IV Redattore Sociale 14-16 novembre 1997

Dire, non dire, dire troppo

Privacy on line. Giornalismo virtuale, nuove tecnologie, implicazioni etiche

Coordina Giovanni Buttarelli

 

Giovanni Buttarelli - segretario Generale Garante protezione dati personali*

Introduzione

Sono magistrato e sono stato designato segretario generale della autorità garante per la privacy. Il tema del workshop come avete visto è sulla "privacy on line". Mi è stato consigliato di fare un'introduzione cercando di riepilogare prima il rapporto privacy e giornalismo in termini più generali, aggiungendo qualcosa a quello che vi è stato detto e poi passare alle implicazioni più attinenti alle nuove tecnologie. La legge sulla privacy, che forse molti di voi conoscono e che comunque qualcuno potrebbe non conoscere nel dettaglio, quanto meno per la sua ratio e la sua storia, non nasce a tavolino per un'intuizione parlamentare o per un attentato all'informazione. Ho partecipato alla fase di elaborazione della direttiva comunitaria che ha dato spunto a questa legge, è stata un'attività lunga sette anni di incontri ravvicinati l'uno dopo l'altro e di dibattito acceso a Bruxelles. Alla fine la direttiva ha introdotto alcuni obblighi per i Paesi Europei, che non sono stati considerati molto dagli stessi giornalisti. Prima del suo intervento ogni Stato membro poteva disciplinare per suo conto la tematica del rapporto tra privacy-informazione, ci sono fonti internazionali che danno dei criteri guida, e innanzi tutto le Carte Costituzionali che riconoscono la libertà di informazione riconoscono però anche il diritto alla riservatezza e all'identità personale; ci sono poi strumenti come la Convenzione Europea dei Diritti dell'Uomo contenente due diverse disposizioni (gli art. 8 e 10) che cercano di bilanciare i due aspetti. Cosa dicono queste disposizioni? Che ogni persona ha diritto al rispetto della vita privata e che questo diritto non può essere oggetto di ingerenze da parte di autorità pubbliche; che questo diritto deve essere contemperato con altri diritti parimenti riconosciuti a livello Costituzionale e fra questi certamente il diritto all'informazione. Viceversa, nella norma che riguarda il diritto all'informazione, si dice che questo diritto ad informare e ad essere informati può essere soggetto a limitazioni in ragione della tutela dei diritti della libertà altrui, fra le quali c'è sicuramente anche quello alla riservatezza. Nel nostro ordinamento questo principio è affermato in maniera leggermente diversa, perché il diritto alla riservatezza e il diritto all'identità personale sono considerati dalla Costituzione e interpretati dalla Corte Costituzionale come fondamentali e inalienabili; non potrebbero quindi essere cambiati neanche in caso di mutamento della forma dello Stato. La Bicamerale si è occupata della parte seconda della Costituzione ma, se anche avesse avuto un mandato ad occuparsi della prima, non avrebbe potuto modificarli. C'è il Patto Internazionale dei diritti civili e politici che tocca questi aspetti, ma al di là di questi criteri guida, che poi sono stati interpretati dalla Corte Europea dei diritti dell'uomo e dalla Commissione Europea, non c'era un quadro normativo più preciso che chiarisse fino a che punto ci si può spingere nel raccogliere informazioni che riguardano gli altri. Si dice diritto ad informare e ad essere informati, si dice che bisogna salvaguardare la riservatezza, però non si capisce poi in concreto fino a che cosa ci si può spingere. Cosa accadeva prima di questa direttiva? Accadeva che alcuni Paesi che si erano già dotati di una legge, chiamiamola sulla privacy, erano andati in ordine sparso. Alcuni Paesi hanno introdotto una serie di garanzie per le persone, individuando i limiti entro i quali si possono raccogliere informazioni - limiti ancora più severi quando si passa al momento della comunicazione e diffusione - ma il quadro assai rigoroso non era applicabile al settore della stampa. Questo aspetto ricorre ancora oggi nei Paesi Bassi o anche in Svezia. Altri Paesi come la Spagna, il Belgio, l'Irlanda hanno approvato una legge generale sulla privacy e non hanno eccettuato la stampa da questo ambito di applicazione, salvo isolate disposizioni chiamiamole di favore e questa seconda scelta, questo secondo approccio ha portato a qualche problema applicativo, perché le leggi sulla privacy, specie di prima generazione, erano basate molto sul principio del consenso, guardavano con sfavore al crearsi di banche dati, soprattutto alla loro interconnessione, e i sistemi informatici erano basati su grandi elaboratori in possesso di poche persone, non c'era l'informatica diffusa come oggi. Nella seconda e terza generazione queste leggi, in cui c'è da ascrivere la legge belga e come vedremo la legge italiana, il consenso è ancora uno dei presupposti per raccogliere informazioni, ma non è più il principale; ci sono tutta una serie di requisiti per esempio nell'ambito dello svolgimento delle attività economiche, che vengono considerati di pari dignità per cui si dice: qui il consenso non può fermare la circolazione delle informazioni e quindi i diritti si spostano sulla fase dinamica, cioè sul momento della correzione degli eventuali errori, sul momento del blocco di eventuali diffusioni di informazioni inesatte, incomplete o raccolte in maniera scorretta. Ancora oggi una buona fetta del mondo giornalistico ignora questo dato normativo, questa direttiva europea che è un atto preciso e che parla chiaramente e senza ambiguità della stampa. Si tratta della direttiva 95/46/CE, del 24 ottobre del '95, si trova via Internet, la direttiva ha tre anni di tempo ai Paesi membri per il recepimento, pertanto il 23 ottobre del prossimo anno scade il termine per adempiere a questo obbligo comunitario. Come gli altri Paesi, anche il nostro non aveva una legge di prima o di seconda generazione, perché nel settore soprattutto commerciale e industriale c'era stata un'opposizione tremenda ai primi progetti che erano nati negli anni '80 e c'era stata una certa insensibilità a livello governativo e parlamentare su progetti che venivano via via elaborati, ma non vedevano mai la luce. Dal '92 abbiamo poi iniziato un lungo iter che ha impiegato quattro anni, un iter combattutissimo, anche se questo aspetto non è stato ben compreso all'esterno, e siamo dovuti passare come Italia ad una sorta di far west per quanto riguarda la raccolta di informazioni, ad un regime assai severo di terza generazione, che non ha permesso però quella gradualità che altri Paesi hanno potuto sperimentare nel corso addirittura di 20 anni. Ad  esempio, la legge francese, la prima risale al 1978, quella tedesca al 1977, rivista e sostituita integralmente nel 1991 - vedete come i traumi sono comunque stati digeriti nel corso di più anni. Una situazione particolare ce l'ha la Germania, che ha applicato alcune disposizioni sulla privacy, ma ha istituito la legge tedesca del '91. Ha istituito, nell'ambito di ogni azienda editoriale, una sorta di garante interno per la privacy, che sul piano dell'autodisciplina, del self control potremmo dire, cerca di tutelare gli interessati prima ancora che si crei una controversia. Che cosa dice questa direttiva comunitaria? Dice: "Gli Stati membri non sono più liberi di fare come vogliono...", questo è il primo punto; il secondo: "La stampa deve stare fuori o dentro l'ambito di applicazione delle leggi sulla privacy?..." La scelta comunitaria è che devono stare dentro, quindi non sono più estranei a questo quadro normativo che i Paesi membri si devono dare. Questa direttiva obbliga ad armonizzare tutte le leggi sulla privacy che già ci sono e il messaggio poi è: mentre armonizzate tutte queste leggi sulla privacy, dovete anche includere la stampa nell'ambito di applicazione di questa legge, se non l'avete già fatto in precedenza. Ma, terzo messaggio, nell'includere la stampa dovete anche introdurre dei temperamenti che impediscano che una meccanica applicazione di questi principi di tutela blocchino la libertà di informazione. Il messaggio comunitario abbraccia la carta stampata, l'informazione radio-televisiva, l'informazione virtuale a cui aggiungeremo presto gli audiovisivi; non abbraccia certe informazioni che non permettono di identificare la persona. Inoltre la direttiva europea e la legge italiana si applicano non solo alle informazioni alfanumeriche, quelle scritte nelle banche dati che vengono subito alla mente, ma anche ai suoni e alle immagini, qualunque informazione relativa alla persona identificata o identificabile è considerata dato personale, però se ci sono dei filmati che riprendono una moltitudine di persone e hanno determinate caratteristiche, a volte possono essere informazioni di carattere non personale. Quindi il messaggio è: introducete delle deroghe che permettono di salvaguardare la libertà d'informazione, però non derogate quanto meno ad alcuni principi. Uno di questi è il rapporto con un'autorità garante della privacy, quindi la scelta italiana di rendere il garante per la tutela dei dati personali come una autorità di garanzia anche nel settore della stampa non è un'invenzione tutta nostra. L'aspetto particolare è che l'Italia, arrivata per ultima in Europa, è stata la prima ad attuare la direttiva comunitaria. Si è aperta la discussione ferratissima in Parlamento su quali dovessero essere le deroghe per il giornalismo. La prima deroga ipotizzava il mondo giornalistico ed è stata scartata. L'autorità garante oggi è un organismo che può assicurare garanzie al lettore, al cittadino in alternativa ad un ricorso dinanzi al giudice. Questo è un dato di fatto che la legge chiarisce molto bene. Quali accorgimenti sono stati usati per salvaguardare il diritto all'informazione? Il primo è quello del consenso. Il giornalista non ha bisogno di raccogliere il consenso dell'interessato se raccoglie delle informazioni nell'esercizio della professione giornalistica e per l'esclusivo perseguimento di queste finalità. Il giornalista non può, con la scusa di utilizzare queste informazioni nell'ambito giornalistico, saltare il consenso dell'interessato e poi usare sotto banco queste informazioni per passarle ad altri. Si parla di professione giornalistica, non si parla di attività giornalistica e questo è un punto molto importante che ha una sua ragion d'essere. I primi progetti di legge parlavano di legittimo