I Redattore Sociale 27-28 maggio 1994

Redattore Sociale

Minori e informazione/Informazione e minori

Intervento di Marina D'Amato

 

Marina D'Amato*

Brunelleschi e la scoperta dell'infanzia

Io credo che nel 1419, quando Brunelleschi era intento alla cupola del duomo dì Firenze, mentre faceva un'altra cosa ha fatto scoprire l'infanzia al nostro Paese. Ha costruito l'ospedale degli innocenti.
E nella centralità dell'individuo - che non si espri­meva soltanto nella pittura ma evidentemente con la sedimentazione delle cose, quindi con il tipo di palazzi che nella Firenze dell'epoca avevano la loro espressa progettualità - (Brunelleschi) ha costruito questo ospedale con due tipi di corridoi: uno alto e grande, serviva alle madri; e uno basso e piccolo dove camminavano e giocavano i bambini. E ci sono le chiostre grandi e i chiostrini piccoli. In una cultura che per la prima volta rimetteva l'uomo al centro della storia, la persona, anche se era un po' più piccola, era centrale.
Il senso di quello che voglio esprimere riprende non dalle parodie pedagogiche successive ma da questa idea che fa così tanto appello alla nostra cultura naziona­le, dove di infanzia parliamo sempre e parliamo in modo inutile.

L'infanzia? Non c'è

Io credo che non dobbiamo più parlare ma fare (...). Dopo tutte le riflessioni fatte, gli studi analitici di una noia mortale - per cui uno passa due anni della vita ad analizzare che cosa dicono dei bambini 50 testate nazionali, 10 televisioni; 1.000 minuti al giorno, 7.300 minuti a settimana; i bambini presenti in tutto 401 minuti; 3.753 immagini di cui solo 512 nei programmi e di cui soltanto 89 originali, le altre repliche - dov'è l'infanzia? Non c'è.
(...) In un Paese dove, se andassimo all'estero e oltre a "pizza" e "ragazza" dovessimo usare una sola parola chiave per raccontare l'italianità, diciamo "mamma"; nel Paese dove ci si preoccupa - e qui è evidente che io faccio un'accusa a tutti noi - ma non ci si occupa; in cui la preoccupazione è l'alibi della deresponsabilizzazione; (in questo Paese) si è creata una mitologia paradossale, inutile: quella della drammatizzazione a piagnisteo. Fatta da chi non piange, da chi non sta male. 

I bambini non sono una specie in estinzione

Ho deciso stamattina di non darvi tutti i numeri giusti, perché altrimenti me li ritrovo sul giornale. Sono 10 milioni e mezzo circa i ragazzini in Italia. Sono più di un sesto della popolazione. Ci occupiamo di loro soltanto in termini dell'eccezionale; quello per cui avete scritto la carta di Treviso, per cui è stato disposto un disegno di legge che porta il numero 1794, attualmente giacente al Senato, sono stati istituiti presso il Garante dell'editoria e l'Ordine dei giornalisti una serie di attività a tutela, ecc.
Il mio impegno oggi, qui, è di ribaltare questo concetto. Non si tratta di proteggere una serie in estinzio­ne come i panda. Qui si tratta di rispettare delle persone che hanno diritto forse ai corridoi più bassi; nel nostro Paese avrebbero diritto, non so, ai gabinetti negli aereoporti e nelle stazioni: siamo l'unico Paese d'Europa dove i bambini non hanno neanche il cesso. Siamo l'unico Paese d'Europa dove nelle biblioteche non c'è un tavolino basso per farli leggere. Siamo l'unico Paese d'Europa dove, nei mezzi pubblici, non c'è un luogo dove possano attaccare le manine. Non a caso sono partita dal 1419, momento in cui una pupetta chiamata Agata Esmeralda è stata lasciata in quell'ospedale degli Innocenti ed è cominciata una notevolissima tradizione di assistenza che ci fa grandi nel mondo, è cominciato il senso o del disincanto, o del cinismo, o dell'eccezionale. Ma non il senso del quotidiano.

