IV Redattore Sociale 14-16 novembre 1997

Dire, non dire, dire troppo

"Fatti" da stampa e TV

Intervento di Gianluca Nicoletti

 

Gianluca Nicoletti - conduttore di Golem,  Giornale Radio Rai*

"Golem": la brutta copia dell'umanità

Urge una piccolissima premessa. E' un po' spiacevole avere questa sorta di destino, al quale ormai non si può più in nessuna maniera sfuggire, cioè quello di dover rappresentare sempre la persona "contro", quello che deve andare a scovare la contraddizione. Devo dire che questo destino me lo sono andato un po' a cercare e me ne compiaccio abbastanza. In fondo c'è una certa soddisfazione, ma anche un rovescio della medaglia. C'è una necessità quotidiana di guardarsi allo specchio, fare il punto su se stesso e dire: ma sono veramente al di sopra, fuori, incontaminato da tutto quello di cui parlo, di cui mi prendo l'estremo lusso e l'estremo privilegio, l'estremo divertimento di ironizzare, di scherzare, di prendere in giro, di smontare, di demolire, di demonizzare? Anche perché spesso parlo di colleghi, di persone che hanno avuto iter professionali simili ai miei, e che potrebbero dirmi: ma come ti permetti? chi sei tu, come mai fai questo? Ne esco soltanto facendo questo tipo di riflessione, che è un autoconvincimento. Cioè dico: in fondo ho un po' la funzione dello "scemo del villaggio". Porto la cravatta a farfalla, proprio perché ho un parlare a volte colorito, proprio perché gioco sui paradossi, che in fondo si può anche fare a meno di prendere sul serio. Quindi ho una sorta di liceità di parola, come quella che avevano i folli nelle piccole comunità, o gli sciamani - che infatti erano folli - che avevano le persone che aprivano la bocca e gli davano fiato, e si poteva immaginare che avessero dei contatti sottili con realtà di tipo superiore o si poteva dire a se stessi che queste persone semplicemente vaneggiavano. Tutto ciò che dicevano era frutto del loro vaniloquio.
Questo semplicemente per dire che potete anche semplicemente prendermi per un semplice folle che si diverte ogni giorno a navigare, a galleggiare nel flusso della comunicazione - che io chiamo Golem - che è un essere distinto, è una brutta copia dell'uomo, fatta da un uomo stesso, e infatti viene male, riesce male. Quello che leggiamo ogni giorno nel mondo della comunicazione è il racconto sbagliato e abortito dell'umanità. Poi non fa differenza se appare in un giornale o nella televisione: forse la Tv è il centro motore di questo mondo, è il nucleo caldo intorno a cui orbitano tanti satelliti, i giornali e la radio, e forme parallele di comunicazione. Oggi poi c'è l'affacciarsi delle reti telematiche: è un mondo nuovissimo, è un mondo pieno di misteri, di suggestione, ma anche di enorme monotonia, perché vi si riflette l'umanità, con tutte le sue bassezze e i suoi splendori. Quindi altro non è che un altro specchio dell'umanità.

L'informazione tra due derive

L'argomento di questi giorni di discussione è una sorta di regola interiore, perché se sia stata fatta una legge il 31 dicembre '96 sulla tutela delle persone o di altri soggetti rispetto al trattamento dei dati personali, è del tutto ininfluente. Come diceva giustamente don Vinicio, alla fine ognuno è lasciato a una decisione che deve essere personale, perché la legge non ti dà delle possibilità di scelta, non ti dice: o fai così o altrimenti chissà cosa ti succede. Molte volte conviene eludere la legge e andare sulla notizia, andare fino in fondo, seguire la cattiva coscienza o la tentazione di arrivare per primo su quel dato fondamentale per l'arricchimento della notizia, anche se in contrasto con questa nuova maniera di intendere la professione del giornalista, con la quale comunque dobbiamo fare i conti. Poco fa don Vinicio raccontava della telefonata che ha ricevuto: è una cosa che conosco benissimo e spesse volte io ho consigliato agli amici del Cnca di organizzare una bella beffa mediatica, di mandare una persona a simulare la parte del violentato, dello stuprato, della persona tossicodipendente, del malato, di far andare in onda il programma e poi rivelare tutto. Sarebbe una lezione, e nessun giornalista vi chiamerà più (per chiedere se avete "casi umani" ndr). E' singolare, emblematico il fatto che nello stesso luogo fisico, nello stesso istante, alla stessa latitudine, alcune persone dolorosamente, con fatica, imbarazzo e vergogna stiano cercando di analizzare il problema del trattamento di certe circostanze personali, e altre persone considerino lo stesso luogo come una sorta di agenzia di collocamento per stranezze, per nefandezze umane, come il protagonista di un film di Woody Allen, che è quell'agente strampalato che aveva tutta una serie di personaggi strampalati. Sembra che don Vinicio abbia l'agenda di quest'uomo in Italia e lo chiamano per chiedergli: "Senta, avrebbe una persona con queste caratteristiche? Un incesto fra fratello e sorella, tossicodipendente, una bambina violentata, possibilmente senza genitori?" 
Questo dimostra che esistono due derive attraverso le quali oggi il comunicatore, l'informatore si trova dilaniato. Da una parte c'è questa profonda necessità di adeguarsi ai tempi, al di là dell'orrore. Ad esempio, giudico orribile l'infatuazione per il "politicamente corretto", che altro non è che un eufemismo: è il chiamare le cose con un nome più carino, più accattivante, ma questo assolutamente non impedisce che poi il trattamento su queste persone, cose, circostanze sia altrettanto spietato, come se noi chiamassimo il claudicante "zoppo" o il non vedente "cieco", e via dicendo. Oggi lo spartiacque fra colui che deve informare, colui che ha la delega di informare perché ha a disposizione alcuni strumenti - che sono le fonti, alcuni codici, un Ordine professionale o per lo meno una congrega di persone che in qualche maniera controlla il suo lavoro - e colui che stranamente si sta allontanando da questo tipo di delega molto importante e molto seria e deve confezionare in qualche maniera questa informazione, è molto labile. Ci si trova in una circostanza di estremo paradosso. Fra, ad esempio, le antiche tribune elettorali di Iacobelli, che aveva il cronometro in mano e dava la parola a turno a ogni ospite: l'atteggiamento era freddo, l'immagine fissa, con pochi stacchi di telecamera e discorsi molte volte preparati; raramente c'erano delle aperte reazioni alle domande del conduttore o il conduttore raramente faceva delle domande che mettessero in grave difficoltà le persone. Dall'altra parte "Carramba! Che sorpresa", il grande circo dell'informazione, quello che vediamo tutti i giorni. Una persona che in qualche maniera si accosta a questo tipo di professione, oggi in qualche maniera deve cominciare a lavorare. Può scegliere un iter professionale simile a quello dei grandi vecchi del giornalismo - che hanno cominciato con la gavetta, andando a fare il giro di cronaca e facendosi le ossa sui fatti giorno per giorno e imitando i bravi e alla fine arrivando a essere la firma del giornale - o altrimenti, che è molto più facile, si finisce in uno di questi immondezzai comunicativi, informativi, di ballerine, di balli, di casi clinici, che sono la televisione italiana oggi in cui al giornalista - una persona che ha studiato, magari ha dato degli esami - viene detto: "Vedi un po', ci serve questo caso umano, cerca il caso umano, confeziona il caso umano, trova la maniera per fare sì che questo caso umano sia il siparietto giusto fra la cantante che viene a presentare l'ultimo disco e il regista che viene a presentare l'ultimo film". Come sul tavolino dei "Fatti vostri", di "Verissimo", di qualunque trasmissione.
Secondo me la televisione è come un unico divenire, non distinguo e non do responsabilità alla rete, all'emittente, al conduttore, considero che comunque ormai si è talmente diffusa questa tendenza che è molto difficile stabilire quali sono i limiti. E in questa confusione cronica è anche molto difficile stabilire chi degli informatori dovrà porsi il problema di coscienza, cioè cominciare a dire quali sono le circostanze, le persone, le situazioni che deve rispettare, perchè, al di là del mandato, dell'imperativo interiore che si dà il singolo esiste una redazione, un caporedattore, un responsabile o un capostruttura che invece lo portano nella direzione completamente opposta.
Farò quello che normalmente faccio tutti i giorni alla radio: spezzetto la televisione, la trasformo in audio e cerco di guardare la grande matrice di questo malcostume che stiamo cercando e del quale siamo anche noi corresponsabili. Lo dico per l'ultima volta, per non essere accusato di fare solo le pulci agli altri e tirarsene fuori. Sentendo soltanto l'audio e uscendo un attimo dall'immagine, molte volte si hanno dei flash, vengono delle riflessioni che permettono di capire in maniera ancora più profonda da che parte stia il problema. Diamoci una data: quella del 31 dicembre 1996. Immaginiamo per assurdo, per astratto, che prima di questa data ci fosse il caos totale e analizziamo qualche stralcio di quotidiano, preso abbastanza casualmente da questa rassegna stampa che mi ha fornito in gran parte il Cnca. Presa in maniera molto casuale nel senso che non è stata una grande fatica trovare i pezzi, è bastato prendere a caso alcuni giornali e trovarne.

