IV Redattore Sociale 14-16 novembre 1997

Dire, non dire, dire troppo

L'informazione "essenziale" e la cronaca di tutti i giorni

Intervento di Ugo De Siervo

 

Ugo De Siervo - componente del Garante protezione dati personali*

"Graduare" la tutela della persona

Oggi stiamo parlando del diritto di cronaca, che è una cosa importantissima, positiva, essenziale in una società complessa come la nostra, in cui il passaggio dell'informazione è assolutamente indispensabile. Dico cose ovvie, ma le ribadisco perché non nascano equivoci per i discorsi che si faranno dopo. In una democrazia, anche il diritto di cronaca e di critica sociale, politica, sono un dato assolutamente naturale, importantissimo e vitale. Questo non vuol dire che non ci siano dei paletti, dei limiti, che non ci siano altri valori con cui il diritto di cronaca, l'informazione, la circolazione delle notizie devono fare i conti. Questo era molto chiaro, ed è chiaro, nella nostra Costituzione, perché l'articolo 21 della Carta Costituzionale - se vogliamo citare le norme - è importantissimo, ma sta dentro a dei valori che sono innanzi tutto i valori personalistici, comunitari, insomma i valori della giustizia. Tutto questo si è venuto abbastanza appannando, nella dinamica dei rapporti sociali. Io infatti sostengo fondamentalmente questa tesi: una serie di norme, a limite, della funzione informativa, per la tutela di essenziali valori umani, ci sono già e c'erano già, sono nelle leggi professionali, non solo nella Costituzione. Il fatto vero è che queste norme non vengono rispettate. Poi vedremo degli esempi concreti, che sono emersi nell'attività del Garante. Ora però dobbiamo cercare di far camminare questa legge o alcune disposizioni di questa legge sulla tutela dei dati personali, che è del dicembre scorso e che quindi, secondo me, non è che abbia introdotto cose nuovissime. Ha semplicemente ridetto alcune cose nel tentativo di farle funzionare.
Spieghiamo un po' cos'è questa legge. E' una legge molto generale su cui non entro, ma è una legge colossale, questo lo dico perché non si creda che il suo oggetto principale sia la funzione informativa. E' una legge che riguarda l'intera realtà sociale, innanzitutto la formazione e lo scambio continuo di dati sulle persone, che avvengono nell'economia e nel sociale, e ricomprende dentro di sé anche tutti i flussi di informazione nella pubblica amministrazione, le migliaia di tracce che tutti noi lasciamo nella società contemporanea. Ci lasciamo dietro tante cose e tutto questo ha suscitato, negli ultimi anni, nei Paesi più sviluppati, una serie di preoccupazioni: da una parte lasciamo moltissime tracce, o ce le chiedono, ce le impongono, alcune volte volontariamente, a volte no, dall'altra noi abbiamo i mezzi tecnologici molto rapidi. Per cui io - per fare un esempio concreto - quando uso una carta di credito, comprando una cosa, posso accorgermi che, magari dopo qualche mese, mi arriva la pubblicità dei produttori di quel segmento produttivo in cui ho usato quella carta di credito. Che cosa è successo? È successa una cosa scorretta, che non deve essere fatta, ma succede, e succedeva, cioè che chi ha la carta di credito, chi gestisce la carta di credito scorpora, ricava dalle carte di credito, mediante mezzi elettronici; il posto dove ho speso vede i produttori di quel settore (cioè il fatto che Ugo De Siervo compra pellicce, od oggetti d'oro). Allora voi vedete che qui l'elettronica collegata all'uso di una serie di cose che lasciano tracce personali porta a far sì che un soggetto, che io non ho autorizzato, mi manda delle pubblicità. Questo per farvi un esempio piccolo, poi ce ne sono altri: pensate, non so, agli interessi che ruotano intorno alle società assicuratrici, e così via, ma non fermiamoci su queste cose. Questa legge - che deriva da una direttiva europea, quindi questa è una legge che diventerà legge comune o relativamente comune in tutti i 15 paesi dell'Unione - tra l'altro ruota intorno ad un'affermazione: si dice che la circolazione delle notizie sulle persone è un bene, infatti questa direttiva europea è intitolata alla "circolazione delle notizie" non ai divieti. La circolazione è naturale, ma deve avvenire con rispetto della dignità delle persone fisiche, con particolare riferimento alla riservatezza e all'identità personale. Cioè si riconosce, sul piano dell'economia e del sociale, che una serie di notizie devono circolare, si riconosce a maggior ragione che sul piano dell'informazione le notizie sono la vita di una democrazia, però ci sono dei limiti. Perché, attenzione, non dobbiamo cadere nell'idea sbagliata che la riservatezza sia un valore assoluto, che ciascuno di noi possa mettere dei paletti assoluti e isolarsi dal mondo, non è possibile, è antisociale, non è pensabile. Se uno vive nella società, accetta i flussi informativi e accetta di essere conosciuto, perché per tante cose deve essere conosciuto, ma bisogna graduare questa conoscenza perché, altrimenti, la persona in quanto tale viene totalmente triturata dai grandi interessi. Allora, in questo tentativo di graduare la tutela della persona, è evidente che ci saranno minimi limiti, non so, laddove interviene l'interesse collettivo, o l'interesse alla giustizia o alla prevenzione dei reati. Ci saranno alcuni limiti, ma non tutti, quando si parlerà dei dati sanitari, che noi diamo se andiamo in un'azienda sanitaria, però non gli stessi bassi limiti che incontra la polizia o l'autorità giudiziaria. Sono i bassi limiti che incontra il cittadino nei riguardi di un soggetto economico. E allora si cerca di graduare attentamente.

