XIII Redattore Sociale 1-3 dicembre 2006

Sotto il tappeto

Workshop: Indigeni e forestieri

Incontro con Massimo Ghirelli e Ahmad Ejaz. Conduce Roberto Morrione

Massimo GHIRELLI

Massimo GHIRELLI

Giornalista, autore di programmi radiofonici e televisivi (tra cui “Non solo nero”), è consulente di varie istituzioni e presidente dell'Archivio Immigrazione di Roma.

ultimo aggiornamento 01 dicembre 2006

Ahmad EJAZ

Ahmad EJAZ

Caporedattore della rivista della comunità pakistana in Italia Azad, fa parte della Consulta per l’Islam in Italia.

ultimo aggiornamento 01 dicembre 2006

Roberto MORRIONE

Roberto MORRIONE

Giornalista, ha lavorato per 44 in Rai con ruoli di responsabilità in diverse testate. Dal ‘99 al 2006 ha diretto Rai News 24.

ultimo aggiornamento 01 dicembre 2006

Roberto Morrione*

Molto brevemente io vorrei partire da un'impressione profonda che mi ha destato l"intervento di ieri di Dorina, io credo che tutti voi l'abbiate ascoltato, sono anche lieto di vederla in sala. Dorina non ci ha parlato solo delle esperienze in Africa, in particolare in Uganda, della guerra, delle malattie, ma di fatto ci ha anche parlato della cultura dell'Africa, in particolare della cultura di quelle zone, di quel paese, di cui in Italia non si sa assolutamente nulla. Questo è un fatto già abbastanza traumatico, perché noi che di mestiere, o di aspirazione, o di lavoro diciamo collaterale con le associazioni, dobbiamo fornire a questo paese informazione, siamo a nostra volta privi di conoscenze ed informazioni su quello che culture straniere rappresentano, visto che in Italia si sta concentrando un melting di culture, di popolazioni di cui assolutamente non riusciamo a conoscere l'entità e l'identità. Questo mi ha colpito molto ed è già uno spunto importante di riflessione. Tuttavia questa riflessione si cala in un cambiamento in atto nel mondo, che io definirei sconvolgente. Il neo liberismo che di fatto ha dato vita alla globalizzazione, così come è stata conosciuta negli ultimi 15 anni, ha subìto delle sconfitte molto forti e si sta indietreggiando su molti punti. Oltretutto possiamo tranquillamente dire che nelle politiche di globalizzazione neo liberiste che in particolare hanno visto gli ultimi anni l'America di Bush e dei neocon come protagonisti, di fatto hanno partorito dei gravissimi fenomeni, quali il terrorismo internazionale, che a sua volta è uno degli elementi con cui dobbiamo fare i conti,  perché nel nostro paese è stato utilizzato come un elemento molto forte, che ha determinato insicurezza, conflitto e non conoscenza dell'altro. Contemporaneamente diciamo che la stagione che si chiude è una stagione purtroppo di morte e di stragi sul terreno dell'immigrazione, ci sono centinaia di persone che sono rimaste in fondo al mare, uomini, donne, bambini, ci sono fenomeni gravissimi di cui sappiamo poco. Questa mattina leggevo che la procura di Agrigento ha aperto un'indagine su circa 2 mila bambini che sono arrivati dalle coste africane e che sono scomparsi, evidentemente vittime di tratte, di mafie e di altri fenomeni criminali, che a loro volta si iscrivono in questo cambiamento in corso nel pianeta, perché c'è il sud del mondo e il nord; questo è stato l'elemento di contrapposizione finora, ma c'è anche un sud del sud del mondo, di cui fa parte l'Africa, che a pochi chilometri dalle nostre coste è una specie di grande buco nero da cui arriva continuamente un'umanità disperata che nel nostro paese poi trova ad attenderlo una legge come la legge Bossi-Fini, una legge non sufficientemente criticata, che procura un arrivo irregolare, un flusso di arrivi illegali, che determinano poi a loro volta fenomeni gravi come questi. Ci sono tutti problemi aperti rispetto all'inserimento di queste persone nel nostro paese dal punto di vista del lavoro, dal punto di vista dei diritti civili e delle culture diverse da quella occidentale, dalla cultura cattolica dominante in Italia, che pongono evidentemente dei problemi; sia pure per sommi capi è in questo quadro che s'inserisce il problema di cui dobbiamo parlare.  

Il nuovo governo di centro sinistra ha preso degli impegni rispetto al tema dell'immigrazione, ha cominciato ad esaminare diverse situazioni nel campo dell'immigrazione, ha deciso questo decreto per 350 mila lavoratori extracomunitari, si è impegnato ad un disegno di legge, ancora non del tutto definito, per la cittadinanza, con la riduzione degli anni per poter diventare cittadini italiani, ha creato e annunciato criteri di ricongiungimento familiare più favorevole… Sembra quindi che ci sia la volontà di superare la legge Bossi-Fini in tutti i suoi contenuti di tragici eventi di espulsioni di arrivi irregolari, con anche l'impegno di creare un permesso di soggiorno per cercare lavoro e quindi diverso dalle caratteristiche di quello attuale e una programmazione dei flussi d'immigrazione che permettano ingressi regolari. La grande questione è: questi impegni sono sufficienti e che cosa si può fare per farli mantenere? E' sufficiente una nuova politica legislativa che si attui al di là delle promesse e degli impegni per garantire una convivenza tra culture diverse nel nostro paese?  

Massimo Ghirelli*

Noi abbiamo molte aspettative rispetto a questo tema. Sapete che l'Italia ha percorso il tema dell'immigrazione con politiche altalenanti nel corso degli anni e poi siamo un paese, si sente sempre dire, di recente immigrazione, non abbiamo certamente una grande preparazione né politica né culturale. Questo ha fatto sì che nel nostro paese si sia arrivati dal punto di vista anche legislativo del tutto impreparati a questo fenomeno, a partire dalla prima legge, la legge Martelli, che era semplicemente un piccolo articolato, era un decreto che voleva essere provvisorio e che è durato una decina di anni, 8 anni per l'esattezza, senza riuscire ad incidere e in qualche modo costruire un percorso almeno di governo di questo fenomeno immigrazione.

Io credo che i 3 elementi chiave sulle quali si può sperare che si facciano dei passi avanti importanti, decisivi, possano essere questi: da una parte lo ha accennato Roberto, i permessi, il discorso del lavoro. Qui è chiaro che la logica che va superata, che è una logica in realtà di chiusura e di non accettazione del fenomeno, come se si potesse evitare di accettare l'immigrazione, è quella del permesso legato al lavoro già esistente, cioè questa idea assurda che il datore di lavoro debba conoscere chissà come una persona in Albania, o in Marocco, in Pakistan e chiamarla nominativamente come dice la legge, nome e cognome, insomma il signor tal dei tali lo chiamiamo, lo facciamo lavorare. Tutto questo ovviamente è ridicolo, grottesco e ha fatto sì che negli anni il permesso vero e proprio, quello appunto negli anni della Bossi-Fini, sia stato una minoranza, una percentuale bassissima di ingressi, abbia determinato una percentuale bassissima di ingressi regolari. Tutto quanto sta nel far capire che il rapporto, insomma il percorso per entrare nel paese deve essere chiaro. Ci devono essere dei canali leggibili, comprensibili, attuabili, fattibili per entrare nel paese. La vera lotta alla clandestinità, perché poi si parla sempre in questi termini che fanno appunto molta scena e che sono molto agitati dai mezzi di comunicazione, è costruire dei canali reali possibili, percorribili. La gente che vuole venire in Europa, perché poi è uguale per tutta l'Europa, deve sapere come diavolo fare, deve avere un percorso, deve poterlo fare. Il percorso sicuramente non è dato dall'essere chiamati chissà come da un datore di lavoro europeo, ma quello di poter cercare un lavoro, naturalmente questo dipende dal fatto che ci sia il lavoro.

Le statistiche ci dicono che uno straniero che arriva in Italia nell'arco di 3-6 mesi trova lavoro, naturalmente spesso è lavoro nero, ma tutti noi siamo disponibili al lavoro nero e lo facciamo normalmente. Nel 30% dei casi si tratta di lavoro regolare, e allora come mai tanta difficoltà quando il lavoro esiste? In realtà non si accetta il fenomeno che invece funziona per il paese e trova le sue strade. Pensate che anche la gente che arriva col barcone, che arriva clandestinamente, nel senso di non avere un vero e proprio permesso, magari arriva per turismo oppure passa le frontiere in un modo o nell'altro, normalmente riesce a trovare lavoro nell'arco di poco tempo e riesce addirittura, perché è inevitabile che ogni tanto ci siano delle sanatorie, delle regolarizzazioni, a restare regolarmente nel paese. Badate che il numero di irregolari non è così alto come ci vogliono far credere. Per molti anni è stato inferiore al 20% delle presenze, adesso è un po' superiore perché la Bossi-Fini sembra fatta apposta per creare irregolarità. Servono canali regolari, quindi serve un percorso per cui l'immigrato possa sapere che esistano delle possibilità di lavoro, può capire e questo può aiutare, in quali tipi di lavoro, in quali settori, in quali comparti dell'economia si può arrivare. Questa è una cosa che era prevista parzialmente anche nella legge precedente, la Turco-Napolitano, e che dovrebbe essere il centro, il fulcro reale di una nuova legge. 

Il secondo elemento è quello dell'integrazione che è stato sicuramente un grosso difetto della legge precedente: non sono state applicate tutte le misure d'integrazione sociale, d'inserimento. Integrazione vuol dire percorsi di cittadinanza, avere una serie di diritti che sono più che evidenti, per esempio quello del voto amministrativo per chi lavora,  paga le tasse, è inserito, ecc. Dentro questo, che è il punto centrale, una volta arrivati ci sono le famiglie, i bambini, la scuola, la religione, cioè tutti quegli elementi che rappresentano il confronto con la cultura di questa gente. Integrazione vuol dire in realtà convivenza, è vivere insieme, partecipare insieme ad una società ed anche confrontarsi continuamente con le differenze che ci sono. 

