XIV Redattore Sociale 30 novembre - 1-2 dicembre 2007

Il Dittatore

Il pensiero unico del giornalismo

Incontro con Giuliano Ferrara. Conduce Vinicio Albanesi

Vinicio ALBANESI

Vinicio ALBANESI

Sacerdote, presidente della Comunità di Capodarco e di Redattore sociale. Dal 1988 ha ricoperto la carica di presidente del tribunale ecclesiastico delle Marche per 15 anni ed è stato direttore della Caritas diocesana di Fermo per altri dieci. Dal 1990 al 2002 è stato presidente del Coordinamento nazionale comunità di accoglienza (Cnca).

 

Giuliano FERRARA

Giuliano FERRARA

Direttore de Il Foglio, conduttore di “Otto e mezzo” su La 7. 

ultimo aggiornamento 30 novembre 2007

Vinicio Albanesi*

La nostra sensazione è che le notizie perlopiù riguardino solo una parte benestante del paese, quindi ogni tanto sorgono grandi temi tipo le tasse, l'immigrazione, la sicurezza ecc. che in realtà nascondono le paure, l"insicurezza non di tutta la popolazione ma soltanto di quella che conta; dall'altra ci riempiono di notizie soltanto emozionali vedi il delitto di Perugia, in continuazione ci viene data questa emotività dell'informazione: le chiedo dunque esiste questo pensiero unico oppure si tratta di un agglomerato che diventa pensiero unico? C'è una regia? È una reazione al mondo che viviamo?

Giuliano Ferrara*

In ogni domanda c'è già una risposta soprattutto nelle domande intelligenti che sono tendenziose, perché, e questa è una regola del giornalismo, se non ci metti dentro un'ipotesi diventa piatta, è solo statistica, non è ricerca, giornalismo, sociologia, approfondimento, indagine storica; quindi nelle domande ci deve essere un po' di tendenziosità e in questa c'è. Il mondo non è fatto solo di contribuenti, di consumatori, don Vinicio diceva con una parola colloquiale: benestanti. Il mondo è più ampio, è più vasto, è vero, questo per quello che riguarda la prima parte della domanda. Veniamo poi al caso di Perugia, come caso simbolico, come un caso di scuola, di come far girare le informazioni, le idee e la visione della vita nei mezzi di informazione: in via di principio è vero che c'è auto-referenzialità ovvero riferimento solo a se stessi e al pubblico che compra i giornali e che guarda in prevalenza le trasmissioni di informazione; da parte dei giornalisti c'è questa tendenza però bisogna dire che molto dipende da come è fatto il mondo contemporaneo, non è soltanto quella che si dice una logica di mercato, commerciale, una logica di scambio fondata su una strizzatina d'occhio tra i mezzi di informazione e il loro pubblico prevalente. I poveri, gli emarginati, i cittadini stranieri che vivono nel nostro paese che hanno ben altri problemi tendono ad approfondire poco, ad avere uno scarso rapporto con i mezzi di informazione. Il mondo del consumo che è paradossalmente quello che fa crescere l'economia, il mondo di coloro che producono reddito, che pagano le tasse, coloro che nel mondo delle piccole e medie imprese costruiscono l'intelaiatura economica di un paese industriale e moderno come tutto sommato è l'Italia. Si può parlare di pensiero unico, di tendenza, come diceva tanti anni fa il poeta Pasolini usando la parola specifica, omologazione: tutti uguali, tutti dentro, un circuito vaco nel quale non si esaltano più i veri colori della vita. Se si può parlare di questo è perché in realtà la società non è evoluta come pensava Carlo Marx il cui rigore di pensiero è stato riportato nell'Enciclica di Benedetto XVI che essendo un grande intellettuale, oltre che Papa, sa dare a ciascuno il suo; Marx pensava che ci sarebbe stata una grande proletarizzazione cioè che lo sviluppo delle forze produttive avrebbe portato alla concentrazione in poche mani di quei mezzi dove si produce la ricchezza oltre che alla creazione di una platea immensa di persone che non hanno titoli proprietari, che non hanno altro che la loro forza lavoro. Però non è andata così, il ceto medio si è sviluppato, e anzi ha fatto del proletariato una minoranza, la ricchezza si è espansa in forme spesso balorde, disuguali essendo anche portatrice di criteri di vita spesso falsi. La ricchezza si è diffusa ma soprattutto la titolarità dell'attività economica, attraverso la diffusione dei servizi, la trasformazione del modo di lavorare, la fine di un prevalente lavoro seriale ripetitivo, monotono, costruito sul modello della catena di montaggio della grande industria meccanizzata del capitalismo moderno. Quel modello di lavoro lì evidentemente sopravvive attraverso le tecnologie, gli operai assumono sempre di più delle competenze impiegatizie di controllo del lavoro e delle macchine più che di esecuzione ripetitiva classica del vecchio modo di lavorare e, attraverso la diffusione dell'economia dei servizi, naturalmente si riproducono nel mondo del cosiddetto precariato dei nuovi lavori che appartengono solo ad un segmento della carriera professionale della persona. Si riproducono ingiustizie, disuguaglianze, situazioni non sufficientemente protette ecc. ma soprattutto si produce questo fenomeno che il contribuente, il consumatore che è il tipico pubblico che rende un po' autoreferenziale il mondo dell'informazione, si estende, diventa numericamente sempre più importante, possente. Tra l'élite di quelli che per un patrimonio di conoscenza o di cose, di capitali, di rendite, sono i più forti nella società e i più deboli c'è questo vasto e unificato ceto medio. Il punto è che c'è un vasto ceto medio, quindi don Vinicio noi ce la possiamo e dobbiamo prendere con la televisione quando dimentica la varietà dei colori del mondo reale, quando non capisce che è strutturalmente e sistematicamente necessario raccontare tutto ciò che si vede e che è alla nostra portata, tutto ciò che ha rilevanza reale. L'autoreferenzialità, che è la tendenza a costruire un mondo un po' artificiale, è un grave segno di indebolimento e di fragilità culturale del mondo dell'informazione; dovremmo cercare di capire se la tendenza a stare incollati davanti alla televisione magari per vedere "L'isola dei famosi" o il "Grande fratello" ossia questa tendenza a consumare quel tipo di informazione che spesso presenta gli aspetti più caduchi e meno interessanti, meno corposi perché tendono a colpire l'occhio vellicando e stimolando quelli che sono i tuoi interessi, se tutto questo accade perché c'è un rapporto tra i mezzi di  informazione e il modo in cui è fatta e strutturata la società.

