IV Redattore Sociale 14-16 novembre 1997

Dire, non dire, dire troppo

Tutti i particolari in cronaca? Una nuova etica giornalistica, tra rischi di autocensura e tutela delle persone

Coordina Franco Abruzzo

 

Franco Abruzzo - presidente Ordine giornalisti della Lombardia*

Il tema che mi tocca coordinare è suggestivo e importantissimo perché riguarda il mondo della cronaca. Sono un ex cronista giudiziario, porto un'esperienza diretta perché per lunghissimi anni ho fatto cronaca giudiziaria per "Il Giorno", l'ultimo anno, il '79 era l'anno in cui a Milano è stato ucciso il pubblico ministero Alessandrini. 
Il primo quesito che mi suscita tale tema è: pubblichiamo o no tutti i particolari in cronaca? La domanda è posta ovviamente in rapporto alla recentissima legge sulla privacy, legge 675 del '96. Abbiamo altre leggi che attengono alla professione giornalistica: per esempio la legge sulla stampa, la legge sul diritto di autore; quella sulla privacy è una legge della professione giornalistica perché 6 articoli su 45 ci riguardano direttamente. Addirittura l'articolo 13, quello che è scritto nella nostra legge professionale specifica, ribadisce la legge che è del '63, la n.69, attinente il segreto sulla fonte delle notizie avute in via fiduciaria. Ma al di là di questo, l'importanza della legge è riferita ad un solo articolo, il 25, che impone al nostro Consiglio Nazionale di fare il codice deontologico in rapporto alla privacy e in rapporto soprattutto ai concetti di sesso e salute. Diciamo subito che c'è molta confusione. E' vero che la legge riguarda soprattutto il trattamento delle notizie che vanno a finire nelle banche dati, ma si riferisce anche ai dati che noi trattiamo e che poi finiscono sui giornali. C'è un articolo importantissimo, l'articolo 9, che impone che il trattamento dei dati sia fatto con correttezza e completezza. Queste due parole si incrociano con altre ricavate dalla nostra Carta Costituzionale, quell'informazione completa è nel contratto di lavoro giornalistico, la seconda legge fondamentale della professione. Se voi andate a leggervi l'art. 34 dice che il CDR deve vigilare perché l'informazione sia fatta in maniera completa, ma diciamo pure che quando la nostra Carta Costituzionale afferma il diritto di tutti a manifestare il pensiero, sul rovescio di questo articolo i grandi giuristi leggono il diritto dei cittadini ad essere informati in maniera corretta. Inoltre la nostra Carta Costituzionale in tema di libertà di informazione va letta con altre due leggi Europee, anzi con una grande legge che è la Convenzione Europea sui Diritti dell'Uomo e sulla Salvaguardia dei Diritti fondamentali, che è anche legge (la 848) dello Stato italiano dal '55. Vengono in essa sanciti dei principi di grande rilievo costituzionale: il diritto di ognuno di dare e ricevere notizie e il principio della "riservatezza". C'è una norma internazionale, richiamata dal nostro contratto di lavoro, che dice che noi editori siamo impegnati a far rispettare in Italia il Patto Internazionale sul Diritto dei Fanciulli: questo Patto dal '91 è legge italiana, con il n.176, e se andate a leggere l'art.16 c'è scritto che nell'attività di giornalisti non possiamo ferire la riservatezza che deve essere riconosciuta ai bambini, tutela particolare che nessuno di noi può forare, rompere, schiacciare. 
E' un ampio reticolo che pone sempre e comunque al centro la persona umana, il rispetto che dobbiamo alla persona. Parlare di persone e non è la stessa cosa che parlare di cittadino, la persona umana è il cuore della nostra Carta fondamentale. La legge 675, nell'art.1, garantisce che il trattamento dei dati personali si svolga nel rispetto dei diritti delle libertà fondamentali, nonché della dignità delle persone fisiche con particolare riferimento alla riservatezza e all'identità personale. La Repubblica riconosce i diritti della persona in quanto tale e in quanto si realizzano nei gruppi sociali dove operano. Ci sono poi i diritti naturali, calati nell'art. 2: questa legge realizza in effetti un principio costituzionale, quello della dignità della persona; una volta si parlava di onore della persona, ora usiamo il termine di identità personale, termine nuovo di grande prestigio e valore giuridico. Come categoria non ci possiamo sottrarre al dovere di scrivere un codice deontologico sulla privacy o sulla tutela dei dati personali, dovere che ci viene imposto anche da una direttiva del '95, in cui il Parlamento Europeo chiede agli Stati membri di varare dei codici di condotta. Il codice di condotta, chiamato "codice di deontologia", va scritto non con un'altra legge, ma con un provvedimento amministrativo, che cosa significa? Che è flessibile, che si può cambiare, non è un qualcosa di rigido. Il codice va a ridurre la discrezionalità che abbiamo, perché inquadra le fattispecie, la casistica nella quale ci dovremmo muovere, ha il dono della flessibilità e se non dovesse andar bene su qualche punto può essere cambiato rapidamente; si colloca come un provvedimento amministrativo flessibilissimo. 
