XI Redattore Sociale 26-28 novembre 2004

Nascondigli

L'informazione ai tempi della metereologia

Incontro con Giancarlo Santalmassi. Conducono Marino Sinibaldi e Angelo Agostini

Giancarlo SANTALMASSI

Giancarlo SANTALMASSI

Giornalista (Roma 1941). Entra alla Rai nel 1961 dove per primo, dopo la nomina a caposervizio, propone una conduzione di Tg all'americana. La mattina del 16 marzo 1978 è lui a dare il primo annuncio in televisione (edizione straordinaria del TG2, ore 10:01:30) della notizia del rapimento di Aldo Moro e dell'annientamento della sua scorta ad opera delle Brigate Rosse, caso che viene da lui seguito giorno per giorno fino al ritrovamento (9 maggio) del cadavere dello statista. Descrive poi, tra l’altro, l'attentato a papa Giovanni Paolo II (13 maggio 1981) e la tragedia di Vermicino (11-14 giugno 1981), seguita per tre giorni in diretta televisiva dall'intero Paese. Nel 1994 è nominato vicedirettore dei Gr Rai e nel 1998 direttore di Radio Rai. Nel 1999 passa a Radio 24, da cui viene allontanato nel 2003 in seguito a un’intervista a Francesco Cossiga in cui si esprimevano critiche al presidente di Confidustria D’Amato, ma di cui diventa direttore dall'ottobre 2005 all’ottobre 2008. (www.santalmassiaschienadritta.it).

ultimo aggiornamento 19 novembre 2015

Marino SINIBALDI

Marino SINIBALDI

Direttore di Rai Radio Tre, dove ha lavorato per molti anni inventando e conducendo, tra l’altro, la trasmissione “Fahrenheit”. Dalla prima metà degli anni 1980 collabora in veste di autore e conduttore a programmi culturali radiotelevisivi della Rai. Dal 2014 al 2017 è stato Presidente del Teatro di Roma. È tra i fondatori della rivista "Linea d'ombra"; è autore di saggi di storia e di critica letteraria, collabora con quotidiani e periodici. Ha pubblicato nel 2014 per Laterza il libro “Un millimetro in là. Intervista sulla cultura” (a cura di Giorgio Zanchini). 

ultimo aggiornamento 10 ottobre 2018

Angelo AGOSTINI

Angelo AGOSTINI

Giornalista, è docente e coordinatore del Master in giornalismo Università Iulm di Milano, dove ha coordinato il progetto multimediale Terre Liberate (www.terreliberate.it).

ultimo aggiornamento 28 aprile 2011

Giancarlo Santalmassi*

Tanto per esser chiari ho 63 anni, sono stato 40 anni in Rai, ne sono uscito con la gestione Celli-Zaccaria, ho fondato Radio 24, sono felicemente in pensione. Insegno in tre università Teoria e Tecnica del Linguaggio Radiotelevisivo, ho seri dubbi se continuare visto che ho tra i colleghi Alda Deusanio e Francesco Giorgino.

Prima cercavo un nascondiglio in genere sotto il tappeto, guardavo dov'era una notizia perché in genere le notizie vengono nascoste. Mi hanno detto che c'è un fuoco incrociato. Sparate!

Marino Sinibaldi*

Nell'attuale modello dell'informazione ci sono spazi? Perché il problema è solo questo.

Giancarlo Santalmassi*

No, spazi non ce ne sono. Ovvero gli spazi ci sono sempre, sono quelli che ti affidano. Dopo di che ad ognuno di noi sta ad avere il nervo o meno, la capacità o meno, la cultura o meno, di usare quello spazio piccolo o grande che sia.

Marino Sinibaldi*

Non sono del tutto d'accordo Giancarlo, nel senso che l'esaurimento di un modello di narrazione stereotipata della realtà è abbastanza avvertito.

