese però non sono protetti sufficientemente dallo stato sociale che è in crisi, lo saranno sempre meno, e non hanno neppure sufficienti risorse per instaurare con l'im­migrato un rapporto di lavoro secondo i canoni ufficiali dei contratti. E lì avviene una contrattazione privata che sfugge a qualsiasi controllo, a qualsiasi norma o codifica­zione. In questo contesto, quindi, l'immigrato viene priva­to anche di qualsiasi diritto su quello che sta svolgendo in favore della nostra società.

I media... in recupero

Concludo dicendo che il pianeta immigrazione è veramente di proporzioni enormi. Non ho accennato alle varie categorie all'interno dell'immigrazione, né alle categorie di età, e ci sono delle cose molto interessanti da dire sui minori, sulle donne. Non ho potuto dire del diverso inserimento dell'immigrazione rispetto alla cate­na migratoria, di cui si parla pochissimo: cioè ogni immigrato all'inizio fa quello che i suoi connazionali hanno potuto ottenere come spazio all'interno della società, e anche lì ci sono delle diversificazioni notevo­lissime (...).
Per quanto riguarda i vari problemi che invece toccano il rapporto media-immigrazione, dirò soltanto che esiste uno studio di Marletti edito proprio dalla RAI dal titolo "Extracomunitari, dall'immaginario collettivo al vissuto quotidiano", del 1991, che è interessante da vedere. C'è una ricerca della Lega per i diritti dei popoli, si può ottenere in via Dogana Vecchia, 5, a Roma, sulla stampa quotidiana e l'immigrazione straniera in Italia, seguita poi da un convegno "Immigrazione e Informazio­ne" del 1993. I media stanno tentando di stare dietro alla realtà dell'immigrazione dopo una fase di latitanza, una fase di emergenza. Finalmente gli immigrati cominciano ad avere voce, cominciano ad essere interrogati sui problemi che li riguardano. L'accesso degli immigrati ai media è sicuramente la via migliore perché l'informazio­ne sia più corretta".


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.