esercizio dell'attività giornalistica, ma poi si è detto chi stabilisce quando è legittimo l'esercizio dell'attività giornalistica? Il legittimo esercizio è che lo faccia un soggetto legittimato ad essere giornalista o legittimo esercizio è l'informazione raccolta e riferita in termini corretti? Questo era il dubbio che si sarebbe posto. E poi la legge n. 69 del '63 parla di professione giornalistica, quindi si è scelto di parlare di professione, poi un decreto delegato del mese di maggio ha esteso le prerogative del giornalismo anche a praticanti giornalisti e a persone in tirocinio, l'ha esteso anche ai soggetti che scrivono occasionalmente articoli o che collaborano a pubblicazioni, saggi, o che, dice la legge, si esprimono attraverso altre manifestazioni del pensiero, partecipazioni quindi a dibattiti o interventi in Tv e via dicendo. Non c'è quindi bisogno del consenso dell'interessato, né per raccogliere, né per diffondere. Le cautele diventano un po' più elevate se si passa a raccogliere dei dati di carattere sensibile e qui si è svolta una delle partite più difficili del dibattito parlamentare; non c'è punto più discusso di questo, eppure la cosa straordinaria è che il giornalismo è rimasto completamente assente, sarà perché i disegni di legge sono stati discussi prevalentemente nelle commissioni, anziché in aula. Sono stati cinque passaggi parlamentari, quattro alla Camera ed uno al Senato; in quattro anni soltanto la Fieg ha seguito abbastanza da vicino questo provvedimento, il mondo giornalistico no - che poi era quello forse più titolato a invocare garanzie - però così è andata. Il messaggio iniziale era: diamo al giornalista anche il potere di raccogliere le informazioni sulla salute, sulla vita sessuale, sull'attività politica, perché dato personale è tutto, anche riferire che un soggetto pubblico è malato o ha partecipato a un'iniziativa sindacale. In un convegno del consiglio d'Europa del 1981 si criticò molto un primo progetto italiano che, applicato alla lettera, avrebbe impedito di dire che il Papa era il capo della Chiesa Cattolica o che, allora fecero questo esempio, che Berlinguer era il segretario del partito comunista. Quando però si è aperta la discussione, il Parlamento ha detto che per alcuni dati non era ipotizzabile una libertà di raccolta di informazioni senza il consenso e si è soffermato sulla vita sessuale all'inizio e poi sulla salute. C'è stato un dibattito molto acceso, questo articolo è stato cambiato più volte e questi cambiamenti hanno influito sulla sua qualità, perché tecnicamente lascia a desiderare; il fatto è che, in questo momento, per quanto riguarda i dati di carattere sensibile, anche il giornalista può raccogliere queste informazioni senza il consenso, ma non può farlo per l'informazione sulla salute e la vita sessuale. Per fortuna questo non ha creato un problema applicativo perché applicata alla lettera, questa norma, che poi ha una sua sanzione addirittura penale, avrebbe potuto comportare dei problemi. Qual è stato il temperamento che ha voluto il Parlamento? Ha detto: non voglio dare al mondo del giornalismo la possibilità di raccogliere queste informazioni anche attinenti alla politica, alla razza, all'etnia, alle convinzioni filosofiche e religiose con un mandato in bianco, voglio che ci sia qualche cosa che specifici nel dettaglio quali sono le condizioni per la raccolta, per la liceità della diffusione. E' uscita fuori l'idea del codice deontologico che, come sapete, è in preparazione e dovrà essere elaborato dal Consiglio dell'Ordine entro quest'anno, c'è un termine per la fine di novembre, ma ragionevolmente credo che occuperà ancora qualche giorno. Dovrebbe curare alcuni aspetti piuttosto difficili da regolare con una legge o con un regolamento (c'è stata un'incertezza iniziale dovuta anche alla fase del referendum, non si capiva bene se l'Ordine avrebbe resistito o meno a questo passaggio) dovrebbe inoltre chiarire alcuni aspetti del tipo: si può diffondere un'informazione sulla salute relativa ad un personaggio comune, ad un comune cittadino? E quale tipo di informazione? Si può dire che ha una malattia terminale? E se questa circostanza viene in rilievo per un personaggio pubblico, qual è la situazione? Si deve riferire tutto ciò che ha riflessi sulla vita pubblica e lasciare quindi ferma la sfera della vita privata del personaggio pubblico? Cosa accade se è l'interessato stesso a rendere manifestamente pubblici i suoi dati? E poi, una volta che l'informazione è stata raccolta, poiché questa legge riconosce anche il diritto all'oblio, diritto ad essere lasciati in pace, decorso un certo periodo anche da un fatto clamoroso, come si applica questo principio al mondo dell'informazione? Come si applica alle grandi raccolte di informazioni automatizzate, ai grandi archivi giornalistici? Nel frattempo che il codice deontologico è in via di preparazione, la legge ha fotografato quei limiti che la Corte di Cassazione, a partire dal famoso decalogo, aveva dettato, cioè le informazioni possono essere raccolte senza il consenso dell'interessato, possono essere diffuse ma guardando alla loro pertinenza rispetto a fatti di interesse pubblico, pertinenza che diventa essenzialità nel momento in cui si tratta di rispondere e di diffondere informazioni di carattere sensibile. Questo codice dovrà anche pensare a forme semplificate che consentano di essere allo stesso tempo trasparenti e chiari e di attuare il così detto diritto all'informazione. Riconosce infatti, ad un soggetto che si presenta, il diritto ad essere informato sulla natura di questa raccolta. Rodotà faceva l'esempio del giornalista che, avvicinando il vigile del fuoco che salva la Sindone, prima di chiedergli l'informazione e di farlo parlare sulla natura di questo salvataggio, avrebbe dovuto riferirgli tutta quella sfilza di informazioni che sono contenute in questo art. 10. E' indispensabile che si trovino forme semplificate di conoscenza e comunicazione, non so se attraverso degli avvisi ricorrenti con la dovuta circostanza nelle pubblicazioni curate. Ultimo aspetto di questo panorama generale è il diritto di rettifica, quasi completamente ignorato. Conoscete tutti il diritto di rettifica? Probabilmente qualcuno non è al corrente del fatto che questa legge ha approvato un diritto di rettifica ex-ante, cioè oggi, fermo restando la salvaguardia della fonte del segreto giornalistico, il cittadino oggetto delle informazioni raccolte dal giornalista può esercitare un diritto di accesso rispetto al data base del giornalista o dell'editore e può farlo anche prima che queste informazioni siano pubblicate. Uno strumento che è di particolare rilevanza già per altre banche dati, qui, nel mondo del giornalismo, diventa di un'applicazione particolarmente ricca di implicazioni. C'è stato un caso che, portato all'esame dell'autorità garante in cui un cittadino aveva esercitato il diritto di accesso nei confronti di un noto editore di un famosissimo quotidiano italiano e questo diritto non era stato esaudito, è seguito un reclamo all'autorità garante che ha riconosciuto poi il diritto di accesso. Il giornale può (non è obbligatorio, ma in molti lo stanno facendo) nominare un responsabile del trattamento dei vari archivi e questo soggetto è il punto di riferimento al quale il cittadino si può rivolgere. In futuro potrà essere anche per via telematica, anche oggi, per posta, recandosi personalmente (non ci sono regole limitative sotto questo profilo); può chiedere di avere nero su bianco i dati personali che lo riguardano, fotografie, articoli, notizie raccolte. Questa legge, proprio perché si proietta nel futuro e al discorso dell'informazione virtuale raccolta e diffusa in tempo reale, può non essere addirittura conservata in una banca dati, si applica all'elaborazione dei dati, non si applica al trattamento, quindi a qualunque informazione cartacea o automatizzata inserita in archivi o non inserita, che sia in possesso del singolo giornalista. Se si tratta di un'agenzia personale questo è un altro discorso, ma se si tratta di un data base del giornalista che è una sorta di proiezione del data base dell'editore, per cui è un'appendice che funge da impassivo e inattivo come travaso di informazioni, si può concepire anche come un unico archivio rispetto all'editore. Questo data base è soggetto alla legge, ci sono molte semplificazioni per le notifiche, gli esoneri e così via, ma non per il diritto all'interessato, perché quelle informazioni sono utilizzate per informare, sono destinate alla diffusione e quindi il cittadino ha diritto di sapere quali sono le informazioni che lo riguardano e, se sono inesatte, di farle correggere. Questo strumento è di grande garanzia anche se può prestarsi per un verso a delle strumentalizzazioni. E' comunque uno strumento che può finalmente attuare una garanzia reale, il diritto di rettifica come esiste nel nostro ordinamento, come è stato attuato, non può dirsi certo uno strumento di garanzia, non dico per la controreplica che è sempre aggiunta dal giornalista, ma perché spesso non giunge in tempo reale a soddisfare quel desiderio di completezza che invece è ora assecondato. E' un diritto di rettifica che è bene assecondare ed è bene anche attrezzarsi con un software che permetta di trovare in tempo reale queste informazioni. Posso presentarmi come libero cittadino alla casa editrice ed esercitare il mio buon diritto di accesso, ed ho diritto ad una risposta senza ritardo, non c'è un termine precisissimo, ma c'è scritto che, decorsi cinque giorni, posso anche presentare un reclamo. Ci possono essere delle situazioni di pregiudizio imminente ed irreparabile e questa è un'altra situazione: se ad esempio si sta andando ad una trasmissione che diffonderà determinate informazioni raccolte illecitamente, delle fotografie carpite illecitamente, delle notizie sicuramente inesatte, qui il diritto di accesso apparentemente volto ad assicurare una trasparenza potrebbe anche prestarsi ad altri usi. Speriamo che la buona applicazione della legge contribuisca ad evitare questo aspetto; è certamente auspicabile che viceversa non ci sia un atteggiamento di chiusura rispetto ad un diritto che è riconosciuto come sacrosanto, che fa salva la segretezza. Questo è un po' il quadro per quanto riguarda l'informazione, vediamo ora come questo complesso quadro può valere per le nuove tecnologie.

