IX Redattore Sociale 6-8 dicembre 2002

Maschere

Le "maschere" del servizio pubblico

Intervento di Roberto Natale

Roberto NATALE

Roberto NATALE

Giornalista, è responsabile della Responsabilità Sociale Rai. E’ stato prima portavoce del “Gruppo di Fiesole”, poi vicepresidente dell’Associazione Stampa Romana. Dal novembre 1996 all’ottobre 2006 è stato Segretario dell’Ussigrai (il Sindacato dei Giornalisti Rai)

 

Roberto Natale*

Paolo Serventi ha detto molto riguardo alla categoria in generale. Io provo ad aggiungere qualcosa parlando della specifica situazione Rai e sperando di non fare osservazioni troppo legate solo al nostro microcosmo, come si usa definirlo. Vediamo se si riesce a legare in qualche modo i problemi della Rai, di cui ci sono paginate sui giornali, con le maschere di cui vogliamo parlare da oggi a domenica. Taglio via il livello, diciamo così, direttamente politico. Ne parlano i giornali tutti i giorni, le connessioni tra crisi Rai e le turbolenze politiche all'interno della maggioranza. Tutto vero. E' inutile però parlarne qui visto che ciò rappresenta, rispetto ai discorsi che qui faremo insieme, il livello più superficiale della questione. Proviamo a scendere un po' più dentro, un po' più sotto la crosta. Il livello di crisi aziendale c'interessa anche se non stiamo all'interno della Rai.
Esso significa crisi del servizio pubblico, perché i giornalisti e non del servizio pubblico sono così preoccupati al punto che hanno proclamato, forse l'avrete visto da qualche parte, uno sciopero per il 20 insieme allo sciopero che tutti i giornalisti italiani hanno proclamato per quel giorno.

La crisi del servizio pubblico: una crisi di ascolti

Si potrebbe dire, che ce ne importa se la Rai viene vista un po' di meno? Qual è il problema? Provo a darvi la risposta. Un servizio pubblico meno visto significa che l'emittenza commerciale, dichiaratamente commerciale, cioè quella che si rivolge - scusate lo slogan, ma per capirci e far presto - agli spettatori esclusivamente come consumatori, ha più spazio. C'è anche da aggiungere che questa crisi di ascolti non è nemmeno legata a un incremento della qualità dell'offerta: poteva anche essere una scelta di questo vertice, nel senso di non tener conto dell'auditel, ma in compenso dava un'offerta più ricca, più civile. Poteva anche essere una scelta discutibile, ma sarebbe stata una linea. No, nemmeno questo è successo. Il calo della quantità corrisponde, nella percezione diffusa, a un calo anche della qualità e della ricchezza dell'offerta. Solo problemi di ascolti? No, sono anche problemi - diciamo così - di autonomia. Sia Vinicio, sia Paolo, ciascuno dal suo punto di vista hanno ricordato Firenze e il movimento no global. Il servizio pubblico di questi tempi è stato capace dell'impresa di oscurare, ne ha parlato solo Rai News 24 sul canale satellitare, la diretta su una manifestazione così importante e più ancora ha affrontato tutti i giorni che portavano a quella manifestazione, con il quasi esclusivo taglio dei problemi di ordine pubblico. Certo non è responsabilità solo dell'informazione e dell'informazione Rai. Ricordava Paolo che anche altri soggetti istituzionalmente autorevoli, potenti, hanno concorso a questa distorsione. Si tratta, però, di una distorsione alla quale il servizio pubblico, tranne rare eccezioni, non si è sottratto. Il giusto culmine - nel senso ironico dell'aggettivo - di questo processo, è stato l'oscuramento della manifestazione del sabato a Firenze. Questa è la situazione di oggi del servizio pubblico, che lascia ad altri soggetti la possibilità di assolvere a questa funzione. Chi di voi non è stato a Firenze, magari in quel sabato pomeriggio, avrà acceso con curiosità La7 se l'è vista con Giuliano Ferrara la diretta. Ed ha avuto la riprova del fatto che, tra l'altro, parlare di un argomento non significa necessariamente sposarne le tesi. Giuliano Ferrara ne ha parlato dal suo punto di vista, chiamando i commentatori che riteneva funzionali al suo discorso, ma lì il servizio pubblico ha tradito se stesso.