Dati personali: cose pericolose

Un altro punto fondamentale è questo: c'è una norma nella nostra legge che - questo interessa anche i giornalisti, gli operatori informativi - equipara la gestione dei dati personali alla gestione di cose pericolose. Cioè, ad un certo punto si dice che se uno sbaglia e diffonde dati che non deve diffondere su un'altra persona, ne risponde come se avesse maneggiato male un esplosivo, una cosa pericolosa. Il dato personale, le informazioni sulla persona sono una cosa delicata e questo bisogna metterselo bene in mente nel momento in cui - ammettiamo che su certi dati possano entrare le autorità pubbliche, su altri dati possono entrare altre autorità pubbliche con minori poteri - interviene l'informazione. Questa legge - ed è l'ultima premessa prima di entrare nel merito - riguarda tutti, si occupa di servizi segreti, per capirci, del Ced, Centro di elaborazione dati della polizia, fino ai dati che gestiscono i giornali, o a quelli che lascio in un supermercato quando riempio la schedina per diventare cliente di quel supermercato. Si occupa, ahimè, di mezzo mondo.
Ora in questo mezzo mondo si cerca di graduare le tutele usando due griglie: si distinguono i dati cosiddetti "ordinari" - che sono il nome, il cognome, l'indirizzo, il numero telefonico, della targa dell'automobile e del conto corrente, cioè tutti gli elementi, le tracce, che noi possiamo lasciare e che sono legati ad una persona. Questi sono i dati ordinari, importanti però meno delicati dei cosiddetti dati "particolari". I dati particolari, che poi in genere si chiamano dati "sensibili", sono quelli che rivelano o possono rivelare della persona le appartenenze culturali, ideologiche, religiose, la salute, le abitudini sessuali, oppure i trascorsi penali, cioè tutti quei dati che riguardano la persona, ma che toccano sfere, come dire, eccezionalmente delicate, molto più delicate dell'ordinario. Ci sono queste due grandi categorie.

