IV Redattore Sociale 14-16 novembre 1997

Dire, non dire, dire troppo

Resoconto

Coordina Roberto Natale

 

Roberto Natale - Segretario Usigrai*

Mantenere un rapporto di lealtà

Al nostro gruppo di lavoro ha partecipato, ed è stato a lungo sfruttato dai partecipanti, il capo della Criminalpol delle Marche, Italo D'Angelo: il tema essenziale è stato il rapporto che si instaura con le fonti della nera e, per certi versi, della giudiziaria. D'Angelo ci ha fornito l'interpretazione che le forze di polizia danno delle nuove norme sulla privacy. Un'interpretazione, nelle sue parole, positiva, perché regolamenta meglio quell'insieme di norme che finora erano disperse tra articoli della Costituzione, Dichiarazioni universali dei diritti dell'uomo, codice civile e penale, e permette di mettere il rapporto con le fonti su binari più precisi.
L'immagine che emerge dal responsabile della Criminalpol delle Marche, del rapporto con i giornalisti è molto, molto positiva. Si parla cioè di un rapporto basato su una lealtà reciproca molto forte, di un interesse reciproco a mantenere questo rapporto di lealtà. Diciamo che complessivamente, nella valutazione dei partecipanti al gruppo, il tono prevalente è stato quello di vedere i vantaggi di uno stretto rapporto di collaborazione e di rispetto reciproco con la fonte, più che i possibili rischi. La richiesta che è venuta da più di un giornalista presente è che venga meno ogni forma di discrezionalità da parte delle forze di polizia nel dare le notizie, cioè che non ci siano valutazioni che portano a privilegiare alcuni, magari più compiacenti nel modo in cui riportano le informazioni, tenendo invece gli altri al di fuori anche del circuito minimo di informazioni.

Spettacolarizzazione: sempre a fin di bene?

Si è discusso anche di spettacolarizzazione delle notizie. La risposta del capo della Criminalpol è che la spettacolarizzazione c'è quel tanto che serve, e comunque non tanto da distorcere il funzionamento reale. Si è parlato per esempio delle operazioni filmate, dell'assalto ai casolari vuoti, esempio classico di spettacolarizzazione dell'azione delle forze di polizia. D'Angelo l'ha rivendicata come una cosa a fin di bene; meno a fin di bene, motivata da finalità di autopromozione, di propaganda è parsa ad alcuni di noi. E' tornata in alcuni interventi, con accenti critici, la condanna del fatto che talvolta le leggi della comunicazione sono così presenti ai responsabili delle forze di polizia da indurli a scadenzare, scaglionare le notizie su operazioni, unitariamente compiute, in 3, 4, o 5 puntate, in modo da poter stare sui giornali più a lungo. Esempio citato: l'operazione della Guardia di finanza in cui sono stati ritrovati 31 reperti archeologici, ma sono stati divisi in 5 operazioni mentre erano stati trovati tutti insieme.

Due proposte operative

Un elemento che è emerso in molti degli interventi è che questa nuova legge sulla privacy, di cui qui si parla, è sconosciuta nei suoi dettagli a molti degli operatori. Chiudo con queste due proposte che sono emerse dal gruppo: primo, la possibilità di preparare un "Vademecum tecnico", cioè tre o quattro paginette che nelle redazioni servano a spiegare come funziona la legge, cosa permette e cosa no. Certo, ci sarà anche da aspettare che si integri con quel codice di autoregolamentazione dell'Ordine. L'altra proposta che è emersa è quella di fare di Capodarco un "Osservatorio" che abbia dignità pari a quella di quello di Pavia. E' emersa anche da questo gruppo di lavoro la proposta che le analisi fatte, gli strumenti di analisi creati qui, in questi anni, soprattutto da voi, possano essere usati come strumento stabile di analisi per il funzionamento dell'informazione. In questo senso va il riferimento all'Osservatorio di Pavia, cioè, come per l'informazione politica, segnatamente della Rai ma non solo, è stato messo a punto in questi anni un criterio di analisi; vogliamo che ci sia un criterio d'analisi egualmente e forse anche più ricco e articolato per poter giudicare meglio la nostra informazione. Ultimo riferimento consiste nell'osservazione fatta da un collega: è bene che tra di noi discutiamo di queste cose, ma i direttori dove stanno? Cioè, detto in altra maniera, bisogna trovare una sede di formazione anche per coloro che dovrebbero essere i nostri formatori, come diceva don Milani, se non sbaglio, bisogna educare i nostri vescovi, così pure sarebbe utile fare dei corsi di direzione, di educazione e formazione ai direttori.
Rimettendomi la giacchetta di segretario dell'Usigrai, concludo dicendo: nel rapporto col "Forum del terzo settore" noi porteremo questa proposta alla Rai e, se possibile, anche alla vigilanza, perché ci sembra un modo utilissimo per uscire dalle polemiche quotidiane. Chiederemo alla Rai e al servizio pubblico di dotarsi di strumenti di analisi come quelli che ci siamo detti, e segnaleremo anche il fatto che c'è un'esperienza consolidata, conta poco il fatto che sia un'esperienza che ci piace, conta di più sottolineare il fatto che è un'esperienza, dal punto di vista scientifico, qualificata.

