III Seminario Redattore Sociale 8-10 Novembre 1996

Periferie umane

Internet, nuova forma di solitudine?

Intervento di Lorenzo Lucianer

 

Lorenzo Lucianer*

Per andare oltre e per indicare un processo di sviluppo della tecnologia dell'informazione sul quale non dobbiamo chiudere gli occhi, vorrei parlare di Internet. Mi sono occupato della ricerca e della documentazione del progetto di ingresso in Internet della TgR, la testata giornalistica regionale della Rai. Un progetto che, come Brancoli potrà confermare, come tanti altri in Rai vive un periodo di semiclandestinità prima di acquistare la dignità dell'ufficialità, del riconoscimento, dignità che ha acquistato da pochi mesi, da quando da aprile scorso siamo entrati in rete con i notiziari radiofonici delle 7 e 20 del mattino e con l' "Italia in diretta" che va in onda alle 16 e 30. Per due anni abbiamo lavorato a questo progetto interrogandoci continuamente sul destinatario di quest'idea. Quale fosse il destinatario di questo servizio che noi pensavamo, immaginavamo l'entusiasmo della novità e la potenzialità del mezzo. Ci siamo documentati, ci siamo messi nei panni dei ricercatori, degli esploratori della realtà di questo strumento. Due anni fa i computer collegati alla rete di Internet erano 30 milioni: oggi sono 10 milioni in più, e questo dà l'idea dello sviluppo, del trend di sviluppo di questo strumento. E i 30 milioni di potenziali utenti, di potenziali ascoltatori in tutto il mondo che nello stesso istante avrebbero potuto ascoltare, con la stessa qualità, gli stessi notiziari che noi ascoltavamo a Roma, ci dava un certo brivido, un certo senso di onnipresenza.

