IX Redattore Sociale 6-8 dicembre 2002

Maschere

Workshop: Rifugiati in fuga da violenze e conflitti: un diritto condizionato - Parte I

Incontro con Francesco De Luccia (Coordinatore del Centro Astalli)*. Coordina Laura Badaracchi

Laura BADARACCHI

Laura BADARACCHI

Giornalista di Redattore Sociale, dove si occupa della rivista Superabile Magazine e del blog “Social Church”.

ultimo aggiornamento 01 dicembre 2013

Laura Badaracchi* 

Sono corrispondente di Roma dell'agenzia Redattore Sociale e conosco P. Francesco perché ho contatti col Centro Astalli per via dell'agenzia. P. Francesco è da 8 anni e mezzo al Centro Astalli, che ha due sedi: una dove c'è la mensa, dove sono accolti i richiedenti asilo. Poi c'è la fondazione Centro Astalli che si occupa della sensibilizzazione sul territorio riguardo, appunto, la problematica. P. Francesco ha anche un'esperienza precedente. È stato sia a Palermo che a Napoli e ha lavorato con i bambini di strada. A Napoli ha abitato nel quartiere Scampìa ed è stato anche vittima di due rapine con una pistola puntata sulla testa. Ha avuto varie esperienze a fianco dei poveri, della gente che vive sulla propria pelle il disagio, la marginalità. A Roma il Centro Astalli è un crocevia. Se arrivate davanti a via degli Astalli, che è vicina a via del Plebiscito, P. za Venezia a qualunque ora del giorno, specialmente la sera, vedete che c'è una fila di persone che attendono di entrare alla mensa. Mi diceva che in questo periodo è drammatico: molti sono costretti a dormire fuori, all'aperto, sono senza dimora. A Roma c'è il problema dell'accoglienza: anche se i posti messi a disposizione sia dalla Caritas che dal comune sono in aumento, purtroppo l'emergenza si fa sentire. Ora lui stesso vi racconterà un po' la realtà dei rifugiati, specialmente a Roma. Io per i dati vi rimando a questo piccolo estratto che avete trovato nelle cartelline: le domande di asilo in Italia sono scese da 18 mila del 2000 a 16 mila e nel nostro paese secondo l'Acnur, l'alto commissariato Onu delle Nazioni Unite, lo scorso anno c'erano 22.870 tra richiedenti asilo e rifugiati, che chiedono sia protezione umanitaria, che asilo politico. P. Francesco farà un intervento e ci racconterà la realtà, poi andremo ad analizzare insieme 7 maschere - visto che il tema del seminario è proprio quello delle maschere - 7 maschere che riguardano i richiedenti asilo, cioè come l'informazione e anche l'opinione pubblica hanno nei confronti di questa problematica dei veli, delle barriere che la fanno leggere in un certo modo. Cominceremo con la maschera di "clandestino", ma questo in un secondo tempo. Le vedremo insieme, ci saranno i vostri interventi dopo la pausa, vedremo se ce la facciamo anche prima. La parola a P. Francesco.

P. Francesco De Luccia*

Pensavo in questa prima fase della mattinata di passare tutta una serie d'informazioni sulla problematica dei richiedenti asilo e dei rifugiati. Non so se per alcuni sono cose già note, probabilmente si, provo comunque a fare un intervento di tipo più tecnico, dicendo chi sono i rifugiati e cosa succede ad un rifugiato in Italia e magari in Europa. 

La definizione di rifugiato è quella che sta nella convenzione di Ginevra con l'art.1, perché quella è la convenzione che l'Italia ha firmato. Non è l'unica definizione di rifugiato, come vedremo dopo, però è quella che è alla base della procedura dei richiedenti asilo. Il punto di riferimento giuridico è la convenzione delle Nazioni Unite di Ginevra del 1951. Nell'art.1 si dice che il rifugiato è una persona che ha lasciato il proprio paese, dunque ha superato i confini del proprio paese e non intende avvalersi della protezione dello stato dove è nato per una persecuzione subita, o della quale ha una fondata paura, per motivi di razza, appartenenza etnica, opinioni politiche, religione, appartenenza a gruppi politici. Sono questi gli elementi. Il primo è aver superato i confini del proprio stato. Finché una persona rimane all'interno del proprio paese non ricade sotto la protezione internazionale della convenzione, perché c'è sempre un'autorità in quel paese che ha potere all'interno dei propri confini e le Nazioni Unite, poi firmatarie della convenzione, non possono intervenire. Questo è il problema degli sfollati di cui parliamo dopo. Secondo elemento: una persecuzione subita, o della quale vi è una fondata paura, fondata paura di essere perseguitato. Attenzione: da chi? Dal proprio Stato, dal proprio governo, dagli organi istituzionali, per cui un conflitto etnico di per sé, in senso stretto, non dà diritto alla protezione internazionale. Questo limite, questa condizione è stata drammatica per esempio per gli algerini quando, negli anni in cui era più violenta la situazione dell'Algeria - non che ora da quello che so io, sia meno violenta, ma comunque negli anni in cui era proprio acuta la tensione - lo stato di per se non era il persecutore, anzi lo stato difendeva, lottava contro i terroristi che ammazzavano la gente, per cui tanti algerini che sono arrivati in Italia si sono visti rifiutare lo status di rifugiati, perché non erano perseguitati dallo stato. Qualche caso analogo l'ho incontrato con i ruandesi, nel 94-95, che sono arrivati qui essendo vittime di un conflitto tra due etnie, tra due gruppi, a volte non sono stati riconosciuti rifugiati. Questa è un'altra condizione per essere riconosciuti rifugiati. Su questo ci sono poi delle discussioni, delle flessibilità, sembra un po' il punto più debole della definizione di rifugiato. L'Acnur ha fatto gli interventi per attenuare questo punto debole, però di per sé, nella convenzione questo c'è scritto. E poi i 5 motivi di persecuzione devono essere o l'appartenenza a un gruppo politico, o l'appartenenza etnica, o motivi religiosi, o motivi di opinione politica, o motivi di razza. Non esiste riferimento alla persecuzione di genere. La convenzione di Ginevra è del 1951. Siamo nel dopoguerra e all'inizio la convenzione aveva una riserva storica e una riserva geografica. Era diretta soltanto a persone che avevano subito quella persecuzione in Europa - riserva geografica - e fino al 1946, riserva storica. Era chiaramente una convenzione che puntava alle problematiche dei rifugiati dell'est Europa, dopoguerra e quindi si aveva di mira la situazione degli ebrei in Russia, ecc. Questa riserva storica e geografica fu poi tolta nel 1967 con il protocollo di New York. L'Italia ha firmato il protocollo di New York nell'89-90, con la legge Martelli. Questa è la definizione data dalla convenzione di Ginevra, di rifugiato. Ci sono altre due convenzioni internazionali che danno delle definizioni più ampie, includendo anche persone che sono vittime di disastri naturali, persone che sono vittime di conflitti in genere, non soltanto persone perseguitate. Il fatto di provenire da un paese dove vi è una guerra non dà automaticamente il diritto all'asilo politico. Questo, poi, ricade nella protezione umanitaria di cui parliamo dopo. Le altre due definizioni sono quella dell'organizzazione dell'unità africana e quella di Cartagena. Sono due convenzioni internazionali che hanno definizioni più ampie. In anni nei quali c'era attenzione verso il problema dei rifugiati e c'era maggiore attenzione da parte dei governi verso la problematica dei diritti umani, il Canada e la Svezia hanno firmato le convenzioni dell'organizzazione dell'unità africana e quella di Cartagena. In Canada e in Svezia le persone possono essere accolte secondo altri criteri. Sulla base di definizioni più ampie di rifugiati. Ciò ha giustificato, per esempio, il flusso di tanti etiopi in Canada, o di tanti altri, anche dell'est asiatico in Svezia, ecc. L'altro strumento giuridico che c'è in Italia e che è poco utilizzato, in qualche modo considerato come una mina da parte delle autorità, è l'art. 10 della Costituzione Italiana, dove si dice che l'Italia riconosce l'asilo politico a tutte quelle persone che provengono da paesi dove non ci sono le stesse garanzie democratiche che ci sono in Italia. Questa è una definizione amplissima, più ampia, molto più ampia di quella delle altre convenzioni, quella di Cartagena e quella dell'organizzazione dell'unità africana. È un articolo poco applicato. Ora mi pare che venga applicato di più nei ricorsi, quando una persona riceve il diniego dello status di rifugiato e poi fa il ricorso al giudice. Ho visto in varie sentenze che il giudice riconosce l'asilo politico in forza di questo art. 10 della Costituzione, che da quello che capisco io, che non sono giurista, è automaticamente operativo, non ha bisogno di nessun altro regolamento di attuazione. Grossomodo questi sono gli strumenti giuridici che servono da base alla problematica dell'asilo politico in Italia. 