Dalla prima lettura fatta mesi fa ormai, ho condotto un'ampia riflessione sul giornale dell'Ordine di Milano e poi anche sul mio giornale che è "Il Sole 24 ore": il dubbio legittimo era uno soltanto, che con una legge ordinaria si andasse a limitare il diritto costituzionale di cronaca. L'allarme fu dato fra giugno e luglio, poi Rodotà, Santaniello, De Siervo e Manganelli hanno cominciato a lavorare. Dopo quasi sei mesi di attività abbiamo un reticolo di decisioni del garante in tema di libertà di cronaca in rapporto alla privacy, che ci consente di trarre qualche conclusione, di anticipare qualche giudizio. I quattro hanno ferito il nostro diritto di far cronaca o no? 
Io ho preso tutte le decisioni del garante e le ho incolonnate una dietro l'altra. Il mio esame dice che il diritto di cronaca, dopo questa attività dell'ufficio del garante, ne esce rafforzata e vado anche a dirvi perché. Innanzitutto c'era questa paura antica: ma questa legge ci limita? Poi c'era altro che mi preoccupava: che cosa significa l'art. 22, il 25, il 20 che su certi valori, per esempio l'appartenenza ai partiti, la salute, il sesso, noi dobbiamo riferire nell'essenzialità della notizia, e a questo punto cosa si intende per essenzialità? Per quanto concerne il concetto di essenzialità, Rodotà parlava di una storia torinese di un tizio che è morto mentre faceva dei giochetti erotici, i giornali hanno raccontato il fatto con grandi particolari e hanno raccontato anche in coda al pezzo che questo signore era iscritto ad un partito politico ed era iscritto anche ad un'associazione privata. Il fatto qual è? Il tizio è morto mentre faceva certi giochetti, oppure che era iscritto ad un partito e al Cai? Quasi che si volesse dire che tutti quelli iscritti a quel partito e al Cai fanno quelle cose lì, questo è il rischio terribile. La notizia che il tizio era iscritto al Pds, lasciatemelo dire, è una notizia da guerra fredda, quando il Paese era spaccato a est e a ovest, gli uni sparavano sugli altri e viceversa, dire che era del Pds manca di morale. Rodotà dice: quei particolari esterni, estranei alla storia non si debbono pubblicare, pertanto il concetto di essenzialità è stato chiarito. 
Parliamo di avviso di garanzia, il caso noto è quello di Romiti con Mattioli che si sono rivolti con un'istanza al garante che dice: gli avvisi di garanzia si pubblicano tranquillamente, però la persona deve saperlo prima. Sul piano della correttezza la persona deve saperlo prima, o c'è qualche dubbio? Possibile che l'interessato debba apprendere dal giornale che è sotto processo e sotto inchiesta? E' una modalità questa che ha avuto spazio perché non c'erano regole, né dalla parte dei magistrati nel mondo giudiziario, né da parte nostra che non ci siamo mai preoccupati dell'effettiva tutela della persona che deve essere da parte dei giornalisti un dato concreto; tutte le notizie sono pubblicabili così come l'avviso di garanzia lo è, però l'unica cosa che il garante chiede è che la persona sia informata. Quando il garante dà un'indicazione va seguita, la legge ha una coda penale con delle sanzioni e delle condanne che possono andare da tre mesi a tre anni. Il giornalista e il giornale che si comportano diversamente si espongono al rischio di una denuncia penale, e oltre che all'azione disciplinare si espongono anche al pagamento dei danni. Ci sono tre cose: c'è l'aspetto penale, l'aspetto civilistico, l'aspetto disciplinare. Il concetto deve essere chiaro. "La notte" e "il Corriere della sera" hanno pubblicato un fatto (senza aver chiesto il consenso ai genitori, anzi ignorandoli proprio) di un ragazzo di un liceo scientifico che si era suicidato, dando nome, cognome e i dati che portavano all'identificazione del minore, della famiglia e della scuola. Il garante ha ordinato che i dati relativi a questo minore fossero tolti, fossero espulsi dalla banca dati di ogni giornale. Abbiamo ricevuto in luglio, come Ordine di Milano, questo provvedimento, lo abbiamo esaminato sotto l'aspetto disciplinare e abbiamo pensato: forse i colleghi non conoscono la legge e le sanzioni, facciamo così, mandiamo una lettera ai direttori in cui spieghiamo tecnicamente come funzionano; ai direttori e poi ai colleghi che hanno sbagliato, abbiamo dato degli avvertimenti orali. Avvertimento, censura, sospensione da due a dodici mesi, radiazione, queste sono le quattro misure disciplinari che la legge professionale prevede. Come vedete il garante qui ha affermato dei principi che sono già nelle leggi e nel codice di procedura penale, nel codice minorile, nulla di eccezionale o di anormale.
Un altro campo delicatissimo è quello degli arrestati. C'è una legge del '92, la 492, che vieta ai poliziotti, ai carabinieri di diffondere le fotografie segnaletiche; se io accetto una foto segnaletica che è frutto di un reato perché il pubblico ufficiale non può violare una legge, io ne commetto un altro che mi pare si chiami ricettazione, insomma devo rifiutare le foto segnaletiche, ma accetto quelle che mi vengono date dalla polizia giudiziaria per fini di giustizia. Abbiamo assolto un collega del "Giornale" che aveva pubblicato una storia di bambini contesi: una madre olandese era piombata alle porte di Milano e aveva rapito i figlioletti, li aveva sottratti al padre italiano. I giudici avevano diffuso subito delle fotografie per fini di giustizia e il giornalista le ha pubblicate con tanto di nome e cognome, con la speranza che la donna potesse essere riconosciuta e quindi bloccata. In quel caso abbiamo