Intervento

Riguardo alla normativa vigente e alla legge sulla privacy, cosa cambia rispetto alle sanzioni? Perché se non funzionano quelle, possiamo fare anche mille leggi.

Giovanni Buttarelli - segretario Generale Garante protezione dati personali*

Innanzi tutto ciò che cambia è che il risarcimento del danno morale, che è quello che più di frequente si verifica nel caso di informazioni inesatte o incomplete, viene riconosciuto da questa legge, anche se non è stato commesso un reato. La norma più importante di questa legge è l'art. 9, che afferma il principio secondo cui l'informazione deve essere raccolta e diffusa in maniera leale, corretta; deve trattarsi di informazione esatta, aggiornata, pertinente rispetto alle finalità che si perseguono. Ebbene, la violazione di questo complesso di disposizioni contenute nell'art. 9 può creare un danno all'interessato e, in caso di danno, non c'è più bisogno che sia commesso il reato di diffamazione per il risarcimento morale, è sufficiente la violazione. E' già un netto cambiamento rispetto al passato. Ci sono delle sanzioni di carattere penale qualora il giornalista raccogliesse delle informazioni utilizzandole per scopi non connessi all'esercizio della professione, o violasse quelle disposizioni che saranno contenute nel codice deontologico. In questo momento il quadro normativo prevede una sanzione di carattere penale, altro discorso è che quel decalogo sulla verità, sulla pertinenza, sulle verifiche - che conoscete assai bene - in una prima versione del disegno di legge era citato come una cosa in più, nel senso che si diceva: fermo restando quanto si deve fare per rispettare il diritto alla riservatezza in termini di salvaguardia della vita privata, di pertinenza, di essenzialità dell'informazione; questo "fermo restando" è stato cambiato ed ora si dice: nel rispetto, che significa che la violazione del codice deontologico di questi limiti, a prescindere dal fatto che ci sia una diffamazione, può integrare il reato di cui all'art. 35 di questa legge, che presuppone un dolo specifico che non scatta per una mera inosservanza di legge. E' una nuova sanzione di carattere penale, ma credo che l'aspetto più significativo stia nella possibilità che il giudice o l'autorità garante possano intervenire con un provvedimento interdittivo, che non è blocco dell'informazione ma blocco dell'utilizzo di determinate informazioni. Ci sono stati già alcuni provvedimenti in un caso in cui erano coinvolti minori o in un altro in cui c'era un'ipotesi di suicidio; ci sono stati altri provvedimenti che hanno respinto dei ricorsi pervenuti, riconoscendo che altre notizie possono essere in questo quadro normativo diffuse lecitamente, come ad esempio la notizia della pubblicazione di una richiesta di rinvio a giudizio e ancora segnalazioni alle autorità di polizia e al Ministero dell'Interno per quanto riguarda la diffusione di foto segnaletiche o per quanto riguarda la diffusione anche radio-televisiva di immagini relative a persone in manette, in violazione della così detta legge Carra del '92. Come vedete, per l'aspetto giornalistico, c'è una nuova giurisprudenza che si sta formando.

Intervento

Ha accennato al problema della semplificazione, e mi sembra che dal punto di vista del lavoro sia una cosa piuttosto importante. Cosa dovremmo fare, cosa ci verrà chiesto di fare oralmente, per iscritto, nei tempi immediati? Queste sono cose di lavoro comune, quotidiano e sappiamo che le prescrizioni legislative sono abbastanza complesse e richiedono uno sforzo da entrambe le parti, anche dalla persona che viene interpellata.

