V Redattore Sociale 20-22 novembre 1998

Acciaio e Cristalli

Notizie deboli storie forti. Nuove povertà

Incontro con Mariuccia Cocco

 

Mariuccia Cocco - direttrice Caritas Cagliari*

Sostenere che esiste una relazione tra la solidarietà e i mezzi di comunicazione sociale non è assolutamente una novità, anzi direi che i mass media hanno un ruolo fondamentale nel nostro settore, hanno un ruolo profetico nel senso che sono in grado, quando l'informazione è fatta bene, di cambiare la società. Ecco perché riteniamo che sono utilissimi per la nostra causa e quindi l'auspicio, il desiderio è proprio quello di diventare non solamente interlocutori, ma addirittura partners. Le nuove povertà: il fenomeno è molto vasto, quindi ho cercato di perimetrare l'argomento per evitare di sconfinare troppo. Alcuni dati statistici ci aiutano a comprendere il fenomeno che andiamo ad analizzare. Si calcolano in Italia 7 milioni di poveri, ma vi assicuro che sono di più. In base al rapporto sulle povertà della fondazione Zancan della Caritas italiana, più di due milioni di famiglie vivono sotto la soglia dell'indigenza: oggi è povero un italiano su dieci, un adolescente su sette, un anziano su sei, un meridionale su cinque. Sono dati questi approssimativi, perché al contrario della ricchezza, che viene ostentata, la povertà viene nascosta. Possiamo dire che le cifre e i numeri non rendono giustizia perché bisogna considerare le implicazioni qualitative e culturali del dato statistico, invece generalmente i giornalisti vogliono subito sapere quanto, il numero.

Le due Italie

L'indice maggiore di povertà lo detiene sicuramente il sud con il 71%, anche se il fenomeno è in aumento nel nord Italia. È indubbio, esistono due Italie: quella del nord e quella del sud, con parametri di ricchezza che sono nettamente differenti. La costituzione repubblicana garantisce e riconosce la pari dignità di tutti i cittadini, si tratta però di diritti conclamati, considerata l'impossibilità di fruire e di accedere ad essi in eguale misura. Ci stiamo allontanando sempre di più da un modello solidaristico, siamo di fronte ad una sfida epocale chiamata "la società dei due terzi". La povertà è appunto in crescita. Ecco, allora, che si parla di crisi di cittadinanza da intendersi come una grave povertà proprio per mancanza di appartenenza. Oltre la povertà economica, tra la gente c'è fame e sete di giustizia sociale ma la sfiducia è grande e generale. Tra noi abbiamo una grande sfida rappresentata dalla forbice tra i diritti enunciati e i diritti esigiti, che impegna notevolmente tutto il volontariato. Stiamo però attenti a non farci carico delle istituzioni, perché le istituzioni sono dei referenti insostituibili. Le stesse politiche sociali hanno senso se sono mirate a collegare lo stato con la società in un quadro giuridico che riconosca allo stato la programmazione, il coordinamento, la qualità della vita di ogni singolo cittadino. La solidarietà istituzionale non va mai scaricata e non va mai scavalcata dalla beneficenza privata cose che invece generalmente avviene.

La crisi epocale

Non è possibile conoscere le nuove povertà senza tener conto del contesto in cui ci troviamo a vivere. Il declino dell'epoca moderna e l'insorgere della post-modernità, come tempo di abbandono e di sfiducia, porta in sé l'estremo volto della crisi epocale, che ha fatto venir meno il fondamento della vita storica, cioè la fiducia e la passione per la verità, motivazioni che l'ideologia, almeno apparentemente, sembrava offrirci. La cultura forte dell'ideologia oggi non esiste più, ci sono solo culture deboli che hanno portato al relativismo totale. Oggi siamo poveri di speranza, di fondazione storica, di orizzonti, siamo malati di assenza. In questa folla di solitudine non esiste la capacità di interscambio fecondo, ricco e arricchente ci troviamo di fronte a quello che Nietzsche chiamava "l'ultimo uomo" povero di valori e indifferente a tutto, assolutamente agnostico. La Chiesa, per 2000 anni, si è confrontata sempre con dei nemici caratterizzati e oggi si trova invece a confrontarsi con dei nemici che non ci sono più. Si domanda: qua rappresento la Caritas, come entrare in contatto con la povertà? La Chiesa ha creato un progetto culturale orientato in senso cristiano, di questo progetto se n'è parlato bene e male, nel senso che sembrava un involucro vuoto senza alcun significato. Mi pare, comunque, che ci sia di positivo proprio questo: presuppone una corretta lettura dei mutamenti culturali in atto. Se non si sta attenti a questi stessi mutamenti - quale frutto di crisi non congiunturale o transitoria, ma strutturale nel senso che manca una convergenza etica, culturale e religiosa e quindi mancanza di unità che non vuol dire uniformità - non ci può essere assolutamente un progetto culturale. Deve esistere un metodo ideologico che sia capace di interscambio, in poche parole la chiesa si è resa conto di stare in un ghetto clericale dove parlava da sola e per sé stessa.