Giancarlo Santalmassi*

Oggi l'editoria comunque costa cara, comanda chi ha i soldi e dipende esclusivamente dalla illuminazione o meno di chi è editore, darti degli spazi che tu puoi riempire con la libertà che ti lasciano, o che sei capace di prenderti. Non c'è altro.
Voi avete riso prima sul fatto che io non avendo interrotto una persona ho perso il posto a Radio 24, cosa di cui non mi pento; secondo me se news non lo fa la radio pubblica non capisco chi la possa fare.
Allora, 2 anni fa ammazzano il professor Biagi, il delitto avviene lo so, alle 9 di sera pressappoco, quindi pur essendo fuori dai circuiti informativi abbastanza rapidamente, naturalmente la prima cosa che faccio è buttare a mare il programma che avevo il giorno dopo; all'epoca facevo due programmi, uno la mattina che si chiamava "Viva voce", l'altro la sera, due programmi diametralmente opposti, anche se poi la base era comune, la sostanza che io volevo comunicare era la stessa, la forma era diversa, perché sono orari diversi, target diversi, atteggiamenti all'ascolto diversi.
Era martedì sera quando hanno ucciso Biagi, allora decido che il mercoledì, giovedì e venerdì avrei fatto 3 puntate a "Viva voce", sul suo assassinio.
Il primo giorno intervisto Pietro Ichino, un altro professore collega di Marco Biagi, che ha lavorato al progetto di riforma dell'art.18; il giovedì mattina intervisto il ministro Maroni per il quale Marco Biagi e gli altri lavoravano. Mi sarebbe piaciuto finire con un discorso di analisi sulle Brigate Rosse, dopo tanti anni ancora avevano spezzoni che segnavano la vita di questo paese a cadenza quasi regolare, ogni 5-6 anni un morto, dal prof. di Forlì Ruffilli, il costituzionalista, a Sergio D'Antona, Marco Biagi, ecc., e ho chiamato quello che era il più grande, il più forte esperto di Brigate Rosse ossia Francesco Cossiga.
Francesco Cossiga viene, la trasmissione va in onda dalle 9 alle 10, aveva appena fatto un intervento bellissimo sulla distinzione fra le Brigate Rosse eversive e quelle sovversive, una cosa abbastanza sottile ma che lui spiegò molto bene.
A un certo punto faccio la domanda: perché questi uccidono sempre quelli che fanno le riforme? I cosiddetti riformisti sono sempre nel mirino? Lui fece un discorso all'interno del quale usò 35 secondi per dire: non mi faccia dir nulla a questo proposito della rozzezza dell'attuale dirigenza degli industriali italiani, per la pesantezza e la volgarità con cui pongono la questione della riforma dell'art. 18. Io non è che sto altrove e non sento, ma sono le 9.34 e conosco Cossiga. Faccio in una frazione di secondo due ragionamenti: se io lo interrompo per dargli su la voce, Cossiga prende d'aceto e demolisce il presidente di Confindustria D'Amato da qui fino alle 10 con argomenti inoppugnabili, perché Francesco Cossiga è un uomo colto, è uno dei pochi che parla 4 lingue, che legge i libri in tedesco, in inglese e in francese, frequenta come sapete la regione Basca, frequenta Barcellona, e sa molto bene argomentare.
Poi gli faccio notare che è scortese venire in casa della radio della Confindustria per prendere a schiaffi il presidente della medesima. Non ha continuato, è finita lì. Sono bastati questi 27 secondi perché D'Amato desse disposizione che Santalmassi doveva essere fatto fuori. La notizia più bella che ho letto l'altro ieri e che non l'hanno eletto nemmeno del circolo velico del suo paese.

Angelo Agostini*

Siccome è la prima volta che tu vieni, volevo farti una domanda sul paradosso di Capodarco, che mi sembra abbastanza evidente.
Il paradosso è questo: se tutto nel sistema dell'informazione funziona come amiamo raccontarci, perché siamo così tanti?

Giancarlo Santalmassi*

Ma perché non vige il pensiero unico in questo paese. Ecco qualcuno sta cercando di provarci e non ci riesce perché in realtà poi è superiore la sovrastruttura che qualcuno cerca di mettere sopra come un coperchio. Però io voglio leggere domani quanti pezzi escono su questa storia di Capodarco, dove escono, come sono scritti. Questo per dire: troverai i pezzi sui telegiornali? Troverai i pezzi sui giornali di più larga diffusione? Io non credo. Siamo interstiziali, siamo tanti ma interstiziali, perché la virtualità è una bella riflessione, la virtualità è una bellissima astrazione e concetto, la realtà però è un'altra cosa. Quindi siamo tanti, ma dovremo lottare coi denti per diventare maggioranza, adesso siamo minoranza.

Angelo Agostini*

Scusa, ricordandomi che lo scarto di voti alle ultime elezioni politiche è stato di 300 mila, tu sei davvero sicuro che tutto questo sia virtuale?
Presta e Dose che sembra facciano sciocchezze la mattina su Rai2, ma li avete sentiti sulle tasse? Ma Solibello e Cirri, al pomeriggio, sempre su Rai2, li avete sentiti? Avete presente quanti milioni di copie di libri sono stati venduti dai giornali nel 2003? Sono 60 milioni. 60 milioni di libri venduti in più in un paese nel quale 6 persone su 10 non leggono neppure un libro all'anno, che effetto hanno secondo te?

Giancarlo Santalmassi*

Effetto 0 e ti spiego il perché.
Nel 1961 nascono i prodromi di Tribuna Politica, non potete ricordarlo naturalmente, era un bel tavolo impero, c'erano due poltrone davanti, una sedia coi braccioli da questa parte, le telecamere lì e alle spalle c'era una bellissima libreria.
Adesso non dico tanto il tavolo impero, ma insomma quella bella aria rassicurante che c'era che fine ha fatto? Ah tu vuoi dire per esempio la biblioteca? Ma quella era finta! Adesso grazie alla politica dei giornali che ti vendono a poche lire, quella biblioteca da cartone così è diventato un cartone con le pagine in mezzo: pensi che sia cambiato questo? È un passo avanti dici tu: quel passo avanti lo voglio vedere non quando l'Isola dei Famosi fa 12 milioni, ma ne fa 1 e forse nessuno, ma quando si capirà che il conflitto d'interessi è una cosa seria, sulla quale un paese moderno non può sorvolare.
E' molto semplice, dico: io conosco il maligno, so chi sono i proprietari di Rete Globo, uno dei più importanti network televisivi del mondo, so benissimo che loro scelgono il candidato alla presidenza del Brasile da appoggiare, lo appoggiano, qualche volta gli riesce persino di farlo eleggere e non è maligno, però è il presidente del Brasile. Questo ci pone al di sotto di qualunque democrazia perfino apparente, perché non c'è paese al mondo dove la stessa persona controlla direttamente perché ne è proprietario, indirettamente perché ci mette le teste di legno suoi amici, tutti, tanti mezzi di comunicazione di massa, ed è perfino il capo del partito di maggioranza e capo del governo. Non esiste un paese al mondo. Questo fino a poco tempo fa, adesso non so se in Cambogia o da quelle parti c'è un generale.
Allora quando il paese sarà reattivo e sensibile su queste cose allora dico che quei libri sono serviti, finché non lo vedo non ci credo.