Prove di giornalismo sociale - Simulazione basata su lanci di agenzia

Coordinatore Stefano Ricci - Comunità Capodarco*

Giornalismo: una professione "collegiale"

Più che un esperimento, questo workshop è stata una provocazione pensata da Stefano Trasatti. Cito i partecipanti al workshop, perché sono sicuro di rimanere nei cinque minuti: erano Giulietta, Simone, Francesco, Gabriele e Cesario. Li cito perché mi sembrava giusto dare loro atto di essere venuti, perché la sfida era un po' questa: non si trattava di insegnare nulla a nessuno, meno che mai dal versante sociale, a dei giornalisti. Questo esperimento partiva dalla consapevolezza che è necessario esercitarsi ad essere giornalisti sociali, indipendentemente dalla quotidianità, che pure è il posto privilegiato. Semplicemente perché la quotidianità, i tempi, i ritmi, l'ansia della professione spesso mettono in difficoltà rispetto alla possibilità di riflettere su quello che si scrive. Sono state tre ore di intenso lavoro: prima a partire da alcuni lanci di agenzia, poi su una storia di un affidamento familiare raccontato da una famiglia affidataria, riportato in un lancio, in un piccolo pezzo di 20 righe. Diciamo quindi le cose che sono emerse, non dai dati evidentemente, ma dalla riflessione sul perché abbiamo fatto questo, che mi sembra sia stata abbastanza condivisa. Noi pensiamo che il giornalismo, nonostante tutto, non sia una professione da vivere da soli, da vivere individualmente, ma una professione da vivere collettivamente. Molto spesso questo è difficile nelle redazioni, ma certamente non è solo una professione sociale in quanto riguarda la collettività, è forse una professione che va vissuta collegialmente, quindi con un forte scambio. "Redattore sociale" come specialista, giornalista sociale: quest'anno, è stato ribadito, "maturo": soggetto capace di offrire indicazioni, mezzi, strumenti di conoscenza di un fenomeno come quello sociale. In particolare ci siamo soffermati su storie di emarginazione, di violenza che in qualche modo rimangono l'osso duro, il difficile da cogliere dal punto di vista di chi è il soggetto debole.
Abbiamo lavorato su questi lanci, un po' per sottrazione, togliendo quelle parti che erano superflue - e ce n'erano molte che non aiutavano spesso a spiegare la notizia - un po' per addizione, cercando di indicare quello che secondo noi non poteva mancare, e un po' per modifica, su alcuni passaggi. I temi sono sempre quelli, però è importante ribadirli: l'opportunità o meno di dare le notizie, la verifica delle fonti e il confronto tra fonti diverse. E' venuto fuori il rischio di appiattirsi su fonti delle forze dell'Ordine - spesso si fa soltanto da megafoni, evitando invece di andare a verificarne alcuni aspetti - poi il rispetto delle persone sulla riconoscibilità. Questi lanci erano tutti successivi all'entrata in vigore della legge, ma la riconoscibilità era veramente totale in tutti quanti i casi. Poi ci siamo accorti che c'erano degli elementi superflui alla notizia, non di giudizio, ma che veramente rischiavano di stravolgere un po' i ruoli. Alla fine ho chiesto come era andata alle persone intervenute, ed è stato patrimonio comune l'aver sperimentato la possibilità di confrontarsi sul proprio lavoro, di poter riflettere. I tempi della professione giornalistica non lasciano questo spazio: probabilmente bisognerebbe riprenderseli per confrontarsi insieme, quindi senza insegnare nulla a nessuno, ma insegnandosi reciprocamente, ed essere un po' attenti.

Privacy on line - Giornalismo virtuale, nuove tecnologie, implicazioni etiche...

Coordinatore Giovanni Buttarelli - Segretario Generale Garante protezione dati personali*

Un difetto di conoscenza

Il risultato del nostro workshop probabilmente è nell'affermazione che "la privacy non è on-line". Per due ragioni: perché c'è un tasso di conoscenza della legge assai basso, e perché il livello di sviluppo delle nuove tecnologie del giornalismo virtuale nel nostro Paese è ancora insoddisfacente. Il nostro dibattito è andato avanti su quattro punti principali.
Abbiamo ripercorso la situazione che c'è negli altri Paese europei, il grande cambiamento prospettato dalla Direttiva comunitaria del 1995, il suo effetto sulle legislazioni degli altri Paesi che si stanno accingendo ad una modifica delle rispettive leggi, sulla falsariga di quanto ha già fatto l'Italia. E qui qualcuno ha constatato, soprattutto tra i giornalisti, come vi sia un alto livello d'impreparazione, soprattutto a livello locale, non tanto e non solo nella categoria dei cittadini o dei giornalisti, ma anche degli editori, che poco hanno fatto per sviluppare questa legge, anche in termini di sicurezza tecnica e di prescrizioni. Quindi si è sottolineato come questa novità della legge 675 sia stata improvvisa, e come le sue applicazioni problematiche ancora si trovino di fronte un difetto di conoscenza.