Giovanni Buttarelli - segretario Generale Garante protezione dati personali*

Una delle preoccupazioni che vengono e che spesso creano allarme è che la nuova disciplina porti chissà quali cambiamenti. Ho portato con me questo libro di Boneschi - "La deontologia del giornalista", Egea editore - in cui ci sono tutte le fonti della vostra attività, varie carte di diritti, varie risoluzioni precedenti, leggi già osservate, sentenze della Cassazione che fanno riferimento spesso ad una verità di carattere sostanziale, una bacchettata al giornalista se non assicura questa verità. Non è necessariamente la prospettiva della legge sulla privacy e del codice deontologico. Un conto è assicurare questa verità, un conto è semplicemente riconoscere il diritto dell'interessato ad un'informazione corretta ed esauriente. Il cittadino ha diritto a che, non solo nel giornale, ma anche negli archivi giornalistici o delle agenzie, ci siano delle informazioni corrette, un diritto a che la prima notizia sia integrata di per sé perché altri, attingendo a quella fonte, possano riferire in maniera corretta le cose, evitando se già accaduto in passato nuovi incidenti di percorso. Spostiamo l'attenzione sulla parte virtuale; questa legge attua dei principi di carattere fondamentale e ci sono già pochi principi di garanzia e non occorre regolare in ogni minimo dettaglio ogni passaggio dell'informazione in rete. D'altro canto questo non deve significare assenza di garanzie, per il fatto che l'informazione circola con una velocità estrema in rete e sono difficilmente controllabili come ambito di conoscenza. Anche la transnazionalità delle informazioni non deve portare ad abdicare ad un riconoscimento di una garanzia, questo aspetto ormai è consolidato in ogni occasione e circostanza internazionale. C'è stata un'interessantissima conferenza mondiale dell'autorità garante a Montreal nel mese di settembre, c'erano molti giornalisti anche statunitensi che hanno detto che nel mondo della rete c'è spazio per i diritti, c'è stata un'importante conferenza interministeriale a Bonn nel mese di luglio che ha invece costruito una sorta  di decalogo non normativo ma culturale ed etico. A questo punto oltre a dare delle informazioni, vorrei fare delle provocazioni. Il primo aspetto è che, concludendo la parte diciamo informativa, entro il luglio del prossimo anno ci sarà un decreto delegato che dovrà attuare questa legge sulla privacy, svilupparla per quanto riguarda Internet, sostanzialmente, e tutta l'attività dei services ecc.; chiarire quali obblighi queste persone hanno in termini di sicurezza, quali per quanto riguarda l'informativa agli utenti, che tipo di modalità applicativa possono esserci per garantire quelli che si trovano in altri Paesi, quali tipi di informazione debbano essere dati soprattutto per un'informazione trasparente per chi consulta un sito o per chi comunque partecipa ad esempio ad un dibattito. Il secondo aspetto delicatissimo, che dovrà essere toccato da questo decreto delegato, è su chi sarà responsabile per la qualità di queste informazioni, per la loro esattezza e per la loro eventuale valenza diffamatoria. Comporta dei problemi, apre subito lo spazio ad eventuali questioni applicative rispetto alla responsabilità per ciò che viene poi pubblicato. È il tema che sarà toccato dal decreto delegato, la direttiva dà una linea guida e dice che sostanzialmente il provider dovrebbe essere responsabile per la sicurezza delle corrispondenze elettroniche e che la posta elettronica non dovrebbe essere mai aperta se non con il consenso dell'utente o se c'è un provvedimento di carattere giudiziario, ed infine che il provider dovrebbe essere orientativamente responsabile per ciò che riguarda le informazioni da lui stesso costruite e offerte ai lettori. Dunque il passaggio ad un giornalismo di carattere con le nuove tecnologie apre numerevoli spunti. Il primo è quello dell'esattezza e della completezza che questi provvedimenti affermano in termini generali, ma che sono termini che, spostati nel mondo delle nuove tecnologie, aprono degli interrogativi, ad esempio: le verifiche che si chiedono rispetto alla correttezza e all'informazione come possono considerarsi idonee rispetto ad un'informazione che circola in tempo più reale rispetto all'informazione della carta stampata o radiotelevisiva? Il ruolo dei titoli, dei sommari, la loro corrispondenza al contenuto - che per ciò che attiene alle informazioni offerte attraverso un quotidiano che si è formato in rete - aprono delle prospettive applicative assai interessanti. C'è poi la serie di regole che sono fissate in questa raccomandazione del Consiglio d'Europa, che è citata nel libro di Boneschi. Una raccomandazione del '93 sull'etica del giornalismo che è riconosciuta un po' in tutti i Paesi. Qui si parla di una serie di prescrizioni del giornalismo che sono quelle della chiara distinzione tra le notizie e le opinioni, tra le informazioni e le voci, si parla di un'esposizione dei fatti e si apre un interrogativo: se debba essere solo leale o anche imparziale, perché in alcuni punti si tocca l'aspetto della lealtà, che quindi è considerato sufficiente, in altri dell'imparzialità e questo aprirebbe delle prospettive diverse. Si afferma chiaramente, in questa raccomandazione del Consiglio d'Europa nel punto 25, che il fine non giustifica i mezzi e che l'informazione deve essere ottenuta con mezzi legali e morali e questo porta qualche problema per quanto riguarda non solo a livello Nazionale il così detto giornalismo investigativo, ma anche per informazioni che dovessero venire in rete da altri Paesi, legate a fatti che invece meritano denuncia. Per cui l'informazione che venisse da un Paese dove è in atto una repressione violenta e venisse quindi diffusa clandestinamente, violando la legge di quel Paese, dovrebbe essere preclusa o potrebbe circolare in nome di questo interesse superiore? Altro aspetto è quello della rettifica: come può avvenire la rettifica nell'ambito del quotidiano, creato di ora in ora? Abbiamo un diritto di rettifica che può intervenire in anteprima e che deve avere quasi un carattere di automaticità. E il discorso del risarcimento del danno: come assicurare un risarcimento del danno rispetto ad informazioni che sono diffuse da terminali in altri Paesi? L'aggiornamento costante delle informazioni: la legge sulla privacy parla di diritto all'esattezza, di queste informazioni, il giornale sarà formato di ora in ora e che cosa sarà ritenuto lecito? Quale sarà lo spazio temporale oltre il quale il ritardo sarà considerato colposo o in violazione dei diritti dell'interessato? E rispetto al giornalismo investigativo, questo discorso secondo cui i dati devono essere raccolti lecitamente, tema che non riguarda soltanto l'aspetto del giornalismo delle nuove tecnologie ma il giornalismo in generale, come deve essere attuato? 
Si è parlato molto dell'esperienza di Mario Chiesa come la prima esperienza del pre-tangentopoli, ma si è dimenticato un fatto di cronaca che in verità è stato forse il primo esempio che ha portato a quell'attenzione dell'opinione pubblica verso le inchieste giudiziarie degli anni '90. È un episodio avvenuto a Parma e che ha portato allora all'incriminazione di un'ampia fetta di amministratori comunali. Il fatto è partito da un comune cittadino che aveva esercitato il diritto di accesso ai documenti amministrativi (allora non esisteva neanche la legge 241, esisteva una legge comunale e provinciale del '34, per cui determinate delibere potevano essere richieste in copia). Questa tenace cittadina parmense ha dimostrato solo con prove cartacee che determinati fatti di corruzione erano avvenuti. Altro aspetto è quello relativo al rapporto che può avere il giornale formato attraverso le nuove tecnologie con la completezza dell'informazione, perché se è pur vero che l'uso della nuova tecnologia comporta certamente un arricchimento di fonti e quindi una possibilità di arrivare in tempo maggiore ad un'esauriente informazione, è anche vero che si corre il rischio di incorrere in quello che in ambito informatico si chiama il rumore, cioè c'è un rischio di eccesso di informazione. Come attuare la sicurezza nell'ambito dell'informazione relativa alle nuove tecnologie? 
Si parla molto di contenuti nocivi e illegali nella rete, qualcuno contesta questa distinzione la quale afferma che né i codici deontologici, né la legge dovrebbero occuparsi ex novo di queste cose; non occorre occuparsi della patologia, occorrerebbe semmai verificare se orientare gli utenti verso una classificazione dei siti. Ma anche qui, come dare una scientificità a questa attività di classificazione, quali criteri autorizzare? E la tutela dei minori in rete come può essere assicurata? Ho assistito a Berlino ad una dimostrazione che ha illustrato un sistema che permette di classificare non tanto i siti che assicurano contenuti nocivi o illegali ma i siti che garantiscono più privacy. Supponiamo che questo tipo di classificazione venga usata o debba essere applicata anche al mondo del giornalismo, come fare in modo che il minore, che potrà consultare più testate in ambito giornalistico, possa essere in qualche modo tutelato rispetto ad esempio alle immagini raccapriccianti (come la testa del soldato israeliano pubblicata da un quotidiano romano)? Puntare sulla classificazione dei siti? Escludere cioè quel sito dalla lettura consigliata per il minore? O adottare un discorso di autoregolamentazione? Altro aspetto per terminare questa provocazione è quello dell'estrazione sleale. C'è una seconda direttiva comunitaria che deve essere anche questa attuata nel nostro Paese nel prossimo anno, che riconosce il diritto d'autore per quanto riguarda le banche dati immesse in rete e si applica anche al settore del giornalismo; riconosce un diritto d'autore alla banca dati in sé per sé, quindi come costruzione di un complesso di informazione autonomo ben costruito. Riconosce anche una cosa molto particolare, che è quella del diritto sui generis ad un'estrazione di informazioni leale, il che significa che non è riconosciuto il diritto di proprietà sull'informazione, ma si riconoscono a chi immette in rete anche pezzi che non sono tutelati di per se stessi da un copyright, un diritto a che, se estratta questa parte, benché non particolarmente originale, venga citata da altri in termini corretti ed essere non oggetto di una duplicazione o manipolazione senza riconoscerne il carattere creativo. Mi avvio verso la conclusione, con il discorso degli spazi verso i lettori: che tipo di ruolo possono avere nel giornalismo telematico e che tipo di responsabilità possono assumere i direttori? Come dovrà essere attuato questo spazio per i lettori? Questa mitica interattività dovrà essere ristretta alla rubrica sulle lettere, quindi rimanere sotto la diretta responsabilità delle persone, o possibilità di preordinare dibattiti che possono permettere addirittura di intervenire su alcune notizie? Per quanto riguarda gli spot pubblicitari, oggi acquistando un quotidiano non si ha certo il diritto di sindacare la qualità e la quantità della pubblicità inserita, ci sono però delle norme che tutelano il consumatore e l'utente da una pubblicità eccessiva o ingannevole. Nel quotidiano interattivo ci sarà spazio per una tutela di questo tipo? Sarà possibile che la lettura dello stesso non venga interrotta da spot pubblicitari? E da ultimo, il discorso dell'oblio, già difficile da garantire oggi sulle tradizionali banche dati giornalistiche e sui cd rom che contengono intere annate di quotidiani, mi chiedo come possa essere assicurato dalle leggi europee sulla privacy per quanto riguarda l'informazione in rete.