assolto, perché era stato dimostrato che le fotografie erano state date dalla polizia giudiziaria per fini di giustizia. In altre situazioni il discorso cambia, ad esempio la fotografia con Tortora in manette, mi auguro come cittadino che una cosa simile sui giornali non compaia più. La dignità della persona ancora non colpevole non può essere umiliata in quel modo. Ho condotto con i garanti una vivace polemica sulle fotografie. La fotografia è un dato personale, però un'altra legge che è in vigore, la legge sul diritto d'autore, mi dice alcune cose: l'art. 97 ad esempio dice che io cronista non ho bisogno del consenso per pubblicare la fotografia di un personaggio pubblico. Attenzione però perché se per personaggio pubblico intendiamo un politico, i garanti in questo caso aggiungono: il politico rispetto al cittadino normale ha meno tutele della sua immagine e della sua riservatezza dal momento che si è messo in politica, pertanto il cittadino ha il diritto di sapere tutto di lui, ma c'è un limite, è ad esempio inviolabile la sfera privata intima. La collega che conduce il telegiornale sul Tg2 o sul Tg1 che sta in Sardegna sul terrazzo di casa sua, non può essere fotografata; Ornella Muti la fotografi benissimo per via Montenapoleone a Milano, ma se sta in casa sua, dal buco della serratura o dalla finestra non la puoi fotografare. Questo è il punto, è una regola fondamentale. Ricordatevi la forza portante dell'art. 9 della legge, cioè che noi i dati li dobbiamo raccogliere in maniera corretta. La persona che è protagonista di un fatto di interesse pubblico posso fotografarla, non ho bisogno di consenso, se una persona è stata arrestata perché ha fatto certe cose io posso andare in giro per la città, trovare un fotografo che ha la sua fotografia e pubblicarla tranquillamente; sull'art. 97 della legge sul diritto d'autore abbiamo sempre letto l'ampiezza del diritto di cronaca, se io pubblico la fotografia della persona che è protagonista di un fatto di interesse pubblico, vuol anche dire che scrivo su quella persona. C'è, ripeto, questa legge del '92, la 492 che vieta che siano consegnate le foto segnaletiche a meno che non siano date per esigenze di giustizia o di sicurezza (il tizio è un matto, un violento armato ad esempio), lì i giornali assolvono un compito pubblico. Sulla legge del '41, che è la legge sul diritto d'autore, c'è stato un confronto, sono stato convocato dal garante il primo di ottobre scorso. Se un'attrice parla delle sue abitudini sessuali, è lecito pubblicare perché la persona rinuncia alla sua sfera riservata - queste cose sono state chiarite bene - se una parla, io scrivo, se uno dichiara: io sono iscritto lì a quel partito, a quell'associazione privata è uno che rinuncia alla tutela dei dati sensibili, così se ti consegna la fotografia. Questa legge allora cosa tutela? Il diritto di rimanere soli; io non do interviste né fotografie e tu non pubblichi nulla, anzi scrivo al presidente dell'autorità garante e voglio sapere se su di me esistono dei dati, delle informazioni, perché questa legge tutela tutta la raccolta dei dati e addirittura possiamo chiedere al presidente: io mi chiamo Franco Abruzzo, sono nato giù a Cosenza e vivo a Milano, dimmi se nella banca dati del Sisde ci sono notizie che mi riguardano, lui manderà poi tutta la scheda e se ci sono degli errori che parlano di me, dei dati sbagliati, posso correggerli. Se qualcuno ha delle informazioni sbagliate su di noi abbiamo il diritto di chiedere di farle rettificare. Nella prima versione questa legge aveva una parola "autorizzazione", nella discussione a Stresa ho sollevato un grossissimo problema al prof. Rodotà, ho detto: "Io e lei siamo sicuramente d'accordo su un punto, e cioè che non ci si può chiedere l'autorizzazione a fare certe cose, del resto l'art. 21 comma 2 dice che la stampa non può essere assoggettata a censure o ad autorizzazioni". Queste parole con le due correzioni fatte alla legge a maggio e a luglio sono scomparse, come sono scomparse dalla legge tutte quelle norme che dicevano che dovevo chiedere comunque il permesso. Pensate un po' quando i nostri colleghi a Torino parlavano con i vigili del fuoco che sono intervenuti per salvare la Sacra Sindone, avrebbero dovuto qualificarsi e dire: sono Padovani della Stampa, mi autorizza a scrivere che lei sta facendo questo? Nelle nostre tessere dell'Ordine prima c'era scritto Ministero di Grazia e Giustizia, io che sono vecchio rispetto a voi giovani ce l'ho; ebbene, tempo fa alcuni colleghi andavano in giro accreditandosi come Ministero di Grazia e Giustizia e in un Paese di formalisti come è il nostro, la gente si sentiva in dovere di dare fotografie, notizie, dava tutto, poi si trovava tutto scritto sul quotidiano d'informazione. Ci tengo a dire che questa legge ci impone, nella raccolta dei dati, di comportarci in maniera corretta; l'art.9, ricordatevelo, perché quando io dico che questa legge è una legge della professione mi riferisco a questa norma etica della correttezza nella raccolta dei dati che riguardano i giornalisti e riguarda tutti coloro che operano sulle banche dati. Se uno è ammanettato farai in modo di pubblicare magari il mezzo busto, devi pubblicare le fotografie salvaguardando la dignità di persone che non sono ancora condannate in