Raccolta, trasmissione, diffusione

Poi c'è un'altra griglia di tutele, diverse, perché le tutele cambiano a seconda del momento della raccolta dei dati. Io chiedo ad uno, impongo a uno di darmi dei dati: c'è il momento della raccolta del dato, poi c'è un altro momento importante che è il momento della "trasmissione" dei dati, perché se io raccolgo dei dati, una cosa è se li posso raccogliere, altra cosa è se, avendoli avuti, li posso dare a un altro, a un terzo. Una banca ha molti dati sui suoi clienti, li può trasmettere ad una società che non è la banca, ma che magari fa l'assicurazione? Li può trasmettere ad una società commerciale che fa pubblicità? Che vende prodotti finanziari? E' evidente che una cosa è dire di avere quei dati, e darli alla banca, altra cosa è dire che con ciò si autorizza a darli ad una terza persona. La nostra lotta, negli ultimi mesi, è stata proprio col sistema bancario. Pensate che una sola banca con cui abbiamo avuto qualche braccio di ferro, la Bnl, ha 3.200.000 clienti, per dare la misura dei soggetti con cui ci si incontra; non è che operiamo solo al microscopico. C'è un problema di raccolta dei dati, un problema della trasmissibilità di questi dati, un problema - che è quello che riguarda la cronaca - della diffusione dei dati. Certamente un giornalista, nel momento in cui scrive, tende a diffondere: diffondere vuol dire darli ad una generalità di soggetti indeterminati. Allora questo è un punto un po' delicato perché io non solo ho raccolto il dato, ma addirittura lo dò a tutti, lo metto a disposizione di chiunque. Allora è ovvio che se noi applicassimo ai giornalisti la legge - io non sono legislatore - la disciplina più severa che noi applichiamo alle banche, alle assicurazioni, alle imprese, il giornalismo l'avremmo ucciso. Se noi avessimo imposto al giornalista di chiedere tutti i permessi che deve chiedere la Fiat al suo cliente per poter diffondere i dati, il giornalismo sarebbe morto: è ovvio che non può morire, perché il giornalismo interpreta un interesse collettivo alla diffusione di certe notizie, l'interesse della conoscibilità da parte della società. E quindi questa legge prevede una serie di privilegi relativi, ma sempre privilegi, per gli operatori informativi. Guardate, ho usato un termine: operatori informativi. Perché questo va detto con franchezza: quello di cui adesso vi parlo riguarda tutti, cioè non riguarda solo gli iscritti agli Ordini professionali dei giornalisti - l'Ordine è, togliendo ogni offensività alla parola, una corporazione, cioè è un insieme di soggetti che hanno un'appartenenza molto marcata e chiusa - perché in realtà, soprattutto negli ultimi anni, sappiamo benissimo, soprattutto nelle periferie, che buona parte dell'informazione viene fatta da chi non è iscritto all'Ordine. Pensate al sistema radiofonico, a tutto il precariato che c'è nei mezzi di comunicazione, che ben si conosce, ma pensate soprattutto che ormai la funzione informativa, diffusiva dell'informazione passa attraverso strumenti che non sono più notoriamente la carta stampata di vario genere, ma sono sempre più le radio private molto diffuse, Internet e tutti gli strumenti telematici. Allora le norme di questa legge che riguardano, noi diciamo, i giornalisti, in realtà - intendendole nel senso largo del termine - riguardano chiunque svolga la funzione informativa. Se sono intervistato alla televisione, in diretta, ho gli stessi vincoli a diffondere o a non diffondere certe informazioni che ha un giornalista professionista.