Una società di figli, non di bambini

Io credo che con la vostra forza, perché siete voi gli architetti di questo secolo, possiate fare qualcosa. Oggi la gente non li guarda i quadri, non vede, come nelle case, strutture: sente le vostre parole. Tra il reale e l'immagi­nario c'è solo l'eco della vostra voce. Siamo spesso oppressi dal rimbombo di un suono che non percepiamo, ma la realtà ce la rimandate solo voi (...). Vi sottopongo due o tre punti di riflessione, e non di preoccupazione. Che non è soltanto dire: dottoressa che ne pensa lei di quelli di Civitavecchia? Certo che banalmente uno risponde: sono 5, a Civitavecchia ce ne sono 12.000, di cui in età tra...
No! Quello non si può più dire (...). Non si può più dire per una serie di motivi che ci fanno convivere in una società dove tutto marcia al ritmo della seduzione. Ma la seduzione non è la conoscenza. Narciso, quando si è guardato, non si è innamorato di sé perché non si conosceva. Si è innamorato dello sguardo, della distanza e del silenzio, dell'intrigo della sua espressione che per la prima volta aveva visto riflessa in un altro. Ora, creare questo continuum di seduzione, questo continuo appeal viscerale funziona nel nostro Paese per quello che vi dicevo prima, ma che qui, usando la ragione, tutti apparentemente rigettiamo.
Il "mammismo", che è il soggetto principale di questo argomento, deriva dal culto della grande madre mediterranea, in cui l'atteggiamento materno storico-antropologico di tutto il Mediterraneo fa sì che l'emozio­ne, la visceralità della conoscenza superi quella della ragione (...). Ma continuare a fare appello nel 2000 alla visceralità dell'emozione e non alla calma della ragione significa continuare a desiderare una società di figli e non creare una società di bambini.

Reincantare un mondo disincantato

Io temo che voi siate i maggiori responsabili, non colpevoli, del continuare a far sì che questa cultura dell'infanzia resti "figlia", legata al mondo degli adulti (...). I bambini sono bambini, non sono solo figli, non sono solo scolari, non sono solo devianti.
E' stato fatto quest'anno, per la prima volta dal 1860 che esiste l'Italia, un bollettino Istat dedicato all'infanzia. Mi direte: non ci sono neanche dei numeri (...). Ci sono nelle "Caffiadi"? Forse. Ce li rimanda Telefono Azzurro? Forse. E su quelli quanto si scrive!
Ma, e tutti gli altri? I 10 milioni e mezzo che parlano, giocano, interagiscono fra loro? Noi sociologi, ci direte voi, ci siamo impegnati a fare le ricerche sui giochi, sull'associazionismo dei bambini? No. Sappia­mo tutto delle loro patologie, sappiamo tutto delle loro relazioni col mondo adulto, sappiamo tutto della loro dimensione del disagio; perché questo crea pathos, rein­canta (e qui siete responsabili) un mondo disincantato. E serve in modo assolutamente strumentale a ricreare l'emozione, creando un alibi sociale di cinismo imperante. Io credo che questo non si debba fare più (...).

Infanzia: inventata insieme al pudore

L'infanzia non è sempre esistita. Fu inventata dai Romani il giorno che inventarono il pudore. Con i Romani, con l'idea di pudore - cioè quando si è formata una separatezza tra il mondo adulto e il mondo dei bambini, per alcune circostanze della vita biologica e affettiva che non li concerne perché fanno parte di una loro fisiologia - si è creata una dimensione che ha separa­to, per la prima volta nella storia, i grandi dai piccoli.
E' evidente che nel mondo greco e romano, poi, questi piccoli venivano preparati a diventare grandi, a Sparta in un modo e ad Atene in un altro; da allora in poi, tra i 7 e i 9 anni si è stabilita l'età della ragione ripresa dal Cattolicesimo, con la sola principale attività di creare una persona capace di distinguere tra il bene e il male. Durante tutto il Medioevo, secoli bui; come nei quadri di Bruegel tutti stanno attaccati e fanno tutti le stesse cose, uno può essere apprendista a tre anni, apprendista a 60: dov'è il passaggio dell'età?
Dopo, evidentemente; c'è un tempo per diventare grandi, che è quello dell'apprendimento degli strumenti, per entrare nell'età degli adulti: che non è più fare la stessa cosa, è crescere attraverso delle tappe. Parlo della cultura occidentale, naturalmente. 