Delitto di Perugia: non voglio giustificare il modo di essere dell'informazione oggi, dico che è un fenomeno globalizzato come è globalizzata l'economia. Con ciò non è comunque giustificabile e anzi bisognerebbe andare sempre più verso un giornalismo di tendenza che cerca di esplorare la realtà, che non ripete quello che la gente vuole sentirsi ripetere, anche quando si fa della retorica populista, anche quando si fa della retorica multiculturale, anche quando si fa un giornalismo di sinistra, socialmente responsabile, dove anche lì si tende a ripetere a volte degli schemi e a far circolare le idee che non aprono nuovi orizzonti ma che confermano solo le tue certezze, a volte buone ma che vanno nella direzione del contenuto di umanità che esiste in ciascuno di noi e che tuttavia restano delle certezze convenzionali obbligate. Questa è una parte del giornalismo oggi; l'altra parte è quella più consumistica, quella più destinata al contribuente, al consumatore, a questa vasta platea che è il ceto medio e non ne giustifico gli automatismi e le pigrizie dico soltanto che sono spiegabili per il modo in cui è nata e cresciuta la società. Se quindi vogliamo modificare questo stato di cose, dobbiamo certamente batterci perché ci sia un risveglio per la realtà vera, trattata con semplicità di cuore e di testa non con i gerghi del giornalismo prêt a porter che ti confeziona la notizia vellicandoti e cercando di accarezzarti per il verso del pelo come si fa con i gatti; ovviamente questo bisogna farlo sempre tenendo conto che i mezzi di informazione sono strutture che costano e che devono produrre la notizia attraverso una catena produttiva e inoltre che sono dei prodotti che vivono nella società che è questa ed è inutile che facciamo finta che sia un'altra: la società è un livellamento tendenziale che riguarda il nostro modo di vivere e di produrre la ricchezza…

La caccia all'indultato, l'impressione che affoghiamo nella delinquenza, le paure costruite, non quelle governate con intelligenza anche dai mass media o dalle autorità pubbliche ma quelle costruite per scopi bassamente politici della ricerca del consenso, questo naturalmente va corretto ma in un contesto di realismo. In quanto a Perugia, è ovvio che ci sono tanti ragazzi e ragazze che studiano normalmente, si innamorano, non si innamorano, fanno sesso, non fanno sesso, non voglio farmi gli affari loro, vivono un'esperienza di vita in una piccola città con una forte componente di studenti, una piccola città universitaria nella più assoluta normalità spesso magari alimentando tra di loro la speranza, facendo esperienze importanti che produrranno ricchezza intellettuale, che produrranno emozioni di crescita collettiva e individuale. Non dobbiamo però escludere che nel mondo esiste anche il meglio, d'altra parte se esiste il peggio esisterà anche il meglio, altrimenti non potremmo più raccapezzarci sul giudizio del mondo. Ci sono alcune vicende che vanno trattate con grande circospezione e secondo la loro reale dimensione, non possono diventare i casi in cui si ricerca l'odio in televisione perché stimolano l'interesse morboso in qualsiasi tipo di pubblico dato che un elemento di morbosità è proprio nel fatto di essere pubblico e quindi non una collettività di coscienze ma un pubblico, una massa che si collettivizza poi nello scambiarsi le informazioni su ciò che si vede in televisione e che forma una tendenza al conformismo più morboso. Bene non va vellicato, anche qui non bisogna esagerare, non bisogna fare 42 puntate sulla tragedia di Perugia esibendone i dettagli nella forma più scabrosa possibile e senza un giudizio di valore, senza un minimo di ironia, un minimo di penetrazione psicologica dei valori reali di quella storia. Allo stesso tempo però non si può negare che si è trattato di uno squarcio su una situazione di delirio idolatrico tipico dei nostri tempi, insomma la cocaina non è roba di questi giorni è stata una delle grandi e terribili droghe del '900; nel caso specifico un uso e un abuso eccessivo parossistico della cannabis è un ingrediente per il dettato stesso dei diari in pubblico dei protagonisti della vicenda, è un ingrediente drammatico di quello che è successo, oltre poi a questo sesso generico, astratto, privo del senso del dono dell'amore, che non precipita in nulla di sostanziale che non alimenta nessun fuoco, freddo, annoiato… Tutto questo implica il vedere in una storia singola di 5-6 giovani, di diverse nazionalità, di diversa formazione culturale, che si ritrovano in un progetto tipico del mondo globalizzato, il progetto Erasmus intitolato a un grande umanista del '400, un uomo che aveva studiato bene le scritture e ne aveva curato l'edizione greca con ardore filologico e con passione intellettuale, uno spirito molto libero; il progetto Erasmus diventa in questo contesto uno squarcio significativo su come vive una gioventù, tra l'altro privilegiata e che dovrebbe essere dotata degli strumenti per capire la realtà non dico per vivere nella verità o per vivere nella fede, per capire la realtà, e invece con ogni evidenza non li ha, o li rifiuta, li critica, li rigetta, non arrivano. C'è una responsabilità sociale in tutto questo? Potremmo e dovremmo cercare di governare meglio la vita, la cultura, i costumi, il modo di essere delle nostre città? Da Seattle nello stato di Washington a Perugia dove poi alla fine ci si ritrova? Dare l'idea che Perugia sia una realtà criminale pura e semplice, di una criminalità giovanile fatta di odio e di freddezza, di incapacità di dialogo, non ha senso, vuol dire trasformare un caso di scuola in un caso simbolico, tra l'altro falso. Comunque quella di Perugia è una storia che significa qualcosa, che qualcosa ci dice, ci interroga in qualche modo e qualche tentativo di risposta dobbiamo pur darlo.

