X Redattore Sociale 28-30 novembre 2003

Volo Radente

Il volo radente: parte del Dna dell'informazione

Intervento di Paolo Serventi Longhi

Paolo SERVENTI LONGHI

Paolo SERVENTI LONGHI

Segretario della Federazione nazionale stampa italiana.

 

La rimozione collettiva nel sistema mediatico*

Grazie Vinicio, hai fatto bene a parlare per primo perché qualcuno che poneva le domande ci voleva. Qualcuno che impostasse il ragionamento e cercasse di stimolare poi le risposte. Intanto una risposta immediata a Stefano. Ok la facciamo la presentazione del sito a Roma in federazione, naturalmente siamo mobilitati. Questo è il mio settimo anno con la federazione della stampa che probabilmente lascerò tra qualche mese, probabilmente sarà questa la mia ultima presenza da segretario. Comunque, non mi sento abbastanza vecchio soprattutto per poter dare delle risposte nette e precise, in particolare a voi insomma, giornalisti prevalentemente giovani, ma è importante che facciamo il punto.
Lo facciamo da 10 anni qui a Capodarco e le domande girano sempre intorno alla professione, al mestiere, a che cos'è l'informazione, a come si evolve l'informazione in assoluto e come si cambia, come cambia la vita delle giornaliste e dei giornalisti, la vostra e naturalmente la nostra vita. E che cosa e quali sono i condizionamenti, le pressioni, le cose che pesano su questo mestiere bello, appassionante, straordinario, ma anche estremamente complesso, difficile, delicato. Tra l'altro mi sono portato, quest'anno la carta dei doveri, perché questa benedetta categoria dei giornalisti qualche cosa nelle sue istituzioni rappresentative è riuscita pure a combinare. Leggo i principi fondamentali dei giornalisti dopo di che mi cascano le braccia a sentire Vinicio che pone quelle domande. Guardate ve ne cito proprio 2-3 per non perdere troppo tempo.
Il giornalista deve rispettare e coltivare, difendere il diritto all'informazione di tutti i cittadini. Solo questa affermazione mette in discussione probabilmente l'80% della nostra attività quotidiana. Ricerca e diffonde ogni notizia e informazione che ritenga di pubblico interesse, con rispetto della verità e con la maggiore accuratezza possibile. Basta, io mi fermo. Cosa succede? Succede che un fatto come quello, che una grande emozione che pervade il paese, nasce, si sviluppa, muore e si estingue nell'arco di 4-5 giorni, dopo di che è una vicenda finita, a meno che questa vicenda non divenga di carattere politico, politico-mediatica e oggetto di risse e di polemiche all'interno del palazzo. Le cose più drammatiche di questo paese e non solo questo paese, le guerre, l'evoluzione drammatica negativa del rapporto tra nord e sud del mondo, hanno la stessa sorte.
Questi sono i problemi veri ma di questo ci si dimentica e si opera una continua rimozione collettiva. Una rimozione collettiva che avviene innanzi tutto nel sistema dei media, nel sistema mediatico.

Allora cos'è?

È il sistema dei poteri, le proprietà, le proprietà all'interno di leggi e di regole, le risorse e quindi il mercato. Io penso che il mercato abbia una sua funzione regolatrice nel sistema dei media e senza il mercato, senza i soldi non c'è la possibilità di fare un'informazione a 360°. Credo che pure Vinicio, Stefano, Roberto tutto sommato tutti noi Federica, Filippo, la pensiamo in questo modo. Non è questo il punto.
Il punto è, evidentemente, che il sistema gerarchico, che parte dagli interessi commerciali, la commercializzazione dell'informazione che arriva al tuo capo servizio, è un meccanismo sempre più drogato, sempre più invasivo, pervasivo, bloccato nella sua espressione più libera, nella ricerca ai principi, nella ricerca della notizia e della verità. Sono contento che parlate di Africa. Che cos'è l'Africa? Un serbatoio di uomini neri pronti a invadere l'Europa e l'Italia in particolare, che ogni tanto crepano alle soglie del nostro territorio. Questo è l'Africa, per i media italiani.
Cioè voglio dire. Io non parlo dell'anno del disabile, ne parla Vinicio, è giusto che ne parli lui. O delle discriminazioni, delle emarginazioni, della società dei deboli nella società. Dico che quando occorre costruire la gerarchia delle notizie, vi sono notizie che sono notizie e vi sono notizie che sono veramente notizie che non hanno dignità. Scusate, ho usato 7 volte la parola "notizie", ma questo è.