Il nuovo Medioevo dei media: riannullata l'età della vita     

(...) E' evidente che le persone dei media hanno di nuovo ricreato il Medioevo. Inconsciamente.
Davanti alla televisione o di fronte ai titoloni dei giornali - quelli a caratteri cubitali che i bimbi leggono a tre anni col ditino - il mondo dei grandi e il mondo dei piccoli non ha soluzione di continuità. Non esiste più la possibilità di discernere, perché il pathos che fa com­prendere ad un adulto di 80 anni - a livelli diversi di comprensione, di psicoanalisi o di quello che vi pare - arriva con la stessa immediatezza ai piccoli e ai grandi: con la parolona o il titolone.
E' paradossale, ma alle soglie del 2000 abbiamo riannullato l'età della vita (...).

I Puffi e Capitol: la stessa cosa

Che cosa significa questo aver riannullato l'età della vita (e questa è responsabilità di chi è nei media)? Significa ad esempio che è evidente che tra i Puffi e Capitol non c'è differenza.
Perché nei puffi ci sono 92 personaggi che hanno un solo carattere ciascuno, espresso dal nome (Brontolone, Forzuto ecc.) e da un'espressione. In Capitol, Dinasty e in tutta la prima serata, in tutte le situation comedy, in tutto ciò che senza ragione ma con molto pathos viene scritto, ciascuno è portatore di un solo carattere.
Se in prima serata ci fosse "II fascino discreto della borghesia", andrebbero a letto perché in Bunuel la complessità caratteriale dei protagonisti fa sì che un bambino di 7-9 anni, (la famosa età della ragione) non comprenda: vede, ma non capisce. Ma finché uno ha solo una carat­teristica facciale, un solo carattere, è solo buono o solo cattivo, il bambino capisce tutto. In una soluzione di continuità di quello che, poiché non ha nome, viene chiamato post-moderno.


Bambini-adulti, adulti-bambini

II post-moderno è una foltissima infantilizzazione degli adulti e una grandissima adultizzazione dei bambi­ni, in un unicum di cui siamo protagonisti e responsabili. Di questo siamo conniventi. Ma dobbiamo smetterla: non possiamo teorizzare il post-moderno in questi termi­ni. Certo, facciamo l'analisi della realtà, ma per tra­sformarla è evidente che non possiamo più adultizzare i bambini - e non entro nelle polemiche di Ambra - e infantilizzare gli adulti.
Mi ricordo benissimo un episodio di qualche mese fa, quando lavoravo al Ministero degli Affari Sociali: non avevo dormito per 4 notti, per 18.000 ragazzini della ex ­Jugoslavia avevo inventato un sistema di adozione a distanza da parte delle famiglie; chiama uno e mi chiede: "Dottoressa, che ne pensa di Ambra?" Che mi frega? Ma perché me lo chiedete? Finché continuate a pensare che i 18.000 non fanno notizia, noi non cambiamo la cultura.
Hai voglia a ritornare a quel corridoio! Io ho detto che non ci voglio ritornare. Io miro al cesso nelle stazioni, pensate a come miro basso per ridare centralità ai bambi­ni: nel rispetto della loro altezza e dei loro bisogni, non nell'accondiscendimento dei sogni (...). 

I single, i gay.., E le 24 coppie in attesa?

Ma voi lo sapete che l'anno scorso, in tutto, c'erano 506 bambini in adozione? Allora, prima di cominciare a scrivere centomila pagine sui single e i gay, perché non scrivere delle 24 coppie selezionate dopo due anni di test per accogliere un bambino? E' evidente nella cultura occidentale (se ancora il paradigma è: da una parte Freud e da una parte Marx) che uno abbia una identificazione bivaloriale in due ruoli che fanno parte del suo corredo cromosomico. E' preferibile, oggettivamente rispetto ai cromosomi che ciascuno di noi ha, l'identificazione duplice: ebbene, tra 24 coppie che hanno i fratelli, i cugini, le zie, ecc., si va a parlare dei single, di una persona sola. Già un bambino è disgraziato...
Non c'è da discutere, c'è da documentarsi. Io non ho vi ho mai visto scrivere a caratteri cubitali: "Ci sono 24 coppie che aspettano un bambino, apriamo il dibattito". No, si parla del bambino, si mette la foto... Ma basta! In questo modo si continua a fare una società di bambini, lavando l'anima agli adulti che non se ne occupano. Più li fate preoccupare più si disinteressano: è questo il meccanismo. A ciascuno vanno le sue responsabilità. E' evidente che una società che suscita l'emozione per arrivare alla preoccupazione…


Non è vero. Ma lo scrivono tutti!

