VIII Redattore Sociale 30 novembre 1-2 dicembre 2001

Nebbia

Orientarsi nella nebbia

Intervento di Antonio Sciortino

 

Antonio Sciortino - sacerdote, direttore di "Famiglia Cristiana"*

La domanda, che è il titolo di questo ottavo seminario di Redattore sociale di Capodarco, `Nebbia: dove .sono andate a finire le notizie?. mi ha richiamato alla mente un'altra domanda, che è un versetto del profeta Isaia (21,11): "Sentinella, che ne è della notte "? Una domanda alla quale sono state date molte risposte. Mi piace qui citarne due, una di don Giuseppe Dossetti, uno dei protagonisti della vita politica italiana, prima di diventare sacerdote e ritirarsi nella comunità di Monteveglio nell'Appennino bolognese; e l'altra del cardinal Carlo Maria Martini, arcivescovo di Milano.
Diceva don Dossetti, nel 1994, in una riflessione che è una sorta di testamento:
"Nessuna nostalgia del giorno precedente, riconoscere la notte per quella che è: notte, scrutare con attenzione, perseveranza e scrupolo, ma senza illusioni e senza cercare scorciatoie. Convertirsi, cioè ripartire dall'interiorità, perché è assolutamente indispensabile perseguire coerentemente c lealmente ; in tanto baccanale di esteriorità ; l'assoluto primato dell'interiorità, dell'Uomo interiore".
E in colloquio con amici era persino più esplicito, traducendo quelle parole in esempi concreti. Diceva:
"Viviamo in una crisi epocale. Credo che non siamo ancora al fondo, neppure alla metà di questa crisi. Noi siamo come alla fine di una terza guerra mondiale, ma che non è stata combattuta con spargimento di sangue nell'insieme, ma che pure c'è stata in questi decenni. Che è in qualche modo finita, con vinti e vincitori, o con coloro che si credono vinti e altri che si credono vincitori. La pace, o un punto di equilibrio, non è ancora stata trovata, in questo crollo complessivo... C'è un rimAescolamento completo di situazioni.
II rimescolo dei popoli, delle culture, delle situazioni è molto più complesso di quello che non fosse nel 1918. E' un rimescolamento totale. E in più c'è la grande incognita dell'Islam. E noi non abbiamo strumenti intellettuali per interpretare adeguatamente tutto ciò. Siamo dinanzi all'esaurimento delle culture. Non vedo nascere un pensiero nuovo né da parte laica né da parte cristiana. Siamo tutti immobili, fissi su un presente che si cerca di rabberciare in qualche maniera, ma non con il senso della profondità dei mutamenti. Non è catastrofica, questa visione; è realistica;

L'altra risposta alla domanda "Sentinella che ne è della notte"? è del cardinale Mattini (intervento al seminario della "Rosa Bianca" su "Fede e Chiesa oggi", pubblicato dalla Morcelliana): "Più che buio vedo nebbia. E a nessuno deve sfuggire che mentre ènormale che la sentinella veda il buio in attesa dell'alba, è più grave e innaturale, certo più pericoloso, che veda nebbia. Ogni nemico interno ed esterno può infiltrarsi se c'ènebbia, i confini non sono più chiari, difendersi è più difficile, serpeggia nell'animo un'inquietudine diversa, più sottile e paralizzante".

La nebbia, cioè la nostra incapacità a vedere, a discernere i contorni delle cose, degli avvenimenti, delle persone... è dovuta, a mio parere, principalmente a un duplice ordine di ragioni,A che naturalmente si intrecciano:

a) il primo è la crisi culturale, il trapasso epocale che stiamo vivendo e che ci fa trovare con strumenti vecchi dinanzi a problemi nuovi. Le nostre categorie, la nostra esperienza, i nostri criteri di interpretazione, i nostri stessi valori sono spesso incapaci di leggere la realtà;

b) il secondo è quella che chiamerei una certa imperfezione del nostro sistema di informazione, che è il mondo dei mass media.

E' evidente che crisi culturale e imperfezione del sistema di informazione sono due cose collegate: non si può interpretare un avvenimento se non lo si conosce anzitutto nella sua dimensione esteriore, visibile. E il nostro sistema mediatico enfatizza tante notizie, tanti fatti, ne ignora alcuni, ne rimuove tanti altri. Contribuendo parecchio in questo modo a creare nebbia.
E tuttavia è vero anche il contrario: l'insufficienza culturale rende difficile persino riconoscere i fatti importanti, di fare il setaccio, che è pur necessario, con le migliaia di notizie che passano ogni giorno.
Oggi, come senz'altro avrete ricordato in questo seminario, viviamo in un continuo bombardamento di notizie e di messaggi, ma non per questo possiamo dire di riuscire a comunicare di più o che ci sia più capacità di intendersi. 1 troppi messaggi ci creano una sorta di assuefazAione a una realtà che non è quella viva, palpitante dell'esistenza, ma quella ricreata dai media, anestetizzata, in qualche modo "montata" secondo modelli dello spettacolo, ove per ragioni di audìence non si sa distinguere tra attualità e fiction. Anche il linguaggio si e uniformato, standardizzato. Chi ha in mano i mezzi (i media) ha grandi possibilità di influire sugli uomini, plasmarli alle proprie convenienze, determinarne i gusti, i comportamenti e le azioni. Non si tratta di una violenza fisica, ma psicologica, capace di distruggere ogni forma di pensiero, di creare artificialmente dei bisogni perseguendo interessi economici ben precisi, non certamente scopi filantropici. La nebbia, quasi assoluta, abbiamo potuto sperimentarla con l'irrompere sulla scena del tema della globalizzazione o, se vogliamo, anche del pacifismo che ha cosi tante sfaccettature che è difficile distinguere quello vero da quello falso: non è stato facile per l'informazione riuscire a raccontare, far capire e discernere il "grano dalla pula".
Siamo di fronte a una tale proliferazione di messaggi che rischiamo d'essere o sommersi o di disorientarci. Siamo di fronte a una novella torre di Babele: si moltiplicano le parole, ma non riusciamo più a intendersi.

