XIII Redattore Sociale 1-3 dicembre 2006

Sotto il tappeto

Spunti dai workshop paralleli

Conduce Vinicio Albanesi

Vinicio ALBANESI

Vinicio ALBANESI

Sacerdote, presidente della Comunità di Capodarco e di Redattore sociale. Dal 1988 ha ricoperto la carica di presidente del tribunale ecclesiastico delle Marche per 15 anni ed è stato direttore della Caritas diocesana di Fermo per altri dieci. Dal 1990 al 2002 è stato presidente del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca).

 

Vinicio Albanesi*

Iniziamo con il workshop "Indigeni e forestieri": Massimo Ghirelli, Ahmad Ejaz e Roberto Morrione ci faranno capire cosa è emerso nel loro gruppo di lavoro.

Roberto Morrione*

Vi dirò che oltre ai due relatori e al sottoscritto, c'è stata una partecipazione al workshop molto sentita, mi è sembrata anche molto autentica, molto attenta e ci sono stati una ventina di interventi, anzi mi dispiace che nelle conclusioni non siamo riusciti poi a rispondere a tante domande, quesiti e problemi importanti, ma io direi che ci siano stati in particolare due terreni che abbiamo cercato di unire, di saldare. Uno, un terreno legislativo, cioè le leggi e i diritti, per i quali l"eredità del governo degli ultimi 5 anni, è stata semplicemente devastante e sono stati descritti molti degli effetti della legge Bossi-Fini, quindi la necessità di superarla in vari modi. È stato anche tracciato con precisione il terreno d'impegno del nuovo governo, ovviamente nel generale auspicio che quegli impegni siano mantenuti e in particolare tutto ciò che riguarda il  permesso di soggiorno, che è il vero punto caldo e micidiale della situazione, cioè arrivare ad un permesso di soggiorno che elimini giganteschi tempi di attesa e in particolare sia incentrato sull'aiuto per trovare un posto di lavoro e non  sugli elementi rigidi che di fatto hanno incrementato l'arrivo di irregolari, centinaia dei quali, come tutti noi sappiamo, sono morti, uomini, donne, bambini e quindi con un carico di dolore molto forte. Altro impegno da mantenere è però anche quello di una regolazione dei flussi, una programmazione dei flussi di arrivo, che permattano di costituire dei percorsi certi. Qui c'è anche da ricordare che ci sono impegni ad esempio di formazione, di cooperazione negli stessi paesi, in particolare quelli dell'Africa, da cui viene un gruppo molto forte di disperati che rappresenta non più del 10%: diciamo che via mare, nelle loro condizioni di disperazione, non arriva più del 10% degli immigrati, nel nostro paese.
Ad Ahmad dobbiamo anche una definizione che mi ha colpito molto quando ha detto che arriva il corpo dell'immigrato, ma non arriva la sua anima nel nostro paese. Il che ci riporta ad alcune cose che ci aveva anche detto suor Dorina nel pomeriggio di ieri circa l'Uganda e una cultura dei sentimenti profondi che quella gente non ritrova nel nostro paese. Massimo Ghirelli in particolare si è fatto portatore di un'analisi molto precisa, molto attenta e di una teoria, che io riassumo con parole un po' banali e riduttive e cioè che uno dei  motivi di fondo per cui i media e l'informazione non affrontano e non trattano fino in fondo, in profondità, i problemi del rapporto tra le culture e i problemi di chi arriva nel nostro paese, spinto da tanti  motivi di disperazione, di ricerca di un futuro migliore, in realtà siano dovuti a un concetto di esclusione; ciò significa che la nostra stampa, dice Massimo, l'informazione e i giornalisti siano parte di un patrimonio considerato perduto, di una mancanza di rappresentanza, di punti istituzionali, di una crisi profonda di ideologie, di sicurezza, che la nostra epoca di globalizzazione ha portato con sé. Basta pensare ai conflitti, al terrorismo e a tutto ciò che ne è conseguito e che quindi, in qualche modo, si cerchi di sostituire quello che poteva essere un "nemico" con qualche cosa di diverso e di potenzialmente, anche inconsciamente antagonistico, che si può trovare in chi arriva da culture diverse dalla nostra. È una teoria profonda, bisognerebbe lavorarci evidentemente sopra, però l'affidiamo un po' come suggestione a quest'assemblea. Ahmad è stato molto forte, molto preciso nel descrivere gli impatti traumatici che le culture che arrivano nel nostro paese trovano, a partire da un'incredibile storia di nomi, di date di nascita, che non corrispondono minimamente alla cultura che lui ha definito "circolare" che esiste ad esempio nei paesi islamici, o comunque a maggioranza islamica, o anche in India o nel Pakistan, per cui tanti immigrati sono stati costretti ad assumere delle regole di nome, cognome, di data precisa di nascita, che non corrispondono culturalmente, minimamente alla propria formazione.