Marino Sinibaldi*

Quando Berlusconi dice che l'85% della stampa è contro di lui, secondo voi ha ragione o torto?

Giancarlo Santalmassi*

Ha ragione.

Marino Sinibaldi*

Come ha ragione Giancarlo? Magari non l'85%, ma comunque Berlusconi non è riuscito a conquistare la stampa.

Giancarlo Santalmassi*

Poi non so se non è riuscito a conquistarla: l'avete letta l'ultima relazione del presidente dell'antitrust Tesauro? Stiamo assistendo ad una progressiva messa in crisi del ruolo delle istituzioni di questo paese.
Io non sono stato mai ricattabile, uso una parola chiara, ma dovrei dire pressabile, non hanno mai avuto pressione su me le frasi come quelle: guarda che tu stai guadagnando più degli altri io te lo tolgo; perché non ce l'avevo quel più degli altri e rivendico questo tipo di prezzo se il corrispettivo è la mia autonomia e la mia libertà di giudizio e di professione, naturalmente meditata, responsabile, non irresponsabile.
La speranza è questa. Non è vero che siamo perdenti, si tratta di capire come ha fatto a vincere Berlusconi. Io adesso non vorrei farla tanto lunga, noiosa, perché le costituenti mi stanno bene, la società civile pure, anche se ogni volta che viene nominata dice: ma perché io che so? Io Giancarlo Santalmassi, che sono una società incivile? Un altro da sé, da voi, da loro? Io non mi sento così. La domanda a cui io cerco di rispondere ma da parecchio tempo è come si costruisce una sinistra di governo.
Vogliamo capire perché ha vinto Berlusconi? Berlusconi è un incidente di questo paese? Berlusconi è un'anomalia? Ma state scherzando? Berlusconi è l'interprete perfetto dell'italiano medio. Quando morì Alberto Sordi io dissi: è morto l'interprete perfetto dell'italiano medio. Io ricordo un'intervista che fece Alberto Sordi tanti anni fa che era esemplare. Stavamo con le gambe accavallate, erano interviste fatte non al tavolo del telegiornale, ma seduti su due poltrone e lui mi raccontava che a un certo punto della sua storia professionale, cinematografica, gli era capitato di avviare un progetto cinematografico nel quale gli si promettevano mari e monti, grandi registi, grandi attrezzature, ecc., c'aveva le gambe accavallate e ho potuto vedere la suola delle scarpe e c'era un buco, ho capito tutto.
Berlusconi è perfettamente l'italiano medio, non ne è l'interprete, lo è perfettamente, cioè è un po' bugiardo, è un po' evasore, è un po' geniale, un po' fortunato, un po' ricco; un po' non è altro da noi. Finché noi considereremo Berlusconi un'anomalia non lo batteremo mai. E' vero che ha l'85% della stampa contro, però è irrilevante.

Marino Sinibaldi*

Posso aggiungere una cosa? In Rai non c'è stato trasformismo, non c'è stato da quando Berlusconi è andato al governo. La frana trasformista che in genere contraddistingue gli intellettuali italiani, in primo luogo i giornalisti che sono gli intellettuali più facili a comprarsi non c'è stata.

Giancarlo Santalmassi*

Che vuol dire? Non ho capito, dovrei dire che il tg1 è un telegiornale di opposizione? Mi vuoi dire che Mentana è stato un eroe per 13 anni?

Marino Sinibaldi*

No, però non c'è stato quello ci aspettavamo, cioè il salire sul carro del vincitore.

Giancarlo Santalmassi*

Io la penso in modo quasi diametralmente opposto.
Marino Sinibaldi - Berlusconi non è capace di egemonia culturale ma è l'uomo più ricco d'Italia come ricordava qualcuno contestandogli la definizione d'italiano medio.