Progetto della chiesa e diritti dell'uomo

Questo progetto culturale, se ne parla tantissimo tra l'altro anche da parte dei giornali laici, se da un lato contiene fedeltà e dottrina della fede, dall'altro richiede fedeltà alla realtà terrena. Per arrivare a fare questo, la Chiesa deve fare un grande salto, deve assumere una maggiore aderenza al tessuto sociale e i suoi fermenti. Di fronte a una povertà culturale, quello che manca da parte nostra è una carità culturale, la scommessa su un vangelo interamente pensato, interamente accolto e interamente vissuto. Solo così, solo un vangelo del genere può diventare germe e fermento per una nuova cultura dell'uomo di oggi. La Chiesa è consapevole di questo. Il progetto culturale tende, quindi, a rispondere a questo che la chiesa aveva già evidenziato nella nuova evangelizzazione, capendo semplicemente che la nostra società è scristianizzata. È scristianizzata perché, l'aveva già previsto Paolo VI, esiste un divorzio tra la cultura e la fede.
Ancora una volta la povertà culturale toglie all'uomo la voglia di vivere e di partecipare. Nella "Dichiarazione dei diritti dell'uomo" sono stati riconosciuti i diritti e le libertà fondamentali che non sono però frutto di un contratto sociale, ma derivano dalla dignità dell'appartenenza alla famiglia umana: sono diritti e libertà originari che poi sono diventati diritto scritto, diritto positivo, diritti civili, politici, economici, culturali e sociali comprensivi dei diritti dei popoli. La lotta per il loro riconoscimento ha dato vita al costituzionalismo moderno, che è ormai patrimonio della coscienza comune, ma purtroppo non funziona, nel senso che i diritti non sono più considerati tali: sono delle mere opportunità che non si devono scontrare con il mercato, con la libertà dell'imprenditore, con le leggi economiche. Giustamente è stata quindi contrapposta un'antropologia dell'uguaglianza che sta nel diritto e un'antropologia invece del vivere che sta nella disuguaglianza per nascita, per etnia, per classi, per sesso, per salute e per età. Solo la politica, solamente le istituzioni possono rendere effettivi questi diritti. L'uomo non se ne può privare: eppure esistono diritti senza uomini e uomini senza diritti ed anche in questo contesto è urgente che la chiesa promuova la cultura della carità. La latitanza sui diritti fondamentali dell'uomo equivarrebbe ad acconsentire ad un modello di sviluppo della società progettata a partire dai più forti e non dai più deboli. Certo la povertà della cultura dei diritti è molto più impegnativa perché la beneficenza e l'assistenza sono sempre molto più facili e più sbrigative. Le nuove povertà invece che cosa ci chiedono? Una coscienza di giustizia sociale. La politica, l'economia, la riforma dello stato sociale mettono sempre più in pericolo i diritti degli ultimi, spesse volte ci si chiede: cosa c'entra la Chiesa, il volontariato con l'economia e con il diritto? Come se il cristianesimo fosse avulso da questo problema. Si tratta, invece, di nuove epifanie e di nuovi avamposti pastorali e sociali dove la Chiesa chiede di entrare in contatto.