A rischio di censura?

Il secondo punto che abbiamo esaminato è stato quello della sua efficacia innovativa e - al di là di un esame analitico di questo o di quel comma - abbiamo cercato di vedere l'impatto preciso di alcuni nuovi istituti di questa legge e quindi dei chiaroscuri di queste nuove soluzioni normative. Abbiamo constatato, questo lo hanno detto alcuni, la preoccupazione per il rischio di censura, di democrazia, ma altri hanno detto che in verità questa legge non fa altro che ribadire soluzioni che erano già note all'ordinamento sotto altri profili, e che sulle vostre carte deontologiche sono affermate in termini assai più severi. Abbiamo fatto notare che in alcuni documenti, nelle stesse risoluzioni del Consiglio d'Europa sull'etica del giornalismo, si parla a volte di verità sostanziale, di verifiche appurate della veridicità, si parla di una distinzione tra notizie e opinioni, tra informazioni e voci; in queste raccomandazioni il Consiglio d'Europa afferma anche il principio che il "fine non giustifica i mezzi" e che quindi certe informazioni raccolte in maniera sleale non andrebbero pubblicate. Accanto a questa constatazione c'è stato chi ha sottolineato il rischio di alcune soluzioni normative che precludono - se applicate alla lettera - di divulgare certe informazioni, che pure potrebbero essere rilevanti per quanto riguarda la democrazia, la vita pubblica, come le informazioni sulla salute di personaggi che hanno funzioni pubbliche. Si è parlato anche del rischio che il codice deontologico che la categoria si accinge a dettare porti a dei rischi di sovrapposizione fra le diverse giurisprudenze che esistono in questa materia. Qui abbiamo potuto constatare come il codice deontologico previsto dalla legge sulla privacy sia una cosa assai ristretta, che nulla ha a che vedere con le vostre più ampie carte in materia di deontologia, che potranno essere certamente fatte nella vostra sfera di autodeterminazione, ma che non trovano questo input, questa spinta a concludere in tempi così brevi. Da ultimo, abbiamo potuto constatare come ci siano delle scelte normative di tutto respiro che portano oggi a riconoscere al cittadino il diritto ad essere risarcito sul piano morale, anche quando il fatto non sia reato secondo la legge penale. Quindi, la diffusione d'informazioni inesatte o incomplete o non aggiornate può oggi essere censurata in un eventuale giudizio di responsabilità civile, e portare ad un risarcimento del danno.

Verso il giornale "ora per ora"

Il terzo punto, che era un l'oggetto del nostro workshop, è stato quello relativo alle reti telematiche. Abbiamo parlato del decreto delegato, che deve essere emanato entro il 23 luglio del prossimo anno - e deve sviluppare i principi fondamentali della 675 e tradurli in termini completi, per cercare di capire meglio come alcuni diritti che la legge riconosce debbano essere garantiti sul piano effettuale - quindi le informazioni che il provider deve dare all'utente, i rischi per quanto attiene alla sicurezza e anche per quanto riguarda eventuali pubblicazioni giornalistiche formati ora per ora - si spera ci sia ragionevolezza - cioè che il governo faccia un uso saggio di questo decreto, ed eviti soluzioni tecnologicamente superabili in poco tempo.