Intervento

Volevo chiedere due cose: la prima relativa al decreto delegato che dovrà essere emanato entro luglio; vorrei un chiarimento. La legge sulla privacy e il successivo decreto legislativo mi sembra che contengano delle deroghe a favore dei giornalisti per quanto riguarda il mondo telematico, questo decreto delegato si presume otterrà deroghe a favore di chi fa informazione attraverso la rete, ma con quali criteri è possibile classificare l'attività giornalistica in rete da altro tipo di attività che comunque contiene sempre dati, comunica, informa? Mi sembra che all'interno della rete sia più difficile distinguere queste due attività. E la seconda domanda: relativamente al codice di deontologia che ancora non è stato posto in essere, non si vengono a creare dei conflitti circa il regime sanzionatorio e gli organi che debbono sanzionare, ossia sarà l'Ordine dei giornalisti che dovrà sanzionare le violazioni del codice? Che ruolo avrà il garante? Non ci saranno delle sovrapposizioni?

Giovanni Buttarelli - segretario Generale Garante protezione dati personali*

Il decreto delegato ha un termine preciso: in questo del 23 luglio, termine massimo che riguarda il modo con cui si tutela la privacy in ambito di reti telematiche, c'è già un criterio guida preciso sul giornalismo che è contenuto nella legge 675, è il criterio secondo cui le garanzie e i limiti che sono previsti per chi accumula, raccoglie informazioni in banche dati tradizionali non valgono per il giornalista. E' scritto chiaramente nell'art. 28 della 675 che chi fa informazione nell'ambito dell'esercizio di una professione giornalistica, a prescindere dal mezzo che usa, non è soggetto a questi limiti, a queste autorizzazioni, questo perché il quadro normativo in materia di esportazione dei dati all'estero prevede che i dati si possano sostanzialmente esportare in Paesi che hanno un quadro di tutela delle persone, adeguato al quadro che esiste nel nostro Paese, perché in mancanza di questo è necessario assicurare una serie di garanzie in termini di sicurezza, risarcimento del danno e così via. Si parte dal principio che non è possibile assoggettare l'informazione ad autorizzazione, ma anche che l'informazione è transfrontaliera per natura e quindi sarebbe veramente vano cercare di delimitare questo tipo di passaggi. È chiaro che quindi il rapporto privacy-informazione si risolve a livello nazionale perché è su ciò che viene confezionato, raccolto e diffuso sin dall'inizio che c'è l'intervento legislativo. C'è da dire che questo non sarà sufficiente per i provider, perché uno degli aspetti che vengono alla luce subito è che il provider non è in grado assolutamente di monitorare ex ante i Paesi entro i quali circolano le informazioni che vengono diffuse dal provider stesso. L'informazione può partire dall'Italia e tornare in Italia passando per un numero interminabile di Paesi, poiché questa legge si applica anche all'informazione in transito in certi Paesi c'è un'ipotesi assolutamente di netta difficoltà nell'applicarla. E' questo l'altro punto su cui si muove la legge: poichè si deve rinunciare a garantire gli interessati, allora una serie di obblighi probabilmente verranno attuati. Oggi la legge garantisce al cittadino in sé per sé il diritto ad essere informato per quanto riguarda la raccolta delle informazioni che lo riguardano; se c'è un trattamento così detto invisibile in rete è chiaro che questo dovrà essere reso noto all'utente. L'utente telematico avrà diritto ad essere consapevole che collegandosi con un certo sito, c'è un monitoraggio di alcune informazioni che lo riguardano sia pure tecniche o che riguardano la sua dotazione informatica; ci sarà molto da fare soprattutto sul piano della sicurezza, si dovrà chiarire chi è responsabile per la qualità delle informazioni. Credo che si farà strada questa idea del codice deontologico dei provider. Esistono già 4 o 5 codici deontologici creati dall'Anfoi, Associazione Nazionale Fornitori Video di informazione, c'è un altro codice creato dalla rivista Interlex, altri in fase di elaborazione a cura del Ministero delle Poste. Hanno coinvolto anche alcuni operatori di telecomunicazione e probabilmente il codice deontologico potrà offrire determinate garanzie per quanto riguarda ad esempio l'identificazione della legge applicabile, che è un aspetto controverso che potrebbe emergere e assicurare in ogni caso il diritto al risarcimento del danno nel nostro Paese o misure compensative anche se il fatto si realizzasse in un altro Paese. Per il discorso inerente al codice di deontologia e alle sovrapposizioni: bisogna distinguere: l'Ordine dei giornalisti valuta anche per suo conto la creazione di un codice che abbracci altre cose che nulla hanno a che vedere con la riservatezza e l'identità personale, quindi altri aspetti che possono riguardare l'etica del giornalista, il suo rapporto con il mondo politico, con il magistrato, con l'editore, le amicizie, le regalie e così via; tutti questi aspetti non sono e non devono entrare nell'ambito dell'applicazione dello specifico codice richiesto da questa legge. Tutto ciò che riguarderà la vita futura dell'Ordine, la vita futura della responsabilità disciplinare dell'Ordine, non deve entrare in questa legge. C'è da riconoscere obiettivamente che si crea un piccolo spazio di sovrapposizione di poteri e responsabilità nella sfera privacy che, per la verità, non è solo riservatezza, ma bisogna considerare anche il discorso dell'identità personale, che è molto ampio. Identità personale, ossia il diritto della persona ad essere se stessa, ad essere rappresentata da altri in un modo corrispondente al proprio modo d'essere, un diritto che anni fa aveva una connotazione statica, ma che mai come oggi ha una connotazione dinamica, perché l'identità personale è sempre più il frutto di identità successive. Non si capisce bene adesso se questo diritto - ossia un diritto ad un aggiornamento in tempo reale della propria identità - significhi soltanto diritto a che vengano riferite tutte le indennità (se cambio naturalmente la prospettiva del mio modo d'essere, ho diritto che venga riferita soltanto l'ultima mia scelta di vita, l'ultimo mio modo di pensare) o invece il criterio della completezza dell'informazione può portare a riferire anche precedenti identità ora superate, in cui il soggetto non si riconosce più? In questo momento l'art. 25 comporta anche la conseguenza che la redazione del codice abbia effetti sul piano sanzionatorio penale. Violazione del codice significa il non aver rispettato il principio del consenso, per cui c'è una sanzione di carattere penale, ma è da precisare anche che il Consiglio dei Ministri ha inserito in un comunicato stampa, in riferimento alla sua attenzione su questo aspetto e si è riservato di tener conto di alcune indicazioni emerse alla fine del dibattito parlamentare e assumere eventuali iniziative. Se e come queste iniziative si possono agganciare o collegare al codice deontologico è veramente presto per dirlo; quel che c'è è che quell'articolo potrebbe essere in futuro obiettivamente rivisto perché ci sono alcune imprecisioni. Ci sarà anche una sovrapposizione tra ruolo del garante e ruolo del giudice perché il garante ha, secondo questa legge, dei poteri di intervento di ufficio, non ha bisogno necessariamente di istanza di parte, può essere sollecitato dalle parti ma potrebbe intervenire d'ufficio. Ed è vero anche che l'interessato può rivolgersi alternativamente all'autorità giudiziaria civile o penale e quindi questo comporterà un'interazione di giurisprudenze.

Intervento

Sempre parlando di istanza alternativa al garante o al giudice mi sembra che comunque possa essere più efficace un'istanza davanti al garante, perché forse ha provvedimenti più urgenti e una dinamica più veloce nel bloccare certe situazioni, cioè la giustizia penale ha dei tempi un po' più lunghi e forse poi dei risultati meno efficaci.