La nuova disciplina per gli operatori informativi

Allora qual è la disciplina che questa legge pone? Questa legge pone, permette a chi svolga una funzione informativa di muoversi con enorme più libertà di tutti gli altri soggetti, di quasi tutti gli altri soggetti privati, perché? Il cittadino che svolge questa funzione informativa non deve certo qualificarsi come giornalista, questa è una prima cosa, che non sempre si fa: deve qualificarsi come operatore informativo. Se raccoglie le notizie, se chiede le notizie a qualcuno, non lo può fare di nascosto, ma non deve avere il consenso da parte del cittadino, cosa che normalmente un'impresa deve fare, non deve chiedere il consenso, deve chiedere il consenso soltanto in un segmento molto ristretto, cioè in un piccolo nucleo delle notizie sensibli. Abbiamo detto che ci sono i dati personali normali, poi i dati sensibili, come appartenenza politica, religiosa, sindacale e quant'altro: ecco, dentro questo nucleo ci sono i super sensibili che sono i dati che possono rivelare lo stato di salute e la vita sessuale. In questi due casi, ma solo in questi due settori, che poi vediamo è abbastanza complicato capire esattamente cosa sono, anche il giornalista, anche l'operatore informativo deve chiedere un consenso scritto. Attenzione, e qui la norma è molto dura, tutto questo la legge lo permette, dicendo due cose: che l'operatore informativo deve mantenersi all'essenzialità dell'informazione e che l'informazione deve essere riferita a fatti di interesse pubblico. Poi dice un'altra cosa: per di più l'operatore informativo deve rispettare un codice di deontologia, ma non il solito codice di deontologia che i giornalisti si danno e si ridanno. Ci sono un'infinità di questi codici di deontologia, che poi restano purtroppo molto spesso sulla carta, credo di poterlo dire tranquillamente senza offendere nessuno. Quando abbiamo detto al Consiglio nazionale dell'Ordine di questo codice di cui parlavo, il giorno dopo ci hanno portato un codicione che sembrava un testo unico, noi lo abbiamo aperto e abbiamo detto: "No, non avete capito bene!" Che cos'è che non avevano capito? Scusate, ma faccio un raccontino per essere più vivace: questo codicino che vogliamo non deve essere il codice generale, generico, della deontologia professionale nella quale si dice che bisogna separare il fatto dall'opinione, che bisogna tenersi lontano dagli interessi economici, che bisogna trattare bene le signore, i bambini, insomma, tutto quello che si può mettere in un codice buono e opportuno. No, qui bisogna che venga determinata una regola essenziale ma precisa, puntuale, nella quale i valori generali sono scritti in quella parte della legge che dice: tu puoi informare, ma nell'interesse collettivo alla diffusione delle informazioni tenendoti all'essenziale e senza ledere la dignità delle persone. Solo su questo segmento si chiede che il Consiglio nazionale dell'Ordine dei giornalisti faccia il codice: o, se lui non lo fa, lo farà il garante, cioè un'autorità nominata dal Parlamento. Noi siamo quattro persone: due designate dalla Camera, due dal Senato, all'interno di questo piccolo organo abbiamo eletto unanimemente Stefano Rodotà come presidente. Allora, se non lo fa il Consiglio nazionale, lo farà, anche se non ne ha voglia, ma lo farà sicuramente, il Garante, proprio a tutela migliore della gente, degli oggetti dell'informazione. Il Consiglio nazionale deve fare questo piccolo codice, che però - attenzione - non è il solito codice, questa è la grossa novità, ma un codicino, come dire, una specificazione della legge, che però poi diventa legge dello Stato. Quello che sarà scritto lì dentro diventa una cosa che non viene gestita solo dai giornalisti con le loro sanzioni disciplinari, che a volte ci sono a volte no, ma diventerà una regola di comportamento e sarà tutelata dall'intervento dal giudice in sede civile e in sede penale, e da parte del Garante con i poteri di cui dispone, che sono di tipo monitorio. Noi abbiamo fondamentalmente un potere, come dire, di richiamo, di dichiarazione generale, di avvertimento e così via. Questo naturalmente blocca molto il Consiglio nazionale dell'Ordine perché, ahimé, c'è nella componente giornalistica questa grande cosa di dire che tutto è l'etica professionale, tutto è l'etica individuale, che è una cosa bellissima se ci fosse e se fosse costante.