via definitiva. Guai a noi, poi, se per simpatia politica veniamo meno al rispetto delle leggi dello Stato sulla dignità delle persone, siano di destra che di sinistra, bisogna difendere tutti. E' chiaro che pubblico la foto segnaletica del superlatitante se la polizia me la dà; Provenzano per ragioni di sicurezza lo si ammanetta, sta a noi trovare un punto di equilibrio però, perché Provenzano è un mafioso, un capo mafioso, ma è ancora sempre un cittadino. La tutela dei diritti (art. 3) - non sono diritti scritti sull'acqua, sono dei diritti operativi - era la Cassazione che negli anni '50 diceva che le norme dei primi 12 articoli erano norme programmatiche, invece la Corte Costituzionale ha detto che sono cose che operano sul concreto, che incidono sui diritti della persona. Andando avanti anche i dati sui calciatori sono dati sensibili, però se il calciatore mi dice: io domani non gioco perché ho il menisco che non mi funziona io lo pubblico perché è lui che parla, che viola la sua privacy, possono essere pubblicati i dati relativi ai laureati nelle università. Se il fatto c'è, attenzione, c'è un verbale, c'è una deposizione, c'è un qualcosa di scritto in un atto giudiziario; non è che la privacy blocca l'inchiesta penale, perché il rinvio a giudizio per esempio io lo pubblico anche se l'interessato non lo sa? Per l'avviso di garanzia vuole che lo sappia l'interessato, e per il rinvio a giudizio no? È facile dirlo, mentre l'avviso di garanzia è l'inizio dell'inchiesta penale e quindi io cittadino devo saperlo, la conclusione, cioè la parziale conclusione che è il rinvio a giudizio, l'inquisito sa invece che è una possibilità.
Parliamo degli Albi professionali. L'Albo dei giornalisti - il garante lo ha detto ripetutamente in tre decisioni - è pubblico per legge. Dove sono nato, dove abito, da quanto sono iscritto all'albo, questi sono i dati che devono comparire, dare il telefono è facoltativo poiché viene considerato un dato personale. Io che sono un privato cittadino non ne faccio comunicati stampa, ma il personaggio pubblico può fare un comunicato stampa e rinunciare alla sua privacy, è un suo diritto. Spesso l'errore che si fa quando andiamo in aula e il tizio che deposita dice un qualcosa di diffamatorio nei riguardi di un altro, è quello di scriverlo e di addurre giustificazioni del tipo: "Lo ha detto in aula, io l'ho scritto". In questo caso puoi almeno tutelarti, ascoltando le due campane. Sulla diffamazione, la Cassazione da sempre dice tre cose: che non c'è diffamazione quando una notizia è vera, è di interesse pubblico ed è scritta in forma civile. Sono le tre condizioni che escludono la punibilità per diffamazione, è questa la famosa sentenza del decalogo, la 52-59 del 18 ottobre 1984, che è una sentenza mitica in cui la Cassazione ha riassunto tutte le sue linee in tema di diffamazione. Tu non puoi mettere una mia fotografia in un contesto diffamatorio, neanche il mio nome, la foto e il nome sono gli elementi principali che fanno identità personale. Tu sei in un corteo, sfili, se io con il mio teleobiettivo ti fotografo, poi uso la tua immagine per un fine diciamo pubblicitario, lì ci sono danni cospicui. Ricordate il caso di "Repubblica" quando pubblicò che Craxi sonnecchiava? Con lo slogan: Noi siamo un giornale sveglio, qualcuno dorme... Craxi ha chiesto i danni e li ha ottenuti, perché hanno messo la sua immagine in un contesto pubblicitario diffamatorio. Feltri con il "Giornale" ha 340 inchieste penali per cause civili, "Repubblica" ne ha 880, io sono fermo, i numeri aumentano di settimana in settimana, sono miliardi, presto i nostri giornali nel loro bilancio dovranno mettere una posta nuova, danni da 2043 codice civile che è l'articolo che spiega il risarcimento dei danni e con la privacy questo rischio aumenterà. Mi auguro che il Consiglio Nazionale, il Sindacato, l'Ordine stesso, facciano dei corsi. Sul sito dell'Ordine di Milano voi trovate tutto, c'è anche un dossier privacy, ilwww.odg.mi.it Italia, è molto ricco, c'è una valanga di roba lì dentro. La preparazione su questi temi deve crescere, perché ci sono dei rischi pazzeschi; quando facevo cronaca io c'era un patto non scritto tra noi e i nostri editori, noi ci prendevamo le condanne penali, loro pagavano i danni, oggi per lo più tutti i danneggiati presunti o veri, vanno in sede civile, chiedono soldi, bussano al portafoglio se non raccogliete le notizie con correttezza, con cura. Le campane bisogna sentirle tutte, la completezza - torna ancora questo termine - è nel nostro contratto di lavoro, non solo nella legge sulla privacy, chi fa cronaca sia scritta, sia parlata, sia visiva dia la notizia completa: chi, che cosa, dove, quando e perché, ricordatevelo sempre. Per quanto riguarda i minorenni, la nuova legge sulla violenza alle donne prevede che quando pubblichi il nome di una minorenne l'art. 724 bis del codice penale prevede da uno a sei mesi di galera. Riferendoci all'art. 2 della legge professionale, quell'articolo che fissa le regole di comportamento di tutti noi, sapete di cosa parla? Abbiamo un diritto insopprimibile che è il diritto di cronaca, di informazione e di critica limitato da due cose: il rispetto della persona umana e il rispetto della verità sostanziale dei fatti. Umberto Eco, al termine di una