Vinicio Albanesi

Seconda domanda: lei ha dimostrato più volte di avere una visione esatta della situazione politica e sociale, cioè ha intuito, ha dimostrato, ha dichiarato cose che poi sono avvenute, siccome non è uno stregone, le chiedo un giudizio ma piuttosto distaccato di questa condizione politica oggi in Italia di cui si vedono pezzi, ma non si vede futuro, in cui continuamente c'è movimento, non si capisce se è un movimento vero, se è una falsa mossa che però in alcuni momenti lascia perplessi perché questa politica non va al cuore dei problemi reali, dei problemi seri… L'Italia veramente sta perdendo il treno dell'aggiornamento e del progresso, è invischiata in schemi vecchi, autoreferenziali, immobilisti…

Giuliano Ferrara

L'Italia tende da sempre a governarsi un po' da sè, noi siamo un paese dove la società conta di più dello Stato, voi direte questo accade dappertutto, la mia risposta è si ma in parte, per esempio in America la società conta molto e lo Stato, proprio costituzionalmente, conta un po' di meno rispetto a quello che avviene in Europa. In questo l'Italia, paradossalmente, pur non essendo un paese protestante, pur non essendo un paese che abbia fatto 250 anni fa una grande rivoluzione, pur non essendoci stata una guerra di secessione con un presidente come Lincoln, pur non essendo un paese con istituzioni così forti, l'esecutivo, il presidente, i due mandati, le elezioni a data fissa come in America ogni 2 anni, il congresso onnipotente, i giudici, la corte suprema con il suo prestigio, pur non essendo questo tipo di paese l'Italia è più simile all'America che alla Francia dove invece lo Stato conta molto, la scuola, il sistema educativo e formativo, il cosiddetto concetto della laicità… In Italia lo Stato conta molto di meno, il controllo pubblico sulla vita degli individui è meno assillante, è meno forte, autorevole, quindi tende a governarsi un po' da sola, per questo noi siamo il paese del Censis, quel famoso Istituto di Ricerche e di Studi Sociologici che ogni tanto ci spiega come siamo cambiati di generazione in generazione. Non siamo attori centrali verso le istituzioni, attraverso un ceto intellettuale incorporato alle istituzioni come avviene in Francia e a volte anche in Germania; Gramsci parlava di "rivoluzione passiva", da noi le rivoluzioni avvengono non tanto come disegno, si c'è n'è stata una, l'Unificazione d'Italia che poi è stata rivoluzione fino a un certo punto, è stata più politica di annessione e di estensione dello Stato Sabaudo al territorio dei vecchi statarelli italiani che avevano perso forza, è stata una branca della politica di potenza degli stati in Europa… L'unificazione in Italia è stato un capitolo della caduta del potere temporale della Chiesa ma non è stata una rivoluzione di popolo e la stessa nascita della Repubblica, una rottura di grande rilievo dopo la Seconda Guerra Mondiale seguita alla Resistenza e alla Guerra di Liberazione, è stata segnata da un ruolo forte di minoranze attive ma non da una vera partecipazione politica di massa e non da elementi simbolici, noi non abbiamo mai tagliato la testa a un re… e chi vi dice che non sia un vantaggio, non è detto che bisogna tagliare la testa a qualcuno, però non l'abbiamo mai fatto…