Soggetti trattati con peso diverso

Altro esempio preso dalla cronaca arriva in queste ore. In questi anni abbiamo parlato qui spesso delle carte dei diritti, dei diritti uguali per tutti. Una vicenda accaduta proprio in queste ultime ore dimostra quanto la Rai tratti in maniera diversa soggetti di peso sociale, politico, istituzionale diverso. La vicenda è questa. Arriva ieri una contestazione disciplinare, la lettera con la quale si comunica l'apertura di un provvedimento disciplinare, a un collega del Tg1 che ha fatto una notizia sbagliata, andata in onda nell'edizione del Tg di mezza sera il 25 novembre. La notizia, erroneamente, citava anche Berlusconi tra gli imputati al processo milanese ImiSir. Berlusconi non è imputato in quel processo, è imputato nel processo sul Lodo Mondadori. Si citava Previti, correttamente, si aggiungeva sbagliando Berlusconi. Arriva con grande prontezza una lettera dell'azienda che dice che a norma di regolamenti e leggi, "lei ha 5 giorni di tempo per comunicarci.", insomma era l'apertura del provvedimento disciplinare. Arrivo a dire: giusto! Perché i diritti dei cittadini sono uguali per tutti e anche l'onorevole Silvio Berlusconi ha il diritto, se è stato citato ingiustamente. Altro esempio. La stessa testata, Tg1 di martedì sera. Abbiamo sentito le dichiarazioni di Berlusconi sulla crisi Fiat, quelle sul marchio Ferrari. Tengo chiuso tutto il capitolo che lasciamo a quelli che fanno satira e cabaret, ne parlo in maniera seria. Parlo oggettivamente di quella notizia. Bene, il Tg1 di martedì sera non ne ha parlato, non ha dato nemmeno una riga su queste dichiarazioni. Allora la domanda che facciamo come sindacato è: azienda di servizio pubblico tu hai ragione ad esser sollecita nel colpire chi sbaglia, ma oltre al diritto del cittadino Silvio Berlusconi di veder rispettata la sua onorabilità se è citato ingiustamente, conta qualcosa il diritto di milioni di spettatori che quella sera hanno guardato il Tg1, a un'informazione corretta e completa? C'entra qualcosa col diritto a comunicare, di cui in queste stanze abbiamo imparato a parlare insieme in questi anni? In altri termini, chi ne risponde? Se arriva una lettera di contestazione disciplinare sul primo errore, chi risponde di un'omissione grave come questa? Il direttore del Tg1 è stato chiamato a rispondere? Perché sennò purtroppo tocca dedurne l'espressione più classica, come si dice, forte con i deboli e debole con i forti per quanto possa esser debole un giornalista che comunque ha le sue garanzie. Si può vedere in maniera più scandalosa di questa un servizio pubblico che scatta perché teme che il sovrano sia stato offeso e non si preoccupa di qualche altro milione di cittadini che martedì dal Tg1 hanno ricevuto un pessimo servizio? Un'omissione grave e ridicola al tempo stesso, perché poi sui giornali dell'indomani, su tutti i giornali comunque orientati le dichiarazioni di Berlusconi sulla Fiat avevano un grandissimo spazio. Questa è la Rai di oggi.

