IX Redattore Sociale 6-8 dicembre 2002

Maschere

Immigrati: la maschera, la realtà

Interventi di Franco Pittau e Ugo Melchionda

Franco PITTAU

Franco PITTAU

Coordinatore del Centro studi e ricerche Idos (Immigrazione Dossier).

ultimo aggiornamento 18 aprile 2012

Ugo MELCHIONDA

Ugo MELCHIONDA

Presidente del centro studi e ricerche Idos,  rappresentante del progetto finanziato dall’AICS e guidato da AMREF “Voci di Confine”.  IDOS realizza il “Dossier Statistico Immigrazione” (pubblicazione nata nel 1991 su indicazione di don Luigi Di Liegro e coordinata da Franco Pittau), a cui collabora fin dai primi anni ’90. Ha lavorato tra l’altro con l'organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim).

ultimo aggiornamento 02 novembre 2015

Franco Pittau*

Adesso vi verranno dati il  dossier e la scheda. Io sono molto grato a don Vinicio, a Stefano, a tutti gli organizzatori e specialmente a voi. Vi devo dire che, pur andando spesso a parlare, ho una certa difficoltà a interpretare l'anima di questo auditorio. Siete molto bravi e rischio di fare brutta figura. Da qualche mese abbiamo iniziato un tour di sensibilizzazione che nel corso di due anni ci porterà in tutte le province d'Italia, anche più volte nella stessa provincia. Siamo agli inizi, perché il progetto è stato presentato alla fine dello scorso mese e il fatto di venire da voi è di buon auspicio. Almeno speriamo che sia così. Cosa cercheremo di fare? Cercheremo di presentare l'immigrazione. Noi abbiamo dato un titolo, "l'immagine dell'immigrato" a questo progetto. Secondo me, però, il vostro titolo è molto più bello, poi vi spiego perché. Utilizzeremo il dossier che voi avete ricevuto, se qualcuno non lo avesse lo trova poi in segreteria, come mezzo di sensibilizzazione. Poi ci sono degli altri prodotti ancora più interessanti, per esempio si farà un archivio delle comunità degli immigrati, con prodotti artistici, culturali, musicali e così via. Il progetto come vedete è molto ambizioso. La cosa che vi interessa più da vicino è che, seguendo degli esempi molto belli come quello di Redattore Sociale, degli immigrati cercheranno di fare un'agenzia che possa mettere in circuito anche la notizia secondo il loro punto di vista autentico. Speriamo che abbiano la vostra stessa fortuna, perché potrebbe essere una porta non indifferente. Allora. Maschere. La maschera è qualche cosa che nasconde. Però se viene interpretata come un certo velo che si toglie, allora è qualche cosa che aiuta a scoprire. Insieme ad Ugo ci siamo sforzati di ripensare all'immigrazione entrando molto seriamente nello slogan di questa edizione di Redattore Sociale, per vedere come l'immigrazione possa svelare la realtà. Noi non vi vogliamo dare delle lezioni, sarebbe presuntuoso. Anche questo mi ha messo un po' di paura. Però con molta semplicità vi vorrei dire che io - così come tanti altri lettori - apprezzo di più certe cose e meno certe altre, cosa che è comprensibile. Allora in quello che vi diremo, conoscendo le vostre capacità, vi vorremmo invitare a produrre nella maniera migliore, perché è di questo che i lettori hanno bisogno. L'immigrazione è una di quelle maschere che ha bisogno di essere svelata. Cosa svela l'immigrazione? L'immigrazione svela delle cose meravigliose sullo sviluppo. Noi ci riempiamo molte volte la bocca con mondializzazione, aiuto allo sviluppo. Molte volte sono parole false, suonano veramente male. Noi come primo capitolo nel dossier mettiamo sempre "popolazione e reddito nel mondo". Ci sono delle cose terribili. Nel mondo il reddito è due volte inferiore dove va bene, tre volte inferiore, cinque volte inferiore, dieci volte inferiore, trenta volte inferiore. Parlando d'immigrazione molte volte noi ci dimentichiamo, o voi anche vi dimenticate, di