La privacy nelle reti telematiche

Il quarto punto - questo veramente è il cuore del nostro argomento - è stato affrontato attraverso una serie di provocazioni, che non hanno trovato risultato in una risposta, ma che vengono ora esposte a voi negli stessi termini problematici. Si è constatato come, passando al giornalismo attraverso le reti telematiche, determinati istituti che oggi già suscitano dei positivi interrogativi in termine di garanzia dei cittadini, un domani porranno nuove sfide, nuovi incentivi ad una maggiore professionalità. Si è parlato ad esempio del rapporto fra il diritto all'identità personale del cittadino, che è un'identità dinamica che può cambiare, il suo diritto all'oblio, e invece il diritto del giornalista di operare un'informazione completa. Si è guardato in chiaro e in scuro questo nuovo istituto della "opposizione per motivi legittimi", in base al quale la persona interessata può opporsi alla diffusione di informazioni che lo riguardano, anche se le informazioni sono state raccolte correttamente dal giornalista e qui tutte le preoccupazioni che sono state sollevate per quanto riguarda gli effetti che questo può avere rispetto ad una pubblicazione in corso.
Analoga preoccupazione è stata sollevata da altri giornalisti rispetto ad un'altra sensibile modifica di questa legge che è quella del diritto di rettifica, che non è più operabile soltanto in relazione ad un prodotto già pubblicato, ma può essere esercitato rispetto alle fonti che il giornalista si appresta ad usare, quindi si è fatto l'esempio del prodotto che sta per uscire, del cittadino che si presenta alla chiusura del giornale chiedendo di accedere ai dati che lo riguardano. Sempre con riferimento al giornalismo e alle nuove tecnologie, si è parlato del diritto di rettifica e di come questo potrà essere garantito maggiormente in termini di tempestività; poi degli effetti che potranno avere i titoli e i sommari rispetto alle notizie pubblicate nel giornale formato di ora in ora. Si è discusso del cambiamento che avrà in futuro la solita frase: "Ho letto il giornale, hai letto il giornale?" rispetto ad un quotidiano che invece cambia di minuto in minuto e che quindi può, per un verso, favorire l'aggiornamento dei dati e la loro tempestività, per l'altro moltiplicare all'infinito i problemi di esattezza e completezza. Si è parlato degli spot pubblicitari che potranno comparire nei giornali telematici e della difficoltà di applicare ai quotidiani il problema del rating, della classificazione dei siti che contengono delle informazioni cosiddette nocive o illegali, e quindi della difficoltà, soprattutto in riferimento ai minori, di classificare un quotidiano che invece ha un'informazione "omnibus" e che può contenere determinate informazioni che invece, se inserite in un sito monotematico, potrebbero portare ad escludere quel sito. Abbiamo parlato del diritto a che le informazioni confezionate da un giornalista attraverso strumenti telematici possano essere usate lealmente, perché esiste una direttiva sulla tutela del diritto d'autore che riconosce al giornalista, ma non solo al giornalista, un diritto sui generis all'uso leale dell'informazione. Infine ci si è chiesti che spazio potranno avere i lettori nel nuovo giornalismo telematico - come oggi avviene per molti quotidiani, che hanno la rubrica delle lettere - e se e in che misura ci sarà spazio per un'interattività che possa portare una maggioranza di lettori a incidere sul titolo e sul contenuto di un articolo, con tutti gli effetti che questo però può determinare in termini di divisione o condivisione delle responsabilità.

Un barometro della credibilità

Mi sembra che questo workshop sia stato chiuso da due auspici. Il primo è che non c'è approccio giuridico che possa avere successo se, specialmente con riferimento alla prospettiva del giornalismo virtuale, non viene accompagnato da una politica culturale di alfabetizzazione rispetto alle nuove tecnologie per evitare che, da un lato i diritti del cittadino non siano conosciuti dagli utenti di Internet, e dall'altro si formi una gerarchia culturale. Il secondo aspetto è quello di una politica tecnologica che porti veramente a favorire l'accesso a Internet senza le pastoie che oggi lo rendono molto costoso rispetto agli altri Paesi. Per quanto riguarda l'auspicio della costituzione di un "Osservatorio", a titolo personalissimo lo condivido, facendo notare che queste scelte, soluzioni, proposte, spesso vivono da tempo nelle nostre teste, ma non sono mai attuate. Ho davanti a me questa raccomandazione del Consiglio d'Europa del 1993 - quindi di 4 anni fa - che invita tutti i Paesi membri a creare un "Barometro della credibilità". Questa è la parola espressamente usata dalla raccomandazione, per verificare a posteriori in quali termini le notizie dei giornalisti corrispondano effettivamente a verità.

Raccontare il disagio - Quale comunicazione per le associazioni impegnate sull'emarginazione sociale"