Cosa succede ad una persona quando arriva in Italia e vuole chiedere asilo politico? Noi  parliamo ancora utilizzando le norme, le disposizioni che sono tutt'ora in atto, non è ancora cominciata la procedura secondo gli artt. 31 e 32 della così detta Bossi-Fini, quindi parliamo di quello che ancora accade oggi, anche se sembra che la polizia, il Ministero degli Interni e la commissione si stiano attrezzando per nuovi scenari. Una persona arriva in Italia e deve chiedere asilo politico, deve dichiararsi bisognoso della protezione da parte del nostro governo o alla frontiera, o al primo commissariato di polizia nella città dove arriva. Quando si dichiara richiedente asilo deve compilare, nella lingua che lui conosce, un modulo nel quale oltre le proprie generalità dice anche i motivi per cui chiede asilo politico. Deposita l'atto presso la questura e gli viene dato un permesso di soggiorno che dura 3 mesi e che ogni 3 mesi va rinnovato. Si tratta di un permesso di soggiorno come richiedente asilo. Un richiedente asilo può non avere documenti, può non avere passaporto o altro. Se ha utilizzato un documento falso lo può dichiarare: il documento viene consegnato, c'è un verbale, ma ciò non è considerato un reato. Se una persona è perseguitata da uno stato è evidente che non ha passaporto, oppure è evidente che deve fuggire attraverso canali non regolari, non può attraversare le frontiere normalmente. Richiedere asilo, ricevere un permesso di soggiorno, non è proprio così immediato, soprattutto a Roma, o a Milano, dove ci sono tante domande. Va una prima volta, c'è troppa gente e quindi non può entrare in questura, poi va una seconda volta più presto al mattino, poi una terza volta ancora più presto, poi fa una notte davanti alla porta della questura, finalmente riesce ad entrare e consegna la sua domanda. Riceve un pezzettino di carta dove si dice che dovrà ritornare per il fotosegnalamento, quindi le impronte digitali e le foto segnaletiche. Farà questo ulteriore passaggio burocratico. Poi riceverà il  permesso di soggiorno per 3 mesi. Nel frattempo è già passato almeno un mese, nel quale questa persona era in un "limbo" ancora più limbo di quello che lo attende dopo. Ora ha il  permesso di soggiorno di 3 mesi. Con questo permesso di soggiorno può restare in Italia, ma non può lavorare, non è ammesso al lavoro. Teoricamente riceve un contributo economico di 34mila lire per i primi 45 giorni. Perché 45 giorni? Perché così è detto nella legge Martelli, che è stata abrogata in tutto dalla Turco-Napolitano, tranne l'unico articolo che  parla dell'asilo politico. Da quando la persona fa la domanda di asilo, a quando riceva la risposta dovrebbero passare 45 giorni e quindi questo motiva le 34mila lire per 45 giorni. Oggi, come tutti voi sapete, passa anche 1 anno e mezzo da quando fa la domanda di asilo, a quando riceve la risposta della commissione... Una volta che la persona ha avuto il permesso di soggiorno diciamo a Roma, si avvale dell'assistenza offerta dai comuni, che a Roma è ancora l'assistenza per immigrati in genere. Comincia così l'attesa del richiedente asilo, della sua intervista dinanzi alla commissione. I tempi si sono allungati moltissimo perché esiste un'unica commissione in tutta Italia, che è a Roma, commissione che riceve il fascicolo dalla questura e stabilisce la data dell'intervista del richiedente asilo. La commissione, vi dicevo, è una soltanto in tutta Italia, ha sede a Roma e ha 3 sezioni. Ogni sezione è formata da 4 funzionari, 2 del ministero degli interni - 1 di carriera prefettizia e 1 di carriera di pubblica sicurezza - 1 del ministero degli esteri, 1 della presidenza del consiglio, quindi sono in tutto 12 persone, con i supplenti, quindi 24. Attenzione, non sono funzionari che fanno a tempo pieno il servizio della commissione. Questo è l'inghippo principale del nostro sistema, cioè la commissione non riesce ad esaminare più di 4 -5mila domande all'anno, non riesce a fare più di questo, è sotto pressione, è pressatissima e quindi spesso c'è il sospetto che le cose non si facciano con la dovuta calma, che le persone non vengano intervistate con la dovuta calma. Ogni commissario fa la sua intervista anche se le decisioni poi sono collettive, le informazioni che la commissione prende sono prevalentemente presso le nostre ambasciate nei paesi di provenienza e quindi sono informazioni di un certo tipo, non considerano, forse non hanno il tempo di considerare, i rapporti di Amnesty international o di altre organizzazioni umanitarie sui paesi, che almeno potrebbero integrare quelle che sono le informazioni che passano le nostre ambasciate. La commissione è un po', come dire, il punto dove si blocca molto del lavoro. Non dico che è colpa dei commissari: dico che la struttura, così come è organizzata, non funziona, non è più adatta alle migliaia di domande che vengono fatte ogni anno in Italia. La commissione fa l'intervista con un traduttore, anche quello è un problema, perché a volte non ci sono persone affidabili che possano fare la traduzione e questo problema sarà molto più grande con la nuova legge che prevede le commissioni territoriali. Il rifugiato fa l'intervista nella lingua che sceglie e l'intervista diciamo dura dai 4 ai 40-45 minuti e poi la commissione dà il suo responso.

Silvia Marceglia*

Stavo organizzando un convegno per la 22esima rassegna del cinema africano: un disegnatore che doveva venire dalla Francia, era un richiedente asilo proveniente dalla repubblica democratica del Congo, è stato bloccato alla frontiera, perché non aveva possibilità di muoversi. Anche questo è molto discrezionale, cioè in certi casi li lasciano passare, ma nel suo caso l'han bloccato. Volevo sapere tutti i diritti, cioè cosa può fare nel frattempo la persona mentre è in Italia.. non può lavorare, non può spostarsi. Cosa può fare?

Enrico Serpieri - Comune di Roma, assessorato politiche sociali*

Rispetto ai diritti la mobilità sul nostro paese è garantita, anche se c'è il problema di essere rintracciato. I rifugiati non solo non possono lavorare, ma teoricamente non hanno diritti civili rispetto alla firma di un contratto. Se, ad esempio, vincessero alla lotteria in Italia e volessero comprarsi una casa o affittarsela, non potrebbero comunque farlo...

P. Francesco De Luccia*

Effettivamente la situazione dei richiedenti asilo è molto precaria e tale precarietà si protrae per lungo tempo. Nella legge che non fu mai approvata - la legge sui richiedenti asilo che il precedente parlamento avrebbe dovuto approvare - si diceva di dare il permesso di lavorare al richiedente asilo che dopo 6 mesi di permanenza in Italia non aveva ancora avuto risposta dalla commissione. Si tratta di un provvedimento che era in forza anche in altri paesi, per esempio in Inghilterra e in Francia. In Inghilterra è stato cancellato dalla recente nuova legge sull'asilo politico, in Francia credo che ancora persista. La risposta della commissione può essere di tre tipi:  

A.    riconosce lo status di rifugiato al richiedente asilo. 
B.    non riconosce lo status di rifugiato al richiedente asilo, ma riconosce che qualora fosse rimpatriato la sua vita sarebbe a rischio, per cui raccomanda un permesso di soggiorno per motivi umanitari temporaneo che dura un anno. Fa una raccomandazione alla questura perché sia data una protezione su base umanitaria a questa persona la cui vita sarebbe a rischio qualora fosse rimpatriato. Pur non rientrando nei canoni della convenzione di Ginevra (persecuzione personalmente subita ad opera dello stato per uno di quei 5 motivi) la commissione riconosce che la vita di questa persona potrebbe essere a rischio e fa appello a un altro articolo della convenzione di Ginevra, che è l'art. 33. 
C.     non riconosce lo status di rifugiato, non riconosce che c'è bisogno di una protezione per questa persona e praticamente dice che deve tornare nel paese da cui è venuto.