Giancarlo Santalmassi*

Ci sono giornali che fanno i titoli anti berlusconiani, ma non contano perché come sapete si legge quanto nel 1956, per qualcuno anche come nel 1945 e spesso sono dei giornali che parlano per iniziati, cioè si parlano fra loro.
Ci sono delle voci fuori dal coro o che tentano di esserlo; per esempio il Corriere della Sera che è il giornale che tenta di essere più equilibrato, lo fa a certi costi e a certi prezzi. Per un articolo di Ferruccio De Bortoli, tanto per parlare del precedente direttore, poi ti devi subire 4 articoli di Ernesto Galli della Loggia, di Panebianco, di Pietro Stellino, ecc., è così.
Un altro giornale come Repubblica è un giornale che ha ammazzato Paese Sera, l'Unità, ecc., perché è un giornale schierato con un partito, è un giornale di partito. Allora tutto questo conta poco, purtroppo, quello che conta è quella mini dose quotidiana che in maniera subliminale tu assorbi dai grandi mezzi di comunicazione di massa.
Quando nel 1994 l'Ulivo mi chiese: Santalmassi facciamo bene a batterci contro il conflitto d'interessi? Ed io dissi: Perbacco! Gigante come una casa! Però dissi loro che lo usavano in modo sbagliato; se voi dite che Berlusconi ha vinto in 3 mesi perché aveva 3 reti, state completamente fuori strada. Berlusconi ha vinto perché per 10 anni con le sue televisioni ha picchettato uno strato socio-antropologico-culturale di questo paese. Questa idea che io ho dal 1993 l'ha sfiorata Gad Lerner la sera che fece la famosa puntata dell'Infedele sul decennale di Forza Italia, quando semplicemente esordì dicendo: per la verità si dovrebbe parlare del ventennale della discesa in campo di Berlusconi, perché politica l'ha cominciata a fare quando cominciò a fare televisione. Benissimo. E allora io ho detto alla sinistra: Berlusconi ha vinto perché per 10 anni ha picchettato questo strato socio-antropolologico-culturale del paese dandogli un modo di parlare, un modo di vestire, un modo ridere perfino. I vostri figli non sono cresciuti con le battute di Drive In? Non gli avete mai sentito dire paninario spitinzio? E quando ha deciso di scendere in politica il partito era bello e pronto, lo strato socio-antropoligico-culturale è diventato ceto elettorale. Piuttosto perché voi quando è nata la Fininvest non avete provato a elaborare un progetto alternativo e concorrenziale di rappresentazione della società? Questo gli ho detto della televisione e spero che l'abbiano capito, perché la televisione è una rappresentazione della società, perché non l'avete fatto? La sinistra ha pesato in Rai e quanto ha pesato, ma che cosa ha fatto? Io quand'ero al Tg2 ho fatto fatica ed ero in minoranza.
La Rai è un'azienda che solo nel 1968 ha fatto un corso per radiotelecronisti.
La diretta è l'unica cosa ormai che ci distingue, perché l'azienda non la coltiva?
Finché si definirà Berlusconi "l'anomalia" noi non riusciremo a batterlo, perché il nemico per batterlo bisogna capirlo, se non lo capisci non riesci a batterlo.

Stefano Trasatti*

Chiedo un commento a Santalmassi e anche ad Agostini che è uno storico del giornalismo. Il titolo del dibattito è "L'informazione ai tempi della meteorologia", cioè il paradosso che nei telegiornali ha fatto irruzione la meteorologia e in un programma di meteorologia ha fatto irruzione l'attualità.

Giancarlo Santalmassi*

Tu alludi al fatto che quando il pubblico ministero ha chiesto 8 anni per il presidente del consiglio il Tg5 di Mentana ha aperto col maltempo?

Stefano Trasatti*

Esattamente, però questa è una tendenza che non è cominciata con Berlusconi e soprattutto non interessa solo la televisione. È una narcosi e il perché ci sia tutto questo tempo lo sappiamo non va spiegato, è una narcosi che da molto tempo si è autoimposta nell'informazione televisiva e anche stampata.
Renata Ferri di Contrasto qualche mese fa ci ha spiegato che i giornali, i settimanali non commissionano più, non chiedono più, non vogliono più fotografie problematiche, vogliono fotografie esotiche, spensierate e quindi è una narcosi appunto, riprendendo quello che dicevi tu sul fenomeno Berlusconi, insomma, che è cominciata da tempo.
Quindi su questo vorrei un commento da Agostini.
Poi altra domanda, non vorrei rigirarti il coltello nella piaga: noi qui abbiamo parlato fin dall'inizio di ascolto, le regole dell'ascolto. C'erano quelle della Sclavi che sono irraggiungibili, sono una meta, poi c'è stato il tuo zapping.
Tu applicavi delle regole dell'ascolto. Con Cossiga l'hai fatto. Vorrei dicessi qualche regola sull'ascolto alla radio quando si fa la diretta.

Angelo Agostini*

Questo seminario ha a che fare con il sociale, ha a che fare con la domanda che posto ha il sociale, i temi legati al sociale nell'informazione? Nel dibattito che si è avviato adesso mi pare che ci si sia spostati di più sulla questione politica, sul dato politico. Sono due aspetti diversi credo interconnessi e il punto di connessione sta non tanto nel dato politico che Berlusconi è al governo, quanto nel dato culturale a cui faceva riferimento Santalmassi, che Berlusconi e la sua azienda da 20 anni creano l'immaginario culturale di questo paese.
Ecco la mia domanda: in che termini questo modello culturale creato da questa televisione, non in 5 anni, in 4 anni di governo, ma in 20 anni di cultura, interferiscono, che ruolo hanno nel fatto che il giornalismo si nasconde dentro nascondigli, non tanto in questioni politiche, ma in riferimento ai temi sociali di cui abbiamo parlato in questi giorni?

E poi volevo fare un'osservazione: quando Santalmassi chiede domani quanti articoli su questa cosa usciranno, ha ragione, è vero, per cui possiamo anche essere tanti, ma siamo tanti che, scusatemi, non contano nulla.

Giancarlo Santalmassi*

Però votano e questa è una speranza.