bellissima discussione sull'obiettività, disse una frase felicissima: il cronista è lo storico dell'istante. Che cosa voleva dire? Che il cronista si deve muovere, si deve comportare, deve ricorrere alle tecniche che gli storici usano quando studiano i lunghi periodi, cioè lo scavo della notizia, il trovare tutti i documenti possibili, sentire possibilmente tutte le campane su un fatto. So bene che i tempi per lavorare sono sempre più stretti, però sarebbe bello sentire la gente, tornarci a parlare, non fare gli articoli solo per telefono. Non siamo più oggi i mediatori fra i fatti che avvengono e il pubblico che legge o che ascolta, ma sì e no i mediatori fra le agenzie che arrivano sul nostro tavolo e il pubblico che poi legge. Almeno che le notizie siano controllate, anche quelle dell'Ansa; la Corte di Cassazione negli ultimi tempi ha fatto delle sentenze penali terribili e non basta poi dire: ma io ho copiato la notizia da un altro giornale e dall'Ansa. Se voi andate da un giudice e siete sotto processo per diffamazione, dovete dimostrare di aver svolto il vostro lavoro con coscienza, di aver sentito le tre campane, parlato, scarpinato e telefonato, non sarete assolti con la formula ampia, ma almeno dichiarati non punibili per aver esercitato un diritto, il diritto di cronaca (art. 51 del codice penale, la non punibilità per aver esercitato un diritto). C'è un certo articolo del codice civile, il 2947, che consente al diffamato di citarci in giudizio entro 5 anni, ma se il reato di cui mi si accusa si prescrive in 10 anni mi possono citare in giudizio anche fra 10 anni, è una follia, perché posso capire che ognuno di noi tiene gli appunti per un anno, per sei mesi, per otto mesi, ma fra 10 o 5 anni nessuno di noi ha le prove, non conserva le cassette, le registrazioni, magari non ha più neanche l'articolo.
Altro tema è quello degli stipendi, ad esempio gli stipendi del comparto pubblico sono pubblici, tranne però se sul foglio paga c'è che io verso lo 0,30% a Fnsi, che aderisco ad un sindacato, quei dati lì non si pubblicano, si pubblica che io prendo X lire al mese, ma non quel dato che è contenuto sul foglio paga, perché io verso i soldi a chi voglio, è una scelta personale. Mi pare che ho letto da qualche parte che il Quirinale ha reso noti gli stipendi dei suoi dipendenti, quelli sono depositati in Parlamento, sono per legge pubblici. A parte il fatto che in una Pubblica Amministrazione posso chiedere i dati in rapporto alla 241, con riferimento all'art. 22; la 241 è una legge che ha portato la trasparenza sul piano operativo, ha realizzato concretamente quell'art. 97 della Costituzione.
Vorrei ora spostare l'attenzione sulle intercettazioni telefoniche, prendendo come riferimento il caso Necci, la telefonata intercettata, l'inchiesta sullo scandalo di Livorno. In questa situazione vengono intercettate le telefonate tra Pacini Battaglia e Alessandra Necci: "Il Corriere della Sera", "il Giornale" e altri, hanno pubblicato tutto, anche quella parte delle conversazioni intime, personali. Il garante dice sì alla pubblicazione delle intercettazioni ma non alle parti intime personali. Quindi se vi capita in mano una trascrizione di un'intercettazione, le parti che si riferiscono ad abitudini private personali, intime, non si possono pubblicare. Del resto la Necci non era un personaggio pubblico, nessuno la conosceva, l'inchiesta penale era su Pacini Battaglia, quindi su Pacini Battaglia l'intercettazione la puoi pubblicare, ma devi togliere quella parte che riguarda una persona estranea all'inchiesta, un soggetto non sottoposto ad indagine, un cittadino qualsiasi. La posta, le comunicazioni sono nell'art. 13 della Costituzione, nessuno può aprire la posta, nessuno può intercettare un altro; se andate a vedere il codice penale attorno all'art. 615-620, ci sono una serie di norme tutte bis tris ecc. che puniscono il furto delle conversazioni telefoniche, in quanto possono essere lecitamente registrate su ordine solo del magistrato, nell'ambito di queste conversazioni, tutto quello che attiene alla sfera sessuale privata non si pubblica, perché dopo questo editto noi rischiamo di finire sotto processo penale.
Il dott. Borrelli, tramite la Procura generale, ha chiesto che noi come Ordine di Milano mettessimo sotto indagine un collega dell'Espresso che era stato pescato da un ufficiale di polizia giudiziaria mentre si aggirava attorno alla stanza delle fotocopie della procura generale, della procura della Repubblica, intento pare a fotocopiare gli atti di un procedimento che dalla procura stava passando al Gip (a livello di procura l'inchiesta si era esaurita e le carte stavano transitando verso il Gip). La richiesta di Borrelli è stata archiviata, il collega ha infatti il diritto di cercare le notizie. Siamo su una linea di rottura con la procura, abbiamo due o tre sentenze della Corte Costituzionale non trasformate ancora in legge. La Corte Costituzionale ha emesso, fra il '72 e il '78, delle sentenze splendide, una è questa: il giornalista deve essere messo in condizione di operare nel rispetto dei suoi canoni deontologici quando cerca le notizie. Cosa significa? Che io devo essere messo in condizioni di scrivere rispettando il principio della verità sostanziale dei fatti, i giudici mi devono dare le