I Redattore Sociale 27-28 maggio 1994

Redattore Sociale

La formazione: una risorsa strategica irrinunciabile

Intervento di Giovanni Devastato

 

Giovanni Devastato*

Informazione-deformazione

"Con questo intervento non intendo svolgere una comunicazione sugli aspetti tecnico-metodologici della Formazione in senso stretto, quanto piuttosto di scorgerne le implicazioni rispetto al mondo dell'informazione e offrire uno spaccato di alcuni nodi problematici che riguardano il tema della Formazione nel settore sociale.
Sovente c'è un'esigenza di formazione nel mondo dell'informazione così come spesso noi utilizziamo l'informazione come segmento importante, anche se non esaustivo, per fare formazione.
Indubbiamente i processi formativi sono orientati a sviluppare in primo luogo la crescita culturale ed informa­tiva delle persone, costituendo una parte significativa del sistema culturale di un popolo.
Una parte rilevante all'interno di questo sistema, per quanto riguarda la problematica del sociale, viene oggi svolta dal mondo dell'informazione: televisione e carta stampata.
Non raramente ciò produce una sorta di conflitto tra i processi formativi sul terreno del sociale e i dati informativi che provengono dalla gestione dei mezzi di comunicazione, che a volte può produrre "conformazione" se non vera e propria "deformazione".

Mass-media: una "scuola parallela"

II problema della formazione oggi è una sfida irrinunciabile, perché la domanda formativa passa anche fuori dai circuiti tradizionali del sistema formale di ap­prendimento rappresentato dalla scuola. Il fatto stesso che la partecipazione a questo Seminario è stata così massiccia dimostra che c'è l'esigenza di appropriarsi di strumenti che servono ad "apprendere ad apprendere" per poter costruire autonomamente i sentieri della propria cono­scenza. Ciò vuol dire che c'è bisogno di stabilire un'alleanza forte tra processi formativi e mondo dell'informazione, specialmente quella che "tratta" il sociale, in quanto se esiste un sistema che condiziona i processi di sensibilità e di crescita culturale delle persone, questo è identificabile nei grandi mezzi di comunicazione di massa che costituiscono una "scuola parallela" a tutto campo, non sempre con effetti benefici.
Pensiamo, facendo le dovute eccezioni, ai fenomeni di spettacolarizzazione e/o di semplificazione da parte dei media che non lasciano quasi mai lo spazio per l'appro­fondimento della notizia, la ricerca dei fattori concomitan­ti, l'analisi del contesto, la crescita della consapevolezza e lo sviluppo di una nuova sensibilità culturale. Anzi, sovente si rinforzano i luoghi comuni sui fenomeni più drammatici del nostro tempo, inseguendo la notizia ad effetto e stimolando reazioni emotive su basi irrazionali.

Tra drop-out e "lauree brevi"

Anche laddove questi fenomeni non siano presenti, comunque, i destinatari restano passivi senza possibilità di un'interazione che permetta loro di essere interlocutori attivi mediante la rielaborazione della loro esperienza, la partecipazione responsabile e il coinvolgimento soggettivo, condizioni necessarie per costruire quel circolo virtuo­so che produce crescita personale, cambiamento reale, insomma, apprendimento formativo.
Ecco perché è importante predisporre un terreno di incontro tra mondo dell'informazione e Agenzie di Forma­zione al servizio di un sistema culturale che produce l'umanizzazione dei rapporti sociali.
Parlando di Formazione, però, non possiamo non evidenziare il ruolo fondamentale che ricopre il sistema scolastico ed universitario in Italia, nonostante le vistose lacune ancora oggi presenti sul piano del riordino complessivo, del suo assetto strutturale e funzionale.
Infatti tra i Paesi dell'Unione Europea l'Italia è tra i paesi che occupano gli ultimi posti per quanto riguarda la durata degli anni dell'obbligo scolastico, a cui si aggiun­gono i fenomeni allarmanti dell'evasione, della dispersione e della mortalità tra la popolazione studentesca. Spesso si dice che chi evade la scuola non ha gli strumenti necessari per proseguire, quindi è soggettivamente inadeguato e cognitivamente incapace: io credo che una scuola moderna che vuole capovolgere tale schema interpretativo dovrebbe piuttosto interrogarsi sul perché esistono i "drop-outs", gli espulsi dal sistema scolastico, e sul perché tanti bambini a Napoli, a Palermo, ma anche nelle sterminate periferie delle grandi metropoli settentrionali non riescono ad inserirsi produttivamente nella scuola italiana.
Inoltre non disponiamo di titoli di studio intermedi tra scuola media superiore e Università: pensiamo al caso recente dei diplomi universitari rilasciati dai corsi di laurea-breve che stentano a partire e che in genere sono legati alle nuove domande formative provenienti dal socia­le; così come è praticamente inesistente una struttura di formazione permanente e di educazione ricorrente degli adulti.