Il senso del servizio pubblico

A me Vinicio, da questo punto di vista soprattutto, mi ha colpito il titolo "maschere". Uno ci pensa in macchina, l'altro nella sua macchina cerca di pensare su quella scia. Perché credo che il problema di fondo, quello più radicale, al di là dei governi di turno, centro destra, o centro sinistra, col quale oggi il servizio pubblico si trova a doversi confrontare, sia quello del senso che a questo pezzo di offerta di comunicazione diamo. Provo a spiegarmi meglio e cito una persona che nella Rai precedente, quella quando c'era il governo di centro sinistra, ha avuto questo tipo di programmi. Faccio un esempio non perché ritengo che sia il "Male", ma per intenderci. I programmi della D'Eusanio - a proposito delle maschere - come raccontano la realtà, l'emarginazione, la sofferenza? Sono non maschere queste figure c'è chi dice pagate. Attori, attrici dilettanti. Non so se questo sia vero. Dal punto di vista del nostro discorso cambia poco. Può un servizio pubblico concorrere a questo corrompimento del senso comune? A questa mercificazione dei rapporti? A questa assimilazione acritica dei modelli culturali e di valori dell'emittenza commerciale? Non sta lì il livello più profondo sul quale dirsi se ancora una presenza del genere ha senso? La cosa vale non solo per i programmi ma anche per l'informazione. Uno studio recente ha mostrato che nei Tg Rai degli ultimi e penultimi mesi la terza figura più presente in graduatoria come tempo era il meteorologo, il colonnello o capitano, o maggiore dell'aeronautica, che all'interno dei nostri telegiornali in maniera sempre crescente ci parla delle previsioni del tempo. Io non so Vinicio se si possa arrivare a parlare di uso politico del tempo. Provo a spiegarmi. Ogni due minuti dati alle previsioni del tempo all'interno del telegiornale, a meno che non ci siano cataclismi, sono minuti sottratti alle notizie serie, alle notizie vere, alla vita reale, materiale delle persone. Questo lo dico perché parlando di maschere, almeno una delle risonanze che questo tipo di titolo mi ha suggerito, è che l'allontanamento dalla vita reale nei nostri telegiornali, nella nostra informazione passi anche attraverso lo spazio crescente che all'interno dei giornali hanno le non notizie. Le previsioni del tempo, ma ricordo anche titoli fatti dal Tg1 su i "peccati capitali", l'"invidia" lo spazio riservato a video musicali, insomma, questa quantità di cose finte o fatue, di non notizie che un giornalista di più consolidata esperienza come Paolo può confermare, 10 anni fa, 15 anni fa nei giornali Rai e nella carta stampata sarebbero state messe da parte considerandole appunto non notizie! Oggi a queste notizie vengono riservati titoli interi. Forse già l'anno scorso, se è così me ne scuso, ho riferito di quello studio secondo il quale di Julia Roberts all'interno del Tg2, si era parlato molto più che dell'Africa, per un arco di tempo di un anno. Julia Roberts è più importante di un intero continente. Questo intendo dire quando sostengo che le notizie leggere guadagnano spazio a scapito di altre notizie. La politica che in questo sistema scivola via e i politici che tanto protestano se per caso il loro avversario ha ottenuto 10 secondi in più della propria faccia, non si accorgono che, complessivamente, è tutta l'attività politica che viene banalizzata. Talvolta c'è un uso politico anche della cronaca, se serve a impressionare e non a usarla come spunto per risalire alle radici dei problemi. Questa miscela, cronaca, tempo, vita mondana, le vicende dei reali d'Inghilterra in cui la politica scivola giù, riguarda anche noi? E non è anche su questo livello che il senso del servizio pubblico deve essere recuperato? La pubblicità dai programmi per i bambini si potrebbe togliere per favore? O i piccolissimi consumatori devono cominciare ad essere allevati fin dalla più tenera età? È eversiva la richiesta? Non si può magari caricare quella pubblicità su fasce orarie diverse e consentire che chi sta davanti alla televisione a 3 anni di non crescere allevato come un pollo in batteria, come consumatore in batteria? Qui, tra l'altro, ci sono colleghi Rai che su questi temi nelle loro redazioni cercano di battagliare e battagliano. Più tardi sentirete due nomi Rai, Riccardo Iacona e Milena Gabanelli. Riccardo Iacona non si offenda per la definizione di nome Rai, è ancora nome Rai anche se il gruppo di lavoro nel quale è stato Riccardo è quello di Sciuscià e sapete tutti che in questo periodo sono costretti a una forzatissima inattività. Milena Gabanelli non verrà, ma permettetemi di citarla lo stesso. "Report" ha nel programma di Milena Gabanelli, nei titoli di coda, quelli che scorrono, 4 parole: "Gli abiti di Milena Gabanelli sono i suoi". Guardate è una battuta, però dice che la logica alla quale tutti ci siamo abituati, per la quale il dio consumo, lo sponsor è un totem intoccabile. Parlerà tra poco Riccardo Iacona, siamo abituati a considerarlo, almeno parlo per me, ma forse non è considerazione così individuale, giornalista militante, il gruppo di Santoro, la politica, la contro informazione. Io di Riccardo Iacona ricordo uno straordinario reportage sulle vacanze degli italiani. Riccardo Iacona che se ne va in Costa Smeralda, i giornalisti sono nati per soffrire, se ne va in Costa Smeralda per parlare per un'ora di quelli che stanno lì a spiare le vacanze dei ricchi. Noi che stiamo all'ingresso delle discoteche aspettando di vedere Alessia Merz, o se non c'è Alessia Merz, la sorella di Alessia Merz.. Questo per dire che anche nel servizio pubblico c'è la possibilità di parlarne, dirò di più senza che nessuno possa dirti: "Cocco hai trasgredito, s'è offeso lo sponsor". Vi inoltro un invito, provate a guardare alla Rai anche con questo criterio, non solo con quello diffusissimo tra i politici, fondato ma parziale, secondo il quale questo Tg ha dedicato più spazio a quella coalizione, o all'altra! E' un criterio fondato, ma ripeto molto riduttivo rispetto alla domanda di senso, che credo sia quella che deve essere posta al servizio pubblico. Questa distorsione della realtà e questo uso del servizio pubblico credo di poter dire non deve preoccupare solo chi ci lavora dentro. Una battuta, me l'ha detta seriamente un collega dirigente Rai, col quale capitava di parlare ieri: "qui se la crisi economica peggiora, sapete che accadrà? Che nel prossimo marzo cambiano - e uno qui si aspetterebbe il ministro dell'economia, no - il presidente dell'Istat". Perché siamo in una fase nella quale la comunicazione sui problemi, il mascherare i dati reali, anche dal punto di vista brutalmente economico, è una tentazione fortissima. Vorrei che avessimo presente questo, quando sentiamo parlare, da cittadini e da operatori dell'informazione che magari non sono direttamente coinvolti con la Rai, di centralità del servizio pubblico, di conflitto d'interessi, di tutto questo mi pare si stia parlando. Tre reti televisive possono produrre senso comune in una direzione o nell'altra. Un soggetto che all'interno della comunicazione dia stimoli "di senso" serve a tutti, non solo a chi sta dentro con la Rai.


* Testo non rivisto dall'autore.