Il nostro mestiere: raccontare flash e notizie sul tamburo battente

E allora qual è il punto? Che cosa occorre fare? Vinicio ha detto, si è inventato "Volo radente". Tra l'altro qui non c'è un B52, c'è un gabbiano. Meglio il gabbiano che il B52. Io credo di poterla interpretare in questo modo, penso ad un giornalismo che viaggia velocissimo, che non ha la capacità di fermarsi a riflettere, che non ha nemmeno la capacità di capire, che capisce quello che ti vuol far capire, o cerca di farti capire il tuo superiore gerarchico. Penso ad un giornalismo che non riesce a volare alto e a raccontare, a dare una visione più generale, più complessa. Non è che i problemi nascono da soli, dall'oggi al domani. Credo che questo volo radente non sia da demonizzare. Credo che il volo radente faccia parte del nostro DNA di informatori. Io lavoro prestato al sindacato all'Ansa, molti di voi probabilmente lavorano per siti on-line, per radio, per televisioni.
Qui Roberto, i colleghi delle televisioni presenti possono dire che cosa significa come volare alto quando in 45'' devi raccontare un fatto rilevante, importante che ha 100 mila sfaccettature, implicazioni e lo devi fare in quel lasso di tempo.
Non è semplice, non è facile anche dare certi tagli. Però è possibile. Io provo a dare una risposta, non faccio una domanda. È possibile - anche quando si deve fare un volo radente, perché questo è il nostro mestiere, raccontare i flash, la notizia sul tamburo battente - anche avere coscienza, consapevolezza, rifiutare i condizionamenti, opporsi ai condizionamenti, cercare di dire il massimo della verità, il massimo della completezza, rispettando il massimo della correttezza nel dare la notizia. E badate bene che non parlo per niente di politica. Tutto quello che facciamo, ogni cosa che diciamo, ha dei precisi riflessi. E credo che sia questo il problema. Esiste la possibilità di una coscienza collettiva di questa categoria? Questo è il nostro difetto. qui ci siamo noi, c'è il sindacato, non c'è l'ordine. Siamo mai riusciti. Ci abbiamo mai provato a fare un discorso di coscienza collettiva? Secondo me, proprio no. Questo dopo 7 anni di lavoro al sindacato è il mio cruccio più grosso, il fatto che non siamo riusciti a riflettere. Qualcuno di noi, ogni tanto, nelle riunioni che facciamo interviene e dice: ma insomma stiamo volando davvero bassi! Ma perché non facciamo un discorso di ragionamento complessivo su dove stiamo andando, dove ci portano gli strumenti tecnologici, in positivo e in negativo, quali limiti hanno, quali difficoltà e quali bugie talvolta raccontiamo perché le fonti che abbiamo non sono fonti fruibili in maniera corretta per un motivo o per l'altro anche da un punto di vista tecnologico? Ecco, io credo che questo sia un elemento importante.