Privacy e minori: un'attenzione speciale

Il primo pezzo è preso da Repubblica, quindi un giornale che per lo meno ha - o aveva - una sua tradizione. L'articolo è stato scritto prima della legge sulla privacy, quindi diamo per scontato - anche se non è così - che prima di questa legge non esistesse nessun imperativo né scritto, né morale per avere certi tipi di accortezza. Il titolo è "Così la mamma mi vendeva": essendo del '93 al tempo già esisteva la Carta di Treviso. Quindi per lo meno i giornalisti dovevano sapere che quando si parla di minorenni bisogna avere qualche piccola accortezza, perché al minorenne, in quanto indifeso, in quanto non ha volontà propria per decidere e per capire che uso fare della propria privatezza, va data la possibilità di crescere, di diventare grande e decidere lui quello che vuol fare del suo privato. Anche se poi c'è sempre una selva di mastini affamati pronti a prendersi quel privato, anzi a mostrare lo zuccherino della visibilità. Questo accade in televisione, perché altrimenti non si spiegherebbe come mai ogni giorno tante persone auto-violino questa legge, nel senso che essi stessi, soggetti che avrebbero diritto ad una tutela, vi rinunciano e vanno in televisione a raccontare il loro male incurabile, la loro vicenda di violenza subita, la loro storia di tossicodipendenza o di malattia e via dicendo. Perché ci vanno? Nessuno può impedire loro di andarci, ci sono adulti consenzienti e consapevoli, ma dall'altra parte c'è un sistema che funge un po' come la maga incantatrice, come la casetta di Hansel e Gretel; la televisione fatta di zucchero e dolciumi, in cui è bello andarci dentro; se la gente non ha gli strumenti per capirlo non possiamo fargliene una colpa, ma possiamo forse fare qualcosa noi che stiamo al di fuori di quella casetta.
Torniamo all'articolo: "Così mamma mi vendeva. A 16 anni fugge dal mercato del sesso, la storia di una minorenne coinvolta dalla madre in un giro di prostituzione" All'inizio del pezzo la chiamano Angela B. di 16 anni, con nome convenzionale, quindi apparentemente hanno rispettato l'anonimato di questa ragazza, ma è soltanto un tentativo ipocrita, perché ci sono tutte le generalità della madre, del padre, il luogo in cui lavoravano, per cui era facilmente possibile risalire all'identità della ragazza.

I dati sensibili: solo se necessari

Andiamo avanti con il secondo pezzo. Tutti ricorderete più o meno quello che dice la legge su quali sono le circostanze, i cosiddetti "dati sensibili" che devono essere considerati essenziali nel trattamento giornalistico. Se certi dati non sono essenziali non vanno messi: non c'è nessuna necessità di dire che lei è bianca e lui è nero, come nel caso di una coppia che è stata assassinata a Padova, anche perché onestamente lui nemmeno è nero - dalla foto sembra di nazionalità algerina - però gioca bene mettere in un titolo "La bianca e il nero". Dietro c'è un carico di morbosità, di trasgressione, tutta una serie di situazioni irrisolte. Ma siamo ancora a prima della legge.

La tentazione del "grande romanzo"

Altra circostanza. Questa è un'estrapolazione da una ricca rassegna stampa che è stata fornita dall'Arcigay. La categoria degli omosessuali - non so se è esatto dire la categoria, comunque lo è, per lo meno in certi trattamenti giornalistici - è discriminata quando, anche se non è necessario specificare il gusto, l'attitudine, la preferenza sessuale della persona in qualche maniera coinvolta nel fatto di cronaca, viene messa come circostanza principale e fondamentale, quindi essenziale, anche quando essenziale non è. Guardate poi quanto questa storia si presta al romanzo. C'è questa sorta di delitto maturato in ambienti di amicizia particolari. Questo per ricordarvi che in fondo la televisione non è l'unica colpevole, lo è anche tutto l'indotto intorno alla televisione. I giornali in qualche maniera viaggiano sul filo del feuilletton, del romanzo: non sono informazione nuda e cruda come dovrebbero essere. Dobbiamo informare, dare delle circostanze, non dobbiamo scrivere dei pezzi di calligrafia, non dobbiamo fare dei romanzi, lasciamo il taglio basso al feuilletton, che è un pezzo di commento, che una volta si diceva elzeviro, dove il personaggio esce per strada e racconta quello che vede e via dicendo. Ma quando si parla di cronaca si potrebbe forse fare a meno di mettere questa sorta di specifica del tutto inutile del "giro delle amicizie omosessuali", quando una persona è stata trovata in casa, uccisa. Anche perché poi, quando avviene il contrario, cioè quando l'analisi attenta delle circostanze determina che in realtà questa sorta di sordido ambiente delle amicizie particolari non esisteva, non viene data la necessaria smentita, a nessuno interessa di far capire che in realtà così non era. Perché? Perché toglie un'illusione, perché alla mentalità degli estensori di questo tipo di articoli - di cui facciamo parte probabilmente anche tutti noi - non piace togliere l'illusione sul grande romanzo, sulla grande favola, su questa bella storia parallela di cronaca nera.
In questo lancio dell'agenzia Ansa viene detto - di un delitto che era stato dato sui giornali come maturato nell'ambiente delle turpi amicizie e dei rapporti omosessuali - che in realtà si trattava di una persona che era caduta dal cornicione, un certo signor Privitera. Invece i giornali prima hanno detto che il delitto poteva essere maturato in ambienti omosessuali, e nessuno ha detto qualche cosa il giorno dopo, e ha specificato che questo signore non era stato ucciso da nessuno. Se fosse o meno omosessuale la cosa non ci interessa, era caduto da un cornicione mentre stava tentando di entrare a casa di un'altra persona, e che cosa ci andasse a fare erano fatti totalmente suoi.

