VI Redattore Sociale 26-28 novembre 1999

Di razza e di classe

Donne a servizio: le facce scomode dell'immigrazione femminile

Intervento di Pilar Saravia

 

Pilar Saravia - responsabile del settore immigrazione della Uil Roma*

Donne sommerse

Sono peruviana e da 15 anni vivo a Roma. Insieme ad altre ho formato l'associazione No.Di. (Nostri Diritti). Abbiamo un centro in convenzione con il comune di Roma e anche un servizio legale gratuito. Il volto delle donne immigrate è cambiato negli ultimi 30 anni, dagli anni '60 con l'arrivo delle prime donne a servizio la loro presenza è una costante nella realtà sociale italiana. Le prime provenivano dalle Filippine, dall'Eritrea, da Capo Verde. Hanno sempre seguito il modello della migrazione a catena, arriva un primo membro della famiglia, si stabilisce e di seguito una sorella, un parente, un amico.
Con il loro arrivo in quegli anni si verificò il bisogno di una mano d'opera che aiutasse le donne italiane nelle faccende domestiche. Infatti in quello stesso momento le italiane lottavano per inserirsi nel mercato del lavoro, uscivano dalle case in nome dell'autonomia e dell'indipendenza. Pertanto le immigrate in concomitanza a questo movimento, hanno trovato uno spazio di lavoro destinato alle cure e ai servizi. All'inizio quando arrivavano presso una famiglia esisteva solo il lavoro a tempo pieno entravano ed avevano un contratto precario con solo 12 ore libere la settimana, non potevano, né pensavano al ricongiungimento familiare e alla formazione. Tutte pensavano di  ritornare a casa. Dopo l'86 con la legge 943 la situazione è molto cambiata per la prima volta è stato possibile il ricongiungimento familiare, per la prima volta sono arrivati i mariti, le mogli e si è iniziato a vedere bambini e nuclei familiari. Con lo stabilimento di questi nuclei familiari sono sorti una serie di fenomeni ad esempio i bambini hanno iniziato ad andare a scuola e si è incominciato a parlare della loro presenza e della inter-cultura. Non tutte le donne hanno avuto l'occasione di ricongiungersi con la famiglia per il ricongiungimento infatti  è necessario avere un lavoro sicuro, pagare i contributi, avere la disponibilità di un alloggio e un reddito. Alcune queste caratteristiche ce le hanno ma spesso non lo possono dimostrare.

Entrare in Italia - Un'opzione rischiosa e molto costosa

Ci sono traffici malavitosi intorno all'ingresso in Italia, spesso le donne arrivano in modo irregolare attraversando le frontiere di nascosto, pagano soldi alle organizzazioni e in molti casi a criminali. Questo significa per loro debiti di 8/10.0000 di dollari con interessi molto alti e pagarli non è faccenda che si può risolvere in un anno o due. Tale situazione le porta per forza a scegliere un lavoro a tempo pieno presso una famiglia.
È interessante il dato sul flusso migratorio con il quale si permette l'ingresso in Italia anche per motivo di lavoro dipendente. Nel '98 sono entrati più di 6.000 immigrati per lavoro domestico ma cosa ha significato questo? Che sicuramente più dell'80% erano donne che lavoravano irregolarmente e che sono ritornate al paese per rientrare con un contratto regolare. Gli accordi tra l'Italia e alcuni paesi esteri come il Marocco, la Tunisia o l'Albania non sono il riflesso diretto di questo flusso migratorio, non si capisce ad esempio come possano essere entrate 1.000 donne del Perù per motivo di chiamata nominativa dall'estero. Le leggi e l'impossibilità di regolarizzare un rapporto di lavoro diretto fanno sì che la situazione gravi direttamente sull'economia delle donne immigrate che fanno un lavoro di servizio. Quando parlo di servizio intendo il lavoro domestico, la cura dei bambini, degli anziani e il lavoro nelle cooperative ai sensi domiciliari. Tra queste c'è una percentuale molto alta di famiglie mono parentali, di madri sole con figli ed è evidente che se una donna proviene da un paese dove c'è una fortissima crisi economica prodotta dal debito estero o da un paese dove c'è la guerra, tenta in qualunque modo di far venire i figli. Questo significa passare per un processo di regolarizzazione che grava notevolmente sulla sua economia.

Informazione distorta

Il contratto nazionale delle colfs negli ultimi anni in qualche modo è migliorato, le ore di riposo attualmente sono 36 settimanali, certo non tutte le famiglie rispettano questi diritti così come le ferie e le giornate festive. In genere per le donne è molto difficile la contrattazione diretta. Sono pochissime le immigrate iscritte all'INPS a livello nazionale parliamo di 90.000 più o meno e certamente se le donne immigrate sono il 49% della popolazione straniera presente in Italia  -  che è più o meno di 120.000 persone e di questo il 90% fa la domestica - è chiaro che è assicurato solo un 10-20%. Succede poi che le famiglie italiane costantemente dicano: perché devi pagare i contributi tanto non avrai  pensione, sono soldi buttati... C'è una corrente di contro informazione che scoraggia le donne a insistere o a lottare. Non è vero che le immigrate non possono riuscire ad avere la pensione in Italia anzi con la nuova normativa possono andare in pensione per età o per gli anni contributivi come tutti i cittadini italiani se poi decidessero di tornare definitivamente nel paese di origine potrebbero portarsi anche questi contributi versati se ci fosse un accordo di reciprocità per la sicurezza sociale. Certo non è interesse dello Stato italiano sottoscrivere questo tipo di accordo comunque si può sempre far domanda per la restituzione del fondo pensioni versate. Le donne non conoscono i propri diritti e perciò non c'è neanche un movimento vero e serio di protesta.

Verso l'autonomia

Dopo aver svolto un lavoro presso una famiglia a tempo pieno, aver pagato il debito e aver fatto venire i figli, tutte tendono a diversificare l'orario di lavoro, a fare corsi di formazione, a provare nell'ambito del lavoro autonomo. Al centro No.Di. abbiamo riscontrato un'incidenza (100%) di donne che si rivolgevano a noi per motivi di stress e per problemi di insonnia. "Non ce la faccio più", questa è la prima frase. Pensate alle donne che lavorano con gli anziani, questi vengono relegati totalmente alle loro cure da famiglie che non si fanno vedere finiscono con il ritrovarsi a dover assistere e ad essere responsabili assolute di situazioni familiari altrui. C'è un'incidenza molto alta di licenziamento delle donne in gravidanza, situazione non accettata dalla legge ma che viene fuori sotto forma di  ricatti e altre situazioni. Altre infine hanno denunciato abusi, molestie e violenze sessuali da parte dei datori di lavoro o dei loro figli grandi.
Ma questa è un'altra faccenda che non viene quasi mai alla luce.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.