Come orientarsi in questa nebbia? Come snebbiarsi?

La difficoltà di non riuscire a dare una priorità alle notizie, ci fa ripiegare spesso verso una scelta opportunistica. Se è tanto difficile capire e giudicare esattamente, se è difficile essere obbiettivi e lungimiranti, è più facile rassegnarsi al peggio. Ognuno dice quel che gli fa comodo, che fa comodo, cioè, al proprio punto di vista, alla propria ideologia, anche se ormai decotta. Ognuno dice quel che fa comodo al proprio "padrone" o alla propria personale carriera. Senza dimenticare quel "superpadrone", che è la pubblicità, che ha una risposta e una convenienza per tutto e per tutti, perché da tutto e da tutti deve ricavare profitto.
I l risultato è uno spaesamento generale, una nebbia, una melassa, un frullato di notizie in cui non solo è assai difficile riconoscere la Buona notizia (e questo come cristiani ci crea problemi), ma è difficile conoscere anche le notizie vere (il che ci crea problemi come cittadini, soprattutto in tempi difficili come questi, coi terrorismo, la guerra... ove i mezzi di informazione non ci aiutano a capire neppure dove sono i nemici, dove i colpevoli, dove le responsabilità, dove la strada per uscire da questo tragico labirinto.

Che fare? Come orientarsi nella nebbia?

Dossetti e altri pensatori e maestri ci dicono che bisogna ricostruire dall'interno la coscienza umana e cristiana; prendere le distanze da una omologazione al peggio e al basso cui la società dei consumi e dei profitti ci abitua e trascina. Soprattutto in una cornice di monopolizzazione dei mezzi di informazione, con sempre meno voci che cantano fuori dal coro, con sempre meno possibilità di confronto con punti di vista diversi. Bisogna insomma riconquistare un atteggiamento critico, una coscienza libera e limpida, che sappia discernere il vero.

La nostra esperienza a "Famiglia Cristiana"

Per quanto riguarda la nostra esperienza a Famiglia Cristiana, come giornalisti crediamo di poter portare un contributo perché possano crescere coscienze libere e limpide. Abbiamo in redazione alcuni punti di riferimento ben precisi, che ci guidano nello scegliere e nel comunicare le notizie. Snebbiare, credo, voglia dire anche darsi delle regole precise cui attenersi rigorosamente, ed essere riconosciuti per il coraggio e la coerenza delle scelte.
Quali regole?

- Innanzitutto, vogliamo vederci chiaro nei fatti dell'attualità: un nostro slogan di qualche anno fa diceva: "Vederci chiaro non è peccato". Non avere quindi, né tabù né precomprensioni o pregiudizi.

- Pratichiamo un giornalismo rispettoso dei valori umani e cristiani, che nella pratica vuol dire mettere al centro di tutto la persona, la sua dignità, i suoi diritti, senza dimenticare mai che l'uomo viene prima della notizia e che, al tempo stesso, la verità ricercata con costanza e passione rende veramente liberi. Non si possono sacrificare verità e valori della persona a presunti scoop che spesso sono soltanto bolle di sapone.

- Cerchiamo le notizie e le offriamo ai lettori senza fronzoli, senza furbizie strumentali o, peggio, manipolazioni.

- Privilegiamo soprattutto, le notizie costruttive, che non necessariamente sono quelle al miele, edificanti, ma sono quelle che aiutano e obbligano a riflettere e a trovare risposte... Anche se per fare questo bisogna sollevare prima problemi spinosi. Abbiamo giornalisti che vanno a cercare queste notizie (una nostra regola è: "andare, vedere e raccontare"), che hanno una sensibilità particolare e molta passione; ci aiutano anche i lettori che ci segnalano situazioni meritevoli d'essere trattate sul giornale, ci offrono delle dritte, suggerimenti... e anchAe critiche.

Tutto ciò non è facile, abbiamo dei limiti noi stessi, cui si aggiungono quelli del sistema dei mass media di oggi, troppo commercializzato, quasi monopolizzato. C'è la tendenza in genere a fare meno inchieste serie e approfondite, meno servizi sul campo, c'è l'uso di Internet, che offre grandi possibilità, ma con qualche rischio: si prendono le notizie e si mettono in pagina, ma senza tante verifiche. Chi garantisce? C'è meno scrupolo di informare e far capire, più voglia invece di tirare dalla propria parte, o almeno di suscitare un'emozione ;reazione che porti il lettore (o l'utente) lì dove si desidera.