Angelo Agostini*

A me è capitato in sorte da 15 anni di dirigere scuole di giornalismo. Io ti assicuro che nel 1989, proporre in una scuola di giornalismo di andare a partecipare per 3 giorni a un seminario di formazione sui temi del sociale, se non ti arrivava uno sputo in un occhio, ti arrivava un cazzotto sul naso. È qualche anno che vengo qui e vedo sistematicamente e per fortuna, ragazzi giovani, che poi magari si fanno crescere il pelo sullo stomaco, che poi devono fare tutto quello che devono fare per cercare lavoro evidentemente, perché bisogna mangiare, ma ai quali qualche cosa nella testa gira e per grazia di Dio, non c'è più la solita compagnia di giro che 15 anni fa era sempre quella, 25 persone che da Torino a Capodarco, a Firenze, a Fiesole, si trovavano sempre quelli.
Io sono perfettamente d'accordo con Santalmassi, Berlusconi non è un'anomalia. Dal punto di vista culturale, non me ne frega niente del punto di vista politico. Dal punto di vista culturale non è un'anomalia perché è vero è sceso in campo da 20 anni e sono perfettamente d'accordo con lui quando dice che il problema dell'informazione in questo paese, è che la sinistra non si è comportata diversamente dalla destra. Accettiamo scommesse? Se per grazia di Dio nel 2006 o nel 2005 vince l'Ulivo Enrico Mentana va a dirigere il Tg1 e siamo a capo a prima, perché questo è il punto.
Non è vero che 60 milioni di libri non valgono niente, non è vero che decine di migliaia di copie delle riviste di studi geopolitici non valgono niente, non è vero che si leggono pochi giornali in Italia, accidenti. Avete idea di quanti Dvd si vendano oggi in Italia? Quali sono gli ascolti delle televisioni satellitari? Perché il campione dell'auditel non tiene conto delle televisioni satellitari?
Non siamo ancora stati capaci di usare un metro nuovo per parlare di media e d'informazione in Italia. Perché non siamo stati ancora capaci di comprendere che accanto all'italiano medio c'è un altro italiano e questo italiano ha una sfiga colossale perché a differenza dell'altro non ha trovato una voce politica.

Giancarlo Santalmassi*

Naturalmente Angelo ha ragione.
La crisi grossa di questo paese oggi è che ha azzerato la sua classe dirigente. La classe dirigente non si ricrea come si accende la luce o girando l'interruttore in una frazione di secondo, ci vuole forse un paio di generazioni. Allora è vero che i lettori sono diventati 18 milioni, ma questo però vale anche per i giapponesi, gli americani e gli inglesi, attenzione allora.

Voglio rispondere a Stefano Trasatti, sul perché tanta politica della meteorologia: è una storia vecchia, i telegiornali alla Rai hanno sempre avuto la massima attenzione da parte della commissione parlamentare di vigilanza, per lo meno dagli anni 60-70. Allora, di fronte alle polemiche si arrivò ad ospitare i politici nei programmi. È molto semplice, è per questo che nasce la storia della politica trapiantata nei programmi, dove naturalmente c'è anche di peggio, se posso dire.
Ho sempre detto ai miei studenti che la tentazione più forte da resistere è quella di cavalcare la telecamera, cioè impugnarla come un'arma, che è un'arma tremenda, ho sempre pensato come Pasolini che il rapporto uomo che sta in televisione e ascoltatore, è un rapporto profondamente antidemocratico, perché chi sta nel video sta sempre ex cattedra e chi sta giù sta sempre a sentire quello che dice unidirezionalmente quell'altro. E quando il mezzo interattivo per eccellenza se pure in un modo semplice come la radio col telefono, ti permette invece di essere più democratico, e bè devi usarla questa democrazia e devi stare a sentire, con un limite soltanto. Se ti accorgi che quello è un cretino che spara cavolate, togligli la parola immediatamente, perché la sta sottraendo a gente che può intervenire molto e molto più utilmente. Naturalmente per fare questa diagnosi così rapidamente puoi correre dei rischi, ma sicuramente devi avere una grande, grandissima esperienza.
Il sociale nell'informazione non c'è.
Cosa sta accadendo nelle menti degli italiani? Come mai ho l'impressione che lo stordimento, se non addirittura una leggera forma di demenza stia soffiando come scirocco in troppi cervelli di giovani e meno giovani? Quali sono le cause, se ce ne sono, di questo torpore? Avevo raccontato un mese fa la mia crescente ansia di fronte al silenzio dei miei studenti che sembrano non saper più ragionare. In tanti hanno risposto, mi sono arrivate lettere anche dai ragazzi. Capisco che è difficile indicare un unico responsabile, un sicuro colpevole, ma una piccola idea del perché accada tutto questo io me la sono fatta e ve la propongo. La causa di questo che sta accadendo sta nel voler sostituire alla semplicità il concetto di facilità. La complessità sociale, secondo alcune teorie, vuol dire che c'è una stretta interrelazione nella nostra società intesa globalmente, quella proprio della terra; se voi andate a pizzicare nell'angolo più lontano, a vista, vedete che c'è una deformazione immediata subito lì intorno, ma se impugnate la lente e andate a cercare nell'angolo opposto, vedete che quella deformazione si ripercuote fino a lì.
E se questa cornice diventa un parallelepipedo, cioè un solido e alle due misure dello spazio aggiungete la terza che è quella del tempo, capite perché nella nuova Caledonia dopo secoli di certe cose improvvisamente devono intervenire le truppe, per cose che a stento si leggono perfino sui libri di storia. La semplificazione non è una cosa semplice, se posso permettermi il bisticcio con la radice unica della parola. La semplificazione è un processo estremamente sfaccettato e articolato, perché porta comunque alla risoluzione di una complessità. Qui la televisione ha dei grandi problemi. Attenzione la televisione non crea fenomeni, ma li accelera spaventosamente. I giovani preferiscono la facilità e la facilità è una scorciatoia. Se devo tradurre e fare un esempio è il corso di veline indetto dalla regione Campania che è una bella scorciatoia. Meglio fare le veline che dà visibilità, successo e denaro in poco tempo piuttosto che prendersi una laurea per come la si prende in questo paese. E' più facile diventare laureati che diventare veline, non c'è alcun dubbio; non voglio imbarazzarvi chiedendovi quante veline ci sono in sala, però quanti laureati ci stanno?