parlare del fatto che c'è una forte spinta strutturale. In più quando si parla, non so, di un albanese, di un serbo, di un marocchino, di un nigeriano, di un rumeno. Non si parla di questo paese, si astrae la notizia nel bene e nel male ma non la si collega con un paese che ha tante cose da insegnare. L'immigrazione è un incentivo alla mondializzazione, un incentivo a conoscere la storia. Secondo me, secondo altri, questo non si fa tanto. I giornalisti potrebbero aiutare molto, attraverso l'immigrazione, a far conoscere i loro paesi. Certe volte sono storie di racket, certe volte sono storie di élites distorte, certe volte sono storie bellissime di leader sindacali che sono finiti in prigione per fare affermare un principio di libertà.  Comunque teniamo conto che l'immigrazione è la storia di uno sviluppo mancato nei paesi d'origine e la storia di uno sviluppo promesso attraverso, ad esempio, le rimesse degli immigrati. Nel mondo non ci sono tante fonti di speranza per gli immigrati. I loro risparmi molte volte vengono presi sotto gamba, però già in Italia sono 1.500 miliardi di lire, quelli ufficiali, 3.000 miliardi se si contano anche quelli che passano attraverso vie non ufficiali. E' una cosa assolutamente sorprendente e importante. Loro sono il motore di questi piccoli cerchi di sviluppo che si formano, che potrebbero diventare grandi cerchi, se la popolazione non fosse così rincoglionita. C'era un progetto di inserire gli immigrati nella cooperazione allo sviluppo ed è abortito nella scorsa legislatura. Adesso si dicono dei fatterelli, delle sciocchezze, però l'immigrazione potrebbe essere anche la promessa di uno sviluppo di ritorno. Leggete questi fatti: è molto bello, la gente ha bisogno di speranza, gli immigrati hanno bisogno di speranza e anche noi italiani abbiamo bisogno di speranza. Un'altra cosa. L'occidente. Dell'occidente si potrebbe parlare a lungo perché noi abbiamo fatto tante cose distorte, abbiamo fatto un'economia non condivisa, abbiamo fatto le multinazionali, le regole sul commercio, abbiamo fatto il colonialismo. Si potrebbe continuare a lungo.. . però abbiamo anche delle cose belle che dovremo cercare di vendere. Per esempio la passione, le sofferenze che l'occidente ha passato per arrivare al fatto di mettere nel rogo chi non credeva alla libertà religiosa. E' un'epopea straordinariamente bella, è civilmente bella. In questo incrocio di culture noi potremo dire con serenità che l'immigrazione potrebbe essere provvidenziale, perché ci permetterebbe anche di esportare cose più lecite di altri. Per esempio il concetto del rispetto della coscienza. Anche per chi crede in Dio, Dio parla attraverso la coscienza e questo sarebbe un fattore di grande apertura in un mondo mondializzato. L'ultima cosa che voglio dire è il concetto delle paure religiose. Io lavoro nella Caritas, non sono tutti di estrazione religiosa quelli che lavorano nel dossier, però io lavoro nella Caritas e questo problema lo sento molto da vicino. Io ho un sentimento di pietà nei confronti di cristiani come me che hanno paura di perdere la loro fede... ma non di disprezzo. Di pietà, nel senso più coinvolgente della parola. Forse l'immigrazione è un'occasione provvidenziale, perché la fede non può essere mai una cosa sociologica, perché la fede, come anche i valori morali per i laici, è elemento di scelta. (...) Ma è possibile che noi quando vediamo una trasmissione, sentiamo un'intervista, dobbiamo sentire sempre l'aspetto più scioccante? Io ho tanti amici musulmani, ve li porterei tutti qua. Parlano come noi, sono per un mondo di pace. Ci sono tanti semi che parlano di una possibile pace. L'immigrazione può essere veramente una cosa provvidenziale, però cari amici giornalisti, parlate anche di queste cose.