Le sanzioni

Veniamo a qualche caso concreto. Noi siamo intervenuti in pochi casi, non in molti. Intanto vi informo su un caso in cui non siamo intervenuti, ma che mi pare di eccezionale gravità. Una radio privata nell'area milanese qualche settimana fa ha polemizzato in modo furibondo con un certo esponente politico, credo un assessore, un ente dell'area milanese, dopo di che non solo ha fatto questo - forse con linguaggi che saranno sanzionati penalmente in sede diffamatoria - ma ha trasmesso i numeri riservati dei telefonini di questa signora, di sua madre e l'indirizzo che si è tenuto riservato. Non so se i magistrati di Milano se ne siano accorti o se, essendosene accorti, sono intervenuti e l'hanno sanzionato penalmente, perché qui si abusa di un dato personale, i numeri telefonici, non quelli che vanno sull'elenco, ma i numeri telefonici riservati come l'indirizzo che uno voglia tenere riservato per ragioni spesso ben comprensibili, e che sono dati importanti. Non per spaventarvi, perché le sanzioni sono sempre cose brutte che nessuno augura, ma in certi casi forse è bene ricordare che ci sono anche delle sanzioni. Questa legge, tra l'altro, dice che chi fa trattamento illecito di dati personali - in questo caso non c'è dubbio a mio parere che c'è - risponde con la reclusione da tre mesi a due anni e, se dal fatto è derivato un nocumento, un danno a questa signora, che magari per due o tre giorni non ha potuto vivere perché questi telefoni si erano arroventati d'ingiurie e avrà cambiato numero telefonico - la pena, secondo la legge, è la reclusione da 1 a 3 anni e, badate bene, non su querela di parte, ma d'ufficio. Sapete che ci sono dei reati, come la diffamazione, in cui il magistrato non si muove se il privato non gli dice di intervenire, quindi su querela; in questo caso invece il magistrato sarebbe tenuto ad iniziare da solo la sanzione penale. Quindi la legge adesso prevede anche sanzioni molto pesanti.

Troppi dati non essenziali

Vediamo i casi molto più concreti su cui noi siamo dovuti intervenire. La legge dice che bisogna informare, che rientra nelle libertà, però non eccedendo nei dati inerenti al fatto. Un caso di un ragazzo che si è suicidato: due giornali riferiscono non solo la vicenda - ledendo norme deontologiche già esistenti - ma identificano praticamente la persona, dicendo la scuola, l'indirizzo del ragazzo, le iniziali dei genitori e la loro professione. I genitori di questo ragazzo hanno trovato la forza, forza anche civica devo dire, di superare tutto quello che hanno dovuto superare, di fare un esposto all'Ordine dei giornalisti e a noi dicendo: "Ma scusate, va benissimo che il giornalista parli della triste, grave, significativa vicenda della difficoltà dei giovani, ma che c'entra che si identifichi la persona, i genitori, mettendoli, non dico alla berlina, ma, come dire, esponendoli pubblicamente, al di là della fascia delle persone che direttamente li conoscono?" E noi siamo dovuti intervenire dicendo ai giornalisti che potevano parlare di tutte le vicende che hanno rilevanza generale, che sono gravi, ma che questi dati aggiuntivi non si devono, non si possono mettere. Abbiamo intimato per il futuro di non utilizzare questi dati ulteriori.
Un altro caso su cui non siamo intervenuti: muore una persona per overdose, il giorno dopo il giornale, mi pare "Il Messaggero", riferisce che questo signore si chiama Pinco Pallino, faceva l'avvocato e così via. Il giorno dopo il fratello di questa persona trova anche la forza, di dire: "Ma scusate, voi potevate benissimo dire che c'era una persona, che magari faceva una vita apparentemente normale, che è morta per overdose, ma individuarlo per nome e cognome, individuare esattamente la professione e così via, vuol dire offendere gravemente la memoria della persona, i parenti". 