Esaminiamo brevemente questi 3 esiti, queste 3 possibilità e vediamo cosa accade. Se viene riconosciuto rifugiato riceverà un permesso di soggiorno che sarà per 2 anni e viene rinnovato ogni 2 anni. Questo permesso di soggiorno, finalmente, autorizza la persona a lavorare e ad avere una residenza anche anagrafica, perché il comune in presenza di un permesso di soggiorno che dura  più di un anno, dà la possibilità d'iscriversi nelle liste anagrafiche e una volta che si ha la residenza, si ha la possibilità d'iscriversi nelle liste di collocamento, avere l'assistenza sanitaria e poter cominciare una vita regolare. Facendo un piccolo passo indietro, quanto ai diritti del richiedente asilo, c'è l'aspetto sanitario- scusatemi questo non l'avevo accennato - un richiedente asilo, come tutti gli immigrati anche irregolari, può avere l'assistenza sanitaria, non solo per le emergenze, per il pronto soccorso, ma anche per le cure ordinarie. Allora il rifugiato riceve tutti i documenti, riceve la residenza anagrafica, il permesso di soggiorno di 2 anni, riceve anche un documento di viaggio equipollente al passaporto, che gli permette di andare in tutti i paesi riconosciuti dallo stato italiano, tranne quello da cui proviene perché se ritornasse perderebbe lo status di rifugiato. Di fatto i rifugiati possono andare negli altri paesi dell'unione europea, ma non lavorare in quei paesi. Possono andare come turisti in Germania, in Olanda, in Inghilterra. ma non possono avere una residenza stabile. La persona che è rifugiata riceve i diritti, anche dei contributi che ora non vengono più erogati automaticamente così come avveniva prima, riceve nell'arco di 4-5 anni contributi pari più o meno a una ventina di milioni. Ogni volta si deve fare la domanda, motivarla, ecc. e si ricevono contributi annuali di 3-4 milioni. Negli ultimi anni, negli ultimi tempi c'è una certa restrizione perché il numero dei rifugiati è aumentato e il fondo non è ben alimentato.  Il rifugiato può partecipare anche alla graduatoria, per esempio, per le case popolari nei vari comuni. Riceve un po' tutti i diritti come gli italiani tranne il voto e il passaporto: se compie i 65 anni ha diritto alla pensione sociale, se è un invalido non solo gli viene riconosciuta l'invalidità, ma riceverà anche la pensione come invalido.  Tutti diritti come gli italiani, tranne il voto e il passaporto. Quanto alla cittadinanza può chiederla dopo 5 anni che è stato riconosciuto rifugiato, mentre gli altri stranieri immigrati possono chiedere la cittadinanza dopo 10 anni, un rifugiato può chiederla dopo 5 anni e fino ad ora ha anche avuto maggiore facilità per i ricongiungimenti familiari. Un rifugiato andava all'ufficio ricongiungimenti familiari della questura e immediatamente cominciava la pratica per far venire la moglie o i figli, o i genitori anziani, senza che gli dovesse garantire l'alloggio e il lavoro. Una condizione, questa, che è assolutamente obbligatoria per gli altri immigrati: devono dimostrare come mantengono i familiari che fanno venire in base al ricongiungimento familiare. Un rifugiato fino ad ora non doveva fare questo: i familiari arrivavano automaticamente e ricongiungimenti familiari sono sempre un'odissea. In genere le famiglie dei rifugiati, poco dopo che il rifugiato è andato via, lasciano anche loro il paese e vanno in paesi limitrofi. Gli afgani vanno in Iran, gli Iracheni vanno in Sira, prima andavano in Giordania, ora vanno in Siria. I ricongiungimenti avvengono sempre da paesi terzi. Questa è - a grandi linee - la condizione del rifugiato, che è veramente una condizione vantaggiosa rispetto ad altri immigrati. Secondo caso: la persona non viene riconosciuta rifugiata, ma gli viene data una protezione per motivi umanitari. Questo è un caso farraginoso, difficile da gestire, perché non esiste una normativa chiara.  La legge Bossi-Fini prevede questa cosa della protezione umanitaria ma dovrebbe essere definita meglio. Attualmente il funzionamento di questo meccanismo è difficile da capire. Una volta che la commissione ha deciso che questa persona non può né essere riconosciuta rifugiata, né essere rimpatriata, la polizia rilascia questo permesso di soggiorno per motivi umanitari passando dalla questura. E qui c'è già il primo inghippo.  La questura si chiede il motivo, il perché del rilascio di un permesso di soggiorno di quel tipo.  Si chiede: chi mi autorizza effettivamente a dare un permesso di soggiorno? Dove è scritto? Però mi sembra che degli accordi siano stati trovati. Quando c'è la raccomandazione in genere ci sono delle circolari. Il soggiorno per motivi umanitari dura un anno. Non viene rilasciato un documento equipollente al passaporto e quelle persone non hanno quel documento che permette loro di andare anche nei paesi dell'Unione Europea. Però, caso strano, qualcuno mi ha detto che c'è qualche questura che dà questi documenti di viaggio a chi ha il permesso per motivi umanitari, poi i rifugiati sono sempre informatissimi su queste cose. Non hanno contributi economici come i rifugiati, possono iscriversi alle liste anagrafiche, ma appunto per un anno e soprattutto quando scade questo permesso di soggiorno di un anno, la commissione deve pronunciarsi di nuovo.  La questura dice: voglio qualcuno che mi autorizzi a rinnovare questo permesso di soggiorno per motivi umanitari, per cui raccolgono di nuovo l'istanza della persona, la inviano alla commissione che già ha tanto altro lavoro per i nuovi rifugiati, la commissione riesamina l'istanza, non convoca di nuovo la persona ma riesamina l'istanza e stabilisce se c'è ancora motivo di farla restare in Italia. Se nel paese da cui proveniva è finita la situazione di tensione, candidamente dicono a questa persona "puoi tornare". Questo sta avvenendo per esempio per i kosovari che, arrivati in Italia nel 99, hanno avuto questa protezione umanitaria e ora la commissione dice non c'è più c'è più bisogno di protezione dal governo italiano. E loro sostengono: "ma sono 4 anni che siamo in Italia, i figli sono nati qui, poi lì non abbiamo più nulla, non abbiamo casa, non abbiamo terra, non abbiamo parenti, non abbiamo più nessuno.". La commissione dice  "io devo soltanto decidere in base alla tua esigenza di protezione per motivi politici e ti dico che non c'è bisogno". Di conseguenza il permesso di soggiorno non viene rinnovato e si vedono recapitare un invito a lasciare il paese entro 15 giorni o 60 giorni. Questo sta avvenendo. Contro questa decisione si può fare ricorso al giudice, così come si può fare ricorso contro la decisione di non riconoscere lo status di rifugiato. Quando alla persona gli viene detto: "non sei rifugiato ma ti diamo un permesso per motivi umanitari, ti proteggiamo per motivi umanitari" la persona in quel caso può fare ricorso al giudice perché riesamini la sua istanza di asilo politico. Poi naturalmente quando ci sono i ricorsi c'è il problema degli avvocati del gratuito patrocinio. Chi lavora nell'assistenza ai rifugiati deve sobbarcarsi tutte queste pratiche per aiutarli a far la domanda per il gratuito patrocinio e poi, quando è assegnato l'avvocato, deve seguire l'avvocato, passargli le informazioni, passargli il materiale, perché possa depositare un ricorso con qualche speranza. Il terzo caso è quello del rifiuto così detto secco, rifiuto e basta. I casi di rifiuto sono numerosi, mi pare che nel dossier preparato da Laura, nella vostra cartella ci siano un po' di dati. Il tasso di riconoscimento è basso. Credo che in Italia non superi il 20%. Il 20% di che cosa? La maggior parte delle persone che chiedono asilo politico in Italia, quando poi vengono convocate dalla commissione, non sono più reperibili, non si sa dove siano. Queste persone, in verità, tutti sanno dove sono, sono in altri paesi europei. Sono entrati in Italia con l'idea di andare in Germania, in Olanda o in Inghilterra, poi hanno chiesto asilo politico in Italia perché sono stati trovati dalla polizia, perché non potevano fare altrimenti, avevano bisogno di tempo per organizzare la terza, o quarta tappa del loro viaggio. di fatto la maggior parte dei richiedenti asilo sono ancora di passaggio in Italia. C'è anche un altro motivo per cui sono di passaggio. Alcuni iniziano il viaggio con l'idea di andare nei paesi del nord Europa, altri una volta giunti in Italia e viste le condizioni di difficoltà di vita, provano altrove. Allora, dicevamo, quando la commissione li chiama non sono reperibili. Il dato che ho in mente è quello del 2000. Nel 2000 sono state presentate in Italia 18 mila domande di asilo. Di queste 18 mila domande la commissione ha convocato 8 mila persone. Delle 8 mila persone di fatto se ne sono presentati 2 mila. Dei 2 mila sono stati riconosciuti un migliaio o forse un po' meno di mille. Allora qual è la percentuale? Cioè la si può fare sui 18 mila, oppure sugli 8 mila, o sui 2 mila. Di fatto tutti quelli che non si sono presentati hanno avuto il diniego dello status di rifugiato. Il diniego è stato motivato dal fatto che non si sono presentati...

Enrico Serpieri*

Purtroppo c'è anche da aggiungere a queste percentuali il fatto che alcune richieste di asilo politico sono e - lo sappiamo - fittizie, cioè usate da molti stranieri immigrati per disperazione e a volte anche consigliate da molte associazioni, per cercare di contrastare provvedimenti di espulsione. 

P. Francesco De Luccia*

Questo è un fenomeno comune: quanto più strette sono le possibilità d'ingresso per immigrazione per lavoro, tanto più aumentano le domande fittizie di asilo politico. È lì il problema. Se una persona non può entrare per motivi di lavoro, l'unico modo per poter restare in Italia è quello di chiedere asilo politico. Il discorso è più o meno questo: "intanto faccio questo, poi avrò un'espulsione fra un anno e mezzo, ma intanto, in un anno e mezzo succede qualcosa".

Vittorio Maisano - Osservatorio Caritas Lodi*

Non c'è una mappa per stabilire quali sono i paesi da cui possono provenire i richiedenti asilo? Se la persecuzione deve essere ufficiale da parte di istituzioni, probabilmente è possibile escludere tutta un'altra serie di "furbi", cioè quelli che stanno cercando di approfittare diciamo di un escamotage?

P. Francesco De Luccia*

Questa domanda pone un grande problema nel discorso dei rifugiati, che è il problema del terzo paese sicuro. Si dice esiste una lista di paesi che sono sicuri, per esempio quelli che hanno firmato la convenzione di Ginevra, sono paesi che dovrebbero essere sicuri, però questo è sempre un po' un rischio, perché sappiamo come instabili siano le condizioni politiche in tanti paesi.  E' difficile stabilire quali sono i paesi terzi sicuri, si possono commettere abusi. Con quale criterio viene fatta questa lista? Viene fatta con il criterio che danno le ambasciate. La convenzione di Dublino affronta questo problema. Secondo la convenzione di Dublino è competente per la richiesta di asilo il primo paese dell'Unione Europea nel quale il richiedente asilo mette piede. Un transito all'aeroporto non rientra nella convenzione di Dublino. Prendiamo il caso di una persona, un peruviano che è andato in Germania dal Mexico, con un visto d'ingresso per l'Italia. La Germania lo ha tenuto lì il tempo necessario per esaminare la sua pratica e vedendo che c'era il visto sul passaporto per l'Italia lo ha rimandato da noi. È sufficiente anche avere un visto per quel paese, per presentare proprio in quel paese la domanda di asilo. Così tutte quelle persone che passano attraverso l'Italia e vanno in altri paesi sono a rischio di essere rispedite in Italia.  Vorrei chiedere ad Antonella e a Stefano di fare un secondo passo, di vedere cosa accade, un passo oltre la frontiera. Da noi, al centro Astalli, passano circa 10 mila persone ogni anno. Di queste 10 mila almeno 8000/ 8500 vanno in altri paesi. Vi assicuro che non ritornano 8.500. Se hanno fatto la domanda di asilo esiste il sistema informatizzato della polizia per cui la polizia tedesca può vedere chi ha fatto domanda di asilo in Italia, poi ci sono le impronte digitali che assicurano l'identità della persona. Allora perché questa cosa non funziona? Vorremmo chiederlo a Stefano e a Antonella, che come sapete hanno fatto quel bellissimo libro su "Frontiera Italia" andando nei luoghi di frontiera. Gli chiediamo di spostarsi oltre frontiera e vedere cosa accade ai nostri richiedenti asilo che sono passati per l'Italia e si disperdono nei territori tedeschi o inglese, olandese, così l'anno prossimo ce lo raccontano qui. Allora, chiedo scusa per la divagazione, questa è la situazione della convenzione di Dublino. Di per sé la persona dovrebbe essere rispedita in Italia e riesaminata, è sufficiente anche un visto. Per esempio dalla Germania sono venuti e vengono tanti dell'est Europa che sono entrati in Germania con un visto per l'Italia, sono persone che non avevano mai immaginato di finire in Italia e si vedono spedite qui. Accadono anche divisioni di famiglie. Arriva il padre in Olanda, il papà di una famiglia e chiede asilo politico, dopo 3 mesi arriva la madre con i figli e chiede asilo politico entrambi in tempi differenti son passati attraverso l'Italia, l'Olanda manda in Italia il padre e basta e divide la famiglia. Questa è una cosa ordinaria. Oppure manda la moglie con i figli, ma il padre ha trovato il modo per restare, perché ha lavoro, perché c'è qualcuno che garantisce. 

