V Redattore Sociale 20-22 novembre 1998

Acciaio e Cristalli

Notizie deboli - Storie forti. Immigrati di oggi, società di domani

Jean Leonard Touadi

 

Jean Leonard Touadi - giornalista*

Quando mi hanno chiesto di parlare di questo tema ero molto incerto sull'approccio da dare. Avevo due strade possibili da percorrere. Quella di un lunghissimo ed emotivo sfogo che sarebbe stato per me psicologicamente molto utile. Ho scelto invece di essere un po' più "ragionato" evitare semplicemente lo sfogo emotivo e attraverso la mia esperienza aggiungere alle informazioni un tentativo di analisi.

Tre cose vorrei fare:

1. Dare una cornice internazionale al tema dell'immigrazione, cornice mondiale bisognerebbe dire dato che è uno dei fenomeni a dimensione planetaria e questo a volte quando se ne parla in Italia non viene fuori (si ha l'impressione che l'immigrazione è semplicemente una questione che riguarda la Puglia). Rimettere il fenomeno immigrazione in un processo mondiale in piena evoluzione penso sia una cosa doverosa.

2. Parlare delle barriere che creano il silenzio degli immigrati, perché accanto al silenzio degli immigrati c'è contrapposto un vociare disordinato ed emotivo della stampa che davvero fa di contro realtà a questo silenzio inaccettabile e scandaloso in uno spazio che si vuole definire spazio democratico.

3. Fare una piccola analisi, molto sommaria, di due esperienze alle quali ho partecipato come giornalista: "Non solo nero" e "Permesso di soggiorno".

Un'emergenza planetaria che si trova in una specie di contrazione

Da un lato questo mondo si sta sempre di più definendo come un villaggio globale con lo sviluppo dell'informatica i satelliti che permettono di relativizzare davvero il tempo e anche la nozione stessa di spazio, gli eventi che si possono vedere in mondo visione e contemporaneamente nel più sperduto villaggio. Un mondo che sente sempre più la consapevolezza di questa sua unità, grazie ai nuovi mezzi di comunicazione. Contemporaneamente però a pochi anni dal nuovo millennio un mondo con un'inquietudine profonda che lo attraversa e si proietta al futuro di questo villaggio globale. Inquietudine non dovuta solo al millenarismo - ad ogni fine millennio ci sono queste paure cicliche che tornano su eventuali catastrofi - ma secondo me al frutto avvelenato delle sue contraddizioni delle sperequazioni che all'interno di esso si sono sviluppate. Abbiamo così da un lato il progresso tecnologico e il benessere sempre più diffuso di una parte minima (il 20% solo dell'umanità consuma 80% delle risorse) e dall'altro l'80% tre quarti dell'umanità che si accontenta.

Sindrome da invasione

La cartina di tornasole, come una specie di spia rossa che si accende sul motore di questa macchina chiamato mondo, diventa una minaccia per quelli che stanno dalla parte sazia, dalla parte ricca. Minaccia dell'invasione ad esempio, sindrome conosciuta in questo momento dai paesi ricchi, dagli Stati Uniti all'Europa e così via dicendo. I poveri grazie ai mezzi di comunicazione che trasmettono le immagini dell'opulenza bussano sempre di più alle porte del mondo ricco e se qualcuno di voi si diverte posso dirgli che non è piacevole andare allo stretto di Gibilterra osservare giorno e notte il tentativo di giovani e giovanissimi (tanti ci lasciano la pelle in quel tratto di mare) che tentano di approdare in Spagna e da lì arrivare in Europa. Lì toccate con mano tutta la drammaticità del fenomeno migratorio e della causa che lo suscita.
L'immigrazione è una minaccia se non la si governa ma non con le misure restrittive agli ingressi che sono pure importanti, bisogna infatti andare alla radice del problema. Risolta la contrapposizione est/ovest il mondo si trova davanti a una contraddizione ancora più complicata perché non è semplicemente una contrapposizione ideologica o comunque militare ma una contrapposizione che riguarda una parte dell'umanità e una grandissima parte che non ha di che sfamarsi. Messo in questo contesto il fenomeno immigrazione non è solo una minaccia ha anche una sua valenza positiva: la speranza di una umanità che si ritrova unita. Una unità plurale dove la comune appartenenza viene declinata in tanti modi, con tanti colori, quelli che alcuni chiamano con un certo romanticismo: l'umanità arcobaleno.

Che succede in Italia?

L'informazione in questo senso può avere un ruolo molto importante direi quasi centrale. I mass media, la radio, la televisione, i giornali e le altre agenzie di formazione come la scuola hanno veramente un ruolo chiave da giocare. Abbiamo l'impressione noi immigrati o l'avevamo che proprio l'Italia in quanto uscita da poco dai paesi di emigrazione e diventata paese di immigrazione si fosse creata in qualche modo nel suo patrimonio culturale - nel suo gene antropologico si potrebbe dire - una cultura che gli permettesse di capire che cosa vuol dire partire alla ricerca di pane e di dignità. Non c'è una famiglia italiana che non abbia un cugino, un parente lontano in Australia, in Canada, in Francia e così via dicendo. Questo non si è purtroppo verificato e la società, a parte lo sforzo lodevole di associazioni di emigrati, di volontariato laico e cattolico, a parte il giudizio interessato di alcune associazioni di imprenditori (per esempio nel Veneto che addirittura vogliono sempre di più gli immigrati per motivi prettamente legati all'espletamento delle loro funzioni imprenditoriali) la nazione, diciamo i mass media che in qualche modo riecheggiano anche i sentimenti popolari nel loro insieme, hanno dimostrato una specie di insofferenza al fenomeno migratorio nonostante il Paese si proclami ancora, ontologicamente direbbero i filosofi, non razzista.