Il terzo punto è il fenomeno dell'asilo politico: l'Italia come sapete è l'unica nazione dell'Unione Europea che non ha ancora una legge sull'asilo. Non sono molti i rifugiati in Italia, sono più alti i richiedenti asilo, voi sapete la differenza, quando arrivo non ho lo status di rifugiato, posso fare il richiedente asilo, colui che chiede questa possibilità. L'Italia tra l'altro ha la fortuna di avere una bellissima Costituzione che ha addirittura un articolo preciso, chiaro, netto, l'art. 10 che in pratica riconosce a chi viene da un paese non democratico di poter richiedere l'asilo politico. A questo si aggiunge il criterio di rifugiato della convenzione di Ginevra del 1951 che dice invece che la persona deve essere riconosciuta tale perché singolarmente perseguitata. Questi due elementi basterebbero per una buona legge sull'asilo, non allargata in modo indiscriminato. 

Questi 3 elementi già basterebbero a dare un quadro nuovo alla nostra politica migratoria. Ci riuscirà questo governo? Abbiamo molti dubbi: da una parte un'anima tecnica, che è quella del ministro degli  Interni Amato che sicuramente ha fatto di più di quanto non abbiano fatto altri ministri nell'arco dei primi mesi, ma rimane un'anima tecnica che cerca sempre la strada legislativa. C'è poi un'anima più movimentista, più politica, più ideologica, che è quella di Ferrero, il ministro degli Affari Sociali, il quale però, purtroppo, ha teso nella prima parte a lanciare più che altro delle provocazioni.

La paura è che si vada avanti su certe tecnicità senza prendere in mano il discorso della politica, del governo, che ovviamente contiene invece quegli elementi di cultura e di confronto sociale che sono essenziali per riuscire ad attivare una politica migliore. 

Roberto Morrione*

Vorrei chiedere ad Ahmad se ritiene che questi 3 obiettivi, quello di una nuova definizione dei permessi di soggiorno, quindi dell'ingresso nel mondo del lavoro, l'integrazione sociale e civile e una legge per il diritto di asilo, siano coincidenti con ciò che tu rappresenti ossia la comunità pakistana in Italia, e se ritieni che il governo possa su questo e debba ovviamente arrivare a delle concretizzazioni. 

Ahmad Ejaz*

Quando parte un immigrato porta solo il corpo e la sua anima arriva quando sente di essere integrato. In Italia purtroppo l'immigrazione è molto violenta, non è organizzata e non lo so quando arriverà quest'anima dell'immigrato. La legge Bossi-Fini è una legge chiaramente contro gli immigrati. Noi da Bossi non aspettavamo altro, perché è già dichiaratamente, apertamente contrario all'immigrato, perciò è sincero. Quello che noi non ci aspettavamo era che la sinistra, molto amica degli immigrati, facesse una legge come la Turco-Napolitano che è uguale alla legge Bossi-Fini, vi sono alcuni emendamenti ma non ha cambiato molto. La legge Turco-Napolitano era stata collegata al lavoro e al permesso di soggiorno con lavoro, infatti l'avevano chiamata pure permesso di soggiorno per lavoro o permesso per lavoro, poi è nata in Italia la legge Biagi che parla di flessibilità nel mondo del lavoro e cioè non c'è più il lavoro fisso mentre l'immigrato, per rinnovare il permesso di soggiorno, deve avere un lavoro fisso. È una contraddizione.  

Per noi immigrati il permesso di soggiorno è diventato un grande ostacolo. La vera integrazione incomincia quando l'immigrato supera i primi 3 problemi: i documenti, la casa e il lavoro, invece in Italia l'immigrato passa i primi 10 anni coinvolto in questi 3 problemi. Questo governo ha cominciato a lavorare per cambiare il mondo dell'immigrazione; io per esempio faccio parte della consulta dell'immigrazione. Abbiamo proposto questa legge di 5 anni per la cittadinanza, ma ricordate che il problema in Italia non è il tempo che noi decidiamo, il problema è che dopo che hai fatto la domanda quanto ti farà aspettare l'amministrazione? Adesso quando fai la domanda per la cittadinanza devi aspettare da 4 a 5 anni, mentre il tempo reale sarebbe di 16 mesi. Per rinnovare il permesso di soggiorno il tempo reale è 20 giorni, invece devi aspettare un anno, un anno e mezzo anche, dipende dalle questure. C'è una ricevuta che ti danno in questura nel frattempo che facciano il vero e proprio permesso di soggiorno, molti immigrati girano adesso con  questa ricevuta con cui non possono fare niente, non possono lavorare, non possono andare a casa neanche se muore un parente, madre, padre… Adesso questo governo ha fatto un decreto legge per dare importanza a questa ricevuta con la quale si può cambiare il lavoro, si può andare al paese di origine…e per noi è un primo passo.  

La legge Bossi-Fini e la Turco-Napolitano, legando il permesso di soggiorno al lavoro hanno fatto il grande danno di produrre i clandestini, perché quando andavi a rinnovare il permesso di soggiorno e non avevi il lavoro, non ti rinnovano il permesso di soggiorno, perciò ogni anno 30 mila immigrati diventano clandestini; dal prossimo mese finalmente il luogo dove richiedere il permesso di soggiorno verrà trasferito dalle questure alle poste. Anche questo per noi immigrati è un grande passo, perché il contatto con la polizia è un contatto molto duro. Quando andiamo a rinnovare il permesso di soggiorno devi fare la fila di notte, devi andare in questura a mezzanotte, poi alla mattina ricevono solo 20 persone, perciò devi provare sempre, perdere il lavoro; finalmente non avremo più contatto con un poliziotto, molti di noi vengono da stati polizieschi e il contatto diretto con la polizia non è la cosa migliore… 

Ancora né Amato né Ferrero hanno proposto una legge sull'asilo politico, mentre lo stesso Occidente sta creando sempre di più danni nei paesi per produrre i rifugiati, come in Iraq e in Afghanistan. Una legge sull'asilo politico in Italia ci vuole perché il rifugiato passava in Italia per andare in Germania, Inghilterra e Francia, ma oggi quando ti prendono impronte digitali tu non puoi più andare in altri paesi. Adesso è stata fatta una legge dalla Comunità Europea per la quale ci si deve fermare nel primo paese dove arrivi e ti prendono le impronte digitali. Una legge seria sull'asilo politico per me sarà una grande ricchezza per Italia. Io sono stato in Canada e vi posso dire che gli immigrati non sembravano immigrati, perché erano felici, perché lì le leggi sull'immigrazione sono molto più veloci, vanno fatte in pochi anni, in poco tempo ti fanno sentire cittadino. Quando l'immigrato è felice la società anche diventa felice. Qui in Italia l'immigrato anche dopo 10 anni trova delle difficoltà, addirittura ci sono diversi immigrati che dopo 15 anni di permanenza sono diventati clandestini con la legge Bossi-Fini. Molte sono le contraddizioni in Italia: infatti noi viviamo in Italia da più di 15 anni e non possiamo votare e invece sono arrivati questi 6 senatori stranieri che non lo so, cosa conoscono dell'Italia? Noi tocchiamo tutti i giorni problemi sociali, sappiamo quali sono i veri problemi in Italia, viviamo nelle città, nei paesi, parliamo tutti i giorni con i contadini, con gli industriali….  

Sull'immigrazione lo stato italiano sta spendendo pochissimo mentre spende molto per la sicurezza. Sapete che solo il 10% degli immigrati vengono con le navi dal mare? Però in televisione ci fanno sempre vedere queste navi e allora mi chiedo ad esempio i rumeni, i moldavi che rappresentano la comunità più numerosa in Italia, come arrivano? Nessuno ha mai visto come sono arrivati in Italia, mentre le navi con gli africani, neri, fanno molta scena… Cosa c'è dunque sotto il tappeto? L'immigrazione sta certamente sotto, nessuno guarda e a nessuno interessa. Molti politici parlano del velo, hanno imparato la parola burqa, nicab però non conoscono niente, vogliono solo la visibilità, mentre i veri problemi legati all'Islam noi li abbiamo portati in questa consulta e sono molto più difficili, ben più complessi. 

Roberto Morrione*

Appare evidente da tutti e due gli interventi che ciò che serve è un progetto e un modello, che sia un modello non solo legislativo, ma innanzitutto culturale. Io ricordo come il direttore di Rai News 24 nell'ambito di un progetto europeo dell'Oim, l'Organismo Internazionale degli Immigranti, ci permise di fare un programma sui 10 pregiudizi da sfatare: si trattava di pregiudizi classici sugli immigrati brutti, sporchi e cattivi, che tolgono lavoro, che creano criminalità e così via. Oggi i media italiani, rispetto a quei primi fatti traumatici, sono realmente cambiati? Ad esempio aprono un processo di conoscenza reale delle culture, delle tradizioni, dei costumi degli immigrati e dei vari popoli costretti dalla fame, dalle guerre, dalle situazioni più drammatiche che esistono, dalle contraddizioni dello sviluppo, a mandare i loro figli in Italia? I media stanno esercitando un'azione di dialogo o continuano sul terreno degli stereotipi? Che cosa invece si dovrebbe studiare sotto questo profilo?  