Stefano Galieni*

Da quanto ci hanno raccontato alcune delle persone che tentano di scappare in paesi migliori dell'Italia, soprattutto in Germania se si riesce a restare per almeno 6 mesi senza farsi beccare e quindi a ricostruirsi un'identità in 6 mesi, poi si riesce ad ottenere quello che è previsto per la procedura per gli asilanti in Germania. Negli altri paesi non lo so. Il tentativo di passare invisibili in Italia, anche di non chiedere asilo politico in Italia, per poterlo chiedere poi in altri paesi, è frutto di questa situazione. Se mi beccano e sono costretto a chiedere asilo, lo chiedo in Italia, però poi l'obiettivo è quello di rifarmi un'altra domanda di asilo in un altro paese. Credo anche che ci siano persone che in Italia chiedono asilo con un'identità falsa e poi nei paesi più sicuri danno la propria identità reale. 

Antonella Patete - Rivista del Volontariato*

Io ho scritto questo libro con Stefano. Ma in effetti la percezione che abbiamo avuto mentre facevamo questa ricerca era che la condizione del "dublinese" - come veniva chiamato in gergo, colui che dopo aver chiesto lo stato di rifugiato in Italia provava ad andare all'estero, veniva rispedito in Italia, incappando nelle maglie della convenzione di Dublino - era in realtà una cosa abbastanza poco frequente. Era veramente una sventura che poteva capitare, ce n'era qualcuno perché gli altri, o aggirando le leggi o cambiando identità, in qualche modo ce la facevano. In Germania c'erano le comunità soprattutto per i curdi, le comunità etniche, molto forti e quindi rimanevano lì e credo che a volte vi rimanessero anche in condizioni d'illegalità. 

P. Francesco De Luccia* 

Questa è un po' la panoramica anche del lavoro della commissione. Ribadisco che contro il diniego dello status di rifugiati si può fare ricorso e ribadisco che i ricorsi sono due. L'uno è contro l'espulsione e l'altro è contro il diniego dello status. La persona alla quale la commissione non riconosce lo status di rifugiato riceve questa risposta in questura. Va in questura per rinnovare il suo permesso di soggiorno di 3 mesi in 3 mesi, o comunque per ricevere la risposta della commissione e lì si vede notificare il diniego dello status e contestualmente un invito a lasciare il paese. I ricorsi da fare sono contro entrambi i provvedimenti. Uno al Tar contro l'invito a lasciare il paese e uno al giudice contro il diniego dello status. In genere il Tar da' la sospensione del foglio di espulsione, chiamiamolo così, dell'invito a lasciare il paese, in presenza di un ricorso già depositato contro il diniego dello status. Non ho dati precisi, non sono in grado di dire quanti ricorsi siano stati accettati dal giudice, però la mia sensazione è che il tasso di accettazione sia piuttosto alto. Molte persone che hanno avuto il diniego dello status dalla commissione si vedono poi riconoscere rifugiati dal giudice. Nel passato era diverso, ma ora il giudice entra nel merito. Nel passato il giudice rimandava ad un riesame della commissione, ora invece il giudice dà lo status di rifugiato, riconosce che la persona è rifugiata e con la sentenza la questura rilascia il permesso di soggiorno per asilo politico. Si tratta di un canale che, haimè, non durerà perché la nuova legge non lo prevedeva.

Ivano Liberati - Giornale Radio Rai*

Forse ho una domanda che arriva un po' troppo presto, probabilmente è una parte del dibattito che verrà sviluppata in seguito, però m'interessava in modo particolare, per cercare anche di attualizzare tutta questa problematica, di portarla dentro i confini dell'attualità più stretta. Tu hai detto che il fatto di scappare da un paese in guerra non conferisce automaticamente il diritto di asilo.  Questo è sicuramente vero, perché lo dice la convenzione di Ginevra, però è anche vero che la guerra, è forse, uno degli elementi più scatenanti per scappare e per avere la condizione dello status di rifugiato. Io mi riferisco alle due guerre che ci sono già state, che ho avuto così. un po' la "fortuna" di seguire di persona, parlo di quella del Kosovo e in Afghanistan e un'altra imminente che si annuncia alle porte. Dunque nelle due guerre precedenti ci sono state ondate di rifugiati e di profughi, in qualche caso hanno assunto il carattere dell'emergenza come in Kosovo, in altri casi come in Afghanistan il carattere della catastrofe umanitaria. Io sono stato a visitare molti campi in Pakistan e in effetti lì si poteva parlare di vera e propria catastrofe umanitaria. Io mi chiedo se nelle guerre moderne, visto che viene pianificato tutto nei minimi dettagli, c'è uno staff magari in collaborazione con l'alto commissariato per i rifugiati, che oltre, come dire, alle bombe e alle dinamiche belliche, riesce a pianificare anche quelle che possono essere le possibili e quasi certe conseguenze umanitarie da parte di profughi, di rifugiati che scappano dalla guerra, vuoi per le bombe, vuoi per le persecuzioni del regime e si rifugiano ovviamente nei paesi vicini.  Io ho avuto l'impressione che nella prima guerra, quella del Kosovo, questa pianificazione non ci sia stata, tutto è stato un po' lasciato al caso e alla fine, perché la carta geografica il Padre Eterno l'ha disegnata così, gran parte ce li siamo ritrovati noi in Italia. Nella guerra dell'Afghanistan invece, forse perché era stata pianificata meglio, forse perché era stata annunciata da molto tempo, ho visto che sia in Iran, che in Pakistan i campi profughi tutto sommato erano gestiti bene, erano organizzati bene. Allora mi chiedo se ad esempio con una guerra alle porte come quella che si annuncia in Iraq  c'è questa pianificazione che definirei scientifica, per quelle che possono essere le emergenze o le catastrofi umanitarie e soprattutto su come affrontarle. Questa è la prima questione. La seconda domanda che volevo fare è questa. Hai detto che se non si esce dai confini del proprio paese non si ha diritto allo status di rifugiato. In effetti una guerra civile dà luogo ai così detti sfollati - "i displaced" - però mi è capitato, girando in diversi paesi africani, di aver visto uffici e comunque personale dell'alto commissariato per i rifugiati anche in paesi dove in realtà c'erano solo guerre civili. Mi riferisco all'Angola, dove mi è capitato di vedere diversi uffici dell'alto commissariato per i rifugiati che in realtà, però, si occupavano di sfollati. Allora perché esistono finanziamenti a livello di Nazioni Unite a seconda del numero di rifugiati che si assistono, quindi magari è meglio far passare alcuni sfollati per rifugiati, oppure ci sono altre motivazioni più nobili che ci sono alle spalle? Erano queste le due questioni che m'interessavano.

P. Francesco De Luccia* 

Ti dico quello che posso dire. Noi parliamo di quella che è la protezione che lo stato dà ai rifugiati in forza della convenzione di Ginevra, firmata dallo stato. Quando l'Acnur interviene, lo fa perché è sua competenza intervenire e, naturalmente, interviene secondo criteri diversi dalla convenzione. Per esempio quando c'è una guerra, o quando c'è una guerra civile, o c'è una guerra tra stati, l'Acnur interviene con le varie cose di emergenza, con la collaborazione di varie agenzie che mettono su i campi.  Hanno bisogno di tutta un'infrastruttura per mettere su i campi di accoglienza.  E' diverso il ruolo dell'Acnur da quello di un governo. Allora là dove c'è una guerra l'Acnur interviene, similmente laddove ci sono gli sfollati l'Acnur non è ufficialmente competente, però ha una direzione, ha un settore che s'interessa di sfollati e in genere è frutto di accordo con i governi. Mentre con quelli che attraversano il confine l'Acnur interviene quasi automaticamente, con gli sfollati interviene in base agli accordi che possono esserci con i governi, o a pressioni che possono essere fatte nei confronti dei governi.  Certamente questo dei displaced, è un problema serio, un problema giuridico rilevante e l'Acnur interviene per motivi umanitari. Il ruolo di uno stato è diverso dal ruolo dell'Acnur.  Poi quanto alla programmazione di interventi, di ciò bisognerebbe parlare con qualcuno dell'Acnur che conosce meglio le strategie all'interno dell'alto commissariato. Quello che citavi tu dei kosovari. se ricordate furono accolti in Italia per motivi umanitari, cioè non fecero l'iter del richiedente asilo, ma per il fatto stesso che venivano dal Kosovo, gli fu riconosciuta la protezione umanitaria. Ora però i nodi tornano al pettine. L'Italia applicò questa protezione umanitaria anche a quelli dell'ex Jugoslavia all'inizio degli anni 90 e ai somali. Per il fatto stesso che venivano dalla Somalia ricevevano un permesso di soggiorno per motivi che gli permettevano di vivere, di lavorare, di studiare. Lo applicò anche con gli albanesi. Vi ricordate la faccenda delle piramidi? Quando ci fu quel flusso, anche allora fu applicata una protezione per 6-7 mesi, poi diventati 9-12 mesi, poi ritirarono quei permessi di soggiorno.

Carlo Gubitosa 

Collaboro con un sito che si chiama Peacelink. Noi abbiamo trattato, all'epoca della guerra in Kosovo, anche la questione dei rifugiati e mi chiedo. Da allora, come mai proprio nel caso delle persone provenienti dal Kosovo, visto che c'erano tutte le condizioni per l'applicazione della convenzione di Ginevra, visto anche che il motivo dichiarato della guerra era l'intervento contro una persona che opprimeva, violava i diritti umani, ecc., come mai poi queste persone oppresse da una dittatura, una volta passato l'Adriatico, non sono diventate rifugiati? Come mai sono stati considerati solamente dei casi umanitari? I problemi politici li capisco, quello che non so, perché non ho avuto modo di saperlo, è quali sono stati i pretesti, i cavilli, se ci sono stati, per giustificare il trattamento di queste persone non come rifugiati, ma appunto come persone passibili di permesso di soggiorno per motivi umanitari.