Qui si pone il problema di cosa c'è sotto il tappeto per quanto riguarda il lavoro dell'informazione, il lavoro giornalistico e abbiamo localizzato grosso modo 3 punti su cui l'informazione è estremamente carente. Intanto una forma di stereotipo complessivo. Uno stereotipo che, su questo Massimo Ghirelli è stato molto preciso, si è andato un po' a sostituire a quegli stereotipi che per anni hanno segnato l'informazione italiana e in parte sono tuttora purtroppo in corso, quelli cioè dei protagonisti di cronaca nera, di criminalità e diciamo un'assegnazione nell'immaginario della stampa italiana che coincide con elementi estremamente superficiali; uno stereotipo ancora più complessivo che è appunto questo di considerare anche indirettamente e inconsciamente tutto ciò che viene da altre culture come qualche cosa che aumenta l'insicurezza, anche a livello profondo e quindi in qualche modo va tenuto fuori dalla notiziabilità. Come dice giustamente Ahmad, la cultura di questi popoli in cammino, per usare questa frase di Sebastiao Salgano, è una cultura di gruppo, una cultura di minoranza, insomma di persone che lavorano e ragionano come collettività. Questa concezione si scontra con la frammentazione individualistica e molto consumistica della stampa italiana, quindi per quanto riguarda i media, in definitiva escono tre gruppi di problemi: una scarsissima conoscenza, spesso l'inesistenza di una conoscenza di altre culture, su un terreno anche tecnico di formazione professionale, di formazione culturale in cui la scuola evidentemente ha un ruolo estremamente importante; modelli narrativi che sono del tutto insufficienti rispetto alla complessità dei problemi d'identità culturale dei diversi gruppi; l'assenza di una normalità nei temi. Anche qui, come vedete, si ritrovano dei problemi di fondo dell'informazione nel nostro paese. Tutto ciò che è normale e che è la vita, il lavoro, i problemi, i sentimenti di tante migliaia e migliaia di immigrati, che magari vivono e lavorano e operano nel nostro paese da molti anni, che fanno gli imprenditori, che hanno un livello d'istruzione media, notevolmente superiore all'istruzione media dei cittadini italiani, sia per quanto riguarda i laureati, che per quanto riguarda gli studi secondari, non vengono mai affrontati.

Queste 3 componenti, la scarsa o pochissima conoscenza, i modelli narrativi assolutamente logori e insufficienti rispetto alle complessità delle culture e l'assenza di un interesse per la normalità, fanno si che i media abbiano una responsabilità molto pesante rispetto a queste tematiche. Ci sono state alcune proposte anche precise.

Sono stato a una serie d'incontri di "Libera Veneto", l'insieme di associazioni che sui territori si battono contro le mafie. Un sacerdote veneto che si chiama Luigi Telatin, ha ricordato un detto antico che dice: "La paura bussò a lungo alla porta, il coraggio andò ad aprire e non c'era nessuno". Credo che questo possa ben concludere questo tipo di lavoro rispetto ai problemi dell'informazione.

Vinicio Albanesi*

Sentiamo ora Roberto Sgalla sul workshop "Legali-Illegali".

Roberto Sgalla*

Devo dire che ci sono molte suggestioni, quindi cercherò di sintetizzare. Credo che potremmo partire da alcune sollecitazioni, anche abbastanza suggestive, che Massimo Pavarini ci ha offerto in questo ragionamento, su come si costruisce nella comunicazione il tema di illegale-legale. Lui ha usato due paradigmi anche molto interessanti. Uno è quello dei segni di Caino che in effetti sul tema della criminalità è estremamente appropriato e l'altro quello che Massimo Pavarini chiama i sentimenti patibolari, che spesso l'informazione sollecita. In effetti è vero, se ci mettiamo tutti noi un attimo a riflettere, magari non noi singolarmente, ma come genere complessivo, su quali sono i sentimenti che vengono sollecitati dalla lettura di certi articoli, che riguardano appunto i temi delle illegalità, è evidente che questa rappresentazione dei sentimenti patibolari, quindi sicuramente non di aspetti positivi, mi sembra che risultino estremamente evidenti. Al di là di alcuni esempi anche qui molto marginali purtroppo e cioè di riviste, di giornali che hanno una forza, una capacità di esplicitare, di far capire alcuni fenomeni, è evidente che la maggior parte non ha assolutamente questa capacità, questa forza, questa volontà, si limita appunto a una cronaca che punta a mettere in luce appunto i segni di Caino o questi sentimenti patibolari dei lettori. Quindi sotto il tappeto c'è invece questa capacità esplicativa dei fenomeni; si diceva, sbagliando, che esplicitare un fenomeno vuol dire quasi giustificarlo, allora se io racconto cosa c'è dietro a un fenomeno di natura criminale o comunque criminogena, in un certo senso lo voglio giustificare, mentre se lo racconto in una maniera anche un po' più cruda alimento solo certi stati d'animo e quindi, come dire, offro al consumatore, al lettore, quello che lui vuole tutto sommato sentirsi dire. 