"Sbatti" la foto in prima pagina

Un altro fatto non l'abbiamo ricavato da alcun esposto di persone, ma ce lo siamo ricavato noi, ed è questa vicenda delle foto segnaletiche. Tutti noi siamo inondati, eravamo più inondati per la verità, adesso un po' meno, dal fatto che ogni volta che c'era una brillante operazione di polizia in televisione - brillante operazione cui tutti noi siamo grati - dietro le spalle ci sono le fotografie delle persone di cui, fino a prova contraria e fino a condanna definitiva, si presume l'innocenza. Non solo, ma queste foto vengono diffuse ed è una diffusione di dati personali in termini tecnici. C'è una norma del 1941, nemmeno della legislazione repubblicana, mi pare sia la legge 79, se non ricodo male, che dice "i ritratti sono nella disponibilità della persona ritratta, a meno che questa persona sia in una pubblica via, a meno che sia in una cerimonia pubblica, a meno che sia una persona di rilevanza generale, di conoscibilità generale, sia in luogo aperto, a meno di - aggiungo perché non vorrei che nascessero equivoci -esigenze di giustizia o di polizia" che non sono quelle di mettere alla berlina la gente, per capirci, ma sono, ad esempio: "il tale è fuggito, bisogna cercarlo". Ieri si diceva del noto capo mafioso: è evidente che le sue foto vengono diffuse, è bene che siano diffuse le sue ultime foto segnaletiche. E' evidente che se io arresto una persona, e ho il dubbio che questa persona abbia commesso altri reati in altri contesti, posso diffondere la foto a fini di indagine, di prevenzione, ma questo non è possibile sulla totalità delle persone. Per fare un esempio concreto: noi molto prudentemente all'inizio abbiamo detto questo ai Ministri degli Interni, della Difesa, delle Finanze, cioè ai ministri da cui dipendono i corpi di polizia e poi, visto che le cose continuavano, l'abbiamo detto anche agli operatori informativi. E qui ci sono due livelli di disapplicazione della legge. Primo: da parte dei corpi di polizia che, senza l'esistenza di specifici motivi, diffondono queste foto; secondo, da parte del giornalista che non sa desistere, dinnanzi all'offerta illecita di una foto, di sbatterla in prima pagina.
(...) Facciamo altri esempi: la fotografia degli arrestati con i ferri ai polsi. Qui c'è stata una legge dopo il caso Carra di qualche anno fa, in cui si dice che non bisogna farlo, salvo casi di assoluta necessità. L'ultimo caso è stato di quel religioso, non entriamo nella valutazione, palermitano il quale evidentemente non scappava avendo a fianco due carabinieri, presentato così, coi suoi bei ferretti ai polsi. Vi ricordate quei tre grulli, scusate il termine un po' scherzoso, che ruppero la coda del tritone in piazza Navona? Sono usciti sui maggiori giornali italiani in prima pagina, delle foto indecorose in cui c'erano 4 o 5 operatori di polizia con in mezzo questi tre grullacchiotti coi ferri ai polsi. Sembrava la foto dei cacciatori che hanno preso l'elefante o l'antilope in Africa e, se avessero fatto un po' più di prevenzione, magari non entravano nella fontana. Di quelle persone, una è stata condannata in primo grado. Ora, quelle persone possono essere antipatiche o simpatiche, ma quando io le incontro nel nostro ufficio vicino a Piazza Navona, e mi è già capitato di incontrarle due volte, le ho riconosciute. Voglio dire, fornire i dati personali può essere legittimo: anche la foto, ma se uno vuole, se uno è maggiorenne e lo vuole.
Prima che la legge entrasse in vigore, c'è stato un caso famoso che forse vi ricorderete di una persona arrestata per gravi reati di violenza. Naturalmente e tranquillamente il giornalista riferiva che non era la prima volta che costui aveva fatto una cosa del genere, perché aveva già violentato parecchi anni prima la sua figliola, la quale si era rifatta una vita. E diceva il nome e la città dove abitava: allora quella signora, che si era rifatta una vita e aveva dei figlioli, per la seconda volta è stata violentata. Questo è un piccolo segmento dell'etica professionale, perché poi l'etica professionale dovrebbe andare bene al di là, però qui il legislatore ha cominciato a dire: "Signori, i massimi rappresentanti della corporazione giornalistica fissino dei paletti" che, secondo me, è bene che siano pochissimi. Paletti che in una qualche misura non fanno altro che richiamare i limiti che già ci sono nella legislazione o nei vecchi codici deontologici, perché ci sono già. Il fatto che dei minori non si debba dire il nome e il cognome o non si debba renderli identificabili c'è già. La regola che le foto si pubblicano solo con il consenso, o se vi sono specifiche esigenze di polizia o di giustizia, c'è già, però devo dire che a me meraviglia questo ritardo. Se cinque mesi e mezzo fa abbiamo chiesto al Consiglio nazionale dell'Ordine di fare questo piccolo, essenzialissimo codice, ma a tutt'oggi abbiamo delle promesse, questo turba in una qualche misura, perché in fondo qui si cerca di tutelare tutti i cittadini, tutte le persone, soprattutto quelle deboli. Quelle forti si sanno difendere da sé, vi garantisco.