Francesca Ferrari - Oim*

Volevo rispondere a Ivano. Avendo lavorato in passato per l'alto commissariato onu per i rifugiati, volevo precisare che dal 1990 l'assemblea generale delle nazioni unite ha dato il mandato all'Unhcr per assistere anche gli sfollati, tutto qui. Mi pare dal 1990 però non ne sono sicura, quindi è proprio un mandato. 

Anna Picciolini - Parsec*

Nel primo elenco dei motivi previsti dalla convenzione di Ginevra a un certo punto hai detto non ci sono le motivazioni di genere, però è anche vero che ci sono poi le rifugiate che sfuggono agli stupri di massa, alla mutilazione dei genitali, ecc. Ci sono nella operatività cose che aprono uno spiraglio su questo terreno, oppure no?

Carlo Gubitosa*

Le persone che provenivano dal Kosovo e arrivavano in Italia prima che scoppiasse la guerra, in parte venivano riconosciuti come rifugiati e in parte no. Qui chi ricevette il permesso di soggiorno per motivi umanitari fu tutto quel gruppo che fu portato in Italia. Era ministro degli interni la Rosa Russo Iervolino, con i charter a Comiso. Arrivando lì si parlò di 10 mila, ma poi ne arrivarono di fatto di meno, ci fu una prima accoglienza a Comiso, dopo di che, quando il centro di accoglienza di Comiso fu chiuso, gli fu dato questo permesso di soggiorno per motivi umanitari con il quale hanno vissuto. Io mi riferivo soprattutto a quel gruppo lì, al di là di quelli che arrivavano individualmente con i gommoni o in altro modo e chiedevano poi individualmente asilo politico.

P. Francesco De Luccia* 

Veniamo al discorso di persecuzione di genere. Io credo che se una persona, se una donna chiedesse asilo politico portando come motivo soltanto la violenza di genere in senso stretto, non sarebbe motivo sufficiente per il riconoscimento dello status. Lo diventa quando è parte di una persecuzione fatta per motivi etnici, per motivi politici, per motivi religiosi, ecc., però su questo Laura voleva aggiungere qualcosa.

Laura Badaracchi

Il CIR, il consiglio italiano per i rifugiati, sta portando avanti mi sembra da 3 anni il progetto "Malica". E' stata presentata proprio il 28 novembre, credo, una guida per le buone pratiche sulla persecuzione di genere. Al convegno a cui ho partecipato, però, si diceva che i problemi a questo riguardo sono molti, era una delle maschere di cui vogliamo parlare poi dopo.. la tortura. I segni della tortura, spesso dello stupro etnico, o non, o della violenza anche psicologica che viene fatta a molti richiedenti asilo, sono invisibili. A meno che uno non abbia delle cicatrici evidenti sul corpo, sono segni che non si vedono e che spesso nei colloqui della commissione non emergono. Non vengono fuori neppure nei centri di permanenza temporanea, perché, ci dicevano gli operatori del Cir e le operatrici in particolare, che la donna vittima di stupro e di tortura, davanti al marito o a dei familiari non parla. Ciò per motivi culturali, perché è una vergogna troppo grande da esporre davanti alla propria famiglia. Spesso, dicevano, in caso di afgane, di donne africane anche molto spesso somale e non, il marito gli fa segno di tacere. Molto spesso non si ha la possibilità sia nei campi profughi, che nei centri di permanenza temporanea, che davanti alla commissione, di parlare liberamente e apertamente di questi drammi vissuti. Magari poi emergono dopo molto tempo, con gli operatori. Il centro Astalli ha un ambulatorio in cui vengono fatti anche sostegno e assistenza psicologica. C'è un'associazione che si chiama "Medici contro la tortura", che collabora col centro Astalli, c'è "La casa dei diritti sociali" a Roma che ha un centro in cui vengono affrontati questi problemi, è stata aperta una casa a Roma, recentemente, per le vittime di tortura sfigurate dall'acido, donne pakistane in particolare, che per motivi anche futili spesso vengono acidificate dai loro uomini, oppure da membri delle loro famiglie. Alcune di queste donne sono riuscite a entrare in Italia per motivi sanitari, per subire degli interventi di chirurgia plastica e anche chirurgia vera e propria per ricostruire delle parti del viso e anche del corpo che sono state gravemente danneggiate. 

Maurizio De Matteis*

Lavoro per la rivista "Volontari per lo sviluppo". Prima tu hai toccato l'aspetto dell'assistenza legale ai richiedenti asilo. Mi sembra che in un momento in cui tutti i meccanismi che c'erano con la vecchia legge vengano messi in discussione, cioè cambieranno, diventa comunque un punto abbastanza importante. Io so che Asgi ha fatto un progetto a Torino con il gruppo Abele per assistenza a persone immigrate e anche richiedenti asilo.  Volevo sapere se, sul territorio nazionale, c'erano altre esperienze del genere e che cosa si muove in quel senso.

P. Francesco De Luccia*

Nell'assistenza che viene offerta ai richiedenti asilo e ai rifugiati una delle più importanti è la parte legale, perché in quasi tutti i casi ci sono degli intoppi. Intoppi banali o significativi che  possono andare dall'errore nella trascrizione del nome sul permesso di soggiorno, su altri documenti, al ritardo della convocazione della commissione, oppure al ricorso perché c'è stata una svista della commissione.  Talvolta capita pure una svista della commissione, quindi la parte legale è una parte preponderante nel lavoro di accompagnamento dei richiedenti asilo. Direi che un po' tutte le associazioni, a mia conoscenza, che fanno attività con i richiedenti asilo e con i rifugiati, hanno un aiuto di tipo legale, chi in un modo, chi nell'altro.  Ha citato il Cir che fa un grande lavoro su questo aspetto, la casa dei diritti sociali, i medici contro le torture, Ics, Amnesty International, anche medici senza frontiere, noi stessi. Direi che un po' tutte le associazioni che s'interessano di richiedenti asilo e rifugiati hanno una parte legale. Dove ci sarebbe grande bisogno di una parte legale e purtroppo non c'è è esattamente alle frontiere, quando queste persone arrivano. Sono poche, pochissime le frontiere dove c'è un rappresentante di organizzazioni umanitarie che possa fare da difensore o per lo meno da testimone di quello che accade. In genere alle frontiere c'è solo la polizia e ci tiene ad essere la polizia. La polizia ci tiene a non avere troppa gente tra i piedi. Raramente qualcuno delle organizzazioni umanitarie riesce ad essere presente.  Ad esempio sono stati organizzati a mia conoscenza 13 voli charter arrivati in Puglia un po' di mesi fa. Questo lo abbiamo saputo quando per caso un operatore, mi pare del Cir, è riuscito a capire che si stava organizzando un volo charter, poi è venuto fuori che ce n'erano stati altri 12.  Chi ha potuto garantire che quelle persone non avevano diritto di protezione?  È stato chiamato il Console, l'Ambasciatore, il funzionario dell'ambasciata dello Sri Lanka è stato portato lì, ha identificato, ha detto che quelle erano persone dello Sri Lanka, messe sull'aereo e portate a Colombo, Tamil.

Roberto Morrione - Rai News 24*

Volevo fare 2 domande. Intanto a livello europeo se esiste una richiesta di legislazione unificante presso la commissione o anche il parlamento di Strasburgo e quale ruolo specifico le organizzazioni italiane stanno svolgendo in quella direzione. La seconda è più attinente al mio lavoro.  Io non credo che ci siano, però forse a voi risulta, degli studi quantitativi e qualitativi su come il sistema dei media italiano sta trattando specificamente questo problema.  Io conosco quelli che riguardano le immigrazioni in quanto fenomeno più complessivo, ma non ho mai visto elementi di analisi sui rifugiati politici.

P. Francesco De Luccia*

Esiste un progetto di armonizzazione delle leggi per tutta l'Unione Europea sull'asilo politico. Le leggi riguardano 3 aspetti. Il primo riguarda l'emergenza, il momento in cui arrivano masse di persone ed è stato trovato un accordo sugli standards da adottare. Sugli altri due temi invece, di fatto, non c'è accordo: si tratta delle misure minime di assistenza e delle procedure per l'accoglienza. I tempi che si erano dati all'interno della commissione erano chiari: entro la fine del 2002 doveva andare in vigore una legge ad experimentum per tutta l'Unione Europea e poi, entro il 2004, alla luce di due anni di esperienza, la legge varata. Questi tempi sono stati allungati secondo me perché si ha un po' paura a legiferare su questo argomento.  Tutte le legislazioni nazionali stanno andando verso una linea restrittiva e adottare una legge comune significherebbe guardare il problema anche con altri occhi. A me pare che nessuno abbia voglia di farlo. Il governo italiano ha detto chiaramente che farà una legge sull'asilo politico soltanto dopo che sarà approvata una legge a livello europeo. Quindi quella che era la tempistica già stabilita dalla convenzione di Tampere in Danimarca è, di fatto, slittata. Hanno prevalso disposizioni in materia di sicurezza. Hanno riaffrontato il problema dei richiedenti asilo e dei rifugiati, ma soltanto sul versante della sicurezza attraverso il sistema di condivisione dei dati. Stanno facendo molto su questo, con le polizie di frontiera europea.
L'approccio al problema ha preso questa piega: sull'altro versante dei media, certamente il fatto numerico dei richiedenti asilo e dei rifugiati è esiguo, rispetto all'insieme degli immigrati, rispetto al fenomeno degli immigrati  in quanto tali. Io sono uno di quelli che dice che il fenomeno dei richiedenti asilo va valutato all'interno del mondo dell'immigrazione, non va fatta una separazione netta. È vero che il fenomeno porta con se una problematica maggiore sul versante dei diritti umani e sul versante di una civiltà di un popolo, sul versante della dignità delle persone e così via, però mi sembra che non sia dato al tema dei richiedenti asilo e dei rifugiati un'attenzione specifica. Questa domanda, se mi consentite, mi permette di aggiungere una cosa che mi sono dimenticato di dire all'inizio. Nel mondo delle emigrazioni, come tutti quanti sapete, si fa questa grande distinzione tra la migrazione volontaria e la migrazione forzata. Il migrante economico, quello che a un certo punto della vita decide di andare in un altro paese per migliorare la sua condizione economica, la sua condizione lavorativa, appartiene alla categoria di "migrante volontario". Il "migrante forzato", categoria nella quale ricade il rifugiato, è colui che non ha programmato la sua fuga ma a un certo punto, per motivi indipendenti dalla sua volontà, accade qualcosa nella sua esistenza che lo induce a scappare dal proprio paese.  Questa è la situazione classica, è una persona che vive nel suo paese e a un certo punto per un rivolgimento politico, per una crisi, per un evento violento nella sua esistenza, deve scappare per salvar la sua vita. Posta questa grande distinzione va anche detto che, tra questi due estremi, c'è una fascia in cui le categorie sono un po' fluttuanti. Ciò è accettabile, comprensibile, perché appunto in una situazione di guerra, è chiaro che la persona cerca qualcosa di meglio. Allora è proprio rifugiato? Forse non totalmente perché non c'è la persecuzione, ma non è nemmeno soltanto un migrante economico.  In una situazione di carestia una persona che riesce ad organizzare un viaggio e a scappare da quel contesto vive una migrazione forzata, non è una migrazione volontaria, c'è un agente esterno che lo obbliga, lo forza a migrare. Quindi va mantenuta la distinzione tra migrante economico, che poi mantiene anche i legami con il suo paese, e migrante forzato che in genere è rifugiato e taglia i rapporti con il suo paese dove presumibilmente non tornerà mai più. Detto questo, va riconosciuta la possibilità, all'interno di questi due estremi di una fascia fluttuante di persone che sono un po' l'uno e un po' l'altro.