Il volontariato entra nelle scuole

Insomma, nonostante la massiccia scolarizzazione di massa, in Italia la lettura di libri e di giornali resta ancora su soglie molto basse, determinando uno scarto abbastan­za elevato tra la cultura accademica e la cultura diffusa, dalla cui contaminazione soltanto può innescarsi un maturo processo di cittadinanza attiva in grado di alimentare quel giacimento di valori ispirati alla solidarietà, alla condivisione, alla reciprocità e alla socialità.
Ciò nonostante, anche se in uno scenario contraddittorio, sempre più frequenti sono stati i rapporti tra le associazioni e i gruppi di volontariato con le istituzioni scolastiche.
Si è partiti da iniziative sparse e frammentarie che, recepite a livello ministeriale, hanno dato luogo a veri e propri impianti progettuali come il Progetto Giovani 93, il Progetto Genitori, il Progetto ragazzi 2000.
Questi ultimi si sono sinergicamente intrecciati con le iniziative a carattere preventivo che la Legge 162 sulla Droga ha affidato al Ministero della Pubblica Istruzione per l'attuazione dei compiti di educazione alla salute e di prevenzione del disagio giovanile, che ha dato vita ai Centri di Consulenza e Informazione, allo staff dei docenti referenti, al gruppo degli studenti animatori dentro il gruppo-classe, ecc.
Ciò ha determinato un'integrazione alta tra scuola ed extrascuola in direzione di un sistema formativo allargato e policentrico, in cui giocano un ruolo forte risorse plurime in una prospettiva di educativa territoriale. Ciò ha consentito il superamento del cosiddetto "scuolacentrismo" per porre al centro dell' attenzione il territorio e le sue problematiche.

Il disagio dei "padri"

Degne di nota sono le iniziative rivolte ai genitori, che per la prima volta sono stati convocati dalla scuola non tanto per conoscere il profitto dei propri figli, quanto piuttosto come cogestori di un processo educativo in cui essi sono protagonisti. Tale esperienza si è configurata come itinerario mirato di educazione degli adulti ed è una realtà che occorre sedimentare per non disperderla con intraprese occasionali.       
Oggi si parla tanto di disagio giovanile e di problematiche adolescenziali, ma poco si parla di un altro tipo di crisi e di disagio, più nascosto e più strisciante, quello del mondo degli adulti o della "società dei padri", che poi sta alla base della difficoltà di tanti giovani che hanno bisogno di punti di riferimento e di figure identificatorie positive.
Pertanto la creazione di un sistema combinato di scuola ed extrascuola è un compito ineludibile all"interno del quale sono da valorizzare e massimizzare tutte le risorse, le energie, le intelligenze e le competenze, anche naturali perché spontanee, in una pluralià di soggetti e agenzie nuove che si sono aperte alla questione educativa.
A questa densa progettualità hanno partecipato moltissime associazioni in una circolarità arricchente che ha elaborato percorsi didattici innovativi che non si sono sovrapposti alle ordinarie attività curricolari, ma hanno valorizzato e sostenuto, dall'interno, la normale prassi didattica.