L'evento cristiano

L'evento cristiano non è un evento astratto ma si deve storicizzare, si deve concretizzare, deve diventare evento superando la visione assistenziale: questo si può attuare solamente se esisterà una carità progettuale per le nuove povertà, una carità progettuale attenta alla violazione dei diritti dell'uomo. Va, ovviamente, accentuata la prevenzione, perché la povertà va affrontata anche a livello politico, perché c'è sempre un'ingiustizia da rimuovere. C'è il rischio di ridurre le stesse povertà ad una dimensione solamente economica, ma esiste anche quella spirituale dove può diventare povero anche chi non ha trovato l'anima gemella o non ha vinto all'Enalotto. Mi sembra che ci manchi la concretezza e la conoscenza dei bisogni, anche perché la povertà è una geografia non immediatamente visibile e riconoscibile. Una frase felice che è venuta fuori dal convegno di Modena: è stata quella di intendere la Caritas, oppure il volontariato se volete, come un bracco da miseria, che fiuta la fame a distanza, al di là di sette mura. L'analisi delle povertà è indispensabile perché sono in aumento e sono completamente diverse, ci sono quelle vecchie e quelle nuove che non sono sempre visibili.

Scoprire le povertà

Alcune gravi forme di sofferenza si scoprono solamente con certi strumenti, ecco perché è indispensabile che anche i giornalisti abbiano un approccio con i centri di ascolto, con l'osservatorio permanente sulla povertà. Le nuove povertà sono riferibili a due esempi: l'indigenza materiale - quella relativa ai bisogni essenziali, la casa, gli alimenti, i servizi alla persona - e l'indigenza immateriale che nasce in ogni caso da una disuguaglianza di cultura, di affetti, di capacità personali e professionali: nell'immaginario sociale l'escluso è sempre considerato non una vittima ma la risultanza, la sua esclusione un insuccesso assolutamente eludibile. Questo è triste ed è ingiusto perché l'escluso diventa così una persona incapace, che non sa farsi valere, che non sa trovare la soluzione dei problemi. C'è la sensazione, cioè, di non essere adeguati a modelli sociali prevalenti e si genera, chiaramente, un profondo disagio psicologico e un senso di vergogna per la cattiva reputazione che la povertà comporta. Allora, la sua conoscenza, se si vuol fare sul serio, deve necessariamente estendersi alle cause che sono molto complesse. Un tempo si parlava del "modello di Giobbe" ben circoscritto, oggi la povertà è un processo globale, in cui si intrecciano diverse tematiche sociali economiche politiche e culturali. Si tratta di scandagliare situazioni in cui si creano le povertà che sono sempre più complesse e sempre più variegate, occorre trovare indicatori nuovi, significativi e attendibili.
Ecco per quale motivo una nuova batteria di indicatori economici potrebbe servirci, altrimenti determinate povertà non verranno mai conosciuti come disagio e non troveranno mai risposte. Bisogna far capire alla gente, e penso che questo sia compito anche dei giornalisti, che la povertà non nasce per caso, la causa ha un'origine ben precisa. Ci sono spesso dei risvolti personali come la pigrizia, le malattie depressive, la sfiducia, le separazioni, i divorzi, la mancata educazione al senso del risparmio, l'assenza del rapporto tra coniugi, tra genitori e figli, tra vicinato, nella stessa comunità. Ed anche, sul piano culturale, il consumismo, i pregiudizi, la mancanza d'istruzione e l'abbandono scolastico. Don Milani diceva che i bisogni vanno selezionati e se questo non avviene trattiamo i poveri tutti allo stesso modo. Allora, quali sono oggi le nuove povertà? La tossicodipendenza, il disagio giovanile, la disoccupazione e l'usura che cresce.

Le "nicchie dei deboli"