Giovanni Buttarelli - segretario Generale Garante protezione dati personali*

Certamente se uno guarda l'azione al disegno di legge originario si può notare che la scelta era proprio quella di fare del garante il centro di un'attività che riuscisse un po' a deflazionare il carico di lavoro degli uffici giudiziari. Mi sembra che le prime esperienze di questi mesi, con le difficoltà che può incontrare un organo di nuova istituzione che parte da zero, siano un po' una testimonianza della riuscita di questa scelta, perché per molti aspetti i tempi stessi dei ricorsi assicurano una tempestività particolare. Se c'è una segnalazione o un ricorso, non c'è un termine per intervenire, ma nei casi particolari quest'intervento è stato più che tempestivo. Nel caso dei ricorsi c'è un termine insuperabile di venti giorni che impone una decisione; decorsi questi venti giorni il ricorso si intende rigettato, anche il diritto di accesso che abbiamo visto lasciare un margine di flessibilità di cinque giorni può essere garantito in tempi più brevi se c'è un pregiudizio imminente o irreparabile. Se io voglio intervenire sulla fonte del giornalista prima della trasmissione che ci sarà questa sera, certamente non posso aspettare cinque giorni, posso presentare un ricorso prima della trasmissione televisiva e chiedere di rettificare quell'informazione prima ancora che venga utilizzata. Mi rendo conto che si tratta di linee di frontiera molto delicate su cui l'equilibrio sarà la chiave di volta, però si tratta di novità normative che in questo momento sono forti e forse sono passate un po' troppo inosservate.

Intervento

Mi interessava un chiarimento a proposito del trattamento dei dati personali nell'esercizio della professione giornalistica: faccio riferimento all'art. 25 della legge. Se non ho capito male il giornalista è autorizzato a trattare i dati personali di un soggetto senza il suo consenso, tranne nei casi che riguardino la salute di questo soggetto e la vita sessuale, questo vale anche per i personaggi noti? Faccio un esempio che è un'ipotesi astratta: prendiamo la vittima di un sequestro -una storia che ha una rilevanza, un interesse sociale molto forte, specie se per caso ci sono sospetti che il riscatto sia stato pagato dallo Stato - supponiamo che si vengano a sapere delle informazioni su questa persona (ovviamente confermate) che riguardano sia il suo stato di salute, sia la sua vita sessuale durante il periodo del sequestro, in questo caso come ci si può comportare? Sono cose che si possono rivelare anche senza il consenso del soggetto visto che comunque hanno un interesse sociale forte, oppure no? 

Giovanni Buttarelli - segretario Generale Garante protezione dati personali*

Diciamo subito, e lo ribadiamo, che l'art. 25 in questo momento è quello che riguarda i dati sensibili, non ha una formulazione perfetta, la soluzione migliore a mio modesto avviso sarebbe stata quella di lasciare al codice deontologico - una volta affermato il principio secondo cui il consenso dell'interessato non è necessario anche per i dati di carattere sensibile - il compito di distinguere caso per caso, perché la tematica dei dati sulla salute è terribilmente complicata. Innanzi tutto ci vuole già oggi un metro distintivo. Fermo restando che su questo punto la legge è molto giovane e deve formarsi una giurisprudenza, il problema è un altro, e cioè che non si può per il futuro lavorare su questa ottica riduttiva sul piano interpretativo, c'è un limite di ragionevolezza all'interpretazione e il limite è dato dal fatto che la legge è chiara. Credo che una seria politica di autodisciplina da parte del mondo giornalistico possa sicuramente portare a dare la molla conclusiva per quel ritocco dell'art. 25 che molti hanno auspicato e che questo inciso si possa certamente in futuro modificare. Occorre però che sia la categoria stessa a rivelare notizie che siano non tanto di pertinenza pubblica ma che rispettino anche le vostre stesse carte. Leggo questa risoluzione del '93 del Consiglio d'Europa relativo all'etica del giornalismo, che tocca anche la tematica del diritto alla riservatezza delle persone che esercitano funzioni pubbliche; è il punto 23 e dice che ovviamente i giornalisti devono rispettare in generale il diritto delle persone alla riservatezza, che la circostanza di una persona che svolga una funzione pubblica non la priva necessariamente del diritto alla riservatezza e che le persone che esercitano funzioni pubbliche hanno diritto alla protezione della propria vita privata salvo il caso in cui essa abbia rilievo sulla vita. Altro aspetto riguarda i dati resi manifestamente pubblici dall'interessato, perché qui c'è da affermare a mio avviso il diritto ad una raccolta trasparente. È ammissibile che un giornalista provochi la diffusione spontanea da parte dell'interessato di informazioni sulla salute, soprattutto magari nelle fasce più deboli di persone culturalmente poco avvedute, che per vantaggi economici immediati sono così portati a rinunciare alla loro privacy? Si può invece affermare il diritto di lealtà anche nei confronti di persone sprovvedute? E poi, una volta che io abbia reso manifestamente pubblica una mia circostanza di salute, una mia malattia, questa scelta mi condanna ad una sempiterna pubblicità, oppure permette ad un certo punto un diritto di ripensamento all'interessato? C'è un caso adesso in cui si è chiesto un diritto non all'oblio su certe situazioni, ma un diritto all'oblio sulla persona, si è chiesto di essere dimenticati dalla stampa. Mi domando se questa pretesa - certamente di difficile accoglimento nel mondo odierno, nella società dell'informazione - possa essere un giorno vantata rispetto ad una situazione di una malattia che io abbia in un certo momento accennato o divulgato e che poi viene riprodotta e se a un certo punto io non abbia diritto per motivi legittimi a chiedere un silenzio su questa circostanza, magari perché sto morendo. 
Altro argomento che non ho toccato nella relazione è che la legge sulla privacy riconosce il diritto di opposizione per motivi legittimi, questo diritto è riconosciuto ad un cittadino anche quando chi gestisce una banca dati abbia raccolto informazioni rispettando al cento per cento la legge, quindi io sono una società di informazioni commerciali, sono una banca, un'assicurazione, sono una società di sondaggio, ho rispettato tutte le regole che mi dicono quando e come posso raccogliere un'informazione, quando e come posso divulgarla, ma nonostante questo la legge mi riconosce il diritto di far presente in certe circostanze alcune mie situazioni particolari che possono giustificare il non utilizzo in sé per sé di quella specifica informazione o l'uso di determinati accorgimenti. Una tutela specifica non più soltanto di diritti della personalità ma anche di interessi legittimi della persona, interessi di mero fatto. Come si attuerà questo diritto di opposizione per motivi legittimi nei confronti del giornalismo? Perché oggi come oggi questo diritto è applicabile anche al giornalista, un cittadino potrebbe presentarsi dinanzi all'azienda, esercitando il diritto d'accesso come abbiamo visto, questionando sul fatto che sono state riferite informazioni sullo stato di salute, sulla vita sessuale, e pretendere soddisfazione per il fatto che non è stato rispettato il codice, che le informazioni sono state utilizzate non per scopi giornalistici, che la persona non è né un professionista, né un praticante e così via, ma potrà anche presentarsi a dire: "Sì, tu giornalista hai raccolto queste informazioni, sei un giornalista, bene, ma io per una mia situazione familiare assai particolare, per una mia aspettativa a fare certe cose nel prossimo futuro vorrei che per motivi legittimi questa informazione non venisse divulgata": è un diritto preciso che l'art. 13 di questa legge (lettera D) riconosce anche nei confronti del giornalismo. È una scommessa anche questa.

Intervento

Di recente sono stata ad un convegno alla Certosa a Firenze in cui si parlava della scrittura e si passava dagli amanuensi allo studio dello scrittore ottocentesco, ai nuovi ambiti degli ipertesti, ecc., e c'è chi diceva che in fondo, con l'introduzione delle nuove tecnologie, non solo è cambiato il nostro modo di lavorare, ma sono cambiati anche i generi letterari, è cambiato il modo di creare testi, ecc. Immagino che cambierà in questo modo anche quello che è un genere letterario a cui noi ci applichiamo, che è quello dell'informazione e quello del giornalismo; però quello che è stato detto prima mi sembrava che ci gettasse un po' in un mare abbastanza grande, è come una metafora anche un po' obsoleta, nel senso della complessità estrema della rete e della sua difficile controllabilità; come se, proprio come le reti dei pescatori, cercassimo di arginare in qualche modo le ondate e in questo senso ho visto che si fa spesso ricorso, nell'incertezza dell'approccio, nella sua complessità, a termini anche abbastanza alti, diciamo, di filosofia, di etica della comunicazione, di lealtà, termini molto significativi, contenutisticamente importanti, però allo stesso tempo normativamente generici.