Ugo Melchionda*

Innanzi tutto grazie a voi per essere qui presenti e per avermi invitato. Io credo di poter aggiungere poco a quello che ha detto Franco. Non vi aspettate dati di tipo statistico sugli immigrati, li avete nel dossier, li avete nella scheda, sono ampliamente sintetizzati. Io vorrei fare una riflessione in 4 passi, cui mi ha costretto un po' il titolo, per me provocatorio, di questo incontro. La verità è dietro i fatti. E vorrei partire con un fatto molto semplice. C'è una trasmissione, credo sia per essere realizzata da Rai News 24, sugli stereotipi che in qualche modo tutti gli italiani, la gran parte degli italiani, condividono. Io non mi aspetto che voi condividiate questi stereotipi, ovviamente. Sono troppi, rubano il lavoro agli italiani, sono potenziali delinquenti, sono incapaci ad aiutarsi da soli, ti portano a casa un mondo incompatibile con la nostra cultura, ecc. Voi sapete che c'è un'indagine, era citata poco fa, da parte del Censis, di come i media trattano gli immigrati. Io non mi aspetto che voi siate questi colleghi giornalisti che per esempio parlano degli immigrati in cronaca nera nel 43,5% dei casi, parlano di vicende negative nel 78% dei casi, che parlano di criminalità, illegalità nel 56% dei casi. Io mi aspetto che voi siate persone che parlano di fatti. Penso che voi abbiate in qualche modo a che fare con argomentazioni ragionevoli che dicano che non è vero che sono troppi e così via. Ma se questi sono i fatti che voi in qualche modo citate, dov'è la maschera e dov'è la verità dietro questi fatti? E' chiaro, se io volessi in qualche modo farvi lezione dall'alto dicendo non utilizzate gli stereotipi che l'uomo della strada, la casalinga di Voghera e il bracciante di Matera condividono, sarebbe un po' fuori luogo e ridicolo. Dov'è la verità che sta dietro? E dov'è la deformazione? Molto probabilmente la deformazione è in quello che nella teoria della comunicazione si dice lo "script", l'organizzazione. Io non so come voi, come persone qui presenti, descrivete gli immigrati, ma se c'è una riflessione che potete fare con me, è sul modo in cui organizzate questi fatti, sul modo in cui organizzate questi discorsi. L'organizzazione ha a che fare, ovviamente, con le parole che si scelgono. Non è la stessa cosa dire "irregolare" o "clandestino", anche se probabilmente la persona potrebbe essere definita da due punti diversi come regolare, come clandestina, perché comunque la si colloca fuori dal quadro normativo e giuridico. Ma non è solo questione di parole, è per esempio una questione di immaginare queste persone, queste figure come interamente a parte, estranee nel senso etimologico rispetto a noi. E immaginare questi problemi come un loro problema, diciamo il problema dell'integrazione degli immigrati. Chi di voi non ha mai detto "il problema immigrazione?". Cominciamo un po' a togliere questo nesso, queste due parole. Cominciamo a parlare eventualmente del nostro problema rispetto all'immigrazione, perché è un problema essenzialmente e principalmente nostro. Quando diciamo "sono troppi" parliamo di una società in cui sostanzialmente sta avvenendo un fenomeno enorme, che è quello del tasso di demografia calante, di una globalizzazione non voluta né da noi, né da nessuno, ma che porta in giro per il mondo persone sradicate, perché di fatto nei loro territori non c'è più spazio. Quando parliamo di problemi dell'economia come dire, drogata, a partire dal clandestino, dagli irregolari o da chi accetta condizioni subalterne, non vediamo la trave che sta dietro di noi. Non vediamo la trasformazione dell'economia, non vediamo che l'economia tradizionale non esiste più, non vediamo il fatto che oramai un contratto normale è un'eccezione più che una regola, non vediamo il fatto che il lavoro irregolare, diffuso, o in nero, o in collaborazione coordinata e continuativa, o in forma atipica che abbiamo inventato noi italiani a decine, è la realtà. Quando parliamo di diversità, per esempio, stiamo cominciando a pensare, o meglio rimuovendo, il fatto che lo stato sociale che oggi conosciamo non è più quello di 10 anni fa, 20 anni fa, che offriva prestazioni uguali a tutti. Oggi stiamo andando verso una "balcanizzazione", una "medionalizzazione" delle garanzie offerte agli stati, garanzie dei servizi sociali, in cui paradossalmente quando uno arriva e porta la sua identità, la sua differenza specifica, non si sa cosa rispondere. Questa diventa una forma, in qualche modo, di negazione. Quando parliamo di criminalità, dei differenziali dei tassi di devianza dei gruppi degli immigrati, stiamo rimuovendo quel masso enorme che è la crisi urbana delle nostre città. Nelle nostre città, non so qua nelle piccole, ma nelle grandi città è assolutamente fondamentale il fatto che il conflitto che una volta era presente sui luoghi di lavoro, nei rapporti sociali, si sta territorializzando. Esistono delle zone off limits, non perché arrivano gli immigrati, ma perché si verifica un processo escludente, perché la gente si fa i suoi vigilantes privati, si fa i suoi meccanismi "autoreferenziali" e tutto il resto viene escluso. E allora diciamo il problema principale, la verità che secondo me sta dietro a questi fatti e che invece voi citate, è che noi come società siamo in crisi d'integrazione e l'immigrazione ce lo rivela. Ci rivela un passaggio di questa nostra società in cui un vecchio modello d'integrazione sociale è finito, è rotto, è inesistente, basato su un mercato del lavoro tradizionale, su servizi sociali tradizionali, su un'identità nazionale e senza certezze. Questo è un po' il senso della riflessione che forse possiamo fare assieme.