L'Italia è un po' così e di questo ne dobbiamo tenere conto, anche quando ci sorprendiamo ad esempio perché va al governo Prodi, nutrendo e alimentando speranze in tutti coloro che credono che l'Ulivo insieme a tutte le forze di centrosinistra abbiano una certa inclinazione e capacità professionale che possano tenere in mano i dossier di un paese. Questi partiti sono molto seri se li vedete in rapporto ai loro avversari, in primis a Berlusconi, sembrano il colmo per la serietà e il rigore; Berlusconi ha altre caratteristiche non certo quella del rigore… Ci deludono però come quando nel '96 dopo 2 anni il presidente del consiglio viene spodestato, si passa così nel '98, con un piccolo ribaltone quando va al governo senza elezioni per la prima volta un leader del post-comunismo, ossia al governo di D'Alema, con un progetto di restaurazione del potere dei partiti assieme a Cossiga, Mastella ecc.; dura un anno e lo fanno fuori, ci mettono Amato, che è un tappabuchi, poi ci mettono Rutelli a sfidare Berlusconi nel 2001 ecc… insomma 4 presidenti del consiglio negli ultimi 5 anni, infuria la battaglia dei capi, Cofferati passa all'opposizione nel centrosinistra, la Cgil prima diventa un bastione delle politiche dei governi di centrosinistra, delusione che si è ripresentata adesso con il governo Prodi perché in un anno e mezzo qualcosa hanno fatto, hanno fatto pagare un bel po' di tasse a chi le doveva pagare e questo devo dire non mi sembra una cosa sbagliata anche se è stata realizzata con mezzi terroristici e burocratici senza una vera conquista. Per il resto però non hanno fatto grandi riforme bensì molta demagogia, molti compromessi con i partiti dell'estrema sinistra che peraltro hanno le idee poco chiare, non hanno capito cosa vuol dire un ambientalismo radicale serio che si sappia sposare con la crescita economica, che sappia creare stimoli alla cura dell'ambiente, non soltanto vincoli e veti per difendere l'ambiente. I comunisti, poi, l'ultima proposta programmatica è stata quella di portare la salma di Stalin in Italia da parte di Diliberto, può essere curioso, un apporto di turismo certamente lo darebbe, potremmo ospitarla qui nelle Marche a Capodarco se volete, oppure vedete Bertinotti presidente della Camera che sta lì, vorrebbe che l'equilibrio si stabilizzasse però non vuole rinunciare alla sua utopia ecc; poi c'è il Partito Democratico e mi sembra una buona cosa che sia nato con le primarie, adesso anche Berlusconi ha riconosciuto che è una novità interessante, d'altra parte il Pd è nato con le primarie e con la scelta della leadership di Veltroni anche perché prima c'era stata Forza Italia con Berlusconi che aveva inventato il leader... Lo stesso discorso sulle delusioni politiche lo si può fare per il governo Berlusconi che ha governato in maniera stabile, la prima volta poi c'ero anch'io quindi non poteva che essere un governo per finta, però era un governo assediato che è durato 10 mesi, con dei magistrati della Procura di Milano che a volte sparavano con il fucile e a volte con il cannone, non c'era niente da fare, si poteva far poco. Il tutto aveva un valore di rottura. Nei 5 anni del governo Berlusconi, magari sbagliando anche gravemente, certe radici di stabilità sono state comunque messe; anche con Berlusconi però le grandi riforme non sono andate in porto, io non lo so come sarebbe cambiata la situazione se veramente Berlusconi fosse riuscito a togliere il peso dello Stato sull'economia, forse avremmo contrastato meglio i segnali di crisi che in quegli anni del dopo l'11 Settembre ci sarebbero stati, dopo la crisi argentina, quella asiatica… Certo che la delusione c'è stata ed è stata riconosciuta, sulle responsabilità è nato una specie di tormentone scaricabarile nel centrodestra così che gli italiani hanno sanzionato questa delusione, perché poi alla fine per pochissimi voti alla Camera la maggioranza l'ha presa Prodi.

L'Italia si governa da sola, è un paese anarchico, diffidente del potere, in cui contano di più i processi ravvicinati, le realtà locali e questo secondo me ha i suoi pro e i suoi contro. Certe volte prevale il desiderio di avere un efficiente stato democratico, con i poteri centrali capaci. Siamo usciti dalla I Repubblica che era un sistema imperfetto, che ha coinciso con la Guerra Fredda ed è incominciata con la cacciata dei comunisti dal governo nel '47, poi nel gennaio del '48 c'è stata questa finestra di collaborazione costituzionale, viene varata la Costituzione che porta la firma di Umberto Terracini, un comunista, c'è un'intesa sulle cose di fondo, viene varato un sistema che nel frattempo è costituzionalmente invecchiato, fondato sul peso dei partiti e poi con le elezioni del '48 si instaura una legge, una regola, la Democrazia Cristiana sta al governo e i comunisti all'opposizione e su questo non ci piove, sia perché gli italiani non danno sufficienti voti ai comunisti e ai loro alleati per andare al governo, sia perché c'era stata la divisione del mondo, perché agiva e operava in mille forme una tendenza ad escludere i comunisti. Si afferma quindi questa specie di bipartitismo, bipolarismo imperfetto, un grande partito che prima governa solo con i liberali, con Confindustria. Poi l'Italia si trasforma, diventa un paese più complicato, i sindacati, le grandi masse, anche i socialisti e i socialdemocratici insieme fanno la loro funzione, tutte le elite borghesi, la Democrazia Cristiana si laicizza, arriva il divorzio, poi arriva il centrosinistra e nasce tutta una fase diversa però la Democrazia Cristiana è sempre il centro, il fuoco; si arriva alla lunga e importante parentesi di Craxi anche se il suo tentativo fallì. La I Repubblica muore e nasce la II: sono quasi 20 anni, è parecchio che andiamo avanti così con un bipolarismo delle coalizioni, mentre prima i partiti presentavano liste simboliche come falce e martello, sol dell'avvenire, scudo crociato, libro aperto, libro chiuso, che erano grandi simboli di una tradizione culturale politica e ognuno votava per i suoi. Nella II Repubblica si stabilisce un confine o di qua o di la: scendendo in campo Berlusconi realizza il bipolarismo che era implicito nella legge elettorale, nel '94 senza Berlusconi avremmo avuto una sinistra in vittoria travolgente che avrebbe preso la maggioranza dei seggi. Voleva salvare le sue aziende? Certo che voleva salvare le sue aziende, voi non vorreste salvare la vostra azienda? Di fronte al pericolo di fare la fine di Rizzoli ad esempio che fu accusato di essere della P2, espropriato della sua Casa Editrice, del Corriere della Sera, messo in galera per 4 mesi e poi assolto con tante scuse mentre si era volatilizzato il patrimonio di una generazione laboriosa di imprenditori milanesi oppure la fine di Gardini uno che si è suicidato con un colpo di rivoltella perché lo stavano arrestando…  L'Italia era un paese anomalo, quindi Berlusconi voleva salvare la sua famiglia e per salvare la libertà come avviene nelle migliori lotte di classe ha pensato che dovesse fondare un partito liberale di massa e cercare di salvare la libertà di tutti. Io non credo alla retorica che avremmo perso la libertà, caro don Vinicio, però certo è successo che il bipolarismo è diventato una realtà. Siamo comunque arrivati ad avere un sistema con alternanza: ha governato Berlusconi, poi è caduto, c'è stato un interregno con il presidente Dini, nel '96 va al potere Prodi con il centrosinistra, poi è tornato il governo Berlusconi che ha governato per 5 anni e poi nel 2006 di nuovo hanno vinto loro…