Poter dire e dirsi

Si cominciano ad avvertire nella società italiana dei fenomeni inquietanti di rigetto o comunque di xenofobia ad arte aizzata da politici interessati e da una stampa incosciente. Ogni estate per noi immigrati è fonte di angoscia. Mandata in vacanza la politica infatti sulle pagine dei giornali torna alla ribalta la questione immigrati. C'è proprio una curva che inizia a giugno con le vacanze della politica e termina a settembre e come d'incanto poi a settembre l'immigrazione scompare dalle prime pagine dei giornali. Una specie di aggressione di linciaggio collettivo a reti unificate che ha toccato un picco l'anno scorso. Non so se ricordate "Il pastore macedone" questo titolo inquietante. Il pastore macedone, chi mai sarà? Clandestino, stupratore, assassino, racchiudeva in sé tutto il male possibile e immaginabile di cui sono portatori gli immigrati. Chi di quelli che hanno letto il giornale sentito la radio sanno dove si trova la Macedonia? È chiaro che si diceva che un cittadino Jugoslavo dal punto di vista emotivo rendeva meno del pastore macedone, personaggio inquietante. O ancora il titolo del Corriere della sera sempre dell'anno scorso: "Bambino extracomunitario trasmette la malaria". Il più sprovveduto studente di medicina sa che la malaria non si trasmette da uomo a uomo ma dalla puntura di una zanzara e nemmeno di tutte. Comunque questi titoli allarmistici, soprattutto d'estate, tendono ad accomunare l'immigrato come una categoria situata in qualche modo sempre ai margini della società, nella cronaca nera e problema per la vita degli italiani. In questo contesto l'immigrato fa fatica a comunicare, non partecipa al dibattito intorno alla sua presenza, è l'oggetto, si potrebbe dire quasi lo spettro, di cui si evocano i misfatti ma dei fatti che lo riguardano che dicono ciò che egli è e ciò che egli ha nel profondo nessuno parla.

Essere "semplicemente" un problema

L'immigrato è un'emergenza da affrontare, una bocca da sfamare oppure una minaccia da esorcizzare. Diventa difficile per lui parlare; ci sono tre barriere che glielo impediscono. La prima evidentemente è linguistica, ma la lingua non è solo da capire (in senso proprio di veicolo di comunicazione). Dietro ogni lingua c'è tutto il patrimonio culturale, tutta una chiave di lettura antropologica di questo popolo che sfugge all'immigrato perché non ne possiede gli strumenti di lettura. La non conoscenza della lingua è per lo straniero una barriera che ha conseguenze pratiche immediate nella quotidianità. Non può comunicare a livelli profondi per dire ciò che egli è ed è un paradosso pensare che se incontra degli italiani che hanno viaggiato sono andati ad esempio in Egitto e hanno ammirato le bellezze del patrimonio storico culturale degli egiziani; questi stessi italiani non riconoscono in lui, in un singolo immigrato, un portatore se pure parziale della cultura che si è ammirata. C'è questa sconnessione operata in modo inconscio sicuramente. Altra barriera che impedisce all'immigrato di dire ciò che egli è e ciò che ha è quella sociale. L'immigrato appartiene spesso all'ultimo gradino della società i luoghi da lui frequentati e che i mass media ci fanno vedere sono appunto quelli dell'esclusione sociale. Quando uno è collocato "sui marciapiedi" dell'esclusione sociale non ha diritto a quei luoghi del dibattito pubblico, a quegli spazi del verbo collettivo che sono diventati la radio, la televisione e i giornali. Se poi consideriamo questa, la società dell'immagine e l'immigrato ha qui solo un'immagine negativa, ecco che il suo verbo non potrà mai raggiungere la stragrande maggioranza delle persone. Infine c'è la barriera culturale-religiosa con quei suoi modi strani di fare e di agire: l'immigrato si colloca come un corpo estraneo all'interno della società se poi aggiungiamo l'elemento religioso ecco che davvero la sua diversità diventa radicale. La nostra religione è tollerante e civile la sua superstiziosa, violenta, integralista, fondamentalista ecc. Diventa difficile in questo contesto riuscire a dire qualche cosa che sia significativo perché c'è già tutta una sedimentazione storica di cliché e pregiudizi che lo impediscono.