L'altra forte riflessione che è venuta fuori è sul tema della responsabilità del giornalista, anzi oserei, la responsabilità del sistema dell'informazione, perché credo che sia stato sottolineato in maniera molto chiara che anche il giornalista spesso diventa l'anello debole di un sistema informativo che lo pone in una condizione qualche volta di appiattirsi su questi temi e di non avere la forza della ricerca, dell'indagine, dell'inchiesta, e questo perché i tempi dell'informazione, le modalità dell'informazione sono tali che impediscono al giornalista, nella stragrande maggioranza, di fare un lavoro che va al di là del semplice raccogliere il dato. Tutto ciò si declina sul versante della sicurezza con emergenza, con spettacolarizzazione, con quella frase abbastanza banale, che però spesso esplicita il paradigma della comunicazione per quanto riguarda la sicurezza e cioè "bed news are good news", le cattive notizie sono le buone notizie. È molto banale, ma purtroppo su questo versante ha una sua incidenza.  

C'è stato poi il racconto dell'esperienza del movimento "Addio Pizzo", la dimostrazione anche di come sul piano della comunicazione si concretizza questa esperienza. Addio pizzo ha avuto un grande successo sul piano comunicativo all'inizio, perché ha giocato sulle caratteristiche della comunicazione declinata sul piano della curiosità, della novità, di un elemento sicuramente discontinuo rispetto alla "normalità di Palermo", ma poi la comunicazione non ha la forza, non ha la capacità, non ha la volontà di invece andare, continuare, di sostenere questa iniziativa. Magari ne hanno parlato televisioni, giornali, i mass media di tutto il mondo, dopodichè oggi è difficile trovare un giornalista che fa l'approfondimento. È difficile oggi trovare un giornalista che va, che segue e accompagna questa esperienza dove dentro troviamo alcuni elementi della riflessione che si è fatta all'inizio sul tema legalità-illegalità e cioè la dimensione individuale e collettiva in una realtà difficile, quindi dove legalità si declina con una responsabilità individuale. Altro elemento fondamentale è il coraggio, perché in un'area dove l'illegalità ha anche giustificazioni culturali, come dire, territoriali, economiche, quindi dove c'è qualche volta la tendenza a giustificare, lì scatta proprio il meccanismo del coraggio. Credo che questi temi della responsabilità individuale, della responsabilità collettiva e il coraggio di questa esperienza, dovrebbe poi trovare nella comunicazione un momento non di esaltazione, perché non è questo, ma almeno di essere raccontata e di essere accompagnata, cosa che invece purtroppo non c'è e quindi una responsabilità non del singolo giornalista, ma di un sistema appunto che parla dell'emergenza, sottolinea certi aspetti, esalta alcuni segni, alcuni sentimenti, ma poi è incapace di fare un'informazione su di un versante così importante. Su questo alcune sollecitazioni sono venute fuori dal dibattito come quella di un giornalismo che comunque qualche volta soffre di una scarsa conoscenza, di una pigrizia, di un pressappochismo, di una scarsa conoscenza anche degli argomenti. Altro problema è quello della fonte: è chiaro che sul piano della legalità-illegalità, sul tema della trasparenza, della capacità, dell'autorevolezza di chi fornisce notizie estremamente importanti, uno degli elementi importanti è un rapporto fiduciario, un rapporto di riservatezza, di supremazia del valore in generale per esempio della sicurezza rispetto anche all'esigenza legittima dell'informazione. Questo è un tema forse non completamente approfondito, però credo che, siccome la comunicazione è un elemento bidirezionale in cui il ruolo delle fonti in genere di chi fornisce notizie è importante, credo che vada sottolineato.  