notizie, quando gli interessati sono stati informati, quando una certa fase dell'inchiesta è già esaurita. Sono stato invitato a Bari in un convegno di magistratura democratica e dell'Ordine delle Puglie e ho rivendicato dinanzi ai due procuratori generali di Bari e Lecce il fatto che non vogliamo essere i soli responsabili del diritto che i cittadini hanno ad essere informati, se c'è un obbligo che la gente ha di sapere, se la Corte Costituzionale ha sancito il principio che i cittadini hanno diritto a essere informati, dobbiamo essere messi in condizione di operare nel rispetto dei canoni deontologici. E' stato suggerito al senatore Passigli di inserire nel progetto di riforma della nostra legge professionale le frasi di due sentenze della Corte. Credo le abbia inserite, ve ne voglio parlare brevemente. La proposta Passigli si struttura in 9 articoli, all'autorità per le telecomunicazioni è demandato il compito di fare una serie di decreti attuativi, decreti amministrativi flessibili, che si possono cambiare. La proposta parte dal presupposto che esiste una professione giornalistica organizzata, si chiamerà Ente per la professione giornalistica, non più Ordine, ed avrà gli Albi dei giornalisti professionisti, pubblicisti degli elenchi speciali. A Roma c'è la sezione disciplinare dell'attuale Consiglio Nazionale che funzionerà come Giurì, integrata da laici sul modello del Consiglio Consultivo degli utenti. La categoria deve sapere che non verrà più giudicata dai giornalisti, dai colleghi, ma come i magistrati anche da laici, scelti fra personaggi dell'università e del mondo giudiziario, anche a livello locale il Consiglio regionale sarà integrato da laici quando funzionerà come Giurì locale. Alla professione si accederà tramite due vie: quella universitaria e quella delle nostre scuole, trasformate tutte in scuole di specializzazione post laurea. I presidenti delle strutture regionali avranno il potere di imporre ai direttori la pubblicazione delle rettifiche, questo a tutela dei cittadini, quindi la legge viene proiettata in maniera esplicita sulla difesa dei cittadini del loro diritto a rettificare le notizie sbagliate, gli utenti e i laici quindi attivi partecipanti nell'amministrazione della giustizia dentro la categoria. Per il Consiglio Nazionale i presidenti li nomina l'autorità per le garanzie nelle comunicazioni, cioè l'Ordine. Oggi ha sede fittizia nominale presso il Ministero di Grazia e Giustizia che è un organo del potere esecutivo; Passigli e altri senatori hanno individuato una collocazione presso l'autorità, la nuova autorità al posto di Casavola, a giorni credo che debbano nominare i 9 presidenti (4+4+1), il presidente dovrà avere il consenso del 75% del Parlamento; sotto questo profilo la collocazione nominale dell'Ordine presso un ente di nomina Parlamentare è più rappresentativo, perché il Parlamento rappresenta la Nazione nel suo insieme, mentre il governo è solo una parte. Se ci collocano presso l'autorità non è una scelta sbagliata, anzi è una scelta politica rappresentativa, perché l'autorità è di nomina parlamentare e addirittura il presidente deve avere il consenso dei 3/4 del Parlamento - tutto sommato, dal punto di vista dell'immagine, ci si guadagna qualcosa. La proposta del Consiglio Nazionale è superata perché è stata fatta il 31 gennaio, il giorno in cui la Corte Costituzionale ha messo il referente, mentre la proposta che io ho elaborato a Milano l'ho dovuta aggiornare e chi l'ha presentata l'ha subito aggiornata a quella sentenza. La proposta del nostro Consiglio Nazionale non passerà mai perché il Parlamento, per ora, è contro l'Ordine, è contro quella struttura pesante, mentre la riforma degli ordini è stata già fatta dalla legge Bassanini, che li configura non più come ordini, come enti pubblici non economici, ma come figure giuridiche di diritto privato. Il Consiglio Nazionale è arrivato tardi, non ha preso atto della sentenza della Corte Costituzionale che spinge il Parlamento a riconoscere l'autogoverno della categoria in tema etico, quindi la giustezza del codice deontologico. Pensate un po' a come funziona un ordine professionale: abbiamo oggi la vigilanza del Ministero di Grazia e Giustizia, la vigilanza della Procura Regionale della corte dei conti, abbiamo il potere della Procura Generale di iniziativa disciplinare e di impugnazione di tutti i nostri atti, poi il Ministero con la sua vigilanza può sciogliere un Consiglio o meno. Per quanto riguarda il personale degli ordini dipendiamo da tre ministeri: Funzione Pubblica, Tesoro e Grazia e Giustizia; mentre la finanziaria del '97 ci autorizza ad assumere delle persone, una finanziaria vecchia del '93 ci dice che non possiamo assumere, ma possiamo farlo solo se restiamo nell'ambito del bilancio dell'agosto del '93. Le due leggi Bassanini hanno svecchiato, snellito gli ordini, il Governo ha questa delega, che la usi, che ci trasformi al più presto possibile con legge in Enti Associativi di Diritto Privato, così possiamo agire meglio con i compiti pubblici quali la tenuta dell'Albo, l'Etica Professionale, la Formazione. Mi auguro infine che l'esame di Stato passi all'università perché non ne siamo degni: ho fatto nel '90 la battaglia contro la corruzione dell'esame romano, una vergogna era e lo è ancora.