Rimane comunque il problema che questo è un sistema che si fonda su una costrizione, con un bipolarismo coatto di coalizioni che si formano in ragione del fatto che coalizzandosi si ottiene un premio di maggioranza, sistema che ha stufato tutti perché non produce buona politica bensì conflitti tra capi, guerre dei capi, battaglie per la visibilità, battaglie per la successione alla leadership di un fronte ampio che può governare ecc.  Adesso c'è Veltroni che dice che non farà più un'alleanza contro qualcuno bensì vuole essere un grande partito riformista che orienta la politica del paese; questo partito è stato costruito con le primarie, da 3 milioni e mezzo di persone che lo hanno legittimato a costituire un gruppo dirigente, proporrà un programma, chi ci sta ci sta, chi non ci sta rimarrà a casa. Dall'altra parte Berlusconi sta facendo più o meno la stessa cosa: gazebo, firme, nuovo nome, nuovo partito che pretende di essere un partito che ingloba e accoglie tutto il centrodestra con vivaci proteste delle nomenclature dell'Udc e di Alleanza Nazionale… C'è dunque questo tentativo di Berlusconi e Veltroni di costruire un nuovo sistema elettorale nel quale non ci sia più un bipartitismo coatto delle coalizioni ma ci siano due grandi partiti che si alleano liberamente con altri e che hanno la forza di governare in alternativa tra loro, e se non hanno questa forza si mettono insieme come in Germania e questo vuol dire legge elettorale proporzionale tipo modello tedesco o corretto alla maniera spagnola, dando così la possibilità alle forze locali di essere rappresentate. Dove andremo a parare? Non lo so! Nessuno come voi, Don Vinicio, che vive nella società e lavora sulle generazioni, sulla formazione delle coscienze, che prende spunto e offre spunti al paese reale, al territorio, nessuno meglio di voi sa che ci vuole tempo, per qualunque vero passaggio di fase, per qualunque rivoluzione…non è detto che ci sia quel di più rispetto all'ambizione della leadership sia in Veltroni che in Berlusconi che porti alla formazione di un nuovo sistema basato su due grandi partiti, uno conservatore moderato, liberal-conservatore, l'altro liberal-riformista di sinistra con una distinzione programmatica abbastanza chiara, non posso fare previsioni non sono frate indovino; quello che però mi sembra sicuro è che oggi le questioni veramente importanti restano rarefatte, chiacchiere generiche, per le ragioni che ho cercato di descrivere fino a qui e questo succede quando le istituzioni e lo Stato sono deboli, quando viene abbattuto un sistema dei partiti con una classe dirigente che aveva una sua cultura seppur sbagliata, invecchiata e legata alla Guerra Fredda, molto corrotta, però ce l'aveva quella cultura e quella struttura, ecco allora che il piano casa di Fanfani era una cosa concreta, chiara che soddisfaceva dei bisogni sociali. Quella era un'altra Italia, era un altro paese, un altro sistema politico istituzionale. Oggi la difficoltà è quella di tirare giù dal cielo del balletto un po' teatrale plateale, politico, le forze che guidano questo paese sia del governo che dell'opposizione, non ci sono istituzioni che rendano realmente credibile il governo della società per cui hanno tutti un loro birignao come si dice nel linguaggio della critica teatrale.

Vinicio Albanesi

Nella sua storia personale di pensiero ci sono tre componenti: quella marxista, giovanile ma non solo, quella liberale e infine questa attenzione al cristianesimo. Chi l'ascolta intuisce indubbiamente capacità sopra la norma, lei è un mezzo genio, però anche un'intelligenza che ha una marcia in più non riesce a connettere questa triplice commistione tra marxismo, liberalismo e cristianesimo…