Una realtà ispirata alla fiction

Andiamo avanti ancora. Questa è una cosa molto divertente: è orribile ma divertente nell'ottica di questa ricerca del romanzo di cui parlavamo. C'è sempre la necessità di confezionare la notizia - e non so chi è stato a fare la prima mossa, se la televisione o i giornali, se i giornali vadano sull'onda lunga della televisione - e ormai non c'è più un'informazione in televisione che non debba necessariamente avere questa sorta di aspetto di editing e di confezione. Se si chiama il politico bisogna anche chiamare la ballerina, bisogna metterci anche il fatto divertente vicino; i grandi contenitori del pomeriggio, fino alla serata, devono essere infarciti in un simpatico mix di realtà e di romanzo, per cui a volte capita che sia la fiction, il romanzo, ad ispirare la realtà, ad ispirare dei fatti di realtà, e non esattamente il contrario. Ci sono un'infinità di storie in questo senso, come questa notizia che è presa dalla Prealpina, nella cronaca di Legnano. E' una storia molto torbida, guardate quante violazioni ci sono: "Violenta disabile in ospedale, ha l'Aids: tentato omicidio": c'è una violazione, anche se in questo caso ha subito una violenza, della sfera sessuale del disabile, che è una categoria che già dovrebbe essere in qualche maniera tutelata. Poi della persona che ha compiuto il delitto - e il fatto che sia colpevole comunque non lo esclude da una tutela - non è necessario o per lo meno non bisognerebbe dire che lui aveva l'Aids. Guardate cosa c'era nella pagina interna. La stessa notizia è diventata: "Sodomizzato in corsia". La notizia era che questo signore, poverino, era stato sodomizzato in corsia. E' una grossa violazione: non c'era nessun bisogno di dirlo, sarebbe stato sufficiente dire che c'era stata una violenza di tipo sessuale. Invece no, hanno voluto specificare, parlando di sodomia, che non è vero. Questo signore non è stato nemmeno sodomizzato. All'interno del pezzo poi, al di là di questo titolo, viene detto: "sodomizzato o, secondo la versione del vertice ospedaliero, tentativo di sodomia" che è un particolare decisivo, certo, ma non sostanziale sotto il profilo etico. Andando ancora avanti: "l'unica testimone della presunta sodomizzazione pare fosse un'infermiera o caposala, che racconta forse...". Qualche giornalista trova un medico del reparto interessato, disposto a raccontare. Chiaro esempio, secondo me, di fiction giornalistica: non c'è una notizia, ma una voce di corridoio, del medico compiacente, ma cosa dice? "I due erano accovacciati in un angolo del corridoio, nudi, un'infermiera ha visto la scena". Ecco, c'era l'infermiera che l'ha detto al medico, che l'ha detto al giornalista; ha visto la scena, ha capito e ha dato l'allarme. "È subito intervenuta la polizia, da parte nostra abbiamo effettuato una serie di analisi": ecco, questo dovrebbe essere il dato certo: la prognosi del medico. Quindi c'è l'illecito del medico nel dare un certo tipo d'informazioni, ed è illecito quello che scrive il giornalista, ma siamo prima della legge. "Abbiamo effettuato una serie di analisi e non ci risulta che sia stato consumato l'atto sessuale": quindi il paziente non è stato nemmeno sodomizzato. Ora, non mi interessa cosa gli abbiano fatto: però guardate che costruzione c'è stata su un non fatto, sulla non esistenza, ma siamo prima della legge...