Intervento

Mi sembra che tutto quello che ci siamo detti sull'etica del giornalismo finisce comunque sulla deontologia, perché poi questo è essere figlio di una cultura giuridica italiana e tedesca. Le domande che vengono fuori adesso in sostanza sono: ma c'è questa o quest'altra norma? Si può fare questo? Pongo un problema che viene da un manuale di etica del giornalismo preso in America recentemente e che affronta la questione sui minori. Il caso è quello dei due ragazzini di Liverpool che uccisero (avevano 12 anni) un bambino di 2 anni sulle rotaie del treno, gli fecero di tutto. I giornali inglesi, quando ci fu il processo, li chiamarono il bambino A e il bambino B, probabilmente in modo giusto perché dovevano tutelare i due assassini, ma nello stesso momento i giornali americani pubblicavano nome e dettagli, andavano ad intervistare le famiglie, a parlare con i genitori dei ragazzi che avevano compiuto la violenza, volevano capire da dove veniva. In questo libro si contrappongono due tipi di etica: l'etica professionale dei giornalisti americani, che ritenevano necessaria la valutazione della notizia in senso pieno, anche per non demonizzare in modo eccessivo i due che avevano compiuto il gesto, per capire perché l'avevano fatto; e l'etica giuridica, l'etica di legge che invece valeva in Inghilterra per la quale non si era pubblicato niente, non si era neanche spiegato sostanzialmente da che cosa veniva la stessa violenza. Storia più o meno analoga, ricordate, è quella della famosa zingarella coi polsi spezzati presente al Costanzo Show, anche qui le posizioni sono state contrastanti. Vorrei invitare i colleghi a riflettere: nel sistema inglese c'è il Codice di Etica fatto con una ventina di articoli, con una Commissione nella quale ci sono gli editori (fondamentali perché devono partecipare); questa Commissione emette dei verdetti ed è a disposizione del pubblico che la contatta tramite un numero verde o un fax. In America esiste un codice di etica che è l'Associazione Ente Professionale, non c'è Ordine, non c'è Sindacato, ci sono i codici interni, cui ciascun giornalista aderisce quando entra nel giornale. Siamo professionisti, abbiamo delle capacità, dobbiamo lottare secondo la coscienza e secondo il momento nel quale ci troviamo con correttezza e completezza, ma non ci può essere rigidità, altrimenti interpreto la vicenda Rodotà come un bavaglio. Il rischio è quello di diventare controllati da un'attività amministrativa sulla quale non abbiamo nessuna possibilità di replica. Chi è a questo punto il secondo grado di giudizio del garante?

Nino Pischetola - Redattore Sesto S. Giovanni*

Sono redattore di un settimanale della Diocesi Ambrosiana di Milano. Volevo inventarmi un caso: sono un inviato a Capodarco, parlo con un minorenne portatore di handicap, c'è il discorso della salute, mi dice che vive qui durante la settimana, che la domenica invece viene ospitato da una famiglia di Fermo che lo ha adottato e lo tiene con sé, vivono insieme; hanno valorizzato questa persona con handicap che però ha un passato difficile che lo vede anche protagonista di ripetuti maltrattamenti a sfondo sessuale. In coscienza mi sentirei di parlare di questa storia, perché è una storia positiva in cui vedo una famiglia che si prende a carico un bambino portatore di handicap, è una storia che potrebbe portare anche un esempio positivo rispetto a questo tipo di esperienze. Cosa dovrei fare a questo punto? Dovrei dare delle notizie essenziali; posso pensare alla sua storia difficile come una notizia essenziale? Dovrei parlare di un riscatto umano, quindi di una persona che ha vinto una sfida, valorizzare questo suo successo personale, pertanto, in coscienza, raccontare senza entrare nei minimi particolari che ha avuto un passato difficile e spiegare di che tipo. Davanti alla bontà della notizia come questa - che per altro potrebbe portare dei risultati positivi, perché può capitare che altre famiglie si sentano in condizioni di poter provare un'esperienza simile - come mi devo comportare?

Franco Abruzzo - presidente Ordine giornalisti della Lombardia*

Non ho parlato di un nuovo diritto che è stato sancito in sentenze anche recenti, il Diritto all'Oblio. Una persona che oggi fa un'attività normale e che in gioventù ha avuto delle disavventure giudiziarie, oppure è stato vittima di violenze, ecc., viene tutelato da questo diritto all'oblio. Faccio un esempio: "Il Messaggero" un anno fa indice un concorso, recupera le sue prime pagine vecchie di trent'anni e le pubblica; una di queste storie è un atroce delitto, appaiono quindi nome e cognome del morto e dell'assassino, solo che dopo 25 anni l'assassino aveva pagato il suo debito con la giustizia (con 21 anni di galera) si era ricostruito una vita, lavorava, aveva moglie e figli. Con questa riproduzione del Messaggero il tizio ha perso il lavoro, ha denunciato il giornale per danni e vinto la causa. Per il caso del ragazzo portatore di handicap che ha subito una violenza terribile mi domando che bisogno c'è di andare a scrivere qualcosa che ha a che fare con una sua vecchia vicenda, far sapere in giro che la storia è bella oggi ma che non lo è stata in passato. L'ufficio del garante non ha preso nessuna decisione che possa portare ad una compressione del diritto di cronaca, credo in maniera forte che le decisioni del garante siano delle decisioni corrette e altrettanto fermamente ritengo che questa categoria debba necessariamente recuperare un'etica professionale vissuta e una formazione sempre presente come elementi centrali del suo essere.