Massimo Ghirelli*

Partiamo dicendo che bisogna andare oltre allo stereotipo in tutti gli incontri come questo, convegni, seminari ecc. in contesto giornalistico, di parlar male dei giornali e di dire quanto i mass media esercitino un ruolo negativo rispetto a questi temi. Io ho cominciato nel 1989 a lavorare proprio sui temi dell'immigrazione, dopo aver fatto per una decina di anni radio, televisione e giornalismo. Dagli anni '80 ad oggi sono cambiate molte cose, ad esempio esistono giornali come "Metropoli", un giornale dedicato all'immigrazione. I mass media sono cambiati, ci sono degli approfondimenti, c'è una maggiore attenzione, rimane comunque un ruolo centrale che è negativo. Forse vale la pena di capire bene com'è il ruolo proprio dei media e perché ce l'hanno. Io ricordo quando in Italia arrivò la televisione, lo slogan principale era "La televisione: una finestra sul mondo"; vero, in tutti i sensi, possiamo vedere paesi dove non andremo mai, dove non avremo mai soldi per andare, potremo capire cose e culture, linguaggi, ecc. Una grande funzione, una funzione straordinaria. Tutto questo è vero, i mezzi di comunicazione, anche i new media, internet e tutto il resto, hanno questo ruolo incredibile di metterci in comunicazione. Tutto ciò ha una potenzialità straordinaria, quindi sembrerebbe di poter dire che i media sono il migliore amico di una buona globalizzazione, cioè di una grande conoscenza del mondo, di una mondializzazione di ciascuno di noi, di quel cittadino planetario di cui si parlava in Italia ai tempi di La Pira o di Padre Balducci. In realtà la potenzialità dei mezzi rimane, anzi è diventata ancora più forte con anche l'interattività che sta sopravvenendo. Come mai adesso invece i media hanno questo ruolo così negativo? Io ho provato a chiedermelo. È un ruolo di esclusione. In realtà è questo che noi vediamo. Per quale motivo i mass media continuano, per esempio sul tema dell'immigrazione, a sottolineare sempre gli elementi di differenza, gli elementi di conflittualità? Anche quando si parla del famoso scontro di civiltà, anche chi lo nega continua a porlo nello stesso modo. Quanti anni, come diceva il nostro amico Ahmad, deve restare nel paese per essere finalmente non più extra? Quand'è che diventerà uno di noi? La mia trasmissione si intitola "Non solo nero", non è solamente una questione di pelle, non è solamente l'africano, non è solo una differenza così evidente e facile, come quella biologica, come quella della pelle e anche altre cose. Se tu chiami una rubrica "Bianco e nero" il grigio non lo vedrai mai e soprattutto vorrà dire qualcosa di diverso.  

La globalizzazione crea molta insicurezza, lo sapete tutti, lo sanno soprattutto i leghisti che sono proprio isterici per questo e che quindi hanno paura, insomma un'agorafobia se volete anche comprensibile. Il nostro mondo è in transizione, è un mondo che costringe a fare i conti con una grande trasformazione; la nostra identità, la casa che c'eravamo costruiti dentro cui in qualche modo ci comprendiamo, la sicurezza che ci dava,  con pareti che crollano, con i muri che crollano, con le lingue che ci attraversano, con i mezzi di comunicazione tolgono invece ogni lontananza, perfino di comunicazione. I mezzi di trasporto che ci permettono di arrivare dall'Africa in un paio d'ore, tutto questo ci ha completamente sconvolti e noi in questa situazione non siamo abbastanza forti; c'è evidentemente un senso d'insicurezza molto forte, c'è una paura, c'è un bisogno di ricostruire, che appunto come fanno i leghisti, di ricostruire mura, di rialzare pareti che in qualche modo ci aiutino a definirci. In realtà il mondo nuovo esige una continua capacità di ridefinizione. Non basta che abbiamo studiato questa cosa, dobbiamo fare un altro lavoro, e non basta essere bravi in un lavoro, ci costringeranno ad impararne un altro, e non basta essere figli di qualcuno per fare lo stesso mestiere come un tempo era, ma vedete era un tempo felice quello in cui il figlio dell'avvocato faceva l'avvocato, il figlio dell'operaio faceva l'avvocato, certo rimanevano le differenze, ma tu sapevi dove stavi andando, tu avevi una tua identità. L'operaio della Fiat era una roba che non avrebbe mai votato Berlusconi un tempo e oggi invece lo ha votato e come! L'operaio della Fiat sapeva, era legato a un sindacato, a un partito, poi per carità, poteva modificare ma insomma la sua strada e la sua identità era ben precisa tant'è vero che trovava delle forti rappresentanze, cioè gente, strutture, forme che riuscivano a rappresentarlo. Oggi chi è che ci rappresenta? La crisi di partiti, sindacati, della chiesa; gli oltre 2 milioni di Papa-boys che seguivano Papa Wojtyla nella camera da letto si comportavano diversamente da come lui diceva e usavano per esempio il temuto preservativo, sapevano che le scelte individuali non potevano essere affidate al Papa, o al partito, o al sindacato. Oggi è tutto così, oggi i punti di riferimento ci mancano, siamo costretti in qualche modo ad affrontare continuamente scelte nuove. Abbiamo fortissime responsabilità, un peso di responsabilità che non abbiamo mai avuto; è il prezzo dell'autonomia, è il prezzo della crescita, lo sa anche un ragazzo quando dopo l'adolescenza deve affrontare certe cose. Io credo che noi viviamo in una sorta di situazione adolescenziale nel mondo di oggi: allora che cosa facciamo? Cerchiamo gli elementi che ci aiutano ad identificarci, troviamo delle sponde, cerchiamo qualcuno che sia diverso, che possa essere ancora diverso in questo mondo. Se siamo insicuri per il lavoro cerchiamo qualcuno che sia più insicuro di noi, più precario di noi, insomma cerchiamo qualcuno che sia più a sud di noi, qualcuno che sia più negro di noi, qualcuno che sia più povero di noi. E' chiaro che bisogna competere in una società molto competitiva e questo porta a un bisogno continuo di nuove sponde. È finita la sponda comunista allora l'Occidente, soprattutto gli Stati Uniti, ha cercato un'altra sponda e l'ha trovata nell'Islam. Potremmo forse sperare in un superamento? Ce ne sarà qualcun'altra, ci saranno i cinesi, ci sarà qualcos'altro, magari non sarà più un fatto culturale, potrà esserne un altro. Lo scontro di civiltà è l'ultimo lamento di chi ha bisogno di qualcuno con cui lottare, di un nemico da inventarsi, da costruire. E quanti ne abbiamo costruiti in questi anni? Da Khomeini, Saddam, Gheddafi… Questa costruzione di identità, questa costruzione del nemico, tende a darci il bisogno di escludere e purtroppo i mezzi di comunicazione, ho l'impressione credo anche per ragioni politiche, soggiacciano a questa esigenza. Il ruolo che hanno in questa fase è un ruolo di esclusione, un ruolo continuo di stereotipizzazione della differenza, di dire ti devo identificare. Questo è anche dovuto a caratteristiche proprie dei media, per esempio la semplificazione.  

Una volta io ho cercato di definire l'immigrato rappresentato alla televisione, l'abbiamo chiamato l'immigrato elettronico, cioè la rappresentazione televisiva dell'immigrato. Cosa fa l'immigrato elettronico? Arriva, sta in Italia da 10 anni, 20 anni ma quando lo vedi in televisione sta sempre arrivando, di solito arriva da una barca. Se io parlo d'immigrazione non posso far vedere quello che arriva perché è fuorviante. L'immigrato arriva dopodiché porge i documenti: l'avete mai visto l'immigrato che si aggira smarrito alla stazione Termini o a Porta Palazzo? Si aggira smarrito, gli indigeni, noi, gli autoctoni, passiamo veloci, andiamo a lavorare e lui sta lì che si aggira smarrito… Per quanto tempo ancora? Ce l'avrà una casa questo benedetto immigrato? A questo punto scatta il lavoro e anche lì per esempio, l'immigrato non studia mai, avete mai visto un immigrato studiare in televisione? Non studia mai, non fa mai il professionista, non ce n' è uno. Ci sono qualcosa come 100 mila imprenditori stranieri, non se n'è mai visto uno, si vedono sempre alcuni mestieri, mestieri poi tipici i vu' cumprà, l'ambulante, la colf in certi casi e così via. Insomma, l'immagine che noi abbiamo è un'immagine molto riduttiva. Come è fatto l'immigrato? È giovane, è di solito scuro di pelle, è musulmano. Ma per esempio i musulmani sono un terzo degli immigrati in Italia e quei due terzi cristiani, evangelici, cattolici non si vedono mai, cioè non vengono mai visti come tali: avete mai sentito parlare di immigrati cristiani? Se dico gli immigrati musulmani tutti sanno cosa voglio dire, se dico gli immigrati cristiani voi dite: in che senso? Quali sarebbero? Allora tutto questo ci indica che c'è qualcosa di molto grave sotto, di profondo, c'è una sorta di strumentalizzazione dei media. I media vengono usati per escludere, vengono usati per stereotipizzare, si approfitta se volete, rende schematico. Oggi non è più momento di schematismi. Io credo che i media debbano assumere la capacità molto difficile di articolarsi, di rendere e rappresentare la complessità. Io credo che il coraggio maggiore, si parlava di cose sotto il tappeto, è di far venir fuori le cose, di approfondire i problemi, invece di ridurle a stereotipi, affrontarle nella loro complessità, nella loro difficoltà. C'era un bell'articolo recentemente di Jean Daniel sul multiculturalismo: raccontava dei ragazzi del Senegal che il sabato fanno la schedina con il campionato italiano perché è conosciutissimo anche a Dakar, sono cose che la gente non sa e che aiutano a capire. Questi ragazzi ascoltano la stessa musica dei nostri e così via, però in realtà il confronto vero è sulle differenze. Io credo che questa articolazione così complessa e questo equilibrio così difficile fa l'uguaglianza e la differenza. Provate a chiedere a una persona se non lo sa in cosa vuole essere uguale e in cosa vuole essere diversa. È così difficile secondo voi? Allora gli chiedete sul diritto di voto, secondo voi deve essere uguale o diverso? Gli chiedete sulla religione, secondo voi deve essere uguale o diverso? È così semplice per certi versi, chiediamolo a noi stessi intanto, in cosa vogliamo essere uguali a tutti gli altri e in cosa teniamo profondamente ad essere diversi. I mass media devono aiutarci in questo. Non devono parlare solo della diversità come contrapposizione tra l'altro all'uguaglianza, non è così, è una falsa contrapposizione. Ciascuno di noi vuole convivere con questi due elementi e vogliamo convivere fra l'altro in un mondo di grande articolazione, in cui le differenze attraversano ciascuno di noi, non sono fuori, identificano al contrario, identificano tante cose diverse; noi cambiamo continuamente, questo continuo cambiamento, questa complessità, quest'articolazione, questo difficile equilibrio deve essere rappresentabile, dobbiamo essere capaci di farlo. Voi siete più giovani potete cominciare a farlo. 