Coordinatore Stefano Trasatti - Segretario CNCA*

Il disagio dell'addetto stampa

Nel nostro gruppo eravamo una trentina di persone, in massima parte operatori e addetti stampa di associazioni, enti, comunità, e qualche giornalista che ha avuto contatti con associazioni, e quindi è una via di mezzo tra queste due specializzazioni. La discussione è stata molto ricca perché abbiamo osservato che non ci sono molte occasioni per parlare tra operatori, cioè tra addetti alla comunicazione delle associazioni, per confrontarsi, quindi cerco di fare una sintesi, che sarà lacunosa, ma tenterò di dare degli stimoli. La discussione ha avuto due cardini fondamentali: uno era quello della comunicazione, di come comunicare sui fatti e, più ad ampio respiro, di come rapportarsi con gli altri mezzi di informazione; l'altro è stato quello della nostra editoria. In mezzo a questo abbiamo trattato un tema che attraversa entrambi questi grossi ambiti, cioè la formazione.
Sulla comunicazione le reazioni degli addetti stampa sono state: "Io non ne posso più, non parlo più con i giornalisti..." e questo soprattutto a Roma. Da questo scoramento totale si è andati all'opposto, al "non bisogna arrendersi, perché piano piano certi messaggi passano, i giornalisti vanno coccolati, vanno usati". Anche se, diceva un'addetta stampa di un'istituzione, il Ministero per la solidarietà sociale, quando io mando un decreto o un testo, il giornalista mi chiede: "Ma mi sottolinei le parti importanti?" Però, nonostante questo, bisogna abbozzare. Quindi si andava dall'amarezza alla volontà di continuare a fare questo lavoro bene. Accanto a questo si sottolineava che anche gli operatori del disagio hanno il potere contrattuale, inteso in senso buono, nei confronti dei giornalisti. Una cosa molto diffusa è il disagio dell'addetto stampa. A volte egli si trova schiacciato tra la voglia di protagonismo dei suoi dirigenti, del suo dirigente, che vuole apparire e l'incompetenza di questo dirigente: quindi, poi, se l'associazione non va sul giornale è colpa dell'addetto stampa. Si citava il caso di un'associazione che era stata invitata al Tg2 delle 13 e ha rifiutato perché le avrebbero dato solo due minuti Poi c'era l'invito a non essere autoreferenziali, a non fare la corporazione degli "sfigati": si osservava quanto fossero utili, però tristi, se non accompagnate da un certo contesto le pagine sul volontariato che molti quotidiani e anche molte testate hanno: è stato osservato come a volte facciano il gioco delle altre 43 pagine, che invece fanno passare tutt'altro messaggio. Una persona ha detto che è inutile parlare delle associazioni che si occupano di immigrati, se poi in prima pagina si titola: "Invasione di curdi", quando ne sono sbarcati 150. Una sollecitazione, che veniva da don Dante Clauser e non solo da lui, è quella di dare voce a chi si trova in situazioni di disagio sociale. Egli osservava che in convegni come questo e come altri questa voce manca: non manca la presenza, perché ci sono diverse persone che vivono problemi sulla propria pelle, ma la voce sì. Alcuni hanno osservato che bisogna essere liberi, quindi non ricattabili, non aver nulla da perdere, non entrare nella spirale dei "do ut des" con il mondo dell'informazione, altrimenti si perde quella freschezza che deve essere propria del volontariato. Un'altra cosa che accenno - ma che è un tema che il Cnca ha più volte sottolineato e che magari si può applicare anche all'informazione - è quello del "farsi lobby", sempre in senso buono, cioè acquisire potere e utilizzarlo nei confronti dell'informazione.

Editoria sociale, pregi e limiti

Sull'editoria è stato osservato, da una parte, che molti di questi giornali fatti dalle associazioni - non si sa quanti sono, saranno centinaia, ma nessuno li ha mai contati, né si riesce a fare una ricerca - sono uno spreco di carta e di energie, però poi è stato osservato d'altra parte che esistono riviste come "L'altra finanza" - che è la rivista della "Banca etica" e si occupa di finanza etica - che viene continuamente ripresa dalle principali testate italiane, è fatta bene, ed è scritta da un solo redattore. Quindi si sottolineava la necessità di dare contenuti giornalistici a queste riviste, altrimenti sono veramente uno spreco di carta, questo pur mantenendo la caratteristica di organo d'informazione nei confronti dei propri soci, di chi segue l'associazione. Un altro disagio era l'impressione che alcune di queste riviste siano troppo pretenziose, nel senso che usano un linguaggio che vorrebbe essere alto e quindi pretendono di entrare nell'agorà, ma dall'altra parte i soci volontari queste riviste non le leggono perché non le capiscono, perché hanno un linguaggio che non è il loro. Poi io ho proposto l'idea di fare un'agenzia che abbia come fonti tutte queste testate dell'editoria del sociale, è un'idea solo abbozzata che noi lanceremo in una pubblicazione che si chiama "Manuale critico del volontariato" che uscirà da Baldini e Castoldi fra qualche mese: l'ho solo abbozzata perché è un'idea che meriterebbe di essere discussa, perché noi la lanciamo, ma chiaramente ci sono molte controindicazioni. Si sottolineava che è un'agenzia che dovrebbe nascere da questo mondo, si faceva il paragone con l'Asca: un'agenzia validissima che fa un grande servizio, però è un'agenzia privata che nasce, che opera, con logica di azienda, e che se il padrone decide di sopprimerla - perché il sociale non tira, perché magari Cionti, Di Cicco, Genovesi e gli altri colleghi a un certo punto non ce la fanno più - deve chiudere: invece questa agenzia dovrebbe un po' sfuggire da queste logiche. E' un'idea su cui andremo avanti, però non è il caso di approfondirla qui.

Per comunicare, occorre capire

Sulla formazione, è stato ribadita la necessità di formare le associazioni, di fare incontri di formazione a livello locale o nazionale: un "redattore sociale al contrario", in pratica, per formare anche i dirigenti, i volontari, quelli che nell'associazione fanno parte del cerchio più allargato, a comunicare nella società. Una sollecitazione molto forte veniva da Luisa Albera. Lei diceva che siamo noi a doverci formare per primi e a dover riflettere sui problemi, per capire bene i problemi con cui abbiamo a che fare, per non limitarci alla pura denuncia generica. Capire bene i problemi significa poi saperli comunicare: quindi uno sforzo di riflettere sul nostro operare e sui problemi. Un'idea per far sí - questo sulla formazione dei giornalisti - che vengano più capi redattori, redattori ordinari, direttori, cioè tutta quella fetta di persone la cui carenza viene qui più volte lamentata, potrebbe essere: mandare una lettera a tutti i giornalisti con lo slogan: "Non si impara perché si crede di sapere". Questa è una sollecitazione.
Altre tre cose emerse da questi ambiti sono: coordinarsi tra coordinamenti (Cnca, Acli, Arci, Movi), unirsi per fare iniziative come questa e per agire sull'informazione, non solo sulla finanza, sulla fiscalità come un po' sta avvenendo, quindi superare le gelosie, le primogeniture. Un'ultima cosa, sempre sulla tendenza ad essere corporativi, veniva citata da Marco di Milano, che era presente quando la Bicamerale ha ricevuto una serie di associazioni del privato sociale. La cosa penosa che lui ha notato era che da loro venivano soltanto richieste corporative, cioè di aumentare i finanziamenti su questa legge, di cambiare questo articolo e così via. Comunicare significa anche comportarsi diversamente in queste occasioni di alto profilo.