Intervento

Nel mio piccolo mondo della Rai di Puglia è successo due anni fa che l'allora vice capo redattore Federico Pirlo sia stato rimosso e fini lì ci sta perché dopo 5 anni va bene, ma non che vada in una stanza al settimo piano a esser pagato per non fare nulla.
Io vi dico che di colpo quella è diventata una redazione tutt'altro che di sinistra. Siamo rimasti in 7 a resistere pagandolo sulla nostra pelle.La nostra fortuna è che possiamo farlo in quanto assunti. Il problema che mi pongo è questa assuefazione di una certa parte di giovani, di giornalisti. Non s'indignano più, non riescono più a indignarsi. La politica non può essere affidata ai contrattualmente deboli.
Quello che veramente mi preoccupa per il futuro, anche quando sarà passato Berlusconi, perché Berlusconi passa, è che ormai questa gente qui è assuefatta a una certa idea, ormai ha assunto un modo di ragionare, non dico proprio alla Berlusconi, ma quasi. Oltretutto, diceva bene Santalmassi, la sinistra sta dando delle prove tragiche. Quando parlo da privato cittadino coi sindacati, che si indignano per tante piccole cose giustissime, sento il dovere di chiedere: "Come potete non dire una parola voi su quello che succede in Rai?"

Vinicio Albanesi*

Quando si diceva Berlusconi sì, Berlusconi no, io riflettevo che il processo di cambiamento è più profondo di quanto immaginiamo. Questa analisi l'ho letta da un monaco camaldolese il quale dice che in fondo la differenza rispetto soprattutto alle nostre generazioni si basa su 3 elementi.
Il primo è l'attenzione al proprio sé o al proprio io; il secondo è la materializzazione e il terzo è la globalizzazione dei mezzi, cioè l'habitat che è diventato generale, mondiale.
Che succede in questo processo? Succede che tutti i valori da cui deriva poi la comunicazione in realtà saltano. Saltano perché se il centro dell'universo è il mio ombelico, non c'è altro.
Secondo, materializzando, cioè facendola diventare economica. Terzo, allargandolo a tutto l'universo in realtà noi abbiamo perso le radici dell'occidente. Perché faccio questa riflessione? Non tanto sul versante antropologico di cui non ho competenze, ma sul versante ad esempio religioso. La marginalità del cristianesimo, i ritorni diciamo magici, la personalizzazione della propria fede, sono tutti elementi che hanno le radici su questi 3 piedi attraverso le quali la cultura dell'occidente emerge.
Io non vedo "L'Isola dei Famosi" o "Il Grande Fratello" e mi chiedo: ma perché 12 milioni di italiani invece sì? Non possono essere 12 milioni di imbecilli. Allora uno si chiede perché? Ma perché l'attenzione è su questo io che deve star bene.
In alcuni momenti ho questa sensazione, cioè che questa civiltà sta scomparendo. Sta scomparendo perché sta mangiando sé stessa, cioè non ha più ideali. Dall'altra parte c'è la speranza che dice che è una fase. Che terminerà. Quando? Con una grande carestia.

Giancarlo Santalmassi*

Quante volte avete sentito parlare della centralità del servizio pubblico? Si dice sempre che il servizio pubblico è centrale. Quando si dice che il servizio pubblico è centrale si intende innanzi tutto che è democristiano, cioè sta al centro dello schieramento politico ed ha un suo equilibrio, cioè tener conto di tutto, dall'estrema sinistra, la sinistra un pochino meno estrema, più moderata, fino all'altra ecc.. Si parla in termini soltanto di politica.
Mi sono battuto fino alla morte perché il senso di centralità del servizio pubblico fosse inteso nel senso più compiuto possibile. Quando dico centralità del servizio pubblico, intendo centralità sociale, di cui la politica è un pezzetto. La Rai non può permettersi d'ignorare chi è meno colto, chi è meno ricco, chi è meno sano, perché fanno parte della società, sono nostri fratelli, esistono e se la Rai non ne parla rischiano di non esistere . Quando intendo che la Rai, la sinistra non ha elaborato, ecc., tutto questo nasce a partire dal 1980 quando nasce la Fininvest e la Rai non vive più di solo canone, non l'ha mai fatto; s'insegue l'altro cespite e cioè la pubblicità e questo la rende identica, non distinguibile dalla televisione commerciale.
Ho vinto il premio per il giornalismo radiofonico De Benedetti, me l'hanno dato a Lucca ma mi sono quasi pentito. Telefonai per sapere chi avesse vinto quello per la televisione, perché se mi avessero fatto il nome della D'Eusanio, non avrei accettato. Mi dissero che aveva vinto il collega che fa Terra per il Tg5, Capuozzo. Mi sembrava così una cosa seria. Però i premi sono 3, radiofonico, televisivo e quello della carta stampata. Cari amici, va a capire che nella terra di Lucca che ha dato i natali a Enrico Benedetti fondatore con Pannunzio del Mondo, fondatore mitico dell'Espresso, ecc., l'insidia che io paventavo si annidava nel premio per la carta stampata. Sono arrivato ed avrei voluto sprofondare: per la carta stampata vince Silvana Giacobini, la direttrice di "Chi". Me ne sono andato e non perché sono snob.