Marco Vitale*

Intanto ringrazio di questo grande lavoro, condivido questa enorme esigenza di conoscere questo grande fenomeno che non è nuovo nella storia dell'umanità. C'è stato un periodo in cui dall'Europa, sono andati nelle Americhe 50 milioni di persone in pochi decenni e tanti di questi erano italiani. E la capacità di fecondazione che l'immigrazione ha avuto nei grandi movimenti della storia è un dato storico molto importante. Stiamo vivendo momenti come quello e vanno proiettati in questa visione. Vanno prima di tutto conosciuti. Scorrendo l'indice vedo che parlate di lavoratori stagionali, lavoratori agricoli, di collaboratori familiari, lavoratori atipici e poi passate a immigrati e sindacati, immigrati e capacità di risparmio. Mi ha colpito che non esiste il concetto che - almeno dall'indice - che un immigrato possa diventare un creatore di lavoro. Noi, nella Popolare di Milano, abbiamo aperto un piccolo sportello, ancora sperimentale, che si rivolge in particolare a quegli imprenditori che hanno voglia di mettersi in proprio, sia come lavoro professionale, o come servizi, o per creare piccole imprese. Sempre a Milano, su stimolo della Bocconi, per festeggiare il centenario - insieme ad altri enti milanesi - si sta cercando di studiare se sia utile, o non utile, un ente che è ancora tutto da definire, che possa aiutare quel mondo di immigrati che vogliono esprimersi in proprio, o con forme di micro credito, o con forme di tutoraggio, anche di assistenza formativa. Andando indietro ancora nella storia.. io ricordo sempre che la grande Bank of America di Giannini era una piccola banchetta che incominciò a diventare grande quando Giannini decise di fare credito agli immigrati italiani. Lui era italiano, non chiedeva garanzie, confidava nella loro voglia di lavoro. Fu uno dei grandi momenti di ascesa di quella che diventerà poi la prima banca americana. Allora passo alla mia domanda: da questo indice desumo che tutta questa roba qui voi non la vedete? Sono fantasie nostre? Ci stiamo sbagliando? Ci scoraggiate? Ci consigliate qualcosa? Cosa ci dite?

Ugo Melchionda*

In passato avevamo fatto un capitolo sui lavoratori autonomi. Quest'anno non lo abbiamo fatto perché a livello nazionale non avevamo dati di prima mano e sufficienti per fare un lavoro serio e preciso. Ci sono i dati della camera di commercio che censiscono i titolari d'impresa per nascita all'estero, il che è un termine improprio, perché loro ne censiscono 150 mila e i titolari di soggiorno del lavoro autonomo e imprenditoriale sono 90 mila. Noi non avevamo neppure le forze perché ci è costato un po' di fatica, non siamo un'enorme realtà, però bisognerebbe incoraggiare questo aspetto, perché è una delle cose più interessanti, come lo era la sponsorizzazione. Quella che, come è stato detto, è stata soppressa perché forse non costava niente alla stato italiano. In realtà questo non l'ho ancora capito. Il lavoro autonomo è una di quelle forme di auto-impiego straordinariamente interessanti. E' un po' l'epopea di chi, dal basso, si eleva ed andrebbe molto incoraggiata, ma lo mettiamo come impegno per il prossimo anno, magari aiutateci a farlo. 


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.