Il fallimento della dissuasione

Da questa feconda ibridazione sono scaturite alcune lucide intuizioni che hanno prodotto una "rottura di paradigma" secondo cui fare prevenzione e attuare, fino in fondo e con coerenza, un intenzionale processo educatico-formativo nel quotidiano che vada aldilà del semplice dato informativo, che non può esaurire la globalità di una strategia preventiva e che superi la convinzione che per fare prevenzione occorre affidarsi all'esperto di turno in una logica di occasionalità ed eccezionalità, che non ha alcuna ricaduta sul clima socio-affettivo della classe e sul vissuto emotivo degli studenti.
Allo stesso modo sì è rivelato insufficiente quell'indirizzo preventivo fondato su divieti e minacce ad into­nazione dissuasiva. Infatti, nonostante massicce campagne impostate secondo questa regola della dissuasione, a volte sorretta da metodiche di deterrenza terroristica (pensate a tutta la "necrofilia" di certa cartellonistica pubbli­citaria), non è stato raggiunto alcun risultato in termini di cambiamenti riconoscibili nei comportamenti giovanili.

Il metodo della complessità

La formazione dunque è una risorsa strategica irrinunciabile, specie se la consideriamo all'interno di un triplice rapporto:
1) Formazione e Complessità: si tratta di trasformare la scoperta della complessità in metodo della complessità.
Ormai è scontato dire che l'attuale società è contrassegnata dal paradigma della complessità e  potremmo dire che la scoperta della complessità è una delle acquisizioni più importanti dell'attuale temperie culturale.
Eppure, specie sul versante delle Politiche sociali e dei servizi alle persone, siamo continuamente sollecitati a semplificare il sistema delle risposte sociali, operando un meccanismo di riduzione della complessità attraverso processi di fuga e/o rimozione. E' il ricorrente tema della monosoluzione o delle interpretazioni dogmatiche dei processi sociali.
E' per questo che dobbiamo dotarci di una risorsa, quale la Formazione, che sia in grado di offrirci un sapere strategicamente orientato a decodificare scenari complessi nella continua decostruzione/ricostruzione di premesse in contesti ad elevata incertezza.
Credo che la formazione possa essere una risorsa per governare questa crescente e irriducibile complessità, sostando in essa con strumenti appropriati. Infatti la questione della complessità ha molto condizionato il grado di risposte dei nostri servizi ove giungono domande complesse di intervento, che esigono risposte complesse senza indulgere alla semplificazione sotto la pressione dell'urgenza e dell'emergenza. Basti fare l'esempio di quanto è successo nel campo della tossicodipendenza in questi anni per capire il tipo di approccio utilizzato per fronteggiare certe situazioni: spesso le posizioni, semplicisticamente, si dividevano tra monorisposte unidimensionali che riducevano la globalità del problema senza mai attivare delle interconnessione tra i diversi circuiti in modo da elaborare un progetto articolato.
Oppure basti pensare a tutti i riduzionismi interpretativi nel campo del disagio giovanile, inteso solo in termini di sintomatologia apparente senza scavare in fondo fino ad arrivare ai fattori scatenanti, concomitanti o facilitanti certi processi di malessere ed inquietudine.


Dalla realtà al desiderio

2) Formazione e Cambiamento: la formazione può essere intesa come un insieme di azioni, sequenze e procedure orientate ad uno scopo e dotate di senso la cui finalità è quella di trasformare situazioni date in situazioni desiderate.
Per questo motivo, sovente nelle nostre organizzazioni, la formazione è intesa come un Laboratorio permanente in cui si attiva un circuito ricorsivo tra produzione della conoscenza e trasformazione dell'azione. In fondo, con qualche forzatura, potremmo dire che la formazione è fondamentalmente un procedimento estetico in quanto instaurazione di una forma nuova e generazione del bello desiderabile. Se la formazione, insomma, non genera una trasformazione si limita solo ad un momento di riproduzione o di trasmissione di un sapere consolidato, che non fa altro che confermare le proprie precomprensioni e quindi cristallizzarsi in nicchie ossificate.
Pensiamo, a tale riguardo, alla delineazione, attraverso inesauste azioni sperimentali, di nuove figure professionali completamente sconosciute dentro la mappa dei profili professionali tradizionali.
Ne cito solo alcune:
- Operatore di comunità;
- Operatore di rete sociale;
- Operatore di educativa territoriale;
- Operatore di strada;
- Operatore grezzo;
- Tutor dell'affido;
- Animatore socio-culturale;
- Educatore professionale;
- Formatore;
- Orientatore.