Intervento

Si parlava della complessità del ricorso a impostazioni di natura filosofica ed etica generale in mancanza probabilmente di altre indicazioni più precise. E' abbastanza chiaro, lo sforzo deve essere quello di rendere controllabili gli ambiti in cui si agisce, per cui il suo riferirsi alle classificazioni e stratificazioni o comunque ad ambiti di autorevolezza che sono riconosciuti anche nell'informazione scritta, nell'informazione tradizionale io non li vedrei poi tanto male. Ho l'impressione che di tutte le provocazioni di cui lei ha parlato ce ne siano alcune che possano ricadere lavorandoci sopra parecchio nell'ambito di misure di natura tecnica. Secondo me alcune cose, non dico sulla completezza di informazione, ma riguardanti la sicurezza, l'esattezza, i diritti di rettifica o di risarcimento del danno, alcune cose di natura tecnica ci possono essere, ce ne sono poi altre di natura sicuramente deontologica; lei ha parlato di codice dei provider, abbiamo anche detto i limiti di questi codici, diciamo quindi non separazione, ma individuazione degli ambiti in cui la natura tecnica dell'intervento, anche normativa, puntuale ecc. può essere fatta e di altri a cui va demandato ancora per impossibilità, per non controllabità della materia, un controllo di natura più autoregolamentativa. Potrebbe già costituire un passo avanti nel dirimere, nel fare da spartiacque in questo grande mare. Mi spaventano un po' le problematiche come quella della tutela dell'identità dinamica, perché francamente vira proprio sul lato dell'incontrollabilità da parte di strumenti e culture ancora non del tutto mature e di etiche non del tutto elaborate.

Giovanni Buttarelli - segretario Generale Garante protezione dati personali*

Un esempio abbastanza noto di identità dinamica è quello di una famosa first lady che aveva avuto delle esperienze precedenti che adesso si tende invece a mantenere riservate, non sono esperienze lesive della persona, ma danno solo una immagine che non è quella di first lady e quindi c'è questa naturale aspirazione a riferirle, credo che questa esigenza - poiché la vita è una sola - una qualche meritevolezza ce l'abbia, chissà? Rispetto alle misure tecniche, devo dire che questo è un punto molto importante, perché probabilmente molti adempimenti che la legge rende difficili possono essere favoriti proprio sul piano tecnologico: in ambito bancario per esempio si sta studiando un software che permetta di rifiutare determinate applicazioni se il dato non è particolarmente completo e questo software dovrebbe anche cancellare automaticamente determinate informazioni, una volta decorso un certo periodo di tempo, di bloccarne l'utilizzo. Sicuramente sul piano delle misure di sicurezza è una scommessa tutta tecnica, mi riesce più difficile riconoscere fiducia al discorso classificazione, perché questo tipo di approccio per il mondo dell'informazione sicuramente è ricco di incognite, perché si parla di classificazione di contenuti nocivi o illegali, quindi ci sono già dei provider negli Stati Uniti, ad esempio, che offrono un certo servizio, che ne impediscono poi da lì il collegamento con altri siti che abbiano certe caratteristiche. Ci sono vari tipi di classificazione e a un certo punto potrei anche adottare un tipo di classificazione che risponde più ai miei interessi politici e culturali, quindi non volendomi collegare con dei siti in cui si usano queste parole o queste immagini scelgo io stesso un criterio di fondo. Ci saranno più criteri di fondo fra i quali l'utente si potrà collegare, ma un conto è il sito che è monotematico, non mi voglio collegare con i siti pornografici, non voglio sapere nulla di quelli che parlano di questo aspetto della religione, non voglio collegarmi con i siti nazisti, con quelli della pedofilia e così via, ma quando si passa ad applicare il discorso classificazione, alla testata giornalistica, che è un contenitore di informazioni a tutto campo, come si fa ad applicarlo soprattutto nei confronti di un minore? Allora che si fa, si classificano i quotidiani e con gli stessi criteri della classificazione di Internet? Questo è molto difficile, perché credo che quasi tutti i quotidiani starebbero fuori dallo standard, sarà un problema, come sarà un problema però vietare ai minori l'uso dei computer per consultare determinati quotidiani. Anche questa è una scelta non certo facile.

Intervento

Vorrei che chiarisse un dubbio per quanto riguarda l'armonizzazione europea e la direttiva, avendo riguardo alla situazione dovuta più che altro a norme di carattere deontologico soprattutto nel nord Europa. Ricordo il caso di un omicida di cui gli svedesi non sanno tuttora il nome, il soggetto è stato processato in primo e in secondo grado, condannato, poi assolto. Nella cassazione di quel Paese, come del resto nella maggior parte dei paesi nordici, non è permesso divulgare fino a che non intervengono con una condanna definitiva. Fatto sta che da noi una situazione del genere è totalmente impensabile, quella direttiva non vuole intervenire in una situazione che è regolamentata in maniera diametralmente opposta, soprattutto tra i paesi mediterranei: noi, la Spagna e la Francia, Germania, Danimarca e Svezia?

Giovanni Buttarelli - segretario Generale Garante protezione dati personali*

Ha parlato della Svezia, in cui esiste una situazione molto contraddittoria perché se c'è una normativa costituzionale che garantisce al massimo i mass-media, è anche vero che per altre situazioni, come quelle relative a persone indagate o coinvolte in procedimento penale, c'è una tutela assai rafforzata. Come sapete, nel Regno Unito è impensabile che un giornalista entri in un'aula d'udienza e quindi una normativa tipo quella delle norme di accompagnamento del codice di procedura penale che dicono che si può fare "un giorno in pretura" salvo che l'interessato non chieda di non essere ripreso o lo stabilisca il presidente, lì è impensabile. La normativa europea certamente porterà, ma non in pochissimi mesi, ad una progressiva armonizzazione, ci saranno sempre alcune situazioni che sfuggiranno perché saranno disciplinate dalla legge penale, gli aspetti penali non sono strettamente oggetto del diritto comunitario e quindi possono essere armonizzati con una procedura più complessa che implica l'unanimità di tutti i Paesi; sicuramente questa scommessa italiana è una scommessa che farà testo, perché la scelta del codice deontologico, che non è imposta a livello comunitario, ma ipotizzata, noi l'abbiamo fatta come elemento centrale di questa disciplina ed ha suscitato particolare attenzione all'estero. Sapete che dopo il caso Diana in Inghilterra è stata presa un'iniziativa che ha elaborato due versioni di un codice deontologico assai più severo di quello che si preannuncia, addirittura si autocensura l'iniziativa del giornalista che richieda l'informazione con eccessiva insistenza (il discorso dell'inseguimento, di richiedere ripetutamente per strada ad una persona di rilasciare interviste, ecc.). L'autorità garante italiana ha tradotto, in inglese e francese, nella versione aggiornata, l'ha distribuita in due occasioni internazionali, ne è seguito un grandissimo dibattito anche a Montreal. Uno dei massimi esperti a livello mondiale di questa materia ha parlato sia nell'apertura che nella chiusura principalmente della legge italiana e non lo ha fatto ad un pubblico europeo, l'ha fatto ad un pubblico di esperti anche statunitensi e canadesi e c'è molta attesa anche per il modo con cui questo codice verrà redatto. Mi chiedo piuttosto che sorte avranno quelle informazioni per le quali non c'è oggi un divieto di pubblicazione, la pubblicazione della notizia di rinvio a giudizio, si dice in questa pronuncia che è nota, è pubblica, è stata sintetizzata in un comunicato stampa; si dice che oggi non c'è un limite a riferire sul rinvio a giudizio di una persona, salvo che il pubblico ministero abbia adottato quegli atti che portano a segretare la procedura anche per una fase successiva, questo è sacrosanto. In questo secondo numero del bollettino c'è questo provvedimento in cui il garante ha respinto il ricorso di un famoso amministratore pubblico che è stato rinviato a giudizio per un illecito di ufficio e non voleva che si sapesse questa notizia. Premesso l'interesse pubblico a conoscere non tanto che c'è un'indagine, ma che si sta per celebrare un processo a carico di una persona, mi chiedo se per il futuro nella legislazione che da qui a un anno dovrà completare quella che c'è oggi, se questo diritto, questo sacrificio del diritto al riserbo, debba essere riconosciuto per chiunque e cioè per tutti i reati, per qualunque reato. Il giornalista può dire anche che c'è stato un rinvio a giudizio per molestie o disturbo alle persone, che la vicina ha chiesto, denunciato la persona e che tipo di deontologia, che tipo di autolimitazione si potrà fare? C'è stato di recente un caso in cui un noto terrorista libico, presunto tale, è stato arrestato perché segnalato in un precedente provvedimento di cattura che non era stato eseguito. Il giornale nazionale, notissimo, che ha riferito questa notizia, ha pubblicato a fianco la fotografia, il nome e cognome di una ex convivente che non c'entrava nulla con il fatto e anzi poi, leggendo l'articolo, si diceva che era stata fermata per qualche ora e subito rilasciata poiché si era chiarito che non aveva più rapporti con questa persona...Mi chiedo se la donna abbia o no un diritto ad esercitare non solo l'opposizione per motivi legittimi, ma un diritto alla cancellazione delle informazioni che la riguardano; ci sono tanti altri casi di interesse al riserbo che ho visto sacrificati negli ultimi tempi, notizie ad esempio in cui si parlava di una persona dispersa in montagna, si diceva che era consigliere, si parlava di una carica pubblica e della sua iniziativa politica - in quel caso mi pare che fosse di Alleanza Nazionale - il riferire che il disperso in montagna è di Alleanza Nazionale che cosa aggiunge alla notizia?