Intervento

Riparto da una frase di Vinicio: più la crisi è profonda e più dobbiamo sognare alto. Sognare, non illuderci. Io lavoro al Tg2. Il Tg2 non è più il tuo Tg2. Il Tg2 secondo me è il telegiornale che in questo processo di mutamento culturale è stato il primo che si è trasformato nel nuovo modello berlusconiano, che ha cambiato pelle, ha rinunciato a fare informazione, si è riempito di non notizie, dal meteo al nulla, il nulla veramente raccontato. È un telegiornale che ha dato l'avvio al racconto di un'Italia che non esiste. Noi raccontiamo un'Italia che non c'è, fatta di gente felice, gente consumista, gente che poi non incontriamo generalmente per strada. Sono una di quelle che crede nel servizio pubblico, che crede debba rimanere il servizio pubblico informativo.
Passo al sogno. Credo che nonostante tutto, anche in questi contesti molto difficili dell'informazione, si deve sfruttare tutto, si devono sfruttare le crepe: bisogna insinuarsi nelle crepe. Anche in un contesto che non ci piace, in un contesto informativo devastante, come credo che sia anche questo servizio, bisogna continuare a provarci. E le crepe si trovano ogni tanto e allora bisogna inserirsi e magari da una crepa ne nasce un'altra di crepa e ben venga.
La terza cosa attorno a un tema mi sta a cuore: gli stereotipi e come rompere gli stereotipi. L'impressione che ho avuto in questi giorni è che rompere lo stereotipo è molto difficile, perché per romperlo bisogna abbassare la voce, non appiattire, ma abbassare molto la voce. Bisogna abbassare la voce e ascoltare, astenersi dall'esagerazione.
Rompere gli stereotipi è difficile, perché gli stereotipi sono semplici, sono molto chiari, sono molto facili, la realtà è molto complessa, molto incasinata, molto difficile.
Quello del giornalista sociale è un mestiere difficile non solo perché adesso siamo in minoranza ma perché richiede un lavoro e un'attenzione e una capacità di racconto e soprattutto chiede di superare la caratteristica del giornalista che è la pigrizia; non si può essere pigri.

Intervento

Sono 15 anni che lavoro come redattrice ordinaria in un quotidiano, l'Adige di Trento. Vorrei parlare male dei giornalisti nel senso che secondo me c'è stata una rinuncia progressiva, a fare questo mestiere in maniera cosciente, nel senso di andare al di là di quella che è l'informazione istituzionale. C'è sempre più fretta di confezionare il prodotto, almeno il prodotto quotidiano e c'è sempre più carico di lavoro, e pochissimo tempo per andare al di là di quella che è la fonte ufficiale per scoprire che cosa c'è dietro. Qui siamo 230 persone circa, la maggior parte è senza lavoro, probabilmente è precaria o freelance, forse più per necessità che per scelta.Vorrei chiedere da questo punto di vista ad Angelo Agostini se nella scuola di giornalismo dove lavora insegna questa prospettiva di cercare di sfruttare sempre di più gli interstizi che che si vengono a creare.

Intervento

Ho dalla mia un osservatorio che è fatto di 11 anni di seminari a Capodarco, ma ecco, questo è il dato più importante, dal contatto continuo ogni anno con decine di volti nuovi, di visi nuovi e di gente che viene qui. Cosa esce domani di Capodarco? Può darsi che non esca niente, qualcosa uscirà sui giornali locali, ma l'importante non è quello che esce secondo me di Capodarco, l'importante è che si faccia. La funzione di questo seminario è costruire una rete di contatti, contribuire a far crescere un tessuto ed entrare dentro le redazioni.

Angelo Agostini*

Non è detto, Santalmassi a parte, che un bravo giornalista sia anche un bravo maestro di giornalismo, primo.
Un buon 60% delle nuove leve professionali esce dalle scuole, il che significa che secondo me ci si deve occupare della formazione dentro le scuole. E allora, se esiste un quadro nazionale dettato dall'ordine degli insegnamenti, non è soltanto mettendo dentro una materia di giornalismo sociale, è anche stando attenti, oltre che alla qualità degli insegnanti, al modo in cui insegnano, a quali prodotti realizzano, ai rapporti che si creano tra le varie scuole. Io ho proposto la patente per i maestri di giornalismo, sono stato massacrato.