Professioni "sconosciute"

L'attuale problema è trovare precisi profili, adeguati percorsi formativi, chiari codici deontologici in quell'area sterminata che oggi va sotto il nome di "lavoro sociale".
L'esigenza dì chiarire l'epistemologia, lo statuto scientifico è improcrastinabile.
La stessa effervescenza legislativa nel campo socia­le, che sconta ancora la mancanza di un provvedimento di riordino dì tutti i comparti all' interno di una Legge-quadro nazionale, accelera i tempi di questa urgenza.
Ci riferiamo agli ultimi dispositivi normativi della nostra legislazione sociale: la L.142/90 e la 241/90 (sulle autonomie locali e la trasparenza amministrativa), la L. 266/91 sul Volontariato, la L. 381/91 sulle cooperative sociali; la L. 104 sull'Handicap, la L. 216/91 sui minori a rischio, infine, la L. 84/93 che ordina la professione dell'assistente sociale, che costituisce il primo caso in Italia di una legge di riconoscimento e ordinamento di un operatore sociale.
Pensate come il tema della professionalità o della necessità di regolamentare e di ridefìnire queste "professioni emergenti" sia un motivo di acceso dibattito tra le stesse organizzazioni di volontariato e del mondo non-profit: l'esempio più eloquente, ampiamente riportato dalla stampa, è quello che ha riguardato l'applicazione dell'Atto di Intesa Stato-Regioni che prevede criteri quantiqualitativi e standards funzionali per le Comunità terapeutiche per Tossicodipendenti, in cui gli operatori devono avere chiari requisiti professionali e formativi per lo svolgimento delle proprie attività.
Gli interventi socio-assistenziali e socio-sanitari avvengono oggi in assenza di un Piano nazionale che definisca modelli organizzativi, funzioni e compiti degli operatori che spesso si sovrappongono quando non si confondono.
Alcune di queste figure, poi, pur non avendo un'identità spiccatamente sociale (come il medico, lo psicologo, ecc.) sono spesso direttamente o indirettamente coinvolte nella gestione dei processi di aiuto alle persone, per cui è necessario costruire modelli operativi che permettono reali scambi interdisciplinari, in cui nessuno è considerato operatore di rango inferiore.

Una questione di stile

3) Formazione e Organizzazione: specie nella nostra area di competenza la Formazione non può limitarsi a produrre solamente un apprendimento individuale, ma deve ispirarsi anche ad una nuova cultura organizzativa.
Ciò vuol dire che fare formazione significa interferire sul clima organizzativo, sullo stile di gestione, sui codici di comunicazione, ecc. Questo tema è estremamen­te importante: basti pensare al condizionamento che gli editori hanno sul lavoro obiettivo dei giornalisti. Spesso questi ultimi si giustificano dicendo che non hanno molti  spazi per poter esprimersi liberamente, in quanto poi la linea viene decisa a livello editoriale.
Insomma è il tema della trasferibilità della teoria nei contesti di azione. Ciò corrisponde esattamente a ciò che intendiamo per Formazione: c'è formazione quando ir­rompe una differenza che cambia il sistema di premesse e produce fratture concettuali.
 Ci auguriamo, perciò, che questo Seminario possa essere un momento in cui vi sia l'irruzione di una differenza, contribuendo a migliorare il clima e lo stile dei rapporti tra operatori dell'informazione e operatori dei servizi e avvicinando di più il mondo dell'informazione con l'universo della marginalità sociale, per accompagnare e sostenere il margine a diventare frontiera di una nuova qualità del sociale."


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.