Ma arrivo al limite contro il quale ci siamo confrontati immediatamente, cioè il fatto che Internet può creare nuove diversità, nuove povertà intellettuali, nuove discriminazioni.
Ci siamo chiesti quanto costa un computer, per esempio: un computer costa circa 2 milioni di lire, e questa è già una prima discriminazione, fra chi se lo può permettere e chi no. 
Un'altra discriminazione è il linguaggio che ciascun utilizzatore deve apprendere per poter parlare col computer, perché il computer non è una macchina intelligente, ha bisogno di essere ''approcciata" con un certo linguaggio. Il mouse: se io parlo di mouse a mia madre, che ha 70 anni, e le spiego che vuol dire topolino, probabilmente salta in piedi sulla sedia e mi chiede di schiacciarlo. Questo per esemplificare quanto difficile possa essere per la persona comune riferirsi a quest'oggetto, a questo elettrodomestico. Ed ecco un'altra discriminazione che viene a balzare evidente, cioè la difficoltà di alfabetizzarsi per potervi accedere, per potervi colloquiare. Eppure c'è molta parte dell'industria, del mondo economico, che spinge nella direzione di Internet.
Credo che molti di voi abbiano notato, in molte città d'Italia, dei lavori che vengono effettuati sulle strade, quasi in sordina, e non sono stati molto pubblicizzati anche se comportano un investimento di 40.000 miliardi nei prossimi anni: sono i lavori di posa di strani tubi corrugati di colore celeste. Sono le fibre ottiche che la Telecom sta mettendo sotto terra nelle strade delle nostre città, per inserire il bocchettone della fibra ottica in ciascuna delle nostre case. Questa operazione non è stata molto pubblicizzata, pur nell'enormità dell'investimento economico che comporta. Da questo bocchettone riceveremo dei servizi che ci verranno proposti e non saranno servizi gratuiti. L'allacciamento con la rete delle fibre ottiche sarà gratuito, ma pagheremo i servizi, li pagherà chi se li potrà permettere.
Poi c'è la homebanking, cioè la possibilità di colloquiare con la propria banca, con il proprio sportello, stando a casa. Un altro aspetto che interessa anche noi giornalisti direttamente è l'homeworking, la possibilità di lavorare da casa come se fossimo in una redazione, in una fabbrica, in un'agenzia, come se fossimo in un qualsiasi altro posto di lavoro: un'altra forma di isolamento, se vogliamo quasi fisico, dal resto della società.
Noi che viviamo tutti i giorni come si diceva molto "al di dentro" delle redazioni e sempre meno al di fuori - per i ritmi di lavoro che incalzano di più, per le richieste degli editori, dei capi servizio, dei capi redattori sempre più frequenti, sempre più impellenti le scadenze, gli orari, che ci impediscono di uscire fuori e di lavorare gomito a gomito con la comunità della quale ci occupiamo e della quale raccontiamo le vicende - avremo un'altra forma di isolamento, un'altra forma di preclusione all'accesso, alla frequentazione della nostra comunità, che dovrebbe essere credo uno degli elementi costitutivi di questo nostro mestiere.
Dicevo che ci sono 40 milioni di computer collegati a Internet nel mondo. Andando a vedere la geografia di questi collegamenti ci siamo subito accorti che era una geografia settentrionalista: anche in questo caso, come nella distribuzione o nella sperequazione della ricchezza, i 40 milioni di computer collegati con Internet stanno per la maggior parte nell'emisfero settentrionale del pianeta. E anche qui c'è una diversità, un isolamento, una discriminazione. Poi in questi due anni di lavoro spesso mi sono sentito rivolgere una domanda: di chi è Internet? Internet viene definita come una rete anarchica che non ha padroni, una rete in cui tutto può succedere, tutto può essere detto in estrema libertà e questo è vero sostanzialmente, ma allora: chi ci guadagna? Questa è la domanda ovvia e giusta, da porre di fronte a questo nuovo sistema che sta crescendo velocemente. Ci guadagnano coloro che mettono sotto terra i tubi azzurri, cioè i proprietari della rete Internet. Il concetto, la realtà di Internet è di una semplicità estrema: è strutturalmente una rete telefonica, quindi il guadagno è di chi ha in mano, di chi possiede la rete dei cavi telefonici, che ora nella massima parte sono doppini di rame, ma che fra pochi anni - il protocollo ISDN prevede un completamento entro il 2050 - sarà una rete a fibre ottiche.
Dicevo entro il 2050: la progettazione di questo nuovo strumento va già in profondità nel prossimo secolo, quindi c'è una volontà economica, politica, industriale, tecnologica di arrivare, di penetrare in profondità il nostro futuro, e dico tutto questo non per demonizzare Internet.
E' uno strumento eccellente per parlare, per confrontarsi, per porre in un'"agorà", una piazza comune, un sito comune le idee, le opinioni, per creare nuove professionalità, per trovare un nuovo modo di raccontare, di raccontarsi, di dar voce a vicende che altrimenti non ne avrebbero. Un nuovo modo per esempio - era l'obiettivo che anche noi ci siamo posti - per raggiungere gli italiani all'estero. All'estero c'è un'altra Italia che non ha voce, che non ha legami veri e reali con le radici, con la regione di provenienza, e il fatto di sentire il giornale radio aprendo la pagina della Rai "Rai.it" e di sentire le voci della propria regione, della propria terra ricostruisce questo legame, e la ricostruzione di questo legame è un'esigenza che ci viene espressa, che ci viene raccomandata anche dalla terza generazione dei figli degli immigrati. Questo strumento dà una risposta vera, reale e positiva a queste esigenze.
Però, accanto all'entusiasmo per questo nuovo mezzo, dobbiamo porci in posizione critica anche per le potenzialità, le nuove povertà, i nuovi isolamenti, i nuovi analfabetismi che l'uso divulgato, generalizzato, planetizzato di questo nuovo strumento può creare. C'è il rischio che metà o più della popolazione di questo pianeta, che già è discriminata, sia ancor più profondamente discriminata dal fatto di non possedere un linguaggio adatto all'uso di questo strumento, dal fatto dì non potersi comprare un pc, dal fatto di non poter accedere a questa rete. E' un aspetto particolare che però in un prossimo futuro avrà un'importanza crediamo crescente - i sociologi e i tecnici ce lo confermano. Fra molti anni non avremo come elettrodomestico primario nel soggiorno di casa un televisore: avremo una macchina interattiva che ci consentirà di comandare le luci di casa, il riscaldamento, di metterci in rete con Internet, di parlare con la nostra banca, col nostro datore di lavoro. Credo che, soprattutto chi si avvicina alla professione del giornalista, debba tener conto di questa nuova complessità che si aggiunge ad una realtà già complessa della quale tutti i giorni parliamo.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.