Roberto Morrione*

Massimo ha esposto un'analisi molto stimolante, molto interessante che parte da crisi a livello istituzionale di rappresentazione, di rappresentanza, ma anche contemporaneamente crisi di ideologie e questo comporta evidentemente un'instabilità di fondo che ancora l'Italia non ha affrontato profondamente; si approda poi al mercato, perché di fatto in questa crisi e in questo vuoto, come dice Ghirelli, s'inseriscono elementi profondi di profitto, di consumo, che vengono di fatto assimilati, mentre vanno a riempire praticamente un vuoto e un bisogno di sicurezza che non esiste più. È una teoria molto interessante, perché ci porta come giornalisti e come informatori, all'interno di una crisi e di una deriva che il giornalismo attraversa e che non si esprime secondo me solo su questi terreni, ma anche su molti altri. Ci porta alla crisi dell'inchiesta, all'incapacità di avere un'autonomia reale rispetto ai mali più profondi come ad esempio le mafie, la criminalità, il rapporto tra economia legale e economia illegale, su cui l'informazione non fa assolutamente luce. Non c'è solo la complessità del problema immigrazione, c'è la complessità della realtà di fronte alla quale, evidentemente, i media in generale non riescono a mettere in campo degli strumenti di interpretazione che aiuti a chiarire e a conoscere la complessità. Chiedo a te Ahmad: questa analisi coincide con ciò che le comunità d'immigrazione in Italia vivono rispetto anche al sistema dei media? Questa ricerca di una complessità che non esiste nei media, ma che esiste nella realtà dell'immigrazione, secondo te come si esprime? 

Ahmad Ejaz*

Per il giornalismo è importante conoscere l'immigrazione. L'immigrazione in Italia pochi anni fa era di prime generazioni che non parlavano italiano, ancora oggi le prime generazioni non riescono a parlare italiano, perché non ci sono progetti di lingua italiana come in altri paesi, ad esempio Olanda e Inghilterra. Io faccio questo giornale in lingua urdu qui in Italia, quindi in qualche modo rimane viva questa lingua in Italia con l'immigrazione, mentre in Pakistan sta morendo, perché l'inglese sta prendendo il suo posto. Io vedo che la società italiana è già una società multiculturale ma non è interculturale, perché non c'è il dialogo tra immigrati e autoctoni e questo è legato molto all'origine. I giornalisti italiani studiano nelle università italiane, io ho avuto la possibilità di fare anche il mediatore nelle scuole, perciò ho visto la fonte ed io ho guardato che grandi problemi sono legati ad egocentrismo. Non s'insegna nelle scuole e nelle università italiane ad esempio che i famosi filosofi greci sono stati tradotti dagli arabi e poi sono arrivati in Europa. L'ora della religione è ancora ora della religione, per esempio mio figlio con un altro bambino cinese non fanno l'ora della religione, però in alternativa non fanno altro, perciò dovrebbe nascere l'ora delle religioni. In Italia io ho visto che la cultura cattolica è molto forte, senza conoscere la cultura cattolica tu non puoi fare l'università, non puoi conoscere Dante Alighieri, o grandi filosofi, grandi intellettuali italiani. Io voglio conoscere, qualcosa dobbiamo unire, prendere le iniziative. L'immagine dell'immigrato quello che è stato prodotto dalla stampa in Italia, è un'immagina negativa. L'immigrato è una persona pericolosa, come è stato prodotto in America l'immagine dell'italiano. Il film di Al Pacino, di Robert De Niro, che sono sempre mafiosi, sempre quest'immagine forte dell'italiano cosa ha prodotto? Che oggi c'è uno stereotipo, un pregiudizio molto forte contro italiani, in tutto il mondo invece nessuno si ricorda che i grandi grattacieli sono stati costruiti dai lavoratori siciliani. Ma questo è colpa anche della stampa italiana, molte volte ci sono film da zio d'America, fanno vedere, ma non fanno vedere quello che era successo con gli immigrati italiani che erano molto simili a noi.  

C'è sempre una trasformazione dentro il mondo dell'immigrazione: per esempio adesso le donne hanno superato gli uomini. Con l'immigrazione dall'Europa dell'Est, sono arrivate molte donne, ma le leggi sull'immigrazione ancora parlano di immigrato, non parlano di immigrati e immigrate. Nelle leggi dell'immigrazione le donne vengono trascurate, per esempio molti centri di accoglienza sono fatti per gli uomini, non per le donne. Per quanto riguarda la pensione non c'è stata divisione tra donna e uomo, quando va dato l'asilo politico va dato il permesso al capofamiglia. Questi sono piccoli sbagli che vanno superati. Io quello che chiedo alla stampa italiana è di mettere in discussione i vecchi modelli, deve stare attenta per quanto riguarda il protagonismo. Quello che manca è la normalità: l'immigrato non deve essere difeso e non deve essere offeso. L'immigrato quello che vuole è essere normale: questa sarà la vera integrazione, questo sarà il vero dialogo. 

Ma dall'altra parte anche gli immigrati hanno molti pregiudizi contro gli italiani, contro gli europei. Per esempio da noi c'è contro l'Occidente un pregiudizio molto forte: bianco, ricco, violento e felice. Io quando vado in Pakistan racconto: guardate che non è così, non ci credono. Non c'è mai stato un incontro tra i popoli per parlare di cose piccole, di cose normali. Mi fanno ridere alle volte quando i giornalisti scrivono Bin Laden, è sbagliato tecnicamente la parola Osama Bin Laden perché Osama è figlio di Laden che ha 24 figli, quale Bin Laden? La parola Talebani è già plurale, Talib è uno e Taliban è plurale. Ci sono tante parole che vengono usate e poi creano i danni. Come diceva Ghandi: "La globalizzazione deve cominciare dal villaggio", cioè dal regionalismo, dare importanza alla cultura del villaggio. Infatti con questa globalizzazione ogni giorno muoiono più di 20 dialetti che alle volte sono le lingue e questo mi dispiace.  

Un altro punto molto importante è quello dell'identità culturale. Io vengo dal Pakistan dove l'identità culturale non è singolare. Io per esempio come persona non esisto, esiste il gruppo, io ho un'identità culturale di gruppo. Pakistan, India, Bangladesh, questi sono paesi da dove vengono più di 250 mila persone in Italia che hanno un'identità culturale del gruppo. Questo è molto importante da far capire all'italiano. Prima mi hanno chiesto quale era il nome e quale il cognome tra Ejaz ed Ahmad, e vi dico che noi tutti del sud continente indiano quando veniamo in Italia, creiamo il nostro cognome il giorno che facciamo il permesso di soggiorno. Quel giorno tu hai pochissimo tempo davanti al poliziotto per creare il tuo nome e cognome, abbiamo nel passaporto nome e subito dopo c'è il nome del padre o la casta. Un mio amico che mi stava a fianco quel giorno mi ha detto: guarda che agli italiani i cognomi lunghi non gli piace, fai qualcosa, così tagliai il mio nome in due: Ahmad il nome e Ejaz il cognome e questo è diventato il mio cognome fisso. Per noi quando c'è l'identità del gruppo non sono importanti i dati anagrafici, l'importante è la casta, perciò io ho trovato tanti problemi all'inizio che sono legati alla vostra anagrafica. Secondo problema era la mia data di nascita. Noi normalmente abbiamo un anno ma non abbiamo una data di nascita, mese e giorno non si ricorda mai perché non facciamo compleanno, non è importante come ho detto prima come individuo. Per una serie di circostanze poi mi sono creato la data di nascita 04-05-1962.  Quando dovevo sposare mia moglie sono venute fuori altre date: secondo i calcoli in base a quello che mi disse mia madre ossia che ero nato a 10 di ramadam secondo i mesi lunari, risulterebbe la data 16 febbraio 1962. E poi quando dovevo sposare sempre quella che adesso è mia moglie è arrivata un'altra data di nascita che mi ha mandato mio papà: 3 marzo 1962. Adesso nel mondo del lavoro il direttore mi dice auguri per compleanno io sempre dico: quale?  

Le elezioni in Pakistan non prevedono il voto al singolo, si chiede il voto al gruppo, alla casta, perciò ci sono altri tipi di democrazie, però lì funzionano; altra cosa importante è che la nostra è una cultura circolare, tradizionale. Il fulcro della società è il matrimonio, la tradizione; noi adesso stiamo parlando oggi delle prime generazioni, fra poco in Italia troveremo le seconde generazioni e con queste ci sarà il conflitto del matrimonio, perché per noi è importante il matrimonio combinato. L'uccisione della ragazza a Brescia, il suicidio della ragazza indiana a Modena sono legati a questa identità culturale.