Tutti i particolari in cronaca? Una nuova etica giornalistica, tra rischi di autocensura e tutela delle persone

Coordinatore Franco Abruzzo - Presidente Ordine Giornalisti Lombardia*

Privacy: una legge "per" i giornalisti

Ringrazio gli amici di Capodarco, che seguo nella loro attività. Anche su "Tabloid", che è l'organo dell'Ordine di Milano tirato in 20.100 copie, seguiamo il dibattito sulla privacy giorno per giorno. La risposta alla domanda "tutti i particolari in cronaca?" è stata, ovviamente, affermativa, ma a patto che si rispettino le regole della professione giornalistica. Dico che questa legge di cui stiamo parlando con passione e con impegno è una legge anche della professione giornalistica, e lo vado ripetendo ovunque: è una legge della nostra professione giornalistica, non solo perché fa dei riferimenti alla professione in sei articoli, e soprattutto c'è quell'articolo 25 che parla del famoso "codice di deontologia", ma soprattutto per due articoli in particolare. Il primo articolo, l'articolo 1, pone al centro della legge una norma di portata costituzionale e che è il rispetto della dignità della persona, dell'identità personale. Giustamente il professor Rodotà, nel convegno di Alghero, diceva che identità personale è il nuovo modo di intendere la dignità della persona: un tempo si parlava di dignità della persona come onore, reputazione, oggi si parla di identità della persona. Quindi l'articolo 1 fissa gli scopi, le finalità della legge, che quindi sono il rispetto della persona umana e il rispetto nel trattamento dei dati personali. Poi c'è l'articolo 9, che è centrale, perché impone la regola di trattare i dati con correttezza e con completezza.
L'articolo 25 è importante, insieme anche al 20 e al 22, perché parla dei dati sensibili, cioè quelli relativi a "sesso e salute", sui quali bisogna fare il codice: poi c'è un certo concetto di "essenzialità della notizia", che ha suscitato anche in me delle riserve, nei primi mesi. La legge è entrata in vigore l'8 maggio. Questo concetto di essenzialità è stato spiegato nel convegno di Alghero dal presidente della nuova autorità, dal professor Stefano Rodotà, ma ci sono stati anche altri interventi dagli altri tre membri della autorità, che è un organo collegiale: come sapete è formato da quattro persone, una di queste persone è qui presente, è il professor De Siervo, poi ci sono Santaniello e Manganelli. Il concetto di essenzialità è stato spiegato con un esempio che io vado a ricordare, un fatto di cronaca di Torino, dove era morto un tizio. La Stampa ha scritto che questo signore, che era morto in una certa situazione, era iscritto ad un partito e a un'associazione privata. Domanda: che cosa c'entra con il fatto della morte l'iscrizione ad un partito, a un'associazione privata, mi pare il Cai? Quindi si scrive tutto se è in rapporto al fatto, ma i particolari marginali, esterni al fatto, restano fuori dalla cronaca. Da vecchio cronista giudiziario mi piace impostare la discussione non tanto e non solo sulle norme di questa nuova legge, ma sui fatti concreti: cioè l'autorità va giudicata sui fatti, sulle decisioni che ha preso dal mese di maggio fino a tutt'oggi e i fatti, cioè queste decisioni, dicono che, contrariamente alle nostre preoccupazioni, non c'è stata una compressione del diritto di cronaca, assolutamente. Quindi anche nel convegno di Ravenna ho detto ai colleghi del Consiglio nazionale - che qui oggi non sono presenti, io parlo solo come Ordine della Lombardia - che erano presenti di avere il coraggio civile di andare al confronto con il Garante, che il codice dovevamo farlo noi, perché questa legge salta l'autogoverno della categoria. In linea con un'importante sentenza della Corte costituzionale, la numero 38 del 31 gennaio scorso, che ha dichiarato la visibilità delle referenze, e in cui la Corte ha spiegato con parole nuove il concetto di professione giornalistica. Ha detto che, da una parte, il Parlamento è libero di riconoscere tutte le professioni che creda, anche la nostra, dall'altra parte che, se il referendum fosse passato, restava sempre l'autogoverno della categoria, quindi questo accento nuovo che la Corte ha posto sull'autogoverno della categoria è un tema etico. Quindi questa legge recupera, è in linea con quella sentenza, che poi è successiva. La legge, approvata il 31 dicembre, è stata pubblicata l'8 gennaio scorso sulla Gazzetta ufficiale, quindi la sentenza è di qualche settimana dopo, e diciamo che c'è questa convergenza fra il Parlamento e la Corte costituzionale sull'autogoverno della categoria dei giornalisti. Quindi i giornalisti, cioè noi, devono essere in grado, dal punto di vista culturale, intellettuale, di discutere con il Garante il codice. Il codice è un fatto importante, non è in contrasto con la nostra storia: noi siamo figli di una cultura che ha duecento anni di vita, la cultura francese della grande Rivoluzione, in cui si affermò il diritto dei cittadini a manifestare il pensiero e a stamparlo anche: è scritto nell'articolo 11 della Dichiarazione dei diritti dell'uomo di allora (4 agosto 1789), che dice anche: "Salvo poi reprimere gli abusi" e l'Occidente è rimasto sempre fedele a questa impostazione, mentre al di là dell'Atlantico si è formata un'altra linea, diciamo calvinista. La Costituzione degli Stati Uniti afferma, al primo emendamento, che il Congresso non palleggi sulla libertà di stampa: noi invece siamo figli di un'altra cultura, quindi questa legge, piaccia o non piaccia, è in linea con una storia diciamo italiana ed europea, quindi non dobbiamo spaventarci delle regole: certamente serve un codice fatto per porre limiti, anche alla discrezionalità.
Abbiamo un grosso problema di credibilità da recuperare, ce lo dobbiamo dire con estrema franchezza: il dato delle vendite dei quotidiani, che hanno perso un milione di copie, parla chiaro: sono numeri, non opinioni. Si può dire che allora c'erano meno settimanali, ed è vero, non c'era la televisione, ed è vero, però i numeri, cioè il dato sconcertante che in questo Paese, che pure è la quinta potenza economica del mondo, si vendono 109 copie di giornale ogni mille abitanti contro le 600 di altri paesi (300 della Germania); dicono che c'è un problema grosso: o i giornali sono fatti male o noi non siamo credibili o i giornali stessi non sono credibili. A un dibattito molto recente a Monza mi è stato detto da un direttore di un settimanale di opposizione: "Ma tu ritieni che se i principi buoni vincono, i giornali possano vendere di più?" Ho risposto: "Ti posso dire soltanto che l'esperienza europea dice che in Francia, un grande Paese civile, il giornale più diffuso è un giornale che non pubblica certe notizie sconvenienti, sconcertanti, non dà enfasi a certi aspetti della cronaca negativa, come invece facciamo noi". Quindi l'unico dato che posso dare è questo, come esperienza europea.