Mi rifaccio alle "Caffiadi", come le chiamo io: 5 milioni di italiani molestano i ragazzini. Ma non abbiamo più una Procura della Repubblica? E se fosse vero, che fanno tutti? Uno su 5... tac! Tocca il bambino? Due minuti dopo si scopre che non è vero.
Ma l'avete scritto tutti. Avete chiamato la Demo-skopea? Le avete chiesto come hanno fatto quel campio­ne? No! E' questo che fa impazzire. Allora, l'infanzia in Italia è strumentalizzata? Sì, ci pagano pure per scrivere "Infanzia e pregiudizio". Prendiamo 50 giornali, 10 televisioni, vi dimostriamo come li trattate solo nell'ec­cezionale quotidiano e scriviamo i libri dell'inutile per­ché lo sapete già che li trattate solo nell'eccezionale.
Vi dico un paradosso: su 3.750 immagini che passano in una settimana su 10 reti televisive, soltanto 500 riguardano i bambini dei programmi e tutte le altre sono i bambini degli spot pubblicitari: il paradosso è che i bambini degli spot sono più veri dei veri perché corrono, mangiano, giocano, parlano nel modo giusto con la madre, coi fratelli, insomma rappresentano il reale. Gli altri, i disgraziati della terra, i plastificati della classe quando dovete far vedere, non so, che si fa la riforma scolastica, che stanno con le manine così (non ci si sta credo dal 1953 in classe con le manine così), i ruandesi, l'ultimo dei bosniaci, quelli sono solo 89 in una settima­na, creano l'incanto al mondo disincantato, lavano la faccia a tutti gli adulti che dicono: "II mio sta benissimo, guarda, per noi il Ruanda è lontanissimo".

Come il buco nell'ozono...

E' proprio come il buco dell'ozono: noi sappiamo tutti che quando moriranno la Levi Montalcini e la Thatcher, con tutta la lacca che si mettono in testa, il buco si chiuderà. Noi non ci mettiamo la lacca, ma il buco dell'ozono è evidente che non ci riguarda: che possiamo fare noi? Nulla. Periodicamente riparliamo del buco dell'ozono. Il buco dell'ozono, riproposto periodicamente sulla stampa, mi fa arrabbiare, come mi fa arrab­biare il bambino stuprato a titoli grossi così. Ma dei 10 milioni e mezzo di bambini in Italia non avete parlato mai.
Ci sono delle iniziative fantastiche nel nostro Paese, che non fanno parte dell'eccezionale perché sono come questo luogo, sono il quotidiano di tantissime persone nel quale non avete mai ficcato il naso. Quando prima ho sentito un appello affinchè si rifacciano le inchieste, sono stata molto contenta. La gente altrimenti non sa quanti sono i bambini, dove stanno, dove giocano, perché non si nasce, perchè siamo il Paese che ha il tasso di fertilità più basso della Terra. Non ne parliamo, se non in toni drammatici e strategici, quando dobbiamo scrive­re un discorso per il Ministro che deve andare dal Papa. Ma interroghiamoci sui perché.