Una coscienza collettiva dal basso

Noi viviamo in un mondo fatto di cose reali, battaglie sociali. Non parlo di politica ho detto. Non ne parlo, ma dico è giusto, è importante che ci sia un confronto sulle leggi che vengono proposte, sulle cose che accadono nell'informazione, sull'informazione, nella comunicazione e sulla testa della comunicazione, rispetto alle istituzioni, a come si muovono le istituzioni di tutte e due le parti.
Io credo che bisogna che noi ci diamo una regolata. Come dobbiamo fare? Io mi rendo conto - non posso fare prediche di questo genere - che non è possibile pensare che un'ipotesi di riflessione collettiva, rispetto alla propria coscienza, possa avvenire nelle singole realtà e nelle singole strutture redazionali, piccole, medie o grandi che siano, che siano delle televisioni, delle radio e dell'on-line, della carta stampata e dei quotidiani, dei periodici. Non è possibile. Non ci si riesce. Non si riesce a fare un ragionamento che vada al di là dell'interesse immediato collettivo. Non è questo.
Penso davvero che si debba organizzare una Capodarco permanente. Penso che si debba realizzare una sede, un momento, un motivo. Ricordo quando ero più giovane, 15-20 anni fa, che qualche collega fece questo tipo di ragionamenti in un mondo giornalistico molto conformista. guardate che adesso non è che si sta peggio! Anche allora il conformismo era dilagante, in quel conformismo ci furono alcuni che si misero insieme e cominciarono a riflettere sulla professione, su dove stava andando la professione, denunciando anche i casi oscuramento, di censura, di blocco delle notizie, di cose che non si possono e non si debbono raccontare, o si devono raccontare in un modo, oppure in un altro.

"Dio, non ci siamo solo noi"

Questo tavolo di confronto tra media e società che Vanna, Antonella Marrone, altri colleghi e amici dell'associazione "Stampa romana" hanno fatto, credo che sia molto importante. Credo che questo modo di riflettere debba nascere in tutte le città italiane: Roma, Milano, Bologna. Noi, sempre per le cose della società e del mondo delle istituzioni, stiamo organizzando un appuntamento che avrà luogo il 30 di gennaio a Roma. L'abbiamo pomposamente chiamato, non solo noi giornalisti, "Dio, non ci siamo solo noi". Ci stanno tante realtà, tanti sindacati, tante organizzazioni, tante associazioni della società, movimenti, stati generali della comunicazione e della cultura insieme ai rappresentanti della società, dei cittadini, per riflettere su cosa è davvero e fare un po' il punto del sistema della comunicazione. Io credo che in una riunione come questa possa essere lanciata l'ipotesi di un tavolo di riflessione senza bandiere, senza distintivi, senza ideologie.
Lo dice una persona che alle cose che pensa ci crede e le battaglie le fa, anche quelle politiche, in modo da incontrarsi sui valori. Possiamo incontrare lì le comunità di accoglienza, il volontariato, le forze della società, coloro che possono raccontare storie, hanno sulle quali confrontarsi. Io credo che si possa fare; per questo spero che don Vinicio o Stefano ci siano, ci siate molti di voi in quella circostanza.
Penso che a fianco del nostro lavoro, del sindacato, con le associazioni che sono in campo e che si battono per i diritti e le libertà, ci debba essere anche una profonda riflessione per dare risposte precise alle domande che fa Vinicio e anche per darle tutti i giorni su fatti, eventi e situazioni che ci coinvolgono.
C'è un'associazione in Europa che si chiama "Reporters sans frontiéres", che forse abbiamo un po' sottovalutato come istituzioni italiane, che fa dei rapporti stupendi sul sistema della comunicazione in Europa e nel mondo. Io credo che dovremmo riuscire a fare qualche rapporto, qualche riflessione anche collettiva e credo che in questo modo, magari con un punto di riferimento esterno, sarà anche più facile fare queste riflessioni magari in qualche assemblea redazionale, in momenti di aggregazione. E' una coscienza collettiva dal basso nelle redazioni, nei posti di lavoro e forse così magari ciascuno di voi, ciascuno di noi, ciascun collega si sentirà anche più forte, più determinato, più sostenuto nel porre alle proprie strutture gerarchiche il problema di un'informazione più vera e corretta e talvolta anche a imporre un'informazione più vera e corretta di quella che spessissimo, senza generalizzare naturalmente, talvolta si fa. Questo è quello che penso.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.