Ultima cosa, mi sembra anche questa estremamente importante, ribadita già, lo diceva prima anche Massimo Pavarini nel suo intervento, ma poi è stato ribadito più di una volta, è il problema delle vittime. Sul problema delle vittime c'è una scarsissima attenzione in genere se non questo elemento della pietas. In Italia abbiamo una scarsissima legislazione di attenzione alle vittime, cosa che per esempio i paesi del nord hanno. Piccole esperienze legate a movimenti locali, ma non esiste una legislazione che invece pone al centro dell'attenzione le vittime e questo si riverbera anche sulla comunicazione, sull'informazione. Oggi è difficile che si parli della vittima, se non ripeto in maniera che serva per spettacolarizzare ancor di più la violenza. Ecco queste sono un po' le riflessioni, tenendo conto appunto che il tema è di un'ampiezza tale che rimangono aperti tantissimi interrogativi. Uno per tutti, lo racconto perché giustamente una partecipante lo ha posto questo problema: come si fa ad invertire queste tendenze, queste dinamiche? Come facciamo a far diventare il tema della legalità un tema in cui non si raccontano solo e non si esaltano solo i segni di caino o i sentimenti patibolari? La risposta che tutti noi abbiamo fornito è che non c'è una ricetta purtroppo, anche perché la complessità è tale che vorrebbe dire fermare il mondo, scendere, poi lo ridisegniamo. Credo che sia un po' più complicato e invece è il gioco di tantissimi fattori ed ognuno chiaramente può mettere un tassello. Abbiamo lasciato aperto questo interrogativo, potrebbe essere oggetto magari di un prossimo seminario. 

Vinicio Albanesi*

Passiamo al terzo gruppo su cui relaziona Pier Paolo Baretta; approfitto per dire che Angelo Ferracuti è venuto nonostante abbia la moglie, una giovane ragazza, morente, quindi è stato un atto di coraggio, non l'ho detto con lui presente.

Pierpaolo Baretta*

Il tema "Tutelati e precari" non è un tema nascosto, è un tema che sta sopra il tappeto, nel senso che le cronache giornalistiche ne sono piene, se ne parla tutti i giorni; il lavoro del gruppo è stato quello di tentare di capire che cosa è rimasto o rimane comunque sotto il tappeto di un tema così sotto i riflettori. Mi pare di poter rintracciare 4 elementi, percorsi, ragionamenti.

La prima cosa che è rimasta o rimane ancora sotto il tappeto è il problema culturale che sottende a questa grande discussione tra tutelati e precari. Il problema culturale che implica una esplicita responsabilità del giornalista oltre che di tutti gli operatori sociali, questo è venuto fuori anche stamattina con molta chiarezza. Bisognerebbe almeno provare a costruire una informazione, riflessione, una conoscenza, che penetri dentro il tema e lo scorpori cercando di rintracciare quelli che sono i problemi veri, il primo dei quali è una condizione non soltanto materiale, ma anche immateriale e cioè la sensazione di ansia, di angoscia, di panico, di paura che questo comporta perchè il reddito non spiega tutto. Bisognerebbe inoltre mettere in evidenza il disequilibrio o il nuovo equilibrio tra dimensione collettiva e dimensione individuale tra persona e individuo, temi che poi nella traduzione quotidiana del dibattito vengono presi pochissimo in considerazione, perché tutto viene ricondotto a schemi di contrapposizione. Così come la presa di coscienza della profondità della rapidità del cambiamento di struttura che poi consente una lettura di questo fenomeno contraddittorio. 

Una seconda suggestione è la rappresentanza irrisolta. Mi pare di poter registrare che è opinione diffusa che il sindacato non coglie, non rappresenta questo mondo, in via informale mi associo; mi pare che c'è la coscienza abbastanza diffusa che questo è un tema che sta coinvolgendo la struttura generale della rappresentanza. Il problema della rappresentanza sociale diciamo dei non tutelati, è un problema del tutto irrisolto, come per altro la rappresentanza tutta schiacciata sui tutelati appare inadeguata e insufficiente, rispetto alla condizione alla quale ci si muove. Non c'è dubbio che questo ripropone di nuovo il tema dimensione collettiva - dimensione individuale, per lo meno dimensione comunitaria, come oggi si è visto, identificando 3 fasce; i ventenni, i quarantenni e quelli di un'età avanzata, come categorie che fanno fatica a riconoscere una comunicazione tra loro rispetto a questo problema.  

Il terzo filone è quello della struttura delle tutele. Mi pare che il gruppo ha condiviso in maniera abbastanza omogenea l'idea, l'affermazione di una ricerca di cosiddette tutele di base che prescindano dalle condizioni specifiche dei contratti di lavoro o delle legislazioni attuali. E' una strada da percorrere, perché è quella che può consentire di ridurre o orientare il conflitto fra le generazioni, oppure quello tra poveri, cioè il conflitto tra precari. All'interno del mondo del precariato è emerso con molta forza, con molta chiarezza e anche preoccupazione, il diffondersi di un conflitto tra le diverse condizioni all'interno del mondo precario, la discussione sui conflitti estivi tra gli stagisti e i precari, perché i precari vedono minacciata questa loro precarietà. 