Una legge per i NIP

Due episodi per far capire che le persone forti si sanno difendere da sé. Sui giornali è stato detto molto spesso che al Garante si sono rivolti illustri e noti esponenti dello spettacolo chiedendo di essere tutelati, alcune di queste richieste non sono mai giunte al Garante. La cosa importante, come sanno gli studiosi di informazione, è dare la notizia nel circuito informativo, come quando qualcuno dice di querelare, e poi non querela. Qui si parlava di Nip: sui vip siamo intervenuti credo in due casi, il che mi è sembrato talmente ovvio perché i vip, quando vogliono, muovono eserciti di avvocati. Sotto la pressione degli avvocati del gruppo Fiat è evidente che noi abbiamo assunto una determinazione nota, che riguarda il fatto che l'avviso di garanzia è bene che sia comunicato all'opinione pubblica, ma un istante dopo che viene reso noto all'interessato. Il che mi sembra un fatto di civiltà giuridica, che risponde alle norme in quel settore. Contemporaneamente noi avevamo preso la decisione relativa ai genitori di quel povero ragazzo che si era suicidato e avevamo preso la decisione sulle foto segnaletiche. Avevamo preso tre decisioni, ma sui giornali è andata quella che riguardava i dirigenti della Fiat, perché viviamo purtroppo in un flusso di meccanismi informativi che seleziona le informazioni di un certo tipo.
Ma ci sono anche i cosiddetti vip che si sanno difendere da sé, a cui non serve questa legge, o gli serve poco. A noi è capitato un politico di medio-alto livello, un po' esibizionista, reiterato esibizionista, il quale ha avuto un brutto servizio fotografico, o almeno piuttosto pesante. La cosa che mi ha impressionato è che questa persona prima ha chiesto a noi come poteva tutelarsi con la legge attuale, dopo di che questo servizio fotografico, pesantuccio devo dire, non è stato ripreso da alcun giornale italiano, da nessuna "Striscia la notizia", da nessun "Blob", da nessuno. Il che vuol dire che chi è forte, chi ha canali, chi ha potere, si difende da sé. Applicare, cercare di dare piedi e gambe a questa legge può servire, credo, deve servire, a non sbattere il mostro in prima pagina, cioè a non distruggere, a non recare danni gravi a persone che, per vicende loro, possono essere, in un determinato momento, in una situazione di difficoltà.

Recuperare l'etica professionale

Con questo ho concluso, ma bisogna ricordarsi sempre (...) almeno di due o tre principi che ci sono in questa legge che io, fossi un giornalista, mi scriverei su un manifestino: i dati personali, oggetti del trattamento, devono essere trattati in modo lecito e secondo correttezza; raccolti, registrati per scopi determinati, espliciti e legittimi, utilizzati e non utilizzati in altre operazioni diverse, perché ci sono poi anche queste cose, devono essere esatti e, se necessario, aggiornati. In fondo sono regole molto semplici. Poi bisogna ricordarsi sempre che quando si parla di una persona si parla di una persona, non si parla di un animale, di un oggetto, si parla di una persona con tutte le sue sofferenze, le sue debolezze, una persona che ha pari dignità a quella di chi scrive. Ogni volta che si rappresenta una persona bisognerebbe sempre sforzarsi di dire: se fossi in quella situazione, dovendo raccontare di me, che termini userei? Che espressioni userei? Perché altrimenti si introduce un imbarbarimento della vita. Chi frequenta le tante periferie del paese, sa bene che ci sono persone che fuggono ormai dai canali pubblici, proprio perché hanno paura di essere massacrate in certi contesti. Allora gli operatori informativi, al di là del rispetto delle leggi, del codice di autodisciplina che speriamo arrivi presto, recuperino davvero quell'etica professionale di cui tanto spesso si parla.

* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.