Il noi astratto dell'Italia

C'è qualcuno che ha cercato di sintetizzare l'atteggiamento della società e quindi dei mass media rispetto agli immigrati. Si sottolinea soprattutto la diversità: le minoranze sono diverse e non appartengono al 'noi' che ci siamo faticosamente costruiti. Per l'Italia ci potrebbero essere un po' di dubbi su questo noi che di fronte all'immigrato diventa in qualche modo assolutizzato. Un noi plurale che per quanto riguarda l'Italia un paese dove convivono tante culture diverse, da quella tedesca a quella francese a quella italiana, torna a dirigersi in qualche modo come una barriera nei confronti dell'immigrato. Quindi diversità e competizione gli immigrati rappresentano un peso perché occupano il nostro spazio. C'è un sentimento irrazionale ma molto radicato di una minaccia incombente: comunque sia ci minacciano: minacciano le nostre donne, le nostre strade, la nostra tranquillità; creano problemi e ci dividono; non siamo più in pace tra di noi per la loro presenza. "Li dobbiamo aiutare perché sono incapaci di risolvere i loro problemi da soli" e qui finalmente un'autorappresentazione di sé collettiva non razzista. È la nuova versione del comune sentimento di bontà nazionale, una bontà radicale, diversa dalla cattiveria dell'inglese e dal cinismo dei francesi.

Esperienze radiotelevisive che hanno segnato un'inversione di tendenza

Nel panorama radiotelevisivo vanno segnalati alcuni appuntamenti, fra questi "Non solo nero" la rubrica del Tg2 curata da Massimo Ghirelli e condotta da Maria De Lourdes andata in onda dall'88 al '94. Il titolo scelto era proprio per dire: attenzione, andiamo al di là delle apparenze, andiamo al di là di ciò che il nero simboleggia non solo come colore di pelle ma come negatività sul fenomeno dell'immigrazione. Andiamo a scandagliare, a vedere che cosa c'è d'altro attraverso la tranquilla pacatezza delle immagini colte dalla quotidianità di una immigrazione ormai dentro la società italiana. Presa per buona l'idea che ormai l'immigrazione è un fatto strutturale che ha cambiato e cambierà ancora la fisionomia sociale, la struttura antropologica della società italiana, la trasmissione ha raccontato tante storie personali di immigrati affinché non rimangano solo una categoria ma persone vive con emozioni e progetti esistenziali. Ha raccontato, smontato pezzo per pezzo gli stereotipi e i pregiudizi veicolati da secoli e fatto conoscere i paesi di origine degli immigrati (una delle fonti del pregiudizio su di loro). Siamo sconfortati di fronte a cronache giornalistiche di visite di un capo di stato in Brasile a cui si va a chiedere domande sulla politica interna italiana, come se del Brasile non ci fosse nient'altro da raccontare. La cosa grida vendetta davanti a principi elementari del giornalismo.

Contaminazione culturale

Fare conoscere i paesi di origine uscire dalla retorica per rendere più visibile il lavoro effettuato sul territorio dalle associazioni anche questo è importante. Non tutta la società italiana rigetta gli immigrati quindi è necessario rendere conto di ciò che si fa quotidianamente - a volte in silenzio - per costruire l'intercultura. Non solo "multicultura" intesa come fatto statico di semplice contiguità, spazio temporale tra comunità diverse ma quindi "intercultura" intesa come un processo dinamico dove avviene una contaminazione tra le diverse culture. È positivo rendere conto di ciò che si fa sul terreno e infine far crescere lo spazio dei diritti di cittadinanza. I termini hanno una loro importanza: extracomunitario e perché non semplicemente cittadini stranieri,per affermare la comune appartenenza a una società democratica dove tutti sono cittadini di origine straniera o comunque di origine italiana. Ed infine dare voce alla "seconda generazione di immigrati". Continuiamo a dire che l'Italia è nuova a questo fenomeno ci si deve abituare invece non è vero. Siamo già alla seconda generazione di immigrati caratterizzata da quelli nati qui che oggi hanno la maturità, sono nelle università, hanno altri problemi ma continuano a non vedere riconosciuti tutti i loro diritti.

Non si può accogliere senza "cogliere"

Fare informazione in questo modo significa a mio modesto avviso aiutare la comunità, il paese, le associazioni prima di tutto a cogliere il fenomeno e capirne tutta la complessità. Capire e comprendere, predisporre ad accogliere non gli immigrati come categoria astratta ma persone concrete con storie personali e tutto quello che alle spalle lasciano nei loro paesi. Significa rendere un servizio non agli immigrati ma semplicemente alle generazioni future che si troveranno ad affrontare questo fenomeno. Non illuderle che questo è un fenomeno passeggero perché gli sbarchi, ecc., sono un fenomeno strutturale con il quale bisognerà fare i conti e per farlo bisognerà disporre di adeguate chiavi di lettura ed elementi di comprensione. Affermare i diritti di ciascuno significa in questo mondo sempre più globalizzato - macdonaldizzato dicono i sociologi americani - ribadire i propri diritti (un domani anche la cultura italiana potrebbe trovarsi difatti ad essere minoritaria rispetto ad altre). Pertanto il diritto affermato oggi per gli immigrati varrà anche per gli italiani e per tutti. Questo per il semplice fatto di essere uomini.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.