I bambini sono solo un "caso"

Voi, in provincia di Matera, lo mandereste un figlio all'asilo nido? Ma le avete fatte le inchieste sugli asili nido in provincia di Matera? No. Dite: le italiane del nord mandano i figli negli asili nido, al sud no. Come mai? Al nord ci sono, al sud non ci sono. Non lo scrivete questo neanche per far ridere, poi però la prossima volta che vi telefona qualcuno che dietro l'angolo di casa ha visto due che picchiavano un bambino, allora subito ne parlate.
Il problema è culturale, è di riporre l'infanzia in una condizione di rispetto della sua condizione. I bambini sono una condizione sociale permanente di un Paese. Perché parlate di anziani come di una condizione sociale, perché parlate di donne come di una condizione sociale e dei bambini no? I bambini sono un "caso". I bambini sono trattati sempre in funzione degli adulti e vissuti sempre tra un'ambivalenza che va dal vezzeggiamento amoroso all'odio del maltrattamento. Voi capite bene che sono due facce della stessa medaglia, che sono le due punte del disinteresse.
La madre, il padre, l'adulto, la maestra, l'allenatore che non se ne occupa dice: "Quanto ti voglio bene". Ma non lo dovrebbe dire, dovrebbe dimostrarlo con la prassi della sua vita. Noi torniamo tutti i giorni a casa e riempiamo di baci i bambini? No, una mamma che se ne occupa non deve dare sempre baci al figlio perché dimostra amore nella fattibilità e nella fattualità delle sue azioni quotidiane infilando la collanina, giocando con le conchiglie, facendo una cosa col bambino. Chi non fa, deve dare il bacio.

Perversione, voyerismo, pedofilia...

Oggi abbiamo una televisione e dei media che vanno da patetici premi della bontà ad aberranti situazio­ni per un voyerismo infantile che continuate ad alimen­tare. Voi così continuate a creare gli infantili-adulti per sempre (il padre che è figlio di sua madre per sempre anche se è morta, perché continua, non crescendo, ad avere un atteggiamento sempre infantile). E come fate leva su questo? Con la perversione, il voyerismo, la pedofilia, tutto ciò che c'è di più non detto, di seducente - e qui siete (dico "siete", chiedo scusa, ma ci siamo assimilati prima fra sociologi e giornalisti) responsabili. Ma vi rendete conto delle pagine che sono state dedicate ad Ambra? Cosa c'è dietro Ambra? Tutto. Abbiamo fatto delle assimilazioni incredibili: due tette, due cosce suscitano l'attenzione non tanto dei quattordi­cenni (che si fidanzano un giorno sì e tre no), ma di tutti quegli altri su cui sapete benissimo che Ambra non suscita un sentimento sessuale maturo, bensì suscita la perversione di chi non ha elaborato se stesso fino a diventare un adulto, neanche nella sua sessualità. Conti­nuare ad usare i bambini in questa maniera è perversione.

89 miliardi solo per la pipì

L'altro elemento forte che li fa potenti è che in questa società che gioca tutto al ritmo del sedurre, i bambini hanno una centralità.invece oggettiva, quella del consumo. In Italia l'acquisività nei confronti dei bambini, e voi lo sapete quando fate le inchieste, è il massimo che c'è. Faccio fare un'altra risata? Per la pubblicità della pipì sono stati spesi 89 miliardi l'anno scorso. Solo per i pannolini. Solo per una cosa. E noi siamo l'unico Paese al mondo che inventa pochi giocattoli: l'ultimo è stato il "Didò", 15 anni fa. Siamo il più grande importatore di giocattoli: noi siamo quelli che vendono più cose, puntando sull'acquisività dei bambini in modo diretto e intorno ai bambini in modo indiretto. Se avete fatto come me questa indagine, avete visto che nessuno in Europa produ­ce tante merendine quanto noi. Perché non fanno le meren­dine? Forse perché in Svezia fanno ancora pane e marmel­lata e hanno la migliore televisione per bambini ed hanno delle strutture che li accolgono come persone...
Ora, questo sentimento fa leva sul "mammismo", sull'adultizzazione dei piccoli. E se ci fate caso li adultizzate anche voi: non ci sono più neanche i vestiti per bambini. Tanto che è necessaria una omologazione assoluta al ritmo della vita che non gli appartiene, l'unico però che costituisce il paradigma - e in questo consiste la vostra responsabilità - nel comprenderli. No, ce ne sono altri, di paradigmi, per comprenderli (...).