Tutela della privacy: non basta una legge

Arriviamo allora allo spartiacque, al primo segnale, per lo meno per i soggetti del diritto di essere tutelati. I giornalisti dovranno darsi questo codice di autoregolamentazione entro la fine dell'anno: manca un mese, l'avranno fatto? Sarà pronto? Poi Fausto Spegni - che ne sa più di me - ci dirà se lo faremo noi o lo farà il Garante. Ci sarà un altro codice, ma io direi a Fausto Spegni, che se ne intende più di me di leggi e regolamenti: se noi mettiamo uno sopra l'altro tutti i nostri codici deontologici, le leggi, le sentenze, avremo una cartella che per portarcela dietro ci vorrà un facchino. Serve a qualcosa? Sorvoliamo.
C'è stata la legge, tutti ne hanno parlato. Qualcuno ha detto che ci potrebbero essere dei problemi dal punto di vista della censura: è vero perché ci sono le persone più realiste del re. Le forze dell'ordine e i Carabinieri hanno cominciato a non dare nessuna informazione, i magistrati hanno cominciato a non dire niente, e fanno anche bene, ma addirittura le guide alpine non vogliono nemmeno dire i nomi - in alcune parti qualcuno l'ha scritto - delle persone travolte dalle valanghe per paura di cadere nei rigori della legge. Fino a quello che secondo me è un articolo significativo, apparso sulla prima pagina del Messaggero, il 7 ottobre. Siamo arrivati più o meno ai tempi nostri. In questo pezzo, il Messaggero incassa il colpo, lo mette in prima pagina e risponde Paolo Gambescia, che è un vice direttore di quel giornale. Scrive un signore che si firma Rossano Crocetta di Roma. La stessa lettera apparirà il giorno dopo su Repubblica, senza commento, semplicemente fra le lettere, invece il Messaggero ha pensato bene di rispondere. Questo signore dice al Messaggero - ve la leggo testualmente: "Sono il fratello di Riccardo Crocetta, quello che ne ha rinvenuto il corpo quell'infausto 21 settembre. Mi preme porre una domanda e possibilmente avere una risposta. A chi e a che serve pubblicare il nome e indirizzo dell'ennesimo morto per overdose? Le semplici iniziali non bastano? Qual è il valore aggiunto alla notizia della completezza dei dati anagrafici? Mio fratello Riccardo era un avvocato di 40 anni che svolgeva la propria professione con serietà e dignità, non era di certo un personaggio pubblico, che celava quanto più era possibile la tossicodipendenza, del suo problema erano a conoscenza pochi intimi. Se in vita era un suo sicuro e fermo diritto che la propria sudditanza all'eroina non venisse divulgata, che diritto avete voi di farlo in occasione della sua morte? E, dando una lezione di giornalismo - quindi dimostrando che lui almeno aveva letto la legge, che avevano letto probabilmente anche i colleghi del Messaggero, guardandosi bene però dall'osservarla - giustamente dice: la notizia è che Riccardo Crocetta, in via Di Porta Labicana, a San Lorenzo, era morto di overdose o che R.C. è la 74a vittima dell'eroina dall'inizio dell'anno, o meglio ancora la vittima di una particolare partita di eroina che era stata in quel periodo smerciata a Roma, tagliata in una certa maniera e aveva fatto una serie di morti? Risponde in maniera molto ufficiale Gambescia: "Dal punto di vista del diritto potremmo appellarci al diritto di cronaca, perché la circostanza era provata, il nome ce l'hanno dato i carabinieri, non c'era nessuna maniera perché noi non dovessimo dare questo nome, però capiamo, comprendiamo. Forse lei è avvocato, crediamo che lei sia d'accordo sul fatto che il dolore individuale può diventare lezione di tanti". Cioè Gambescia in pratica dice: "Grazie di aver scritto questa letterina, così ci ha dato una bella lezione o dà una lezione a quanti ci leggono".
Cosa possiamo osservare noi? L'imbarazzo e l'impossibilità di trovare delle giustificazioni - impossibilità che secondo me continuerà ad esserci per un bel po' di tempo, anzi probabilmente ci sarà sempre, perché il vero problema non è la legge, che può essere perfetta, può essere modificata - e non sarà il codice deontologico che noi potremmo immaginare, che noi vorremmo scriverci a lettere cubitali, che potremmo tatuarci sulla pelle, potremmo immetterci nei nostri circuiti cerebrali come Johnny Mnemonic - non è solamente quello. E' la grande tentazione che trova ogni giornalista di fronte ad una notizia e che si chiede: "La do, o non la do? Ma se non la do, la darà prima quell'altro, allora tanto vale che la dia".
Questo è il grosso problema. Infatti, a legge avvenuta, noi pensavamo a chissà quale cambiamento nei giornali, ma invece guardate su Repubblica, in cronaca: "Tossicomani i killer degli orafi" è importante dire che fossero tossicomani delle persone che in una rapina hanno ammazzato degli orafi? Andiamo avanti. Una persona subisce uno stupro, poi probabilmente nell'interrogatorio, nella relazione che fa alle forze dell'ordine, dirà questa circostanza, cioè: "Io gli ho anche detto che ero malata di Aids, ma a lui chiaramente è importato meno che mai ed ha continuato a stuprarmi". Si potrebbe fare un'analisi approfondita: probabilmente il cronista in questo caso ha avuto modo di vedere il verbale dell'interrogatorio, non c'è nessun problema in questo, ma era necessaria quella specifica, su una notizia di cronaca di una donna stuprata, tristissima, si doveva specificare questa circostanza che nel corso della consumazione di questo stupro la signora o signorina ha ammesso, dichiarato di avere l'Aids?

La leggenda dell'untore dell'Aids

Prendiamo un'altra notizia, sempre di Repubblica, presa da un'agenzia. Un personaggio che abitualmente compie stupri su donne malate di Aids, non deve essere tutelato in quanto straniero? La legge vale soltanto per i cittadini italiani? No, non mi sembra, vale per tutti, allora perché mettere la foto? Allora perché raccontare la storia dell'untore dell'Aids? Su questa storia degli untori dell'Aids vi devo raccontare un simpatico aneddoto, da me seguito in prima persona in un programma che facevo l'anno scorso. Qualche volta mi piaceva seguire il filo di alcune notizie, vedere come nascevano, come si sviluppavano, germinavano all'interno dei grandi giornali e come poi morivano miseramente, dimostrando la loro inconsistenza. Non so se ricordate, verso maggio, mi sembra, dell'anno passato, alcuni quotidiani nazionali - mi sembra che fossero Repubblica, Corriere della Sera, Stampa, l'Unità e altri due o tre - misero in prima pagina, con grande evidenza in taglio basso, questa storiella: un signore era andato alla polizia e aveva denunciato una donna, dicendo: questa donna, con cui ho avuto una serie di rapporti sessuali, una breve storia, ho saputo che è malata di Aids, perché un suo uomo, un suo ex fidanzato è morto di Aids, quindi mi ha attaccato l'Aids, quindi io la denuncio per tentato omicidio. Da cosa nasce questa notizia? Da un brevissimo lancio dell'agenzia Ansa. Probabilmente sarebbe rimasta in questo ambito, perché ovviamente quella legge già c'era e non si potevano dire le generalità della donna, non si poteva dire null'altro, questa cruda storia sarebbe finita lì, erano quattro righe di agenzia. Se non che, a distanza di un'ora, la stessa agenzia ha pensato bene di rimpolpare la notizia. Ha fatto un successivo lancio in cui venivano date succose informazioni di repertorio su una serie di circostanze simili, per nulla provate, anzi, nella maggior parte, per una mia personale indagine, risultavano essere attinte dai soliti libretti di raccolta delle leggende metropolitane, le famose storie americane degli untori dell'Aids. Probabilmente sarà anche vero, ma esiste tutta una casistica divertentissima - come quello che scrive sullo specchio "Benvenuto nel mondo dell'Aids" - tutta una serie di storie di uomini o donne che vanno in giro infettando d'Aids le loro vittime per vendetta verso il genere umano. E lì erano tutte riportate, addirittura con i nomi gergali, il ragno nero, la mantide grigia. Questo è dovuto al fatto che, al momento di chiudere il giornale e capire quali erano i pezzi importanti, tutti hanno associato queste due cose e sono partiti gli inviati di tutti i giornali e per un'intera settimana hanno coperto una notizia inesistente. Per un'intera settimana, giorno per giorno, mi collegavo con l'unico cronista del giornale locale - che era Il Resto del Carlino, perché la città era Modena - che mi diceva che in realtà dietro questa notizia non c'era assolutamente nulla, c'era semplicemente una diceria, perché innanzi tutto il magistrato che si stava occupando di questa cosa non dava nessuna notizia, non dava nessuna conferma, stava semplicemente facendo gli accertamenti; e cosa facevano gli inviati dei grandi giornali? Andavano in giro, andavano, per esempio, dai don Giovanni del bar tipico dell'Emilia Romagna a chiedere: voi andreste con questa donna? Avete paura di andare con questa donna? Tutti snocciolavano una lunga serie di luoghi comuni, andavano fino alle circostanze ipocrite nel tentativo di delimitare questa persona: ricca, commerciante, benestante, sola, molto elegante, bellissima; chi diceva che fosse mora, chi diceva che fosse bionda; addirittura alcuni giornali fra cui Repubblica, l'Unità, che per la loro cifra ideologica e per la loro tradizione dovrebbero essere ben distanti da questa sorta di "Evaexpressismo" giornalistico, a corredo di questa notizia - non avendo chiaramente foto di questa signora, perché era impossibile - mettevano una foto di attrici discinte prese dai film. E allora si vedeva la signora in calzamaglia, in reggicalze e tacchi neri, un'altra volta si vedeva una nota fotomodella col fotogramma del film per dare su con la notizia, e questo è andato avanti, vi giuro, per 5 o sei giorni, fino a che, mi sembra l'Unità, proprio in maniera quasi vergognosa, in un pezzettino all'interno del giornale, finalmente mette un'intervista di questa donna stufa di tutto questo belare intorno alla sua persona. Perché in una città così piccola l'avevano immediatamente identificata. Comunque il magistrato non ha dato luogo a procedere perché la persona che ha fatto la denuncia non era assolutamente sieropositivo né infetto da nessuna malattia a trasmissione sessuale. La donna dichiarò di essere stata interrogata, di essere stata immediatamente prosciolta da ogni addebito, perché anche lei non aveva assolutamente nessuna malattia, e la sua unica colpa era di aver avuto un ex fidanzato, anni prima, morto di cirrosi, semplicemente questo: la morte di cirrosi di questo ex fidanzato ha fatto sì però che cinque quotidiani nazionali andassero per una settimana su questa notizia