Giancarlo Santalmassi*

Il coraggio, l'autonomia dei giornalisti è come il coraggio di don Abbondio: se uno non ce l'ha nessuno glielo può dare, primo. Non glielo dà la costituzione, non glielo dà il contratto nazionale di lavoro, non glielo dà la tessera di giornalista, non glielo dà la federazione nazionale dei giornalisti italiani, su questo potete contarci sempre. Ovviamente la carne è debole, si tiene famiglia e quindi è sempre una lotta sul filo del compromesso, non fatevi illusioni. I direttori sono sempre stati scelti dagli editori, il problema è la scadenza, lo scadimento scusate, della qualità degli editori.
Perché c'è tanta timidezza nei confronti di Berlusconi? Perché i giornali sono tutti in mano a dei gruppi industriali ultra indebitati, tanto per alimentare polemiche, se volete, ma questa è la mia provocazione, naturalmente mi chiamano apposta per fare il provocatore.
Il mondo forse è meglio retto solo da Washington piuttosto che retto da nessuno e su questo pure bisogna riflettere.
Conto molto sulle giovani generazioni. Io ho i miei limiti, è difficile scrollarsi di dosso i limiti con i quali uno è cresciuto. Vedo la difficoltà che ci ho messo ad imparare a come usare il computer, ma insomma poi alla fine ci sono riuscito, con grandi sacrifici. Questo è un grandissimo problema del mondo dell'informazione. Pensate soltanto che ormai è chiaro che la guerra si fa anche con l'informazione, che l'informazione è un'arma, l'hanno imparato benissimo gli arabi che dopo la Cnn hanno messo su Al-Jazir. Il problema è che l'informazione è un'arma con la quale si fanno le guerre.
Un'ultima citazione personale: mi sono divertito negli ultimi 6 mesi a fare il prodotto "Nessuno tv", andava in onda su Planet, dalle 19 alle 21. Un produttore televisivo che mi stava facendo la corte da tempo, veniva a Radio 24, mi chiese di fare un progetto. Benissimo, facciamo un telegiornale sulle uniche notizie vere della giornata. Divertirvi: www.nessuno.tv . Per 2 ore ho avuto 2 grandi vecchi esperti, mi sono proprio divertito, Cossiga e Sartori. Bellissimo.

Intervento

Secondo voi è possibile ricavarsi degli interstizi dentro la Rai? O dentro il Corriere della Sera, o della Stampa? E i giornalisti che pensano che lì ci siano degli spazi, sono forse degli ingenui? Cioè come se ne viene fuori da questo cul de sac? La mia opinione è che si debba tirare una riga e ricominciare da zero, magari sfruttando appunto la rivoluzione digitale e le possibilità che offre. Qui siamo nella sede di un'agenzia che è nata così, Redattore Sociale. Ieri sera ero a cena con una missionaria comboniana che gestisce un sito con altre suore nel sud del mondo, che fa politica estera, che denuncia la Nike nei suoi accordi, ecc. Ecco, la mia impressione è che ci voglia proprio una rifondazione giornalistica. Non credo che Mentana, stando lì 13 anni, abbia occupato uno spazio libero e abbia espresso libertà di stampa, non ci credo.

Intervento

Volevo proprio tornare su questo punto, perché trovo che è un berlusconismo quello di dire che se non si ha il contratto in Rai o al Corriere della Sera, cioè sulla grande stampa, non si è buoni professionisti. In questa sala vedo tantissimi, ottimi giornalisti, al di là dei giovani che stanno facendo scuola, o preparazione o praticantato, che lavorano con Redattore Sociale, con La rivista del Volontariato, con Nigrizia, con altre del terzo settore e fanno dell'ottima informazione. Quindi il punto è come far arrivare questa ottima informazione a una maggioranza del Paese per poterne modificare la cultura; non continuare a ragionare solo e unicamente sui grandi organi d'informazione, perché per forza di cose sono costretti alla politica e al gioco dell'economia.

Giancarlo Santalmassi*

Perfetto! Qui c'è la rivoluzione digitale che può aiutarci. In questo momento il nostro Paese vive il suo momento peggiore e ve lo spiego subito. Perché i vecchi metodi d'informazione sono obsoleti, i nuovi, il web non è ancora decollato. Stiamo in mezzo al guado, abbiamo lasciato la riva dietro le spalle e non abbiamo raggiunto ancora quella di fronte. Perché dico che la stampa così come la conosciamo da tanti anni è obsoleta? Per due motivi molto semplici. Chi fa giornalismo ci metta dentro uno studio di economia, che è l'unica cosa ormai che muoverà il mondo, perché vi farà capire molte cose, tutto vi farà capire. La carta è una delle cose più costose che esistono, è un tappeto carissimo. E poi c'è la distribuzione, ci deve essere qualcuno che prende queste copie in bocca e le porta a domicilio, purtroppo ancora in quelle corporazioni che sono le edicole, perché qui si è detto mettiamo i giornali nei supermercati, vendiamo anche la benzina nei supermercati, ma non ci siamo riusciti. E quindi questa è la ragione per cui la stampa è obsoleta. Ed è così obsoleta che pensate soltanto una cosa: l'Italia è l'unico paese dove nelle maggiori città sono in concorrenza fra loro 3 giornali della freepress, Metro, City e Leggo. Quindi io penso alla rivoluzione digitale, ma per fare una rivoluzione, per quanto rapida, ci vogliono i suoi tempi, questo sarà d'aiuto alla diffusione di tutte le informazioni, comprese quelle ottime che oggi hanno pochissima visibilità. Ci vuole tempo, perché non è una cultura che s'inventa .


* Testo non rivisto dall'autore.