Quando faccio questi discorsi molte volte i ragazzi italiani dicono: allora voi fate il matrimonio combinato, il vostro è sbagliato, il nostro è quello giusto. Invece per me non dobbiamo fare questa gara, il vero problema è che questa identità culturale già esiste in Italia. Più di 250 mila persone già vivono in Italia con questo tipo di mentalità e perciò devono nascere nuovi modelli per conoscere queste identità, ma senza perdere la propria identità. Gli italiani devono fortemente conoscere i propri valori, infatti quando uno non conosce i propri valori, non può accogliere i nuovi che arrivano. Allora è questo che crea il conflitto, non come ha detto pure il presidente Berlusconi che la vostra cultura è superiore… 

Roberto Marrione*

Ascoltando la testimonianza di Ahmad mi è venuta in mente un film secondo me molto bello "Nuovomondo" di Crialese che affronta l'impatto della prima ondata d'immigrazione italiana negli Stati Uniti e quello che ha comportato già al momento del controllo, dello sbarco, dell'accettazione in quel paese con problemi ancora più drammatici di quelli che Ahmad descrive, ma comunque molto significativi. Volevo soltanto leggervi alcuni dati che mi sembrano molto interessanti, che credo molti di voi già conosca. L'ultima pubblicazione dell'Istat sull'immigrazione riporta che tra i residenti stranieri, i laureati e i diplomati sono percentualmente molti di più che non tra i cittadini italiani. I laureati sono il 12,1%, mentre gli italiani hanno il 7,5%. I diplomati sono il 27,8% contro il 25,9% e quelli con licenza media il 32,9% contro il 30,1%. Quindi a tutti i livelli di istruzione gli immigrati residenti hanno una media percentuale superiore alla popolazione italiana. Credo che questo già di per sé dovrebbe indurre processi di approfondimento e di revisione di molte cose. Mi ha colpito infine quando Ahmad ha detto che manca la normalità nell'informazione sull'immigrazione. Questo ci porta veramente dentro ad alcuni dei problemi di fondo del giornalismo e del fare informazione in Italia, perché la cultura dell'emergenza, nella notiziabilità, che sono poi i meccanismi organizzativi dell'informazione, nei giornali, nei mass media, evidentemente taglia fuori una normalità che invece è fatta di reciproca conoscenza.  

Intervento

La mia domanda è: che cos'è per voi il superamento del centro di permanenza temporanea?  

Intervento (Centro Servizi per il Volontariato di Biella)

A me piacerebbe tornare sul discorso mediatico e sui concetti di eurocentrismo ed immaginario collettivo. I media vanno avanti grazie all'introito pubblicitario che ha superato di gran lunga l'introito della vendita dei giornali e degli spazi, per cui è chiaro che si va verso la totale mancanza di approfondimento, la morte dell'inchiesta, l'informazione molto breve, concisa, manca la contestualizzazione, il Tg2 con la stringa sotto che in 8 parole descrive un evento di una complessità enorme. Anche i momenti di approfondimento che si fanno, mi vengono in mente quelli sul velo, sul ruolo della donna nel mondo islamico, fanno venire i nervi a me che ho passato qualche tempo in quei paesi, posso immaginarmi un cittadino che viene da lì, per la banalità e la mancanza di approfondimento con cui vengono trattati. Allora io dico, forse non è il contesto, non è bellissimo dirlo in questo seminario, ma non so quanto i media possano realmente come strumento, al di là della volontà, intervenire su questo. Forse gli unici che possono davvero farlo, può essere una novità anche se lo spazio non è molto e lo lancio come stimolo, vedere se secondo voi è una cosa possibile che siano gli stessi immigrati, partendo dai tanti che fanno parte di associazioni. È chiaro che il problema è lo spazio e la visibilità che non sarà mai, o difficilmente può essere quella che possono avere i grandi media. 

Simone Ramella - Freelance*

In Gran Bretagna il numero delle rappresentazioni degli immigrati, ad esempio il numero del personale televisivo appartenente a minoranze etniche è aumentato nel momento in cui si sono resi conto che stavano perdendo questa fetta di pubblico. Io credo che il problema dei media in Italia sia che non viene più nemmeno rappresentata la normalità degli italiani. Cito l'esempio di Michele Santoro che quest'anno è ritornato in video col suo Anno Zero, ha iniziato con un certo tipo d'impostazione la trasmissione dove i politici praticamente erano relegati alla fine della puntata, con un'intervista molto breve, poi ho notato che ormai nelle ultime puntate i politici sono tornati ad occupare interamente la scena, con qualche rara testimonianza delle persone normali appunto. Oltre che a parlare della rappresentazione delle minoranze nei programmi televisivi, dovremo cominciare anche in Italia a riflettere sulla rappresentazione delle minoranze all'interno delle redazioni, un problema che riguarda noi italiani e a maggior ragione riguarda le minoranze etniche. 

Francesco Chiavarini*

Vengo da Varese, una terra forse non particolarmente ospitale per gli immigrati, anche se appunto anche questo è fino a un certo punto un luogo comune, ma recentemente mi è capitato di parlare con un piccolo artigiano che vota Lega, probabilmente partecipa anche alle manifestazioni di piazza più deleteree ma nella sua azienda ha assunto due tornitori romeni e ne parla benissimo. Il problema è come riuscire a passare dal modo di pensare agli immigrati come corpi, come braccia che lavorano, a persone con evidentemente modi di pensare, abitudini da riconoscere, come si passa quindi da un atteggiamento esclusivamente utilitaristico che è quello che probabilmente ha governato fino ad oggi il nostro modo di pensare all'immigrazione, a un ragionamento più ampio, culturale, come quello che già oggi si è cominciato a fare. Si possono dire tantissime cose, perché avete messo sul piatto veramente moltissimi argomenti, però devo riprenderne uno, perché probabilmente una delle frontiere dell'integrazione è la scuola dove in realtà già avviene un lavoro fantastico, anche se non raccontato forse in modo dovuto, perché gli insegnanti si trovano veramente ad affrontare dei problemi enormi senza essere nemmeno guidati per farlo. A me sembra che una grossissima opportunità sia ad esempio l'ora di religione, un momento in cui si potrebbe lavorare proficuamente sull'integrazione. C'è la speranza che insomma l'ora di religione sia un qualcosa di diverso da quella che è oggi, che sia veramente l'ora delle religioni? Per fare questo occorre che la Chiesa faccia un passo indietro, nel senso che non può pensare di continuare a governare e decidere chi può fare l'insegnante di religione. Oggi l'insegnante di religione deve essere certificato dal Vescovo, insomma comunque dalla gerarchia ecclesiastica e in realtà è un insegnante confessionale. Allora io non voglio sostituire questo insegnante con un imam, perché sarebbe una cosa terribile, non aiuterebbe assolutamente il processo, però se immaginiamo che quel momento sia affidato a qualche professionalità diversa e formata, perché lì l'incontro avvenga veramente, ecco, questo sarebbe forse molto utile. 

Elisabetta Bianchetti - Centro Servizi per il Volontariato di Milano*

Dopo gli attentati di Londra sui giornali abbiamo letto che è fallito questo modello d'integrazione inglese ed anche lei, Ahmad lo ha detto prima, quindi la mia domanda è questa: esiste veramente una ricetta per l'integrazione? 

Maurizio Foschi - Direttore Rivista "In Salute"*

Una domanda per Ahmad: abbiamo parlato di integrazione sociale, diritti civili, scuola, lavoro, ma non abbiamo ancora parlato di salute. Come viene vista dalla comunità che rappresenta tutta la questione della sanità e della salute? 

Barbara Gobbi - Il Sole 24 Ore*

Vorrei tornare sui questi temi della scuola e della sanità, è qui che si giocano le due grandi scommesse, prima di tutto perché proprio per antonomasia i bambini riescono a superare barriere che purtroppo invece crescendo si formano spontaneamente e quindi secondo me è lì che bisogna moltissimo lavorare, ma mi pare in parte è quel che state facendo. Per la sanità anche lì secondo me dovreste molto insistere a veicolare un'idea della salute dell'immigrato che non sia percepita come minacciosa dal resto della società, perché per esempio noi abbiamo fatto l'apertura di giornale questa settimana proprio sulla salute degli immigrati e ormai si sa da anni tra l'altro, che gli immigrati arrivano in generale sani, se non altro per selezione proprio naturale, poi si ammalano stando qui, anche perché spesso stanno in condizioni ovviamente pessime di alloggio, di sistemazione e di lavoro. Tra l'altro la maggior parte dei ricoveri avviene per parto, assolutamente quindi normale, visto che le straniere hanno molte più gravidanze rispetto alle italiane. Per quanto riguarda invece il discorso informazione, secondo me, diciamo che è un problema quello che riguarda l'informazione per gli immigrati, che poi è quello che attanaglia tutta l'informazione in generale, cioè il non riuscire a bucare più lo schermo, a comunicare veramente; il pubblico è assuefatto un po' alle informazioni che gli vengono date, sia che riguardino il numero di sbarchi, sia che riguardino i morti per autobomba a Bagdad. Avete pensato ad altre formule, come ad esempio alla fiction fatta in maniera corretta appunto, non in cui arrivi la colf da un altro paese; ad esempio anni fa c'era questo progetto di un mio amico di fare una fiction tutta dedicata agli immigrati, ma non veicolandola soltanto in canali per immigrati, ma facendola passare in prima serata come fiction di Lino Banfi ad esempio, perché no? Quella potrebbe essere un'idea perché forse queste cose arrivano di più indirettamente, ma più profondamente rispetto alla notizia di un minuto e mezzo sul telegiornale. Ultima cosa: lei prima accennava al sogno americano che hanno molti immigrati nel venire qui, l'aspettativa che hanno quando nei loro paesi vedono questi film italiani o americani in cui in teoria i bianchi sono felici. Quanto sono delusi gli immigrati dal vedere che questo sogno americano s'incrina quando vengono qui, perché noi generalmente siamo pieni di problemi e difficilmente felici come viene tracciato dai film. A questo venir meno del sogno americano si ritraggono pure all'interno delle loro comunità, perché è vero che alla stazione Termini fanno spesso vedere alla tv di questi immigrati che arrivano con la valigia in mano, però io spessissimo passando alla stazione Termini attraverso come se fossi trasparente, comunità di immigrati più o meno giovani, perché ci sono veramente tutti i gruppi di questi per fasce di età, dai ragazzini che vanno sugli skateboard, alle signore che si riuniscono nei locali della stazione e che veramente mi ignorano; io a volte ho la percezione che queste persone provano nei confronti della nostra realtà una forte delusione, e probabilmente questa delusione non aiuta assolutamente l'integrazione, quindi anche da parte vostra forse ci vorrebbe una comunicazione non soltanto nei nostri confronti, ma nei loro, per dirgli guardate che se veramente volete comunicare dovete anche voi cercare l'approccio giusto per farlo. 