Giuliano Ferrara

Basta leggere l'Enciclica del Papa per capirlo:  io sono figlio dei tempi moderni e soprattutto sono figlio di una famiglia comunista, mia madre era una collaboratrice di Togliatti, mio padre è stato direttore del quotidiano L'Unità; mio padre mi raccontava la storia di Garibaldi ma non come la storia di un unificatore del paese, bensì perché aveva la camicia rossa ed era diventato il simbolo del fronte popolare del 1948. Ho avuto la fortuna che il comunismo dei miei genitori era un comunismo responsabile di fronte alla storia e quindi a tutte le brutture che il comunismo ha comportato per tanta povera gente e per tanta gente la cui dignità è stata offesa, calpestata, la cui libertà è stata conculcata. Il comunismo italiano è stato sempre un compromesso, un tentativo di fare un comunismo nazionale illusorio, velleitario. Io sono nato in quella cultura, l'ho respirata, l'ho vissuta. Spesso atteggiamenti fortemente laicisti nascono dall'interno di una ribellione a un'educazione e a una formazione cattolica che viene superata in una forma o nell'altra ecc, io quell'educazione non l'ho avuta, il che naturalmente per me ha comportato e comporta tutt'oggi il fatto che la fede non mi è stata trasmessa per quella via. Il mio contesto era quello lì, ci sono rimasto fino a 30 anni, spero di essere stato leale con la mia storia personale di ragazzo, ho vissuto con molto entusiasmo e con molta febbrilità quegli anni ma anche con molte contraddizioni.

Arriva la rottura e non perché volevo fare come quelli de Il Manifesto che chiedevano più comunismo, più rivoluzione. Mi misi a fare il giornalista e rincontrai la politica pubblica e questa sarebbe la fase liberalsocialista: ideologicamente il mio liberalismo è stato nutrito di letture. Quando cadde il Muro di Berlino anche i D'Alema, gli Occhetto si sono ribattezzati e sono diventati ex comunisti, allora io scrissi delle lettere che pubblicai in un libretto per Laterza e una di queste lettere diceva: venite anche voi fuori ed entrate nel mondo della ex età, dell'ex comunismo, non siete più ciò che siete stati una volta e siate coraggiosi come lo sono stato io, leali con voi stessi se uno non è più comunista è anticomunista non nel senso di un'ideologia micragnosa, velenosa, anzi a me quel tipo di anticomunismo non piace ma nel senso vero di cuore e di testa. Uno non rinnega se stesso ma critica radicalmente e supera un orizzonte precedente sennò è puro opportunismo. Il senso del messaggio che cercavo di trasmettere ai miei ex compagni di 10 anni prima che cambiassero nome e che diventassero ex comunisti, era che anche nel vuoto c'è un contenuto che è la libertà e che bisogna saperla esercitare con responsabilità.

Nel momento in cui fondo Il Foglio comincio un'altra fase: forse conta l'età oppure anche di aver sposato nel 1987 una donna americana, californiana, in parte anche italiana, i genitori sono di Bisceglie in Puglia, molto cattolica, una femminista, e questo chiaramente ti condiziona; inoltre quando fondai Il Foglio nella redazione c'erano due ragazzi molto intelligenti di Comunione e Liberazione che può piacere o no ma resta comunque uno dei grandi movimenti ecclesiali che sull'onda del Concilio, anche rivoluzionando le cose, ha un'esperienza della Chiesa non omologa bensì analoga aprendo anche contraddizioni, e queste persone mi sono piaciute. C'è stata poi l'elezione nel '78 di papa Giovanni Paolo II che ha cambiato tutto, è arrivato dopo il papato di Paolo VI e il caso Moro, la questione del Concilio, tutti fatti che allora mi sembrarono grandiosi: come dire la messa in italiano o latino, dobbiamo guardare il popolo o restare di spalle…; dopo tutto ciò, appunto, arriva Giovanni Paolo II che con i suoi carismi profetici cambia questo panorama, rende bella la fede anche per un laico, invadente, entra dentro, perché fa questa danza mondiale, lancia una crociata per la libertà, una lotta spirituale per recuperare una parte del mondo con anche mille contraddizioni, la critica al capitalismo, insomma tutto molto interessante. Dentro a tutto questo comincio a studiare bene il pensiero di Ratzinger, quando già avevo affrontato lo studio di un grande filosofo americano di origine ebraica, Leo Strauss, una delle anime teologiche del papato di Giovanni Paolo II, e me ne innamoro intellettualmente; inizialmente lo seguo freddamente, mi sembra molto interessante il suo punto di vista sul mondo moderno. Ratzinger non è un uomo qualunque, è un uomo con un'esperienza completa, nel momento in cui entro in contatto con lui è professore universitario, teologo, dentro i carismi del Concilio Ecumenico Vaticano II, ne è uscito con una soluzione diversa da tanti altri, e poi è stato pastore, è stato vescovo, è stato capo di questo grande deposito di cultura che è la Congregazione della Dottrina della Fede, ha fatto grandi battaglie. Nel 2000 pubblico su Il Foglio la dottrina Wojtyla-Ratzinger Dominus Jesus della Congregazione per la Dottrina della Fede, che contiene idee importanti. Nel 2001 inoltre scoppia il grande risveglio islamico, la forma dell'islamismo radicale che è il terrorismo, nasce anche questo problema e il peso pubblico della religione, le tematiche della bio-genetica, della bio-scienza…tutta questa roba mi invade e cerco di padroneggiarla, e così esco dal vuoto. Comincio a ragionare dentro ad un mondo ed ad una cultura, una identità cristiana e cattolica di grande importanza e di grande rilievo e cerco di dare il mio contributo, di studiarla da laico, di capirla e di interpretarla da laico, da conoscitore della cultura americana, e alla fine mi sono ritrovato nella situazione che da ragazzino avevo un solo stato guida che era l'Unione Sovietica, e adesso mi ritrovo con 4 stati guida: l'Inghilterra, gli Stati Uniti d'America, Israele ed anche il Vaticano. Sono un po' troppi forse? Vivendo tutto questo senza spirito gregario e senza superbia, cercando di scambiare quello che posso con le esperienze della mia vita, con quella che è la storia, la memoria, la sensibilità che è la fede dei cristiani, certamente ho arricchito me stesso, e spero di essere riuscito ad arricchire anche i miei lettori e quelli che hanno la bontà di seguire la mia trasmissione televisiva e soprattutto chi mi preme di più, ossia i miei amici, le persone a me care e tutti quelli che hanno voglia di discutere con me.