Laura Badaracchi*

Mancano pochi minuti. Se volete iniziamo a parlare delle maschere. Le prime due maschere che si usano quando si parla di richiedenti asilo. Morrione ci diceva che, rispetto alle ricerche, si parla sempre d'immigrati in genere, non si parla mai di richiedenti asilo in quanto tali, sono inseriti nell'insieme degli altri immigrati, quindi non ci sono anche del Censis dati precisi a riguardo.

Paolo Brivio - Settimanale il "Resegone" di Lecco e collaboratore di Caritas Italiana*

Una domanda solo per completare le informazioni che ci avete dato. Questo atteggiamento, questo indirizzo, questa tendenza restrittiva di cui si è parlato a livello legislativo coinvolge immagino anche gli standards di assistenza a livello europeo, che sono molto differenti tra di loro. Io ho avuto esperienze molto dirette con i profughi della Bosnia e della ex Jugoslavia. So benissimo che in quel caso loro aspiravano, per le ragioni che sono state in qualche modo precedentemente descritte, ad andare in Germania piuttosto che in Canada, piuttosto che Olanda, perché avevano uno standard di assistenza molto elevate. C'è una tendenza all'abbassamento, al peggioramento anche degli standards di accoglienza e di assistenza in termini di assegnazione di alloggi, in termini di possibilità di lavoro, in termini di trattamento economico e così via?

Laura Badaracchi*

Vorrei rispondere al dottor Morrione circa il fatto se ci sono dei dati sui rifugiati, su come i media trattano i rifugiati. No, purtroppo non ci sono dati. Io ho fatto una ricerca l'anno scorso proprio su questo argomento, per una campagna di sensibilizzazione sui rifugiati e soprattutto mi sono fatta una ricerca da sola. Mi sono andata a fare una rassegna stampa, a contare il numero delle volte che i rifugiati erano citati, come erano citati. E diciamo che non si fa distinzione tra rifugiati, richiedenti asilo, immigrati. Si parla di profughi in genere. Il modo in cui se ne parla è sempre allarmistico, sempre come ha evidenziato la ricerca del Censis, sempre nella cronaca e sempre legati a eventi negativi. I rifugiati vengono trattati un po' meglio degli immigrati. Questo chiaramente influisce anche sulla percezione dell'opinione pubblica, che poi è una catena. Così come ne parlano i media, ovviamente, vengono percepiti dall'opinione pubblica che è molto più aperta all'accoglienza nei confronti dei rifugiati, piuttosto che nei confronti degli immigrati. 

Francesco Chiavarini - Redattore di un settimanale di Varese*

Semplicemente per completezza d'informazione. Volevo sapere se e in che misura la legge Bossi-Fini modifica il quadro descritto? 

Intervento*

Visto che i rifugiati, una volta ottenuto lo status, godono di un trattamento migliore rispetto agli altri emigranti, potrebbe essere interessante inserire fra le categorie per cui si ha diritto all'asilo politico, le ragioni economiche? Si può pensare di tener conto, cioè, del fatto che il governo del  paese non riesce a garantire un livello di sussistenza accettabile per le popolazioni che governa?

Laura Badaracchi* 

Anche su questo è dobbiamo tornare. Io credo che sia vero che i rifugiati hanno una migliore immagine nell'opinione pubblica, però la storia che i rifugiati prendevano per 45 giorni 34 mila lire è stata per lungo tempo attribuita a tutti gli immigrati. Per anni si è detto questo nell'opinione pubblica diffusa e nessuno l'ha mai smentita.

P. Francesco De Luccia* 

Partiamo dagli standards minimi di assistenza. Certamente c'è un tentativo, una tendenza ad abbassare tali standards minimi. Paesi come la Germania, la Svezia e l'Inghilterra che in anni passati, oramai anni lontani, avevano fatto della protezione dei rifugiati una bandiera culturale, hanno ridotto drasticamente le misure di accoglienza, soprattutto l'Inghilterra. E' questo uno dei motivi per cui non è stata poi mandata avanti la legge europea sugli standards minimi di accoglienza. Di per sé la relazione fatta dalla commissione era buona. Di fatto è stata bloccata lì, sembra che sia lì alla soglia per essere portata in commissione, però di fatto è lì, c'è sicuramente un abbassamento del livello. Vorrei precisare una cosa rispetto a ciò che diceva Francesca. E' interessante che l'Italia si mobiliti per la raccolta fondi dei rifugiati in Afghanistan, 3 miliardi al concerto di Pavarotti, poi però quando questi afgani arrivano in Puglia sono clandestini da rispedire là da dove sono venuti. Fin tanto che si tratta di tenerli in campi di rifugiati a morire d'inedia va bene, quando questa stessa persona riesce a scappare, riesce a organizzare il viaggio per ricominciare la vita, allora diventa un clandestino, un potenziale criminale, addirittura un potenziale terrorista. 

Mi sono state fatte notare alcune imprecisioni nell'esposizione, faccio ammenda a beneficio di tutti. Non ho detto che all'interno della commissione, oltre ai commissari che decidono, attualmente vi è un rappresentante dell'Acnur che ha un compito di monitoraggio, quindi non vota, non entra nel merito della decisione ma assiste a tutte le interviste e dà il suo contributo, può fare domande, può parlare con i commissari. 

Stefano aveva accennato al discorso della convenzione di Ginevra e quindi del migrante economico da poter inserire come rifugiato. Io direi questo. Di questi tempi teniamoci la convenzione di Ginevra così com'è e non suggeriamo di metter mano a quella perché sarebbe un disastro. E' obsoleta, non è esaustiva, non è complessiva, però ora la vecchia, buona convenzione di Ginevra dell'Acnur, sta bene così. Non abbiamo ancora parlato del PNA, come suggeriva Enrico Serpieri e c'è qualcuno dell'ufficio stampa del PNA, che poi magari può dire qualcosa, perché va detto quello che il Piano Nazionale Asilo ha fatto nell'ultimo anno e mezzo. Ne parleremo all'interno del discorso che introduce Laura.

Laura Badaracchi* 

Partiamo parlando delle prime due maschere che vengono messe alla condizione dei richiedenti asilo e dei rifugiati. La prima maschera è quella del clandestino. Il  discorso è già uscito fuori: per l'informazione, dalle notizie che leggiamo, che vediamo, il richiedente asilo viene associato innanzitutto alla categoria degli immigrati in genere e poi come clandestino. Vediamo continuamente gli sbarchi che ci sono, tragici, sulle coste della Sicilia, in particolare della Calabria, della Puglia e poi alle frontiere, come racconta anche il libro di Antonella e Stefano. I richiedenti asilo, anche in quanto tali, vengono classificati nella maggioranza dei casi come clandestini. Si tratta di una generalizzazione che non tiene conto della loro effettiva condizione. Un altro aspetto, un'altra maschera è quella che viene appoggiata al loro volto nei centri di permanenza temporanea dove vengono condotte, appunto, le persone che sbarcano sulle coste, che arrivano in condizioni spesso drammatiche. A chi richiede lo status di richiedente asilo e anche riceve il permesso di soggiorno, viene dato dopo alcuni giorni, credo dopo 45 giorni - anche se poi credo con la Bossi-Fini cambierà qualcosa - il permesso di lasciare questi centri senza alcuna destinazione. Da clandestini queste persone diventano spesso irreperibili, oppure invisibili, cioè con il permesso di soggiorno in tasca, riconosciuto come richiedente asilo ma senza un luogo dove andare. Partono da questi centri e arrivano nelle grandi città come Roma, Milano, Napoli, o altre città d'Italia, senza sapere effettivamente dove andare, rivolgendosi ai comuni, alle associazioni che però spesso non sanno la lingua, ecc. A Roma nei giorni scorsi c'è stata è stato sollevato questo problema perché 30 richiedenti asilo africani, di vari paesi africani, dormivano sotto una tettoia in via Marsala a pochi passi dalla stazione e dall'ostello della Caritas. 
Il comune di Roma ha trovato una sistemazione per queste 30 persone ma sappiamo che a Roma, purtroppo, non si riesce a coprire l'emergenza, perché queste persone arrivano continuamente. Quelle che abbiamo incontrato, che diversi giornalisti hanno incontrato sotto la tettoia, sanno una, due lingue, sono persone che nei loro paesi erano attivisti politici (nei fogli che ci sono nella cartellina trovate anche le storie di qualcuno di loro scappato in modo molto drammatico dal loro paese). La Caritas aveva dato loro il pasto del pranzo, però effettivamente le strutture scoppiano, non c'è luogo adatto. Si tratta di potenziali senza dimora dice l'ICS - il Consorzio Italiano di Solidarietà - e irreperibili: di loro si perdono le tracce, non si sa più nulla, ma questo è anche un fenomeno che l'Acnur sta monitorando così come il Cir e tutte le organizzazioni. A Roma c'è anche l'emergenza curdi, che è continua. Ve ne sono decine anche con bambini e anche per loro spesso non si trova un alloggio, un posto. Erano questi i due aspetti: da una parte la clandestinità, dall'altra parte l'invisibilità. Sono queste prime due maschere che usa anche l'informazione, perché una volta finita l'emergenza, una volta fatto fronte ai primi clamorosi casi, di coloro che arrivano dopo nessuno parla più, scende il silenzio dell'informazione.