Le principali decisioni del Garante

1 - Avvisi di garanzia - La nostra discussione è stata centrata su tutte le decisioni del garante. Le abbiamo viste una ad una; quelle fondamentali, per esempio, sulla pubblicazione di avvisi di garanzia: ovviamente si è detto che la persona deve saperlo prima, però il Garante coerentemente ha detto che per pubblicare il rinvio a giudizio non c'è bisogno che la persona lo sappia prima. Coerentemente perché? Perché la prima notizia riguarda l'avvio di un'inchiesta, ed è giusto che la persona al centro dell'indagine sappia prima che è sotto inchiesta e non lo sappia tramite il giornale, è un fatto di civiltà. Il rinvio a giudizio è uno sviluppo di quell'inchiesta, quindi è chiaro che l'interessato si aspetta, sa che c'è questa coda nell'inchiesta penale e quindi è una cosa scontata, forse, per lui e per i suoi legali.

2 - Le fotografie - Abbiamo parlato a lungo delle fotografie: si temeva il peggio, ma il peggio non c'è, perché il Garante ha detto delle cose che sono nell'ordinamento, cioè la polizia non può mettere le manette a un cittadino arrestato se non per estreme ragioni di sicurezza, quindi noi non possiamo pubblicare delle foto di un cittadino in manette. Il caso Tortora non si deve ripetere più. Non possiamo accettare le foto segnaletiche, se non per ragioni di sicurezza: cioè è chiaro, se la polizia cerca un tizio dalla fotografia per agevolare le ricerche, è chiaro che possiamo pubblicarlo; ma noi abbiamo diritto a pubblicare le fotografie su un altro piano, cioè in riferimento ad un'altra legge, che è la legge sul diritto d'autore, all'articolo 97, che è importantissimo, perché in quell'articolo noi abbiamo sempre letto l'ampiezza del diritto di cronaca. Dice che non c'è bisogno del consenso per pubblicare una foto quando riguarda un personaggio pubblico, oppure quando riguarda una persona che è protagonista di un fatto pubblico o di interesse pubblico. Abbiamo detto anche, per quanto riguarda gli uomini politici, che essi hanno una tutela alla riservatezza minore, ma hanno diritto alla tutela della loro sfera intima, personale: cioè noi possiamo fotografare il presidente Prodi nelle vie di Bologna, ma in casa Prodi con il teleobiettivo non possiamo e non dobbiamo entrare, in casa sua uno è padrone di se stesso, quindi è sottratto alla cronaca e al diritto di cronaca.