Noi possiamo individuare velocemente alcune "nicchie" di soggetti deboli. Carcere: è necessario rilanciare un principio non ancora percepito, ovvero che la pena non può essere unicamente la carcerazione. Quello detentivo è sicuramente uno dei problemi sociali più urgenti ed è rimasto nell'ombra per troppo tempo: il carcere non è un rimedio anche perché finita la detenzione manca per lo stesso detenuto un aiuto concreto per quanto riguarda il reinserimento nella società civile. La questione viene ora riproposta in occasione del Giubileo del 2000, chiedendo la "dignità della pena e gesti concreti verso tutti i detenuti". Un'altra nicchia che mi sembra importante è quella relativa ai malati mentali. Da parte del servizio sanitario nazionale e regionale esiste una mentalità che tende all'emarginazione, lo stesso vale per la società civile in generale e lo stesso dicasi per la comunità ecclesiale. Mi diceva un sacerdote che smette di celebrare la messa tutte le volte che entra un malato di mente. Ma così, se non c'è un atteggiamento di accoglienza, va ad amplificarsi l'emarginazione. Voi sapete che la legge 180 del 78, la famosa Basaglia, a 20 anni dalla sua entrata in vigore non ha ancora trovato applicazione, infatti la rete dei servizi territoriali non è ancora stata realizzata. È urgente, allora, farsi portavoce presso le istituzioni pubbliche, coinvolgendo tutta la società, compresa la comunità ecclesiale, perché nascano i servizi alternativi per i malati di mente. Come ha detto don Signonazzi, molto impegnato in questo campo, dobbiamo capire che i malati di mente non sono vuoti a perdere ma persone da tutelare.
C'è poi la questione femminile. Il discorso può sembrare anacronistico ed è, invece, attualissimo: non c'è dubbio che la donna continua a far parte di uno di quegli indicatori più presenti proprio per stabilire la soglia della povertà. Vive una condizione più disagiata rispetto agli uomini. Se circoscriviamo la condizione della donna alla famiglia, possiamo affermare che spesso è evidente un maltrattamento fisico e psicologico dentro le mura domestiche. Tantissime città italiane hanno fatto un sondaggio e uno studio su tali problematiche e già Milano ha definito il maltrattamento della donna in famiglia un vero problema sociale. Attraverso l'esperienza maturata - nel tribunale ecclesiastico svolgo l'attività di patrono, di avvocato - mi rendo conto che la donna, dopo la separazione, il divorzio o anche dopo una dichiarazione di nullità di matrimonio, soffre maggiormente l'emarginazione sociale e la sofferenza economica rispetto alla controparte maschile. Sappiamo troppo bene che l'agognata "parità" è stata raggiunta solamente in certi campi, la stessa donna subisce ancora discriminazioni nell'ambito della famiglia, della professione, della retribuzione. Ed anche negli ambienti ecclesiali non raggiunge una pienezza di ruolo, sia decisionale che rappresentativo: tra più di 300 direttori Caritas ci sono solo 6 donne.

La sfida

La sfida più grande è oggi quella di orientare la società verso scelte profetiche a favore di poveri, che devono diventare soggetti storici. Le risposte date alle nuove povertà comportano un grande impegno, perché si tratta di mettere in atto un lavoro graduale e faticoso, ma destinato a costruire il futuro con gli esclusi. Si tratta, come avrete capito, di lavorare non più in chiave assistenziale, superando, come è stato detto a Palermo, la mentalità infermieristica dove si nasconde l'ipocrisia dei ricchi e dei garantiti. Sono convinta che una delle maggiori povertà che offende l'uomo, ed è uno scandalo, è il rapporto di vassallaggio che impedisce al povero di uscire dal suo stato di dipendenza. Cito velocemente la sacra scrittura, "Esodo", capitolo 14: voi ricorderete quando è stato chiesto agli ebrei di uscire, con l'aiuto di Mosè, dalla schiavitù dell'Egitto. Loro avevano paura di attraversare il deserto, ma affrontarlo e superarlo significava faticare e soffrire. Questa sofferenza i poveri la vivono quotidianamente e spesse volte con la nostra complicità, perché non vogliamo far nulla per la loro promozione. Farli diventare soggetti storici dipende dalla volontà di tutti affinché vengano individuate strade politiche, economiche, educative, che siano realmente efficaci e percorribili.
Voi sapete che l'opzione preferenziale per i poveri è una falsità se non tende alla tutela dei diritti inviolabili dell'uomo e della sua dignità. Basti pensare che tutta una letteratura prebiblica ed extrabiblica, lo stesso codice amurabi del 1700 a.c., parla di tale opzione. Ma quella che nasce col vangelo e cristianesimo, sta a significare una dignità particolare riconosciuta a tutti i poveri. L'ideologia dominante sta soffocando alcuni grandi quesiti: chi è l'uomo? Qual' è il suo destino? Questa credo che sia una nuova povertà.
Gli esperti diagnosticano la fine della storia, la fine della ricerca, noi invece vogliamo credere che il grido di disperazione dei primi lascerà spazio al grido di speranza degli ultimi. Per arrivare a questo stato di cose, se volete consideratela pure un'utopia, è necessario avere la consapevolezza che il povero e il garantito hanno la medesima dignità e i medesimi diritti.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.