P. Francesco De Luccia* 

Solo due battute su questi due argomenti. Partiamo dal discorso dei clandestini. Premetto che si tratta di una definizione che a me dà fastidio, perché un rifugiato, come dicevamo prima, non ha altro modo di viaggiare se non il modo illegale! E poi c'è il discorso dei trafficanti di persone, su coloro che trasportano queste persone. E' un fenomeno ambiguo, perché c'è il traffico di chi porta persone per lo sfruttamento - e questo è un discorso evidentemente gravissimo e da perseguire in tutti i modi - poi ci sono i trafficanti che trasportano i rifugiati, i richiedenti asilo, i futuri richiedenti asilo e i futuri rifugiati. Non esiste altro modo per un curdo di arrivare in occidente se non con le barche di queste persone che si arricchiscono alle loro spalle e mettendo a rischio la loro vita. E proprio come non esisteva altro modo per tanti ebrei durante la seconda guerra mondiale di attraversare il confine con la Svizzera se non affidandosi a passeurs. Un rifugiato salva la propria vita pagando qualcuno che lo porta altrove. 
Credo che il discorso vada fatto con un tantino di oculatezza e che non si possa parlare soltanto in termini di repressione e di violenza. C'è il traffico delle persone, cioè chi porta in Italia persone per lo sfruttamento di prostituzione, ecc., c'è poi chi porta droga ed armi spesso insieme alle persone. Ma il rifugiato non ha altra possibilità. 
E' da sempre così. Fatte queste due premesse volevo dire che, a furia di parlare di clandestini, accade nel nostro ambiente culturale che la parola clandestino non è più "clandestina". Paradossalmente il clandestino è diventato una condizione di esistenza. Esiste il rom, esiste il portatore di handicap, esiste il tossicodipendente, esiste il clandestino, esiste il disoccupato. In effetti, in tutto il mondo occidentale esistono persone senza documenti. Sono tanti gli italiani negli Stati Uniti senza documenti che lavorano lì come illegali. Qualcuno accennava prima che tanti curdi che passano per l'Italia, in Germania si disperdono come illegali, assorbiti dalla rete dei connazionali e lavorando all'interno dei servizi per la comunità curda in Germania. La presenza di gente non documentata è un fatto oramai scontato nei paesi occidentali. A noi italiani ciò ci mette meno in crisi, per i tedeschi si tratta di una cosa che funziona come un terremoto continuo sotto i piedi. L'idea di avere qualcuno che nel paese vive senza documenti, senza essere registrato, senza che si sappia nome, cognome, data di nascita e indirizzo, è un fatto destabilizzante per i paesi del nord, però è una realtà. Collegato a ciò c'è il discorso delle sanatorie. 
Non si può dire ogni volta "questa è l'ultima". Ci sarà sempre bisogno di regolarizzare delle persone. La Turco, per la sanatoria fatta nel 98, diceva che sarebbe stata l'ultima. Per l'attuale si è detto che non è sanatoria, ma è regolarizzazione e non ce ne saranno più. Io accetto scommesse sul fatto che ce ne saranno anche di altre. Il discorso della regolarizzazione mi permette di sottolineare un'altra ironia della sorte. La legge Turco-Napolitano del '98 era una legge, consentitemi un po' il taglio, pro-immigrati. Era una legge che veniva da un orientamento culturale a vantaggio degli immigrati e infatti si parlava dei nuovi cittadini, voleva essere la legge che dava un salto di qualità in termini di integrazione e dei nuovi cittadini. Di fatto da quando fu promulgata quella legge il discorso sugli immigrati s'incentrò sulla criminalità e negli anni '99 e 2000 il binomio era "immigrato=criminale" e la legge stessa fu resa famosa per i mensionati Cpt - Centri di Permanenza Temporanea - dove vengono trattenuti gli espellenti. Sono vere e proprie carceri, c'è poco da dire. Sono carceri in cui sono trattenute le persone. Vi ricordate l'episodio gravissimo di Trapani, quello dell'incendio in cui morirono 6 persone trattenute in quel Cpt? 
Da quella legge pro-immigrati, per l'integrazione e per i nuovi cittadini, è venuto fuori un discorso su "immigrati=criminali" e sui cpt. Questa legge Bossi-Fini, che è una legge chiaramente contro gli immigrati, sarà conosciuta come la legge che ha dato adito al più grande processo di regolarizzazione avvenuto nel nostro paese, ironia della sorte.

Laura Caffagnini - Vita Nuova, settimanale di Parma*

In riferimento alla parola invisibili, volevo raccontare un'esperienza, un incontro con cittadini liberiani, che sono arrivati a Lampedusa durante uno degli sbarchi. Loro hanno ricevuto subito il permesso come richiedenti asilo, sono stati accolti per un giorno o due in una struttura che mi risulta non fosse un Cpt, ma un centro di accoglienza della Caritas. Da lì hanno avuto il permesso di uscire, non gli è stato detto niente circa i propri diritti, gli è stato solo messo in mano un biglietto ferroviario e sono arrivati a Milano. Da Milano sono stati mandati a Parma. Arrivano a Parma e qui la loro fortuna è stata quella di incontrare dei ragazzi di varie associazioni che hanno cercato di fare da ponte con le associazioni stesse. Bisogna dire che Parma è una delle città che in Italia ha aderito al piano nazionale asilo, ma non voleva farsi carico di queste persone, dicendo che le sue strutture erano piene. La Caritas ha dato loro solo dei buoni pasto. Sono stati ospitati a dormire da persone del posto, da civili. L'unica assistenza che hanno avuto è stata quella offerta dalla società civile. Il comune pur avendo aderito, avendo preso circa mezzo miliardo per il piano nazionale asilo, non ha saputo garantire loro un posto. Due di queste persone, dopo aver bussato tante volte in comune e alle strutture, sono state inviate a Perugia dove pareva che il posto ci fosse, lì sono stati effettivamente accolti. Altri due, invece, a Parma, dopo giorni, sono stati poi accolti nelle strutture per immigrati, in centri di prima accoglienza. Se queste persone non avessero incontrato queste associazioni che lavorano a Parma, che fine avrebbero fatto? 

Intervento

Mi colpiva la riflessione che si faceva in merito alle parole, in particolare su "clandestino", che è una parola odiosa. Tra l'altro secondo me nell'accezione comune il "clandestino" è ancora visto come quello che scrocca qualcosa, nascosto nella stiva scrocca il passaggio sulla nave senza pagare il biglietto, nascosto nel nostro paese scrocca qualcosa agli altri cittadini approfittando di maglie oscure e della sua situazione di clandestinità. È un termine particolarmente odioso, molti clandestini non scroccano nulla, anzi sono sfruttati, vivono in baracche, lavorano in nero, fanno i manovali. Sui termini bisognerebbe ragionare come sul termine "extracomunitario", che è un altro termine escludente, terribile, tra l'altro associato sempre più a clandestino e a un certo tipo d'immigrato. Nessuno chiama lo statunitense un extracomunitario, lo chiama uno straniero americano, o l'australiano. Questi termini vengono fatti passare anche dalla stampa, dai media in maniera subdola, anche cattiva per certi versi, poi trovano terreno fertile nella gente che ha paura di chi la può toccare, o danneggiare anche economicamente, perché il clandestino viene visto anche in questo senso. Quanto all'invisibilità io trovo che sia un tema molto preoccupante, e mi riferisco a Roma. Francesco prima ha dato delle cifre. Io credo che siamo sui 12 mila transiti di richiedenti asilo a Roma. Gli ultimi dati, proprio di ieri, dicono che in questa sanatoria a Roma sono state presentate 57 mila domande. Roma si è piazzata al primo posto in Italia. Noi sappiamo che a Roma tra richiedenti asilo e tra stranieri vi sono decine di migliaia di invisibili e ricordiamoci che quando parliamo di queste persone, quando parliamo dei richiedenti asilo, parliamo di uomini, donne, bambini, spesso donne e bambini soli. A Colle Oppio ne troviamo tante. Sono invisibili perché la legge li rende invisibili. A mio parere questa nuova legge li rende ancora più invisibili e lo sono anche perché a volte sono alla mercé di passeurs, cioè di trafficanti che li consigliano di essere ulteriormente invisibili. Adesso lo scenario sarà modificato, ma il tentativo di passare in Italia e passare per Roma per poi andare in Germania e in Olanda, quindi evitando magari di chiedere l'asilo politico nel nostro paese per poi poter tentare di farlo in Germania, o in un altro paese, fa si che queste persone cerchino anche di essere invisibili. Nella Bossi-Fini c'è un punto discusso come interpretazione, ma a mio parere terribile, che è quello relativo all'erogazione di servizi di assistenza sociale ai clandestini, cioè agli stranieri non regolarmente soggiornanti nel nostro paese, che siano persone in transito che non hanno fatto la richiesta di asilo politico, che siano immigrati extracomunitari entrati clandestinamente nel territorio italiano, o entrati con un visto turistico poi scaduto. Teoricamente, parlo come comune di Roma, adesso abbiamo attivato 1500 posti per l'emergenza inverno che, molto spesso, vengono usati per i richiedenti asilo che dormono all'aperto. Ecco, teoricamente l'ente locale comune di Roma non potrebbe farlo, ovvero dovrebbe assicurarsi che le persone che entrano nel circuito di assistenza anche elementare abbiano un regolare permesso di soggiorno. Il comune di Roma, io mi auguro che lo facciano molti altri comuni, se ne frega nel senso che giustifica anche formalmente l'intervento come tutela della vita e della salute di persone che dormono all'aperto. Toccavo questo punto proprio rispetto all'accoglienza dei richiedenti asilo. Roma è considerata zona di frontiera di fatto, non sta sul mare, non arrivano direttamente, ma ci passano quasi tutti i richiedenti asilo che arrivano in Italia. Uno dei punti principali è che non è un problema il tetto o il vitto, parliamo di persone che hanno un tempo di attesa normalmente per il riconoscimento dello status di un anno, un anno e mezzo: hanno bisogno di un circuito di inserimento di integrazione che gli fornisca una serie di strumenti, preparandoli poi a un inserimento anche lavorativo nel nostro paese. Quindi la tempistica è di un anno, un anno e mezzo minimo per lo status di rifugiato in cui non hanno possibilità di sussistenza se non quella lasciata agli enti locali e di un ulteriore passaggio durante il quale devono essere aiutati per potersi inserire nella società. Del piano nazionale asilo non parlo perché c'è una persona dell'ufficio stampa Pna centrale, che ne parlerà meglio di me. Credo che la questione dell'accoglienza e dell'asilo politico si un problema che vada assolutamente affrontato a livello nazionale, non delegato ai singoli comuni, dove fra l'altro si possono verificare delle sperequazioni. Faccio un esempio molto banale. M'interesserebbe capire come funziona l'accoglienza dei richiedenti asilo a Treviso, posto che qualche pazzo di richiedente asilo vuole andare a Treviso a chiedere accoglienza. Si rischia di avere città che hanno maggiori risorse e magari maggiore attenzione, che danno accoglienza, altre che se ne fregano: la sperequazione è garantita.