Roberto Morrione*

Solo una piccola osservazione. Non vedo Fabrizio Del Noce, direttore attuale della prima rete televisiva, che dia uno spazio a una fiction costruita dagli immigrati. Ma lo dico senza ironia, però mi sento in dovere di sottolinearlo. 

Mariangela Paone - Freelance*

Riflettevo prima sul fatto che prima Ghirelli ha detto che il mondo nuovo richiede una grandissima capacità di reinterpretazione. Solo il 10% degli immigrati arriva con i barconi e non vediamo mai come arrivano gli immigrati dell'est e ho pensato che il prossimo primo gennaio Romania e Bulgaria entreranno nell'Unione Europea e ripensavo a quanti servizi giornalistici: quanti approfondimenti ho visto anche sui giornali, che ci preparano a quest'ingresso, a persone che sono extracomunitari e che dal primo gennaio non lo saranno più, saranno comunitari, poi con una serie di restrizioni burocratiche, ma di fatto saranno membri di questa famiglia dell'Unione Europea. C'è una grandissima responsabilità credo da parte di noi giornalisti, cioè non siamo preparati a raccontare proprio la normalità di queste persone. Io vivo a Roma dove c'è una grandissima comunità romena ma mi chiedevo io stessa cosa conosco della loro realtà quotidiana, forse fanno i badanti, ma magari sono ingegneri nucleari, oppure medici come una donna romena che ho conosciuto tempo fa e che in Romania era un medico pediatra.  

Clara Montesi*

La mia è una brevissima riflessione sulla lingua, sulle parole che utilizziamo noi stessi e anche i mezzi di comunicazione, come per esempio lavoro in nero; ho vissuto degli anni in Ecuador e lì questa definizione era considerata estremamente degradante e offensiva. In effetti lì viene definito lavoro illegale, perché è così, quindi è una riflessione da dove nasce l'utilizzo della parola lavoro in nero ed altre terminologie che utilizziamo inconsapevolmente, quindi un'autocritica che deve partire da noi stessi e poi ai mezzi di comunicazione. 

Francesco Cavalli - Assessore Comune di Riccione*

Volevo portare qui una denuncia che è stata fatta la settimana scorsa a Firenze durante la cerimonia di consegna del premio che viene assegnato ai media, ai prodotti informativi utilizzati dagli immigrati e per gli immigrati. Lì sono venuto a conoscenza di una cosa che mi ha anche un po' stupito, ma in realtà poi, se ci pensiamo, non stupisce neanche tanto: l'impossibilità degli stranieri in Italia di essere iscritti all'ordine dei giornalisti come giornalisti, a meno che abbiano la cittadinanza italiana. Parlando di integrazione e di informazione forse un primo passaggio, un primo segno lo si potrebbe dare, dando possibilità d'integrazione per evitare di essere fraintesi, a chi vuole lavorare anche in questo settore dandogli la dignità di poter lavorare con un riconoscimento, visto che credo ci sia un doppio livello di ragionamento di responsabilità. Uno che è sul piano politico, che è quello di legiferare in riferimento appunto alla possibilità o alle opportunità che vengono date all'integrazione; l'altro è quello più sul piano culturale che riguarda tutti e che io credo possa essere superato solo attraverso l'incontro, il dialogo, il confronto, non credo nell'unità della cultura o nell'omologazione della cultura, credo nella grandissima ricchezza delle tante culture e delle tante identità, ma che avvengano attraverso il dialogo. In questo la responsabilità dei mezzi di comunicazione è enorme e ne siamo tutti consapevoli per tutte le semplificazioni che poi portano invece ad aumentare i luoghi comuni e quindi le idee sintetiche che non sono amiche dell'integrazione e dell'accoglienza.  

Francesca Mariani - Biologa*

Sono una biologa. Volevo solo fare una piccola provocazione forse per Ahmad Ejaz. Tu prima parlavi del ruolo, che per voi è molto importante, della tradizione, l'immigrato, non c'è bisogno di sottolinearlo, è in una posizione di debolezza oggi nella società italiana, quindi forse rivolgervi alla parte della società italiana che è meno legata alla tradizione, la parte della società italiana un po' più aperta, che è quella che viene qui rappresentata molto bene, ha però bisogno anche di un'apertura da parte vostra. Quando tu parli qui di matrimoni combinati dici giustamente l'immigrato non va né offeso né difeso come una specie in estinzione, anzi in realtà siete molto più prolifici di noi, ecco allora però dobbiamo parlare sul serio. Io ti dico che ho molti colleghi che vengono da paesi islamici e spesso ho trovato una chiusura nel voler discutere ad esempio su quello che noi chiamiamo movimento femminista, comunque insomma la consapevolezza femminile del riprendersi certi campi che prima erano preclusi. Come diceva giustamente prima Ghirelli la tradizione ci porterebbe a chiuderci, cioè ci porterebbe a voler ricostruire delle pareti altissime, delle chiusure, dei localismi, non vi darebbero sicuramente spazio. Quindi forse, se vogliamo parlare, naturalmente dobbiamo essere noi che vi accogliamo ad aprirci però anche voi dovete farlo perché altrimenti diventa una barriera anche nei confronti di chi magari avrebbe culturalmente le orecchie più aperte per ascoltare.  

Marco Magheri - Responsabile alle comunicazioni dell'ospedale pediatrico Bambino Gesù di Roma*

Volevo ricollegarmi agli interventi di prima legati al tema della salute. Cito 2 cifre: nel nostro ospedale 800 mila prestazioni ambulatoriali l'anno, 34 mila tra interventi chirurgici e ricoveri, 54 mila prestazioni in pronto soccorso, questo ogni anno. Il 10% dei nostri pazienti sono o figli di immigrati o persone che vengono direttamente dall'estero per essere curati da noi. I mezzi d'informazione, malgrado la nostra abbastanza continua stimolazione su questo fronte, s'interessano solamente quando arrivano i voli militari con un bambino iracheno o di qualche altra zona di guerra. C'è un segnale incoraggiante: gran parte di questi piccoli pazienti sono della comunità cinese che ha abbandonato il proprio ambito di medicina in qualche modo per affidarsi anche alle cure della medicina italiana. 

Tiziana Cavallo - Freelance*

Volevo fare una domanda riguardo alle nuove tecnologie. Si è parlato di scuola, di giovani, di quanto anche le giovani generazioni possano essere tra virgolette "educate" all'intercultura, all'interazione e volevo chiedere, secondo voi, quale poteva essere il ruolo di internet sia dal punto di vista dei media, sia dal punto di vista dello strumento in sé. Poi mi permetto di rispondere con una provocazione a chi ha detto prima di aprire l'ordine dei giornalisti, le iscrizioni agli stranieri, io sono d'accordissimo, collaboro con Nigrizia e quindi ho a che fare tutti i giorni con colleghi africani, oppure comunque, magari che non lavorano in Italia, ma sono nel loro paese, solo che mi chiedo da freelance precaria, forse è meglio che l'ordine dei giornalisti, visto che siamo anche in un luogo in cui siamo tutti sensibilizzati, risolva prima magari i problemi di chi non riesce ad entrare nell'ordine dei giornalisti da italiano. 

Claudio Aleotti - Roma 3*

Volevo chiedere come valuta l'ipotesi di trasferimento delle competenze in materia d'immigrazione all'Unione Europea, che ultimamente è stata ventilata soprattutto dalla Spagna e dall'Italia. Quali potrebbero essere le conseguenze in merito a questa decisione? 

Valeria Felsi - Associazione Antigone Porto San Giorgio*

Quello che a me risulta difficile e che quindi rivolgo a voi, è appunto il collegare il problema tra relativismo culturale, che vuol dire cioè che diciamo la mia visione del mondo non coincide con quella di un altro, e poi il problema dei diritti fondamentali dell'uomo. Lo dico anche soprattutto in riferimento per esempio al problema dell'infibulazione, tutte queste tematiche legate al diritto delle donne, fino a che punto è giusto cioè che le donne occidentali si facciano carico delle problematiche delle donne non occidentali? Se è giusto farlo o meno e che cosa vogliono le altre donne. Questo ovviamente penso che non valga solo per il discorso delle donne, ma anche più in generale. Quindi il relativismo culturale e l'empasse dei diritti umani fondamentali. 