La quarta suggestione è l'idea di futuro, cioè mettere l'ottica, l'attenzione, la discussione, anche quella giornalistica, quella pubblica, più orientata ai temi del futuro che non con l'occhio rivolto al passato. E qui lo spazio di due grandi temi, come quello del cambiamento strutturale dell'organizzazione, della produzione del lavoro e della demografia, sono da considerare come due riflettori che mettono luce sui problemi dell'organizzazione sociale del futuro.   

Presentazione del premio sulla pace

Raffaella*

Io vengo da Ovada, una cittadina piemontese di 12 mila abitanti, a 40 km da Alessandria più o meno, dove esiste da 4 5 anni un'associazione che si chiama "Centro pace Rachel Corrie", che raccoglie un buon numero di iscritti, privati cittadini e un certo numero di enti locali. Il miglior risultato operativo che ha avuto questa associazione è riuscire a far creare un assessorato alla pace e partecipazione nel comune di Ovada, cioè noi abbiamo espresso un assessore, poi non è proprio quello che fa girare i soldi a Ovada, però insomma, perlomeno esiste. L'associazione si occupa principalmente di attività di tipo culturale, quindi va a lavorare nelle scuole creando anche dei seminari per adulti, cose di questo tipo sui temi della pace e della non violenza. Facciamo anche una festa un po' particolare intorno al 2 giugno, dura 2 o 3 giorni, una festa della città, in cui normalmente trattiamo temi che ci stanno a cuore, quindi l'ambiente, la risoluzione dei conflitti, l'integrazione, il problema dei migranti, ecc.. All'interno di questo alveo è nata l'idea del premio di cui devo parlarvi; il premio si chiama: "Testimone di pace" e tanto per capirci è una specie di Nobel per la pace che diamo a Ovada, ovviamente ha un budget limitato… E' stata scelta una data di conferimento molto significativa che è l'11 di settembre che per noi deve essere il giorno della pace. L'11 di settembre di quest'anno abbiamo fatto l'edizione 0 e la giuria non è ancora costituita, ma abbiamo dato comunque premi alla memoria, purtroppo, a 4 operatori dell'informazione che sono morti sui campi di guerra in questo secolo, 4 italiani: Enzo Baldoni, Maria Grazia Cutuli, Antonio Russio e Raffaele Ciriello. Sono venute ad Ovada le famiglie, hanno ritirato questi premi, è stata una serata molto toccante e devo dire a onore della categoria, che c'è stata una grossa partecipazione.

Il concorso "Testimone di pace" oltre ad essere organizzato dalla nostra associazione, dal Comune di Ovada e da una serie di altri enti, provincia, regione, ecc., è organizzato in collaborazione anche con Fahrenheit e con l'associazione Articolo 21, quindi due elementi forti nel mondo del giornalismo. L'11 di settembre del prossimo anno quindi andremo a conferire il primo vero premio, quello espresso dalla giuria. Per allora conferiremo anche altri due premi, cioè due sezioni speciali; una è dedicata esplicitamente all'informazione, di qui la motivazione del mio intervento. Il premio della sezione speciale informazione consisterà in un'opera d'arte. Viene conferito ad un operatore dell'informazione o giornalista, o fotoreporter, ecc., che ha realizzato un servizio su un'iniziativa o evento positivo nell'ambito della pace e della non violenza. Il mio appello è quello di segnalarci opere di questo tipo che siano firmate da voi o che voi possiate vedere, nei prossimi mesi. Vale, va in concorso, tutto ciò che è stato pubblicato dopo l'11 di settembre 2006, quindi ha una cadenza annuale. Se a qualcuno interessa, utilizzate il sito www.testiomonedipace.org.

C'è poi una sezione dedicata alle scuole superiori che vengono invitate ad analizzare dei pezzi giornalistici, che in qualche modo l'organizzazione metterà loro a disposizione, per fare degli elaborati, dei ragionamenti, dei lavori. A breve avvieremo anche un laboratorio di educazione ai media, proprio per le scuole superiori, ahimé solo di Ovada, ma i materiali verranno resi disponibili poi sul sito e ad esempio due persone che hanno parlato a questo tavolo in questi giorni, cioè Roberto Natale e Roberto Morrione saranno presenti proprio nel mese di dicembre e parteciperanno a questa iniziativa.


* Testo non rivisto dall'autore.