Il ruolo di "figli"

Si attribuisce - e i media lo fanno in modo prevalente - all'infanzia sempre il ruolo di figli. Un ruolo che non è mai a sé, ma sempre in relazione ad altri, o alle istituzioni o alle strutture, e che predispone la collettività ad una reazione emotiva, non ad un'azione positiva. Ciò significa creare una cultura della irresponsabilità rispetto alla cultura della responsabilità.
Siete andati come me a rompervi le scatole a mille dibattiti dove si dice che la colpa è della famiglia, la colpa è della televisione: ognuno si palleggia la responsabilità e siete voi gli autori di questo gioco, non riattribuendo i ruoli a chi li deve avere, a ciascuno il suo (la scuola deve far la scuola, la famiglia deve far la famiglia, la televisio­ne deve far la televisione) e fornendo l'alibi a questo disinteresse, a questa apatia. Perché è questa la violenza che esercitano i mass-media sui bambini; non è soltanto l'elemento forte che ogni tanto descrivete, l'eccezionale quotidiano. Quello è il minimo, quello l'abbiamo già detto: è il lavarsi la faccia una volta al mese.


In Tv non succede niente...

E' l'apatia, è il disinteresse; il disimpegno e quindi l'irresponsabilità. La colpa è sempre di un altro, le agenzie le elencate ogni volta (...). Tante volte si dice: la televisione è violenta... ma non la guardate mai! La televisione per bambini del pomeriggio avrà 6 scene di violenza su 8 ore di trasmissione. Se voi guardate i puffi per 40 minuti, ho preso il non-violento apparentemente per eccellenza, non siete in grado di raccontare che cosa c'è perché non c'è nulla. Come la chiamate: violenza o non-violenza, questa? Questa è idiozia perenne, che non può essere raccontata.
Io ho due lauree, guardo i puffi insieme a mia figlia e alla fine capisco che Elisabetta non lo potrà mai raccontare (...). Ma sono passati 40 minuti. Dico: ma non hai capito? Fosse nata scema? No, quella sta già alla Sorbona. Il fatto è che non è successo niente.

La collusione tra gioco e lavoro

E' lì che dobbiamo operare, è lì che nasce la preoccupazione, la disattenzione, il disinteresse e la deresponsabilizzazione, anche dei genitori, anche della famiglia, anche della, scuola, anche delle agenzie di intrattenimento (...).
L'irresponsabilità che si esercita con questo com­portamento è quella che ha creato una collusione assoluta nell'indeterminazione culturale in cui il gioco è assolu­tamente separato dal lavoro. I media hanno creato una forte collusione fra gioco e lavoro. Noi abbiamo ormai un'idea della piacevolezza dell'esistenza che va perpe­trata a tutti i costi, che tutto per essere piacevole deve avere appeal e per avere appeal deve essere gratificante, ecc. E non c'è più neanche - viene fuori dalla ricerca - questa separazione. L'elemento più forte che emerge è che tra il dominio e la sottomissione si è trovata finalmen­te la classe che per sempre sarà da sottomettere. Per­ché in questa ma­niera sono sempre sottomessi. Ma non nella maniera strategica antica: "zitto tu che non lo sai", anni '50. In questa, para­dossale, tutti mangiano insieme, tutti si comprano la casa e la mac­china in funzione dei bambini, e poi c'è un rapporto continuo e imperituro - proprio perché non si creano degli adulti responsa­bili - di sottomissione che rifanno i padri-figli, i figli-padri che non crescono mai.

I dati dell'audience e questa cultura

Tutto ciò riguarda noi donne, perché le differenze sessuali esasperate dalla stampa e dai media rispetto alle dimensioni fisiologiche dei bambini vengono esaspera­te per il voyerismo che dicevamo prima, ma anche perché evidentemente si crea un appeal continuo di visceralità (...).
Visto che per lo più siete giornalisti della carta stampata non ricevete tutte le mattine i dati audience sui quali mi batto da 5 anni a tempo pieno, perché sono lo strumento che regolamenta questa cultura che omologa me spettatore alla gente (e io non sono la gente), voi e quello che dovete scrivere per il piacere della gente. Ebbene, visto che voi i dati dell'audience non li avete tutte le mattine, cercate di ripensare che nel 1400 erano riusciti a rimettere il bambino in una posizione centrale offrendo loro una dimensione di vita di rispetto che non è né la tutela né la preoccupazione, è il rispetto per la dignità di una persona un po' più bassa".


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.