Ho fatto un percorso con un minimo di integrità peccando settanta volte al giorno e facendo molti errori, anch'io tra superbia, falsa umiltà, egoismo, figuriamoci, però una certa qual dose di integrità credo di potermela riconoscere. Mi hanno attribuito il simbolo del mascalzone e del traditore solo perché mi è andata bene. Adesso hanno incominciato a riamarmi. Don Vinicio perché è buono ha detto marxista, liberale e adesso amante del cristianesimo ma lo schema per loro è Ferrara prima era comunista poi è andato con Craxi e Berlusconi e adesso è attaccato alle sottane dei cardinali; io so che non è così e dunque me ne infischio.

Vinicio Albanesi

In fondo è un'anima in ricerca però quello che contraddice è che generalmente chi sta in ricerca non se la passa bene, mentre tu hai coniugato due contraddizioni: sei stato fortunato, come tu stesso hai detto, e sei in ricerca e questo nessuno te lo perdona. Ci ha comunque chiarito come è il suo essere e il suo apparire. Signori adesso è tutto per voi, prego.

Carlo Giorgi - direttore di Terre di Mezzo

Mi occupo di giornalismo sociale e oggi si è parlato degli spazi che questo occupa in Italia; volevo sapere da Lei se esiste un giornalismo sociale ed eventualmente se lo considera un ghetto o invece una cosa reale e quale spazio può avere nel giornalismo italiano. Ora una domanda tendenziosa: lei diceva che c'è stato ad un certo punto questo pericolo della magistratura che attaccava in modo improprio, si prendeva troppo potere anche politico ed io mi ricordo che all'epoca da giornalista temevo un altro pericolo, quello della dittatura dell'informazione, di una informazione sola concentrata nelle mani di una sola persona, Le chiedo allora qual è la dittatura più pericolosa?

Raffaella Romagnolo - Diario e Secolo XIX*

Partendo dal recente esempio degli scontri per la base Nato a Vicenza, di cui i giornali non hanno mai contestualizzato a dovere la vera notizia, volevo sapere se è d'accordo con la visione della miopia dei giornalisti e se lo è quali sono: i giornalisti sono pigri, sono ignoranti, sono asserviti o cosa?

Mauro Banchini - Presidente dei Giornalisti Cattolici Toscani*

Venendo dalla Toscana mi viene in mente Licio Gelli e il Piano di Rinascita Democratica. Ogni tanto qualcuno scrive che questo piano, poco a poco, si sia attuato, comprese le ultime vicende Rai Mediaset ecc. Le chiedo cosa ne pensa di questo e più in generale cosa ne pensa nel nostro paese dell'influenza dei potere delle massonerie.

Matteo Ganino - Affari Italiani*

Vorrei affrontare con lei il tema dei contributi di Stato ai giornali; faccio riferimento al libro di Lopez uscito recentemente "La casta dei giornali"  dove vengono riportati gli importi che vanno ai più grandi giornali come Il sole 24 ore, la Repubblica…  Il Foglio è stato criticato per il fatto di prendere solo (rispetto agli altri importi) 3 milioni e mezzo di euro come finanziamenti diretti per essere un giornale di partito, "Convenzione per la giustizia" con la firma di due parlamentari. La prima domanda: secondo Lei non c'è contraddizione, nel momento in cui leggiamo nel suo giornale un sacco di editoriali in cui si dice che gli aiuti statali non vanno dati, che bisogna essere più liberisti? La seconda domanda: non crede che con questi soldi si dovrebbe fare più informazione di servizio? Lei dice che gli stranieri non leggono i giornali, io invece penso un'altra cosa: di free press se ne legge molto sia perché spesso è più leggibile sia perché gratuita inoltre alcune comunità di stranierei come quella spagnola e rumena si stanno organizzando per dare informazioni di servizio ed io a volte come cittadino trovo certe risposte meglio in questi giornali che sui nostri. La mia riflessione allora è a questo punto se sono usati male i nostri soldi e se potremmo risparmiarne un po'.

Magheri - Ospedale Buon Gesù Roma*

Prima ha parlato di paure governate, se uno vuol fare vedere che sa le cose inizia la frase con "Dopo l'11 settembre…" oppure "contro la casta…" e in questo momento, proprio oggi, ci sono in giro in tutta Italia i gazebo per scegliere tra il nome Partito delle Libertà o Partito del Popolo delle Libertà… Penso che se dovesse tornare Berlusconi al governo, Gian Maria Stella dovrebbe essere il Ministro per i rapporti con il Parlamento per la volata che gli sta tirando contro i professionisti della politica, anche se difficilmente una persona che ha alle spalle 13 anni di vita istituzionale si può definire un neofita… La seconda considerazione è sempre di natura politica: oggi tutti i giornali parlano di questo incontro tra Veltroni e Berlusconi, ma la legge elettorale attuale chi l'ha varata?