Intervento

L'Ordine deve intervenire con un codice serio e soprattutto applicando delle sanzioni, altrimenti la funzione di servizio pubblico di questo mestiere perde il suo grande valore. La questione della responsabilità mi sembra sia la prima questione non risolta.

Giovanni Buttarelli - segretario Generale Garante protezione dati personali*

Abbiamo cercato di prendere atto del fatto che c'è una sensibile novità normativa che ancora non è stata digerita né dall'opinione pubblica né nel mondo del giornalismo. C'è un fermento assai significativo sia a livello comunitario che italiano, denso di prospettive e di incognite, di rischi e anche destinato magari ad un'applicazione minimale e al fallimento. Un'attenzione su questo punto sarebbe forse maggiore.

Intervento

Vorrei che rimanesse agli atti la preoccupazione che credo ci sia in tutti noi, relativamente a tre livelli di impreparazione. Parlo da capocronista di un giornale locale ma nello stesso tempo, dall'altra parte, anche di giornalista che sta muovendo con altri colleghi i primi passi. Tra i livelli di impreparazione il primo sicuramente è di ordine professionale; l'Ordine è stato un fantasma in tutta la fase di preparazione di lavoro della legislazione ed è tanto più grave perché proprio in quel mandato dell'Ordine dei giornalisti non è stato fatto praticamente nulla su questo versante; il secondo riguarda gli editori che, nonostante abbiano partecipato come Fieg a tutta questa parte di riflessione, a livello locale, cioè nelle singole aziende, non hanno assolutamente affrontato (se non a livello di qualche grande gruppo o di informazione televisiva pubblica) il problema che è anche quello della applicazione tecnica: voglio dire, se l'editore e il giornalista sono responsabili dei dati che raccolgono, ci deve essere anche un adeguamento tecnico; il mio editore mi deve dare strumenti, supporti, data base che siano impermeabili a manipolazioni. Il terzo livello di impreparazione è sicuramente da parte dei giornalisti, che hanno avuto un impatto con questo tipo di normative traumatico, probabilmente perché è stato improvviso ed è avvenuto nelle forme più impensate. Un'ultima cosa: censura da una parte e democrazia dall'altra; le metto lì, le lascio lì, avete capito di cosa parlo, è un problema gigantesco, mondiale sicuramente, riguarda più forse la rete che l'editoria, ma alcune cose come il diritto all'oblio, mi suonano certe volte come rimozione di un passato. Quindi, lo ripeto, censura-democrazia sono parole che tornano e preoccupano.

Giovanni Buttarelli - segretario Generale Garante protezione dati personali*

Diritto ad informare e ad essere informati, anche se c'è qualcuno che ha detto che il diritto ad essere informati non esiste. Abbiamo dedicato molto tempo a ricostruire il processo di armonizzazione, abbiamo constatato questa che potremo riassumere come impreparazione a vari livelli e mancato sviluppo a livello locale. Altro aspetto che mi sentirei di sottolineare è che questa legge 675 tocca e cerca di bilanciare degli interessi e introduce degli istituti che in questo momento non hanno ancora avuto un'applicazione dettagliata, ma che sono densi di prospettive di tutto rilievo, a prescindere dal senso con cui essi vengano applicati. Certamente vi possono essere delle difficoltà perché questa legge potrebbe essere banalizzata, perché potrebbe mancare un'effettiva sfera di responsabilità, quel che è certo è che oggi, almeno sulla carta, ci sono degli istituti che possono comportare degli effetti notevoli prima ancora che sfociare in una democrazia vera o in una censura, perché il profilo della completezza, il profilo dell'aggiornamento, il profilo dell'opposizione per motivi legittimi, il profilo del diritto di accesso del cittadino alla fonte giornalistica cambiano sostanzialmente la realtà del giornalismo e si tratta di vedere se questa legge sia destinata, anche per effetto di questa autorità ad avere un'effettiva vita. Vorrei a questo punto spostare l'attenzione sull'aspetto delle nuove tecnologie, per dire che questa legge, che deve essere completata anche per le parti telematiche, comporta una disciplina aggiuntiva che potrà avere uno spazio normativo e uno spazio di carattere deontologico, che ci sono per ora dei principi fondamentali che devono essere sviluppati: il diritto all'informazione, il profilo della sicurezza, il profilo della responsabilità per le informazioni trasmesse in rete e quindi l'interrogativo sull'equilibrio con cui il legislatore utilizzerà questo spazio normativo entro pochi mesi.

Intervento

Un problema che non abbiamo toccato è quello relativo ai diritti del lettore, di colui cioè che usufruisce in generale dell'informazione. Per quello che riguarda le nuove tecnologie il problema è ancor più grave, perché le modalità di accesso all'informazione sono modalità molto diverse da quelle che riguardano l'accesso ai media tradizionali. Penso a chi deve esercitare il proprio diritto, non so, magari di rettifica rispetto ad un'informazione che circola su Internet. Il mezzo di per sé già esclude tendenzialmente alcuni strati sociali e persone che non hanno la possibilità di accedere a questo tipo di strumenti; come si pone allora la normativa e come ci poniamo anche da un punto di vista culturale e politico rispetto a questo problema? Temo che tra un paio d'anni al massimo, quando ci sarà una diffusione ancor più capillare e meno circoscritta di Internet, rimarranno comunque escluse le fasce deboli della popolazione. E' un'impressione perché, utilizzandolo, mi rendo conto che la soglia di accesso rimarrà comunque altissima, c'è tutto un filone che si apre proprio perché la privacy va intesa anche in questo senso e principalmente come tutela delle fasce deboli, perché le rivendicazioni che fai, da un punto di vista normativo, culturale e politico, sono ancor più necessarie anche se più difficili da portare avanti quando non si è preparati ad innescare certi meccanismi di rivendicazione, di cambiamento o di eventuale modifica.

Giovanni Buttarelli - segretario Generale Garante protezione dati personali*

Tutte queste problematiche di ordine giuridico lasciano però il tempo che trovano se non si completano due fattori. Il primo è una politica di alfabetizzazione di carattere informatico, per evitare che ci siano gerarchie culturali nella società dell'informazione e il secondo è una politica di carattere tecnologico, su cui francamente siamo molto arretrati: esempio assai illuminante è il decreto fatto a febbraio '97, sbandierato come quello che avrebbe dovuto risolvere i problemi di accesso a Internet, sospeso poi a giugno perché si è scoperto che in realtà l'accesso a Internet sarebbe costato assai di più. Il quarto punto è quello che avrà forse più spunti e più problematicità, ma meno risposte, riguarda l'efficacia della rettifica anticipata per l'aggiornamento in tempo reale delle informazioni, gli spot pubblicitari, la classificazione dei siti, il diritto ad un'estrazione leale delle informazioni poi pubblicate in rete; e insomma tutte le questioni sul modo con cui questi principi dovranno essere applicati al giornalismo attraverso nuove tecnologie. Mi riferivo ovviamente non soltanto al modo con cui si applica la 675, ma anche ad una serie di aspetti di deontologia che nulla hanno a che vedere con la 675 e che si porranno alla vostra attenzione, per i quali il garante non c'entra nulla; ad esempio il discorso del modo in cui i titoli rappresentano il contenuto, il tipo di spazio che dovranno avere i lettori in questo giornale e quindi l'interattività, mi domando se sarà un fiore all'occhiello...oppure? Che cosa possiamo fare, che cosa potete fare come giornalisti? Infine una riflessione alle molte amministrazioni pubbliche che si trincerano dietro la privacy per negare la trasparenza ad atti che dovrebbero essere trasparenti già in base alla 241, è necessario anche qui l'inizio di un dibattito sulla parte strettamente giornalistica. Sarebbe bene che foste voi più che i giuristi a chiarire lo spazio di democrazia che queste leggi vi lasciano.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.