Rosaria Guerra - Giornalista storica delle religioni*

Quanto secondo voi l'esclusione di chi arriva in Italia da un paese straniero, deriva non tanto dalla diversità culturale, religiosa, o addirittura di colore di pelle, quanto in realtà dalla povertà che chiaramente queste  persone trasudano? Perché poi alla fine, si è vero ci sono i neri, ci sono gli indiani, ma ci sono anche i romeni che sono bianchi come noi e hanno anche forse i colori più chiari di noi di capelli, di occhi, non è forse soltanto lo scuro che mette paura… Quanto poi in realtà non sia una questione di diversità, ma di povertà e quindi anche chiaramente di debolezza e in realtà sia questo che faccia paura a noi… 

Rocco Pezzano - Giornalista*

Pur consapevole che stiamo parlando di cittadini che vengono da 180 paesi del mondo in Italia, come Ghirelli diceva, quindi non possiamo parlare di un gruppo omogeneo come gusti, come acquisti, ecc., chiedo se esiste una stampa che piace e che viene letta dagli immigrati. Ci sono degli studi su cui magari si è basato anche Metropoli, cioè Repubblica, anche se è nato da esigenze commerciali e non culturali? Ecco volevo sapere se esistono delle statistiche, degli studi, dei dati in questo senso. 

Anna Casanova - Freelance*

Io volevo condividere con voi una riflessione. Si è parlato degli effetti della Bossi-Fini su emigranti donne, uomini, adulti, però non dimentichiamoci che ci sono anche i minori, i minori immigranti. Ora la Bossi-Fini sta avendo degli effetti preoccupanti negativi anche sui minori. Ogni anno più o meno, in Italia, ne arrivano 7000-8000, in modo chiaramente irregolare, per le vie più impervie. Una volta che hanno ottenuto il permesso di soggiorno per minore età e al diciottesimo anno lo vogliono convertire in permesso di soggiorno per lavoro o per studio, devono soddisfare 3 condizioni. Una di queste richiede che un minore sia in Italia da prima del quindicesimo anno,  quindi qui in Italia da 3-4 anni. Questo che cosa sta provocando? Non lo dico io, ma lo dicono degli studi di autorevoli Ong, tra cui Save the Children che hanno sottolineato questo: si sta abbassando in modo preoccupante l'età dei minori che arrivano in Italia, sono sempre più piccoli, fra i 10 e i 14 anni. Quindi questo sta creando una sacca di fragilità. Che cosa fa l'Italia per tutelare questi minori immigranti? 

Ahmad Ejaz*

Tante domande tutte interessantissime. Prima una vostra collega mi ha chiesto: la tua anima è arrivata in Italia o no? Perché io avevo detto all'inizio, che quando parte un immigrato, parte solo il corpo, la sua anima arriva quando sente di essere integrato. Vi posso dire che quando parto dall'Italia, quando vado fuori dall'Italia, provo nostalgia e quindi questa è una testimonianza, poi io sono sposato con un'italiana, i miei figli sono nati in Italia e ho cominciato a sognare in tutte e due le lingue, ho una grande confusione però la mattina, un gran mal di testa.

Parto dai CTP: noi come facciamo ad accettare il Ctp? Il Ctp è un grande schiaffo alla vostra democrazia. Gli immigrati criminali devono essere messi in carcere, come gli italiani criminali. La soluzione è una sanatoria, perché normalmente vengono messi gli immigrati clandestini in carcere e poi molti clandestini, come aveva detto Massimo, tutti quelli che avevano fatto la fila non erano criminali. Adesso Amato sta pensando di creare due Ctp, uno per i criminali e l'altro sarà tipo i centri di accoglienza, ma il Ctp in Libia, pensate come sarà tremendo, già è un paese chiuso, un paese odioso anche dai musulmani, perché è una dittatura tremenda, lì creare un Cpt è un grande danno.  

Volevo rispondere alla domanda delle femministe. È vero che noi portiamo una tradizione nuova, questa cultura dove c'è la gerarchia nella famiglia, la collocazione della donna è diversa, ma se io vado in una casa pakistana e vado a dire: guardate che qui i diritti sono diversi, quello sarà un messaggio molto violento, perciò ci vuole che il messaggio venga trasferito dando tempo e spazio affinché un immigrato percepisca diversamente questo tempo e spazio. Il vostro tempo è molto veloce per quanto riguarda il cambiamento, è una cultura verticale, mentre noi veniamo da una cultura circolare, però c'è un punto d'incontro. In Inghilterra ci sono più del 17% di pakistani di seconda generazione che sono riusciti ad uscire dal vecchio circolo, è una percentuale bassa, però lì dobbiamo lavorare insieme. Le femministe italiane devono fare un passo indietro e portare avanti questo discorso. È stata fatta a febbraio la legge sull'infibulazione, anche se questa tradizione non è islamica, però viene praticata molto nei paesi musulmani, ma quanti immigrati lo sanno che è stata fatta questa legge? C'è un'informazione che arriva loro? Come è stato detto il direttore Del Noce non darà mai uno spazio a una fiction fatta per gli immigrati, il risultato è che gli immigrati vedono solo i canali con le paraboliche che vengono dai loro paesi.  

La distanza fra italiani e immigrati va diminuita con le discussioni, con i dibattiti, ma normali, come stiamo facendo oggi. Prima abbiamo parlato di velo, ma velo ormai è vecchia, da oggi si parla di poligamia. In Italia le donne non hanno il velo e ci stanno quelle che hanno il velo quello che coprono la faccia, burka sono pochissime, i problemi veri sono altri.

Abbiamo portato l'idea della consulta islamica da Amato e da Pisanu perché prima di risolvere devi cambiare le leggi, devi decentrare i vecchi pensieri. Per esempio nella scuola l'ora di religione non potrebbe diventare "ora delle culture delle religioni"? Sarebbe molto più ricca, ma per tutti, dove tutti i bambini possono pregare insieme.  

La salute, è molto importante. Io durante la mia mediazione interculturale ho lavorato in un ospedale di Roma che è all'avanguardia, dove arrivano 180 immigrati al giorno, tutti clandestini, pure lì si può fare una  retata se vogliono. Lì ho notato che, anche per quanto riguarda il mondo della salute, dovrebbe esistere la etnospichiatria, una materia che è nata in Europa, nel mondo occidentale.

In Pakistan la sanità non è pubblica, è pubblica ma quella lasciata dagli inglesi è molto decadente, perciò solo i poveri vanno in ospedale. Molti dei miei paesani ho visto che in ospedale vanno solo quando sono proprio malati, prima cercano sempre di curarsi con le spezie.

A proposito delle malattie, noi in Pakistan abbiamo tubercolosi e in Italia non c'era, l'abbiamo portata noi in qualche modo, poi però una malattia che noi prendiamo qua è la gastrite che sorge perché nel nostro paese ci cucinava la mamma o la sorella o la serva, invece quando arrivi in Italia devi cucinare da solo e così ci cuciniamo tutti i giorni la carne, perché lì la carne la mangiavano solo i ricchi, mercoledì e martedì i negozi di carne sono chiusi perché la carne è poca, è un piatto dei ricchi, il piatto dei poveri sono le lenticchie. Nel proprio paese mangiavano la carne una volta alla settimana, qui mangiano tutti i giorni.

Un'altra cosa importante è legata alla ginecologia. Le donne, soprattutto nei paesi musulmani, ma anche le donne indiane, vanno accompagnate sempre dai mariti, dai fratelli….. L'educazione al sesso non va data da noi, è proibita. C'è un'altra cosa che avevo notato in ospedale: tutti quelli che vengono dall'Europa dell'Est chiedono il diritto alla Stp ossia Straniero Temporaneamente Presente, una tessera sanitaria per i clandestini. L'unica cosa positiva che è rimasta in Italia per i clandestini, per fare anche prevenzione; questo invece non succede con i pazienti africani, arabi i quali si rivolgono alla sanità solo quando sono malati. Un altro disturbo che abbiamo notato era il mal di testa dell'autobus; sono state fatte delle ricerche perché non si capiva come mai alcune etnie avevano mal di testa e dopo, si è scoperto che era da ricondurre al fatto che nella vita non avevano mai preso l'autobus e a Roma gli immigrati vivono in periferia, perciò devono fare un viaggio lungo per venire in città. A loro causava questo danno e veniva mal di testa. Ecco, questa era un'altra cosa interessante nella sanità.  

Massimo Ghirelli*

Noi tutti speriamo, soprattutto i paesi più esposti come il nostro agli arrivi così drammatici degli immigrati, in un aiuto dell'Europa, sostanzialmente in una condivisione di politiche, non tanto nell'affidare le politiche all'Europa, ma nel condividere. È molto difficile, gli stati europei su questo tema non trovano mai un accordo se non sulla sicurezza, se non sullo spartirsi alcune cose, sui trattati, su cose di questo genere. Per una ragione anche storica, le politiche sull'immigrazione in Europa sono molto diverse, vedi paesi come la Germania, la Francia, l'Inghilterra che sono arrivati a concepire l'immigrazione in maniera completamente diversa dalla nostra. Nella concezione dei vari paesi è molto difficile trovare dei punti di riferimento comuni, gli interessi sono molto diversi, chi si trova più esposto a destra o a sinistra, verso l'est, come i tedeschi o verso il sud del Mediterraneo come noi, ha veramente interessi diversi. Quindi io realisticamente non credo nella possibilità, in tempi brevi naturalmente, di una politica europea, anche se la caldeggio, penso che sarebbe interessante tentare, un po' ricattare certi paesi, in parte l'Italia lo ha fatto questo discorso, nel senso di dire, guardate che una volta che uno entra nell'Unione Europea, poi va dappertutto, si muove, ecc. e questo è un elemento che quindi non dovete credere di poter lasciare a l'Italia, o alla Spagna, o addirittura alla Grecia, l'onere della  prima accoglienza. Questo è un discorso che però, ripeto, sul quale non sono molto ottimista, non credo che noi potremo avere grande aiuto dall'Europa, possiamo essere noi, farci in altri casi fautori di questo e cercare di avere maggiore interesse da parte Europea. Una visione comune non la vedo e semmai è molto lontana e molto difficile.  