Elio Bozzo*

Sono rappresentante dell'Assostampa del Friuli Venezia Giulia. Sarebbe importante fare qualche cosa per i nostri errori, non dimentichiamo che quando un nostro errore finisce in prima pagina significa che 1.000-5.000-15.000 persone l'hanno letto, non lo si può ignorare il giorno dopo. Sono d'accordissimo inoltre con il collega su un codice che deve avere poche linee generali per non dover stare tutto il giorno a pensare a cosa scrivere o a cosa non scrivere.

Intervento

Dovremmo considerarci noi stessi cittadini, oggetto a volte del lavoro dei giornalisti. Nel mio piccolo ruolo di dirigente sindacale volontario, devo constatare quasi ogni giorno come il nostro lavoro sia fatto davvero male. Mi trovo spesso al centro di vicende sindacali complesse che riguardano giornali della nostra Regione, che appartengono a gruppi ampi, grandi giornali nazionali che generalmente danno una versione senza verificare tutte le fonti e si tratta di fior di professionisti, sbagliano la successione degli avvenimenti, perché ovviamente una sola fonte è solo una parte della notizia e questo viene considerato assolutamente come la normalità della professione giornalistica. È ovvio che se tanto mi da tanto, su fatti molto più gravi e molto più importanti, coinvolgenti masse ampie di cittadini che non un ristretto gruppo di giornalisti interessati a una vertenza, il comportamento è lo stesso. Non ci si può meravigliare se nei nostri confronti c'è un diffuso allarme sociale, una voglia anche di metterci il bavaglio a cui reagiamo non se contestiamo la necessità di regolamenti alla nostra professione, ma se siamo noi stessi a volerli, non solo proclamarli, ma anche e soprattutto praticarli. Da questo punto di vista abbiamo bisogno di una più alta qualificazione, un accesso più complesso, più lungo e faticoso alla professione giornalistica, ma non quello dato dagli editori, facendo la pratica nelle redazioni (per quanto riguarda la sensibilità può essere un dato personale), ma quello acquisito tramite la conoscenza diretta dei problemi di cui si dovrà parlare. Nella nostra categoria si continua a dire che la "praticaccia" nella redazione è quella cosa che ti fa veramente giornalista: è un falso, spesso non fa che moltiplicare i difetti e renderli permanenti anche sulle nuove generazioni.

Franco Abruzzo - presidente Ordine giornalisti della Lombardia*

Un passo storico: abbiamo trovato nelle lettere di Gramsci un commento alla famosa legge del '29 fatta da Bottai sulle scuole di giornalismo, in cui Gramsci affermava che la scuola è una via di formazione dei giornalisti. Siamo nel '29, badate, e già si condannava la praticaccia e il giornale come non luogo di formazione.

Intervento

Sono d'accordo che deve essere affermato e difeso il diritto alla privacy, tutelata la dignità della persona, ancora lo devo incontrare un giornalista che non sia d'accordo su questa affermazione. Non mi spiego poi come mai succede che possiamo portare qui a vagoni esempi di violazione di questa roba. Dobbiamo prendere coscienza che c'è un altro valore dominante nella nostra società, quello del mercato. Anche in un ipotetico codice deontologico dobbiamo tenerlo presente, possiamo pensare che ci possa essere, non da parte dei giornalisti, ma da parte delle comunità, una sensibilizzazione della gente e, come avviene per esempio per quanto riguarda i consumi, portarla al boicottaggio di certi giornali quando fanno determinate cose. Colpendoli sul mercato potremmo anche sperare di cambiare le cose in qualche occasione.

Franco Abruzzo - presidente Ordine giornalisti della Lombardia*

Siamo figli della cultura francese per quanto riguarda la stampa. La Carta Fondamentale della grande rivoluzione borghese liberale dell'89 di due secoli fa, all'art.11 afferma che i cittadini hanno diritto di manifestare le loro idee, di pubblicarle, salvo una legge che ne reprimerà gli abusi. Se qualcuno di voi ricorda lo Statuto del Regno d'Italia, che ha retto l'Italia per cento anni, troverà le stesse parole; e l'Editto Albertino, fatto dopo lo Statuto del Regno, puniva gli abusi, ma anche i nostri padri costituenti l'unica legge che hanno fatto dopo la Carta Fondamentale dello Stato è stata la legge sulla stampa del febbraio del '48, la n. 47: questa legge è in un filone storico che ha duecento anni di vita, mentre dall'altra parte dell'Atlantico, dove c'è una cultura e un humus calvinista, il primo emendamento della Costituzione degli Stati Uniti afferma che il Congresso non farà leggi sulla libertà di stampa. Questo non significa che negli Stati Uniti c'è la licenza di scrivere quello che si vuole, però chi scrive può scrivere tutto, salvo rispondere degli errori che commette e l'America punisce colpendo il portafoglio. Uno è libero, scrive di tutto, però se poi diffama qualcuno paga cifre pesantissime - questa è la legge - pertanto la riforma calvinista ha dato una coscienza, un senso di responsabilità che qui non c'è. Dal canto nostro - essendo un Paese dove è più facile sfuggire al senso di responsabilità che non assumerlo - non abbiamo fatto la riforma per 14 secoli. Dovremmo lavorare anche su questo nostro modo di fare e di essere, correggerlo con l'esempio, con lo studio, praticando possibilmente - senza essere missionari - le buone vie delle regole scritte.

* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.