Ilenia Spinelli - Scuola di giornalismo della Cattolica*

Avrei una domanda. La stessa che ho fatto anche a Gianantonio Stella durante la presentazione del libro "L'orda, quando gli albanesi eravamo noi" e alla quale non ho avuto una risposta secondo me sufficiente. Non vorrei passare per insensibile, perché qui si è parlato di associazioni, io non faccio parte di nessuna associazione, di molte, confesso la mia ignoranza, non conoscevo neanche il nome, però io vorrei capire perché la legge Bossi-Fini che concede un  permesso di soggiorno a chi ha un contratto di lavoro è sbagliata? E soprattutto capire se il nostro paese ha le potenzialità, le possibilità anche viste le crisi economiche, visti i licenziamenti Fiat, di ospitare tutte queste persone. Non vorrei passare per insensibile, non voglio dire che bisogna affondare o sparare addosso a queste imbarcazioni di persone, però vorrei capire se abbiamo la possibilità. Cosa dobbiamo fare? Dobbiamo accoglierli tutti? Dobbiamo trovare per tutti una sistemazione? Un centro di accoglienza? Mi sembra che molti paesi chiudano le loro frontiere. Abbiamo parlato delle restrizioni dell'Inghilterra. L'Italia invece, forse per la sua cultura cattolica, forse perché abbiamo il Papa, quando uno fa una legge che dice: "attenzione forse non abbiamo la possibilità di trovare una soluzione per tutti" passa per insensibile, passa per razzista. Allora se la legge Bossi-Fini non va, qual è la soluzione?

Intervento

Mi viene voglia di rispondere alla sua domanda, ma lo lascio fare a Francesco, la mia risposta sarebbe poco diplomatica. Due cose. La prima: i 30 di cui parlava prima Laura, a me risulta, scusatemi se sbaglio, che siano in gran parte eritrei. Mi risulta che ci sia una parte eritrea che ha chiesto asilo politico in Italia, ma il governo eritreo ha rassicurato il governo italiano che non verranno perseguiti una volta ritornati in Eritrea e il vice presidente del consiglio attualmente in carica ha preso questa rassicurazione come una motivazione a suo avviso giusta per procedere al rimpatrio. A me risulta questo. Una seconda questione. Il termine "clandestino": in realtà non sono soltanto i curdi che entrano come clandestini, o soltanto chi chiede asilo che può entrare soltanto da clandestino, è che con le logiche dei flussi introdotte in epoche molto più lontane e confermate tanto dalla Turco-Napolitano, quanto dalla Bossi-Fini, l'unica possibilità d'ingresso in Italia è quella di clandestinità. La condizione di clandestinità è una condizione a cui non si sfugge. Credete voi a qualcuno che entra perché il datore di lavoro chiama una persona sconosciuta in Srilanka, o in Cina per assumerla alle proprie dipendenze senza sapere nulla della persona in questione? Assolutamente è inesistente. Una ultima riflessione. Mi spiace, ma su questo sono radicalmente in disaccordo. La legge Turco-Napolitano non è una legge pro immigrati. E' una legge di compromesso, una gravissima legge di compromesso, che prevedeva una parte per l'integrazione che non è mai stata applicata, ma che soprattutto prevedeva delle norme restrittive fatte ad uso e consumo di un confronto politico fra centro sinistra e centro destra, per dire: io fermo più immigrati di quanti ne fermeresti tu. Tant'è che poco tempo addietro, un confronto simpatico, un confronto politico, un noto esponente dell'opposizione diceva: ma guardate che noi abbiamo espulso ben 68 mila clandestini. Un altro leader dell'opposizione si lamentava del fatto che nonostante la Bossi-Fini c'erano una cinquantina di clandestini, sicuri clandestini che vendevano la loro paccottiglia sul litorale di Ostia. In realtà tutte e due le leggi hanno come base quella del vedere la questione immigrazione, compresa la questione richiesta asilo, come una questione veramente di ordine pubblico. Tutte e due affidano soprattutto al Ministero degli Interni, altro fatto grave, e alle forze di polizia, altro fatto grave, la gestione delle questioni connesse all'immigrazione. La Bossi-Fini che è quella su cui poi andremo sicuramente a tirar fuori gli artigli, di fatto non fa altro che rendere ancora più incisiva questa faccenda. Per quanto riguarda i richiedenti asilo sono previsti dalla Bossi-Fini dei centri d'identificazione che probabilmente diventeranno simili, se non saranno gli stessi, ai centri di permanenza temporanea, in cui chi chiede asilo sarà recluso in attesa della risposta della commissione. Avremo commissioni territoriali, che quindi potranno garantire una maggior velocità di responso, nel frattempo il richiedente asilo sarà rinchiuso dentro un carcere senza aver commesso alcun reato, che non sia quello di aver chiesto asilo politico in Italia. Un'ultima questione, lo ripeto, non voglio rispondere alla domanda fatta precedentemente, ma la domanda formulata parte da un presupposto a mio avviso terribilmente errato, frutto di non conoscenza di un problema, ovvero quello che l'Italia si appresti ad essere la prossima terra dell'oro per chi arriva dal resto del mondo. Non è vero! Penso che se oggi pomeriggio verrà Franco Pittau, del dossier immigrazione, sarà molto più chiaro di me per quanto riguarda le cifre, ma in realtà il tasso d'ingresso in Italia non certo per ragioni depressive, ma per condizioni oggettive, non è elevatissimo e l'immigrazione, il tentativo di trovarsi un'altra patria, non è un fenomeno solamente dettato da disperazione che non consente ragionamenti. E' un fenomeno che ha una sua soggettività, che presuppone delle scelte precise: l'Italia offre alcune garanzie ma non ne offre altre. Non è che le persone vengono dall'altra parte del mondo per venire a dormire sotto i ponti d'Italia senza pensare a un progetto di vita più determinato. Una cosa però mi tocca dirla, scusate. La Bossi-Fini ancorando la vita delle persone a un datore di lavoro, non comporta un atto di garanzia, ma è un atto di resa in schiavitù delle persone, scusate la retorica, estremamente grave. Credo che sia un forte passo indietro di civiltà nel nostro paese, non garantisce il migrante in quanto soggetto che può entrare solo in quanto può essere inserito, trova un tessuto d'inserimento. Garantisce il migrante in quanto forza lavoro usa e getta, perché la legge prevede questo. 

Giuseppe Pellicanò - Ufficio stampa PNA*

Semplicemente per rispondere alla questione del centro di Parma, un breve accenno a quello che è il programma. Il programma è nato nell'aprile del 2001 come progetto sperimentale, prima dell'approvazione della legge Bossi-Fini ha corso il rischio di scomparire. E' nato dall'idea frutto della collaborazione tra Ministero dell'Interno, Ancur, Anci e delle istituzioni che sono state citate in particolare Caritas, Oim, Cir, Ics, che si occupano di rifugiati. Questo sistema, giusto per restare ai numeri, in un anno e mezzo - dati novembre del 2002 - è riuscito a dare accoglienza e protezione a 2.970 persone che sono una goccia nel mare nell'intera problematica dei richiedenti asilo. Questo come premessa. Per quanto riguarda la questione specifica di Parma e le persone che sono state spostate su Perugia: tutto nasce dal fatto che i nostri 58 centri sparsi su tutto il territorio nazionale sono collegati tra loro con un sistema di banca dati. Per questo noi siamo in grado di monitorare la disponibilità dei posti su tutti i centri. Se su Parma non hanno trovato posto evidentemente l'unica disponibilità che hanno avuto è stata su Perugia. Mi ricollego anche a quello che diceva prima mi pare Serpieri del comune di Roma, per quanto riguarda il Pna, poi magari se c'è tempo possiamo ritornarci: non si tratta soltanto di tenere delle persone lì, dargli soltanto un vitto, un alloggio, così come accade in tutti gli altri centri, ma si tratta anche in prospettiva di assicurare un percorso d'integrazione. Considerando che i tempi attualmente sono di circa un anno per ottenere il riconoscimento, finito questo tempo queste persone in qualche modo dovranno integrarsi, quindi nei nostri centri oltre l'assistenza legale in vista dell'intervista, scusate il gioco di  parole, presso la commissione e il vitto, si dà anche un minimo d'informazione e anche d'istruzione e di conoscenza della lingua italiana, di percorsi per quanto riguarda l'accesso al mercato del lavoro. E' un discorso un po' più strutturato.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.