C'è il discorso della scuola, dell'intercultura, la formazione, ecc. E' essenziale lì capire il discorso che per primo mi pare abbia tirato fuori un ragazzo che è intervenuto prima. Il discorso di spostare il proprio punto di vista è centrale anche nel lavoro che noi facciamo come giornalisti ed è una delle maggiori difficoltà, etnocentrismo se volete. La base delle interculture, un confronto interculturale è proprio questo: partire dalla consapevolezza di punti di vista diversi, quindi una sorta di spaesamento, di spostamento della nostra attenzione. Guardate che anche fra i giornalisti più avvertiti questo è molto difficile, in parte per ragioni di competenze, di culture, ma in parte perché effettivamente il mettersi dall'altra parte è una delle cose più indigeste che ci sono. Nello stesso tempo non basta aprirsi a punti di vista diversi se non si è in grado di valorizzarli, di metterli sullo stesso piano. Si tratta di mettere in grado chi porta, chi è portatore di valori, di differenze culturali, di poterle mettere a confronto su un piano paritario, perché altrimenti c'è la condiscendenza, la tolleranza, il paternalismo, oppure, peggio ancora, forse il folklore. In questo noi siamo bravissimi, perché siamo un popolo un po' folkloristico e quindi ogni tanto apriamo a questi spazi di folklore che non sono però né intercultura, né approfonditi. Noi abbiamo fatto una profonda riflessione dopo l'11 settembre perché ci siamo accorti che tutto questo nostro lavoro di educazione interculturale praticamente era fallito. Vedere la gente che ancora parlava di guerre di religione, di scontri di civiltà, parlare del mondo arabo come se ne è parlato, ci ho portato a chiderci ma insomma, che abbiamo lavorato a fare per tanto tempo nelle scuole? In parte è successa anche un'altra cosa, che l'educazione interculturale non è più di moda, nelle scuole si fa molto di meno. Gli insegnanti non hanno più il tempo, se devono scegliere corsi di aggiornamento non li fanno più sull'intercultura. La Caritas faceva un Forum che adesso non esiste più: pensate che noi avevamo 12 laboratori e toccavamo 700 insegnanti ogni anno, diversi da un anno all'altro, vuol dire migliaia e migliaia di ragazzi e di scuole, centinaia di scuole e migliaia di ragazzi. Allora la scuola è un terreno in parte ancora vergine per certe cose. Quindi anche la scuola si trova a vivere la situazione simile al discorso che si faceva prima sulla salute: esistono principi molto buoni nella scuola, un'accoglienza notevole, ma gli strumenti sono ancora pochi, ancora da aggiungere. 

Passerei al discorso dei diritti del relativismo e dei media. Sono cose che vengono fuori sempre. Faccio solo l'esempio dell'infibulazione. Non c'è volta in cui non si parli di confronto culturale, ecc., che escano fuori queste cose di fronte alle quali tutti quanti si fermano, si muovono: l'infibulazione, la poligamia, il velo, ecc. Sarebbe ridicolo se noi mettessimo in discussione i nostri principi, però non è questo che accade nel confronto interculturale. Non è il fatto di mettere in discussione battaglie o cose in cui si crede. La gente ha paura di questo confronto, perché dice: io su queste cose ci credo. Oppure: questi sono valori universali. Allora primo etnocentrismo, cioè valori universali che vuol dire? Tradotti in 20 lingue? Questo vuol dire forse? Ce li hanno gli indigeni nella Papuasia? La costruzione della democrazia, che è uno di questi valori, non è una roba, che siccome è universale, quindi te la do, la usi, la devi ricostruire tu, ci devi arrivare e ci puoi arrivare con il confronto, non ci puoi certo arrivare né con l'esportazione forzata con le armi, né con una specie d'imposizione. Quindi non si tratta nemmeno per l'infibulazione, sia chiaro, di roba che tu puoi trasferire così, perché devi entrare dentro. Non vuol dire relativismo, cioè visto che quello è di quella religione, si fa i cavoli suoi, non è questo il discorso semmai è quello di confrontarsi con la storia da cui arrivano i valori, perché non sono valori astorici nessuno dei nostri valori. La condivisione dei valori è una strada, è un percorso, non è un'imposizione, non è una roba che prevede improvvise abiure da parte nostra, ma nemmeno da parte degli altri, perché sarebbe la stessa roba. Io credo che tutto questo sia frutto di un lavoro di ricostruzione di un confronto, di un dialogo in cui quelle che per noi sono certezze non si vede perché noi non le possiamo difendere anche con i denti, abbiamo difeso addirittura con la guerra la democrazia contro il fascismo e il nazismo, non è che abbiamo ripudiato spero, nonostante Pansa, la resistenza. D'altra parte vi ricordate Voltaire? "Difenderò fino alla morte i valori degli altri anche, purchè possano dirli", non è solo questione di tolleranza quello di farlo dire agli altri, ma di fare in modo che siano condivisi, se non lo sono, bisogna trovare le ragioni per cui non lo sono, lavorarci, costruirli, non credere che si possano né esporre, né imporre, né esportare, né imporre.  

Il discorso dei media e degli immigrati, sicuramente sono importanti. Il lavoro che facemmo con Roberto ed altri, con la Rai e molte associazioni, era quello di dare sostegno ai mezzi di comunicazione, gestiti direttamente dagli immigrati. Seconda strada è quella di costruire dei mezzi che partono da diverse comunità, così come da diversi gruppi politici e vanno però verso tutti gli altri, quindi è importante il bilinguismo, è importante la traduzione, è importante l'apertura, ecc. In via transitoria sono molto importanti anche i giornali in lingua perché riescono a dare spazio alla comunità, a farla sentire ancora insieme, ma la prospettiva è quella di un'integrazione in cui sia possibile condividere le cose, perché non è che poi nei giornali scritti in pakistano si parla solo di sé stessi, del proprio mondo, bensì si parlerà dell'Italia, di tutta l'immigrazione, della politica, di Bush, ecc. Questo ha senso e questo è una lezione per chiunque faccia giornalismo. L'altro discorso è quello di inserire, che è una cosa molto tipica del mondo anglosassone, in Inghilterra, soprattutto in Olanda, un tot di operatori stranieri. Noi per esempio abbiamo fondato un'agenzia, Migranews.it, che ancora esiste anche se va avanti in maniera molto lenta, aggiorna poco il suo sito, ma comunque è fatta da una settantina di corrispondenti immigrati in tutta Italia e una piccola redazione al 99% formata da stranieri, ci sono solo un paio d'italiani. Le lotte sono da una parte di questo genere, cioè normative come l'esempio dell'ordine dei giornalisti chiuso agli stranieri. Mi ricordo ad esempio la situazione degli iraniani di iraniani che venivano qua a studiare medicina veterinaria, e una volta laureati e specializzati non potevano esercitare perché non erano iscrivibili all'ordine dei medici o dei veterinari. Queste sono cose da superare, sono state superate in alcuni casi. Non è ancora superato nell'albo dei giornalisti e questo è sicuramente la cosa più vergognosa. Io personalmente fra l'altro detesto gli ordini, non sono iscritto all'ordine dei giornalisti, non sono nella lista professionista, però mi rendo conto che è un'arma, un supporto, ecc., quindi diciamo che per quelli come me e per gli stranieri direi o aboliamo questo albo, oppure apriamolo in maniera seria. Badate questo discorso della presenza, del supporto nei media è importante, perché l'immigrato diventi voce in primo piano, soggetto della propria informazione. Questo è un elemento comune per tutti, cioè, occorre che chiunque sia capace di essere voce, perché io credo che l'informazione sia una grande risorsa che non possiamo delegare ad altri, tanto meno in un caso come quello degli immigrati, perché lì si parla d'informare e raccontare la propria cultura e chi può farlo se non chi è di quella cultura? Nascono nuove generazioni e nuove forme per esempio di mediazione culturale. Le G2, così si chiama la rete delle seconde generazioni, la Rete G2, sono giovani che hanno 2 lingue madri, perché sono venuti giovanissimi, perché hanno magari riconquistato la propria lingua madre, sono 2 culture già nella stessa persona. Oggi queste figure di mediazione culturale fatte da persone che sono policulturali, che hanno più culture sono essenziali, sono importanti. 

Per ultimo vorrei accennare al discorso della notiziabilità dei media. En passant si è parlato della possibilità di fare fiction; è chiaro che non c'è solo l'informazione per comunicare, voi lo sapete. Né l'informazione per esempio dei telegiornali è solo informazione, perché il telegiornale racconta, anche balle, ma poi narra, fa un discorso, fa un racconto, un elemento di narrazione. C'è, molto importante, l'uso di registri diversi anche nell'informazione. Imporla come dire è un po' ridicolo, le cose vengono fuori da sole, nel senso che ci vogliono persone che sappiano e vogliano farle, non le persone che dicono adesso ci mettiamo a fare la fiction con gli immigrati. Quindi dobbiamo lavorare molto sulla nostra creatività, sulla nostra capacità di usare tutti i registri, tutti gli stili possibili. Noi già abbiamo un misto d'informazione, poi finisce il telegiornale e c'è subito la pubblicità, poi c'è un intervento, poi c'è un'altra roba, è abbastanza difficile passare dall'uno all'altro senza confondersi e a volte le confusioni, sono volute, sono fatte apposta. 

Chiudo con la normalità: ne ho sentito parlare tanto però a noi non piace questa parola. Perché non mi piace? Perché io sono convinto che giornalisticamente non c'è niente di normale, tanto meno il mondo di oggi, che veramente per tutti noi è di una anormalità sorprendente.


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.