Aspetti e segni positivi

Per fortuna, però, ci sono anche segni positivi. Leggevo l'altro giorno una riflessione di Sabino Acquaviva sulla morte di Maria Grazia Cutuli, dal titolo "C'è giornalismo e giornalismo". E ricordava le parole di Walter Tobagi, che aveva una visione nobile della professione, ma si chiedeva se valeva la pena di rischiare la vita o se non era meglio abbandonare per fare il professore di università. Erano gli anni di piombo del terrorismo in Italia. "Vedi", diceva, "rischio ogni giorno d'essere ucciso, ma se non faccio questo lavoro tradisco la mia vocAazione: quella di informare obiettivamente. Oggi ti possono uccidere perché racconti quello che non si deve sapere".
E aggiunge Acquaviva: "Questo compito ideale, raccontare la verità giorno dopo giorno, è molto importante in questa società in cui sta nascendo una nuova civiltà, emergono nuovi valori, nuove cose in cui credere o non credere, in cui si moltiplicano altri modi di vedere e convivere, mentre cambiano rapidamente anche le richieste che il cittadino fa alla politica.
E riferendosi alla vicenda della giornalista del Corriere, Maria Grazia Cutuli, diceva:
"Ci sono giornalisti disposti a sacrificare tutto, a sacrificarsi per raccontare la verità, per essere testimoni privilegiati del nuovo che nasce e dei colpi di coda del vecchio mondo. Altri, al contrario, sono disposti a sacrificare tale verità per obbedire a un "potere", per "servire" un potere che li sovrasta, qualsiasi potere si tratti. La libertà di informazione si paga a caro prezzo: in questi ultimi cinque anni sono motti al fronte 137 reporter; 800 negli ultimi quindici.
Tra gli altri segnali positivi, che aiutano a diradare la nebbia e a orientarsi, direi di annoverare anche la maturità dei lettori (o degli utenti) che sanno riconoscere l'insufficienza dei meccanismi attuali dell'informazione, sanno scoprire le censure, le forzature, e vedono come i mezzi di informazione spesso non solo non diradano la nebbia ma contribuiscono a crearne di artificiale. Cosa che avviene con lamanipolazione delle parole (eutanasia ; dolce morte...), la ripetizione ossessiva di immagini (es: il "A;terrorismo" meteorologico, per cui se piove è il diluvio, se nevica è Siberia...), con la scelta dei fatti di cronaca (per cui il bene non esiste, solo il male fa notizia), e infine, con l'applicazione della regola chiodo scaccia chiodo, ovvero scandalo scaccia scandalo (per cui si va un po' ondate, prima la pedofilia criminale, poi lo sfruttamento minorile, poi le condizioni carcerarie...).
Se guardiamo al tema degli emarginati, degli immigrati, dei poveri in genere, i diversi... ci accorgiamo di quanta poca informazione ci sia, o meglio di quanta disinformazione. Per quale scopo, per quali fini? E quante esperienze di solidarietà e quante rivendicazioni di giustizia vengono ignorate.
Credo e spero che la scontentezza verso questa cattiva informazione, la voglia di vedere attraverso la nebbia, o al di là della nebbia, possa far nascere una generazione nuova di giornalisti, ma anche di lettori attivi, partecipi, che con il loro giornale abbiano un rapporto di dialogo. Le nuove tecnologie, specialmente Internet, aprono una via in questa direzione.
Si potrà trovare nei prossimi anni un nuovo sistema di comunicazione che sia, come si dice, "multipiattaforma", in cui ci sia posto per giornali cartacei ed elettronici strettamente integrati e sinergici: in cui giornalisti e lettori si scambino notizie ed emozioni e abbiano uno scopo comune che è quello di costruire una società più vivibile e solidale, un mondo più giusto e non soltanto contribuire a divertire, all'evasione, ai consumi e ai profitti. Mantenendo una particolare attenzione a quella parte di società che secondo i canoni correnti dell'informazione non fa notizia, e che quando trova un po' di spazio sui mediAa è mal sopportato.
Tornando al versetto di Isaia, citato all'inizio, occorre che i giornalisti imparino e sappiano diradare la nebbia del pensiero debole, nell'oscurità dei valori dimenticati, nella sofferenza dalle ingiustizie subite, nelle violenze fatte ai più piccoli, nelle chiusure imposte ai più bisognosi.
Durante la presentazione a Milano del Calendario della Solidarietà, allegato la settimana scorsa a Famiglia Cristiana, don Ciotti ha detto: "L'impegno per la giustizia, i diritti, la dignità, la solidarietà e la legalità non può essere di qualcuno, ma di tutti. Mi auguro che il volontariato sparisca perché vorrà dire che l'impegno solidale sarà diventato normale, di tutti, come cittadini e come cristiani". Giornalisti inclusi, naturalmente.

* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.