Il parere dell'esperto: solo un escamotage

Andiamo avanti. Il discorso dei minori è piuttosto spinoso. Questo è un pezzo uscito nella cronaca di Ascoli Piceno del Corriere Adriatico. Un bambino si è suicidato: doppia circostanza. Primo: il più incallito, il più vecchio dei cronisti, una delle prime lezioni che dà al novellino che viene in redazione a fare il passacarte è che dei suicidi non si parla, non si titolano a piena pagina, non si mettono in prima pagina, si dicono meno cose possibili, perché esiste un effetto-imitazione, un effetto di trascinamento, lo sappiamo tutti benissimo. Vi ricordate, per fare dei casi analoghi, quanti suicidi fra adolescenti ci sono stati in un momento in cui questo problema era molto forte sulle pagine dei giornali? Il caso di cui vi parlo è molto pericoloso, anche perché fa riferimento ad una lettera che aveva lasciato, al suo suicidio, il leader dei Nirvana che si è ucciso sparandosi alla stessa maniera. Poi c'è la circostanza di elaborazione di questo suicidio, della scenografia che ogni suicida immagina per il suo post-mortem: vuole un funerale con la musica dei Nirvana che l'accompagna e via dicendo. C'è tutto questo aspetto emotivo pericolosissimo, quasi mitico, intorno alla circostanza del suicidio che potrebbe creare dei problemi, ma soffermiamoci su alcuni aspetti. Primo: il bambino è minorenne; secondo - a parte il fatto che dei suicidi non si dovrebbe parlare, invece se ne parla a pieno giornale - la foto del bambino viene messa chiaramente in pagina, e notate il particolare macabro, non soltanto la foto del bambino, ma anche la lettiga del necroforo che probabilmente l'ha portato in camera mortuaria. Ci si assolve in qualche maniera da questo tipo di operazione mettendo il commento dello psichiatra che dice: "È un caso patologico mimetizzato dall'età". Questo è un escamotage tipicamente televisivo, che poi è tracimato anche nei giornali: assolversi con il mandato sociologico-scientifico. Posso far vedere in televisione la pornostar, posso fare vedere il teatrino dello scambio delle coppie, la storia dello stuprato o la stuprata, perché? Perché poi in studio ho l'esperto - che poi sono sempre gli stessi che ormai vivono di questo, vanno lì e commentano - che mi porge il versante scientifico e mi giustifica sotto questa specie di coperta. E io posso fare quello che voglio. Vi ricordate: verso la fine degli anni '70 c'era questo filone di film pruriginosi che venivano - si diceva, ma in realtà li giravano in Italia sotto falso nome - dai Paesi scandinavi - tipo "Helga" e via dicendo - che sotto la scusa di essere in realtà film didattici, che servivano a dare un'educazione sessuale, in realtà facevano vedere le prime donnine nude, le prime pallide soffuse scene di accoppiamento e allo stesso modo c'erano quegli ipocritissimi reportage, i così detti "film dai mondi selvaggi" (gli "Africa 1", "Africa 2" e via dicendo), dove si immaginava un esploratore, un antropologo, uno scienziato, un sociologo in giro per il mondo che ci mostrava le bassezze umane e, sotto la scusa del reportage utile, del documentario, comunque passavano delle cose che i rigori e il livello di censura del tempo non avrebbe fatto passare. L'appoggio dello psichiatra, del sociologo, dell'esperto, ha esattamente la stessa funzione: una scappatoia, un escamotage ipocrita per poi mettere il sarcofago del bambino o la faccia del bambino suicida e la storiella molto colorita del bambino che si è ammazzato. Questo è accaduto prima della legge, ma pare che le cose non siano cambiate molto.

Il patto di sangue tra i giornali

Sull'"Avvenire" Pino Ciociola racconta una cosa accaduta recentemente in occasione del triste fatto del monte Morrone, del pastore di Sulmona - non bisogna farsi troppe remore perché ho detto pastore, era essenziale il fatto che fosse pastore, ma era anche extracomunitario e via dicendo - che ha ucciso la ragazza, dopo averla violentata e tentato di farlo con altre due. E' una cronaca molto dolorosa. All'ospedale civile di Sulmona, dove in una stanza c'era una di queste due ragazze sopravvissute, sotto shock naturalmente, e c'erano i cameramen della televisione con le telecamere accese appoggiate al buco della serratura, girava la notizia, appetitosissima, che qualche fotografo avesse già le foto del cadavere dell'uccisa, della stuprata dopo l'autopsia. Poi verrà fuori che era il fotografo della polizia che, per prassi, per procedura giudiziaria, deve comunque fare le foto, ma questo aveva scatenato una rissa tra i fotografi che si dicono: "Tu hai quella cosa, io no, perché non l'hai detto?", una sorta di patto. Molti di voi si saranno recati nei luoghi dove accade, o è accaduto o sta per accadere qualcosa: c'è un patto di sangue fra i presenti, che stabiliscono che nulla deve uscire da quel posto se non si è condiviso fra tutti, e viene tacciato d'infamia colui che ha la notizia, la dichiarazione strappata, la lacrima esclusiva, la foto che gli altri non hanno, l'immagine rubata. Un giornale è stato querelato perché aveva preso una cosa agli altri e loro non lo sapevano: perché soltanto lui?

Storie di sesso, vero o falso?