Giuliano Ferrara

Il giornalismo sociale credo che debba  interagire con l'informazione generalista; la domanda era se sia relegata in un ghetto. Dipende da voi, il giornalismo è innanzitutto, secondo me, il modo, lo stile, non nel senso di essere fioriti , nel senso che bisogna essere persuasivi, avvincenti, cioè trovare delle formule di indagine della realtà che abbiano un significato il più possibile generale, altrimenti il giornalismo sociale diventa solo un giornalismo con un forte contenuto sociale. Il giornalismo nacque tra il Settecento e l'Ottocento, come espressione delle nuove libertà che la borghesia introduceva nel mondo, ed era un giornalismo costruito dalle elite per le elite, poi quando hanno trovato il modo di guadagnarci è nato il giornalismo popolare e addirittura i tabloid; era un giornalismo oratorio cioè costruito nell'idea di realizzare quella cosa incipiente che era la democrazia, quella liberale ovviamente. Voleva dire che il giornalismo era polemico, era apertamente tendenzioso e la libertà di stampa non era intesa come lo è oggi ossia la libertà dei giornalisti dal proprio editore e/o direttore, come dire il giornalista eroico e con la schiena dritta. In quell'epoca la libertà di stampa era la libertà di competere di diversi editori e di diversi centri propulsori, l'importante era, e a me l'idea piace, che il giornalismo desse una varietà di posizioni attraverso le quali il cittadino potesse poi decidere quale poteva essere la sua verità, una verità che costruisce attraverso questo confronto. Questo confronto deve essere il più possibile libero dal punto di vista delle pari opportunità che d'altronde sono sempre una cosa che c'è e non c'è, il mondo è diseguale, è Cristo che ha detto "i poveri li avrete sempre con voi", il mondo ha delle caratteristiche strutturate nella storia, la diseguaglianza, la guerra, e cito la Spes Salvi di Benedetto XVI "nell'attesa che si realizzi la giustizia temperata dalla grazia e la grazia irrorata e suffragata dalla giustizia in attesa di questo mondo giunto alla sua giusta forma"; in attesa di questo, il mondo è fatto come è. Un giornalismo di opinione dunque, una libertà di stampa come pluralità delle fonti e delle opinioni.  Agli inizi del Novecento esce un decalogo di Walter Lippmann, un famoso giornalista americano, con il quale codificava già quello che iniziava a prendere piede: con l'apertura dei mercati e la nascita della società di massa, la diffusione della democrazia, i grandi numeri, il giornalismo si trasforma; parte di queste idee le devo al grande storico e sociologo della società moderna Christopher Lasch. Il giornalismo diventa giornalismo ex cathedra, il giornalismo degli esperti, quello appunto indipendente: il giornalista diventa eroico perché ti dice la verità. Il punto di vista generale è che non si tratta più di un conflitto generale di interessi, di punti di vista tra editori, ma tutti gli editori fanno i giornali all'interno dei quali si ha la presunzione di dare una expertise, il giornalismo degli esperti che ti dice effettivamente come stanno le cose,  realizzando il sogno della grande scuola tedesca. All'interno di questo giornalismo, dove ci sono state tante cose buone come appunto un affinamento,  meno oratori e più fattuali, purtroppo c'è stato anche un equivoco  ideologico, perché guarda caso questo è il giornalismo della pubblicità: nasce l'inserzionismo, devi vendere comunque, c'è il pacchetto vacanza, stili di vita, la mutanda di Dolce e Gabbana… devi vendere una visione dell'uomo e questo è atroce. La pubblicità è diventata uno degli elementi della nostra libertà come la proprietà privata, e quanto si pagano questi strumenti della libertà!!! All'inizio ad esempio si vendeva la saponetta ma anche per vendere una banale saponetta avevi bisogno di un giornale credibile, un giornale che pretende di essere "oggettivo". Questa stagione è quella ancora fondamentalmente presente, se voi chiamate a Capodarco altri 100 giornalisti da tutti sentirete "io sono indipendente, io cerco l'oggettività….", insomma tutti vi diranno di dire la verità sul loro giornale. Io questo non ho mai preteso di dirlo, né nella fase marxista né dopo, quando sono stato prima un isolato, poi collaboratore, poi giornalista culturale per l'Espresso, non ho mai creduto alla sacralità della notizia: il fatto si sceglie, si impagina, si dà un taglio all'articolo, e come vi ho detto prima non credo nelle inchieste in cui non ci sia dentro nessuna ipotesi, è una cosa piatta e puramente statistica, sono numeri che non parlano. Quindi ripeto il giornalismo sociale è importante perché è un giornalismo che come dire santifica ai miei occhi la possibilità di strutturare le mie opinioni e ricerche sulla realtà partendo da diverse forme informative, un elemento, un agente importante del pluralismo.

Conflitto di interessi, il pericolo della Magistratura: quale è la dittatura più pericolosa?Anche qui devo essere sincero anche perché come ben saprete io sono un ottimo amico di Berlusconi, un po' suo complice; sono stato suo Ministro, anche se sul mio giornale ci sono state le critiche più dure fatte in tanti momenti della sua storia, ma sono riuscito a realizzare un'amicizia alla pari in cui lui mi ha dato una mano, poco, perché a Il Foglio siamo berlusconiani ma poveri, non sguazziamo nell'oro, non abbiamo voluto impoverirlo poverino, né lui né sua moglie che poi è quella che sta nella compagine del giornale, quindi prendete le cose che dico come grano salis, cose vere comunque dal mio punto di vista. Il conflitto di interessi c'