3 - Il caso Alessandra Necci - Abbiamo parlato del caso Alessandra Necci: una decisione che va valutata, sulla quale dobbiamo riflettere molto. Come voi sapete c'era l'inchiesta su Pacini Battaglia, che è stato intercettato legittimamente dalla polizia, su ordine del magistrato, ed è stata intercettata anche una telefonata di Alessandra Necci, personaggio non pubblico, al signor Pacini Battaglia, in cui c'erano dei particolari della sfera intima della signora Alessandra Necci; quei particolari sono stati pubblicati dal "Giornale", credo, e anche dal "Corriere della Sera", in maniera scorretta, perché particolari che non c'entrano con l'inchiesta, e che riguardano le abitudini sessuali di una persona. Non vedo cosa c'entrano con le inchieste, e perché debbano essere pubblicate. Quindi questo richiamo del Garante credo sia stato giusto, corretto, e affidato alla nostra sensibilità, alla nostra cultura, al nostro senso del giusto e di una cronaca corretta. E' una decisione che, secondo me, parlo da ex cronista, va condivisa pienamente, va perseguita, va attuata da oggi in avanti.

Evitare le cadute di stile

Abbiamo concluso dicendo che le regole devono essere oggetto di conoscenza, di meditazione nei luoghi di formazione della professione giornalistica, che sono le nostre scuole di formazione e che domani saranno le Università, visto che a Tor Vergata sta per partire un corso post lauream di Giornalismo. Quindi, non basta dire che una persona è corretta, un giornalista deve apprendere, deve conoscere le regole etiche. Ho ricordato quella vicenda sconcertante de "Il Giorno", che mi addolora, quando penso al peso che ha avuto quel giornale nella vita civile di questo Paese - parlo de "Il Giorno" di Italo Pietra, dove io lavoravo, e lo dico con grande orgoglio - ma quando ho visto quella mattina, sulla prima pagina, la fotografia di quella barista di Milano uccisa, pubblicata nuda, mi sono ricordato che c'è una legge dello Stato, centrale per la nostra professione, che è la legge sulla stampa, che vieta la pubblicazione delle immagini raccapriccianti, e mi sono detto: questa è una caduta di stile. Il direttore non è iscritto all'ordine della Lombardia, è iscritto all'ordine di Bologna, ma mi auguro che l'organo di Bologna faccia la sua parte e sono sicuro, conoscendo i colleghi di Bologna, che faranno sicuramente la loro parte. Queste cadute vanno sicuramente evitate.

Più regole, ma da entrambe le parti

Abbiamo colto, caro dottor Buttarelli, il bisogno di un grande sforzo che la pubblica amministrazione deve fare nel pubblicizzare le regole della privacy: le regole vanno sonorizzate, vanno fatte capire, vanno diffuse non solo fra di noi, ma fra i cittadini e io mi permetto di avanzare una richiesta che ho già avanzato: cioè che le regole vanno bene per noi, ma ci devono essere anche regole per la controparte, per la pubblica amministrazione, perché accade, almeno in Lombardia, negli ospedali, nei commissariati, nei luoghi dove si raccolgono le notizie, che la mattina c'è l'appuntato Gennarino Cacace che dà le notizie ai giornalisti, che dà anche il referto medico dell'ospedale, e non è del posto di pubblica sicurezza, poi di sera c'è Michele Brambilla, anzi Ambrogio Brambilla, che non dà nulla, e dice che in base alla privacy non si dà nulla. Anche i vigili urbani, sul ferito nell'incidente stradale a Vigevano - parlo di fatti che vivo perché vado in giro da Vigevano a Como, a Brescia - non dicono nulla. Quindi le regole per noi vanno bene, dobbiamo farle con voi, dobbiamo farle noi per evitare che il Garante le faccia lui, perché ha l'obbligo giuridico di farle comunque se noi dovessimo essere latitanti - e il Garante ha detto chiaramente che spera di non essere messo nelle condizioni di essere costretto a scrivere le regole. La categoria deve farle le regole, però credo che vadano fatte regole di sintesi della regola esistente per la pubblica amministrazione, che si comporta in maniera schizofrenica: in un posto dà le notizie, in un altro posto no. Queste regole devono riguardare anche la magistratura, che ha altre regole sue, che vengono dal codice di procedura penale. Quello che viene fatto a Milano non viene dato, per esempio, a Vigevano; a Vigevano c'è una signora, una sostituta che non dà le notizie al giornalista, anzi lo vieta addirittura, e ha concesso soltanto questo: l'unica concessione è per i vigili urbani che possono dare soltanto gli incidenti stradali senza feriti. Siamo veramente alla follia.

* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.