Passiamo all'altro grande polo della calamita: visto che abbiamo parlato di morte, di Thanatos, parliamo di Eros. Ecco una serie di notizie recentissime che rientrano nell' "Evaexpressismo" giornalistico di cui abbiamo parlato: "Arrestati nuora e suocero, il loro amore è incesto". Abbiamo una circostanza abbastanza singolare, anche interessante dal punto di vista del diritto. Ci sono infatti delle norme obsolete, per cui non possono liberamente consumare un rapporto sessuale due persone anche unite da un labile legame di parentela, se la cosa diventa di pubblico dominio. In realtà viene fuori che loro consumano l'incesto e quindi il magistrato, per obbligo ad una legge su cui forse bisognerebbe discutere, deve intervenire se c'è una denuncia. È giusto il trattamento che "Repubblica" ne fa in questa pagina? Dove mette le foto di lei, di lui. La legge parla del diritto alla riservatezza della propria sfera sessuale e mi sembra che sia proprio Miriam Mafai a parlarne lo stesso giorno. Quindi il giornale, da una parte mette questa foto, dall'altra la Mafai fa il giusto commento, dove immagina come gli inquirenti siano andati ad osservare le lenzuola per vedere se realmente c'era stata la consumazione. Oltre ad aver messo le foto dei due, cosa sbagliata dal punto di vista deontologico, la cosa ancor più sbagliata - ma prassi ricorrente che nessuna legge, nessun regolamento sarà sufficiente comunque a censurare - è che viene messa la foto del film "Il danno" di Louis Malle, in cui c'era un atto d'amore consumato - fra suocero e nuora in questo caso. Questo è un mal costume molto diffuso, ma ogni giornale ha la propria piccola fototeca: allora per ogni stupro consumato c'è la foto del "Branco" con la ragazza per terra lacerata e via dicendo. Questo dimostra anche che ci sono delle contraddizioni ed una grossa difficoltà, un grosso imbarazzo: nello stesso giornale, mentre da una parte viene maltrattata questa notizia, dall'altra poi c'è il pezzo in prima pagina, il commento di Miriam Mafai che prende le distanze da questo tipo di sentenza. C'è un atteggiamento totalmente contraddittorio, e ciò cosa dimostra? Non vogliamo discutere sulla buona o cattiva fede, ma dimostra che c'è una grossa confusione.
Andiamo avanti sempre su questo settore "sessual pecoreccio" o pruriginoso. Ancora mi chiedo cosa ci sia stato dietro questa notizia: "La moglie insiste a dire no e lui chiama i carabinieri". L'ho vista per la prima volta nei telegiornali della sera. Mi sembrava singolare una notizia in cui non c'era nessuna circostanza: qui si andava oltre ogni regola, non sapevano nulla di questa storia, veniva confezionata con il commento: "Si dice, si sa, forse". Veniva fatta vedere la centrale dei carabinieri, la chiamata al centralino, le macchine che sgommavano e dei pezzi del film di Verdone in cui si tratta una situazione simile. Il marito irritato dalla non volontà di ottemperare al debito coniugale, la moglie chiama i carabinieri e chiede di intervenire. Cosa ci sarà dietro questa notizia? Non si sa, ci sarà una volontà della locale stazione dei carabinieri di far parlare di loro in qualche maniera? Ci sarà un cronista locale che ha orecchiato qualcosa del genere, lo dice ma non può dirlo fino in fondo? Piccola storia di provincia che però è salita fino ai grandi telegiornali, è diventata materia di trattazione un po' per tutti i magazines paragiornalistici del pomeriggio. E' appetitosissima e su questo viene intervistato Verdone. L'unica certezza di questa notizia è l'intervista a Verdone, colui che ha creato la fiction a cui sembra ispirata la realtà, che però realtà non è.

Il privato delle persone pubbliche

Un altro concetto che non viene chiaramente espresso dalla legge è la differenza tra "persona pubblica e persona non pubblica". La persona pubblica ha degli incarichi e delle responsabilità istituzionali, mentre la persona non pubblica è il comune cittadino. Se uno ha delle responsabilità istituzionali è forse giusto che i suoi lettori, le persone che in qualche maniera si aspettano da lui qualcosa, sappiano anche qualcosa che attenga alla sua sfera privata. In questo caso ci sono delle interpretazioni che non possono essere codificate. La malattia del leader o del premier chiaramente è un argomento, una notizia che viene data, la malattia del privato cittadino non è essenziale, non interessa a nessuno. Ma come si fa a trasformare una notizia che non avrebbe nessuna rilevanza in una notizia che si può dare, attribuendo caratteri di persona pubblica ad una persona che in realtà non lo è? Allora, chi si ricorda del sottosegretario Olcese? Io no, perché il sottosegretario Olcese - come dice "Repubblica" del 9 ottobre 1997 - non vive più da molti anni sotto i riflettori della mondanità, era onorevole repubblicano, due volte sottosegretario alla Difesa e alla Presidenza del Consiglio, era molto visibile, allora era persona pubblica, quindi avevamo tutto il diritto di sapere che fine avesse fatto la sua compattezza psichica, perché magari aveva degli incarichi istituzionali, ma non ora, bensì allora quando era sottosegretario alla Difesa e alla Presidenza del Consiglio, ed era molto visibile nell'Italia del boom economico, della cultura più cosmopolita degli anni Cinquanta e Sessanta. Olcese era onorevole negli anni '50 e per essere stato onorevole, repubblicano, era persona tanto rilevante da poter giustificare il fatto che ci sia un pezzo in cui viene scritto che ha smarrito la memoria per due giorni, che la polizia ferroviaria l'ha trovato alla stazione, l'ha fatto ricoverare? E' una storia finita bene: si perde, viene ritrovato l'ex sottosegretario Olcese. Questa persona, poverina, ha avuto una botta di rincoglionimento, capita alla sua età, e se ha perso la memoria e ha vagato per due giorni e l'hanno riportato a casa - può succedere - ciò viene giustificato dal fatto che era stato sottosegretario? E' così noto da meritare questo tipo di trattamento? E c'è anche la foto di questo poveretto, vengono forniti dei dati riservati sul suo stato di salute, sulla sua salute psichica, che è cosa ancora più lesiva. Costui ormai ha il bollo di poveraccio, di persona ottenebrata per quello che gli resta da campare, o sbaglio?
Questa è una cosa divertente, che ho trascritto da un telegiornale. Si allude ai famosi vandali che hanno fatto fremere di sdegno l'Italia per lunghe settimane, cioé i massacratori della fontana del Bernini di Piazza Navona. Chi si era tanto impegnato in quel periodo a definire le bieche figure di vandali - che venivano infatti dal sordido mondo della tossicodipendenza, della sieropositività - in realtà non aveva capito, come si vedeva benissimo dalle immagini televisive - che quella fontana era stata spaccata da qualche ignoto vandalo non so quanti anni prima e rimpecettata alla bene e meglio con il gesso. Questo è lo speech di un telegiornale. "Si difende così Giovanni Pisano autore con Mario Giorgini e Sebastiano... del gesto di vandalismo... che viene danneggiato ... da qualche ora è tornato a casa dopo l'arresto di ieri, la notte passata in galera, tra una lacrima e uno scatto d'ira, ecco il suo racconto... Questo signore - ditemi voi se sono circostanze essenziali alla notizia - viene definito di 33 anni, tossicodipendente e sieropositivo. Giovanni Pisano vive con la madre che fa la parcheggiatrice, l'appartamento è a due passi da piazza Navona. Non voglio tirare fuori la figura folcloristica dell'avvocato Ceccarelli. Chi tratta la cronaca conosce benissimo da anni questo avvocato, perché è uno che va sempre a portare i suoi libri e a scrivere di getto su un settimanale per propagandarli. E' sempre lì parcheggiato al palazzo di giustizia: un giornalista dovrebbe essere bene attrezzato: se impronta tutta la forza della notizia sulla crocifissione del poveraccio, non trova nessuna altra difesa, in fondo, dell'avvocato Ceccarelli. Per settimane è stata vista la faccia di questo personaggio, che ormai ha questa etichetta sulla fronte: è sieropositivo.

Uno spettacolo sempre uguale a se stesso

Arrivo alle conclusioni. Ho detto all'inizio che ci si trova di fronte ad una lacerazione, ad un bivio: mentre la parte migliore di noi ci porta a riflettere sul fatto che qualcosa sia cambiato, che bisogna cominciare a considerare le circostanze nel dare le notizie, nel trattare le notizie che non siano soltanto dettate o stimolate dalla voglia o dal desiderio di fare notizia, l'altra parte di noi si sta in maniera inesorabile - non è la mia una lettura di tipo moralistico, è una lettura realistica, di quello che sta accadendo - incamminando verso una strada che non è più quella che compete a colui che ha la delega di informare. Quella strada dell'informazione-intrattenimento è la strada che fa sì che ogni evento che accade sia l'evento lieto delle nozze della principessa o l'evento meno lieto della morte catastrofica della principessa. Sono notizie da trattare alla stessa maniera, creando uno spettacolo, qualcosa che renda affabile e interessante la notizia. Molte volte mancano gli elementi oggettivi all'interno della notizia, perché essa si possa trasformare poi in realtà romanzata e quindi intervengono certe circostanze aggiuntive. In questo mondo intermedio, che è il mondo dell'informazione-spettacolo, non c'è più nemmeno l'informazione-spettacolo, perché lo spettacolo può essere considerato tale quando rappresenta delle caratteristiche di novità, di singolarità. Ormai lo spettacolo è sempre lo stesso, forse per questo oggi qualcuno comincia a sentire un po' la puzza di cadavere quando si parla di televisione. La Tv fa vedere sempre le stesse cose, ormai sono un po' logorati questi teatrini televisivi in cui vengono fatti passare questi casi e hanno lo stesso tipo di trattamento, la stessa evidenza, si alternano sulla sediolina dello studio. Come ho già detto c'è la persona che va a celebrare il proprio successo, il proprio splendore, le proprie capacità canore e la propria facoltà, capacità di realizzare un bel film, di scrivere un bello o brutto libro, e la persona che va lì con lo stesso anelito, con lo stesso desiderio di apparire, di esistere, di entrare nell'unico e residuo luogo di esistenza che è quello del passaggio televisivo e, non avendo nulla da portare che il doloroso fardello della propria storia, e sapendo che quella è selvaggina ricercata perché è mercanzia rara, porta anche quello.

I vip e la "privacy coatta"

Su questo si apre un problema, al quale ancora non sono riuscito a dare una soluzione: da dove si deve partire? Bisogna dire che la televisione e i giornali non devono essere più questo tipo di vetrina, quindi non rappresentare più, come abbiamo già detto prima, la casetta di Hansel e Gretel da cui tutti questi bambini sono attratti. Ma sono veramente bambini? Sono veramente persone sprovviste della capacità di decidere se entrarci o non entrarci? Oppure cominciare all'interno del meccanismo stesso della comunicazione, che io chiamo "Golem", che è una sorta di magma correlato? La televisione vive perché i giornali danno vita alla televisione, la televisione vacilla e i giornali lanciano l'allarme, perché altrimenti gran parte dei giornali non avrebbero la materia per sopravvivere. E' come un processo di simbiosi: uno aiuta l'altro. O cominciare a creare - questa è la vocazione, la tendenza che dovrebbe nascere e uscire fuori da alcune persone che sentono di più questo problema - all'interno del meccanismo stesso una sorta di azione moralistica, non censoria, ma con il meccanismo dell'irrisione, dello smascheramento, dimostrando come certi meccanismi in fondo non portano a nulla o sono totalmente ipocriti, hanno come unico fine quello di trasformare la materia organica in materia comunicativa, in spettacolo, gli uomini in marionette. Proprio per questo ho aperto un forum nella mia rivista in Internet - che è il parallelo della trasmissione che faccio alla radio - dove ho stimolato i radioascoltatori a reagire contro quella che io chiamo la "privacy coatta", perché, mentre da una parte noi ci preoccupiamo di tutelare la privatezza di soggetti che non hanno strumenti culturali, di potere e sociali per difenderla e quindi sono appunto delle prede in un territorio di caccia libera, la controparte - che è pericolosissima perché rappresenta una tentazione e un cattivo esempio anche per gli altri a rinunciare al loro diritto per essere come loro - invece ci espone in maniera quasi spavalda la propria privatezza. I giornali e soprattutto certi magazine, certi settimanali di taglio familiare, sono pieni di una serie di circostanze che vengono in qualche maniera propinate, se non imposte. Il giornale è un acquisto libero al pubblico, ma questo è pericoloso: ripeto, non ho nessun intento censorio. Queste cose devono continuare ad esistere, ma è importante aprire dei luoghi di dibattito in cui se ne discuta.
Cosa fareste ai personaggi pubblici che ci impongono la triste ostentazione della gravidanza e la successiva esposizione del neonato? Una cosa normalissima: quando nasce il figlio di un divo diventa subito carne televisiva, poi ci sono i matrimoni con esclusiva fotografia o televisiva, fidanzamento, rotture, corna, separazioni, patologie psichiche o fisiche più o meno gravi o successive sconfitte del male, miracoli e guarigioni prodigiose, uscite dal tunnel della droga, sesso, alcol, folgorazioni, crisi mistiche, rinascite spirituali, eventi medianici, tutte circostanze di cui volontariamente fanno esposizione alcuni personaggi. Perché? Perché serve a mantenere l'immagine. Allora il mediatore, il giornalista o per lo meno quello che in qualche maniera si trova in questa zona limitare intermedia fra l'informare e il raccontare all'umanità dice: "Ma se lo fanno loro perché non devo farlo con gli altri?" Vi faccio un esempio su cui poi forse non c'è tanto da scherzare. C'è questa copertina: "Alba Parietti rivela un terribile segreto: ora rinasco, avevo un tumure". Lo aveva alle parti femminili, questo perché l'ha detto lei. E' la copertina di Oggi, giornale che parla della vita dei divi, delle dive, dei personaggi importanti. Da questa copertina - per effetto speculare per cui uno parte e gli altri vanno dietro - una serie di giornali danno immediatamente la notizia. Si parla di tumore, non è che si parla di giochi. Il Tempo scrive "Alba testimonial anti tumore". Quando mai? Poi "Parietti: avevo il tumore, sono riuscita a vincerlo". Di cosa si trattava? Si trattava di un pezzo di Oggi il cui titolo: "Ho attraversato il buio della malattia, ma Alba è tornata". All'interno del pezzo cosa c'è? Ci sono dieci righette su questa storia di un piccolo intervento che ha avuto, senza specificarne la gravità. Però dice : "Mi ero spaventata perché mia nonna è morta di tumore, è morta con dolori atroci"; e poi tutto il pezzo è sul fatto che iniziava Macao, quindi ci sono le foto di Alba con le cosce, Alba con le sise, tutto chiaramente in contemporanea. Lo stesso giorno uscirà sull' Espresso anche che Alba aveva fatto il film con Aurelio Grimaldi, "Il macellaio", l'Alba ignuda, Alba con le sise, Alba via dicendo.
Insomma, su circostanze così delicate - al di là della volontà del soggetto di dire queste storie che riguardano la sua sfera personale - forse ci sarebbe stato bisogno di una più oculata verifica di quello di cui realmente trattava questo articolo, ma non è interessato a nessuno, perché era molto bello, era divertente, era interessante, soprattutto tutti lo facevano. Chi si vuole sottrarre dal fatto di parlare di Alba Parietti affetta da tumore?
Altra e ultima circostanza sulla privacy: questa signora, ex presidente della Camera, da un po' di tempo appare spesso in televisione - non faccio nessuna discriminazione di tipo politico o sessuale - con questo simpatico ragazzo che lei sposerà. Vi faccio sentire anche l'audio della determinata circostanza (si ascolta l'audio)...
Nella trasmissione di Rispoli, la Pivetti si schernisce: il fidanzato è stato tutto il tempo dietro una porta di sipario, faceva capolino e lo inquadravano, mentre lei fingeva di parlare di chissà che cosa, ma in realtà di quello voleva parlare, della sua vita privata. Ce ne interessa qualcosa? Ci deve interessare per forza, perché adesso di questo si parla. Lei a un certo punto dice: "No, adesso faranno tutte le foto", ma la mattina già c'era in edicola questo giornale, probabilmente aveva l'esclusiva, con tutte le foto, anche all'interno. Se queste foto fossero state estorte al di là della sua volontà, probabilmente saremmo incorsi nei rigori della legge - anche se è un personaggio pubblico è indifferente il fatto che si baci sulle panchine col fidanzato. Ma dal momento che anche per il politico diventa materia ambita di esposizione farsi vedere con il fidanzatino, attraverso un meccanismo preordinato, studiato quasi a tavolino - perché non è la sola, ce ne sono migliaia, centinaia di circostanze simili - e diventa una cosa pubblicamente accettata, allora chi fa questo pezzo non è per nulla da perseguire, perché c'è una sorta di complicità. Come muoversi appunto tra il problema della complicità e il problema dell'ordine, e il problema della regola interiore?

No all'esposizione della sofferenza

Vi faccio sentire soltanto velocemente due pezzi televisivi. Sono due casi recentissimi - si conosceva benissimo la legge, ma si continua ad esporre persone che in realtà non dovrebbero essere esposte (si ascolta il brano televisivo)...
Questo era un pezzo di "Moby Dick" dell'altra settimana. Devo dire - per onore di verità - che mi ha subito telefonato Michele Santoro, dicendo che avevo ragione ad avere sottolineato l'orrore di questa cosa. Poi mi dispiace che è stata fatta da Riccardo Iacona, che considero uno dei migliori giornalisti documentaristi, che tra l'altro ha fatto quella bella serie che è "Sciuscià", però la cosa era atroce. Funzionava così: si andava nello studio di un medico, lascio perdere la circostanza controversa di chi fosse o non fosse il medico, c'era un ragazzo completamente pelato dalla chemioterapia, completamente ottenebrato nelle sue facoltà, probabilmente da un tumore al cervello, che veniva visitato dal dottore, ma la cosa più terribile - oltre ad avere esposto visibilmente questo ragazzo - è il fatto che è stato immediatamente detto che era condannato, che non si poteva fare nulla per lui. Era proprio necessario, importante farlo vedere? Questo ancora una volta per farvi capire che anche nei luoghi dove maggiore sembra questo tipo di sensibilità, si può incorrere in questi sbagli, proprio per la confusione che c'è.
Quest'altro pezzo è preso dalla "Cronaca in diretta" di ieri: un signore è stato miracolato da Padre Pio, ha riacquistato l'uso di un braccio e quindi a casa sua ha fatto una specie di altarino dove, grazie ad un telegiornale, vanno tutti in attesa di grazia. Fra questi tutti c'è una madre con il figlio (si ascolta il brano)...
E' importante il percorso di questa notizia, anche perché la conclusione sia di stimolo al dibattito che verrà dopo. Il giornalista dice: "Non dovremmo far vedere la bambina", invece la bambina è inquadrata per tutto il tempo di questa intervista, nella stanzina-altarino del signore miracolato. C'è l'icona della maglietta dovuta a del mistico liquido, che rimane bagnata e appesta il giornalista, e sono mesi che è ancora bagnata. Questo fa parte della serie popolare, non c'è da scherzarci sopra, ma diventa osceno quando va in televisione, quando diventa materia di spettacolo televisivo. Poi c'è tutta una fila di persone, come nel film "Ladri di biciclette" quando vanno dalla chiromante a chiedere se riavranno la bicicletta e lei dice loro: "O la trovi subito o non la trovi più". E sono tutti lì in fila con il loro bagaglio di disperazione, perché hanno visto nel telegiornale qualche tempo prima che lì c'era la miracolosa maglietta. A questo punto tutta la scienza ufficiale, la medicina vanno a farsi benedire, ma forse è anche giusto, non dico di no. Tutti vanno lì, in particolare questa madre con la bambina cardiopatica - sempre inquadrata la bambina, in primissimo piano, poverina, anche con i segni abbastanza visibili delle difficoltà di tipo fisiologico. Vanno lì sperando che il miracolo possa in qualche maniera supplire ad un'operazione con grandi margini di rischio.
Due sono i fatti sicuri su cui riflettere. Il primo: può un genitore, un adulto decidere sull'uso che il proprio figlio minore farà del suo privato? Detto in parole più semplici, visto che la bambina non può decidere, e la sua decisione se esporre o no la propria privatezza, la propria situazione di disagio fisiologico in televisione non ha alcun valore giuridico, può la madre decidere per lei? E può il giornalista appoggiarsi solamente a questa decisione della madre per poter fare il suo bel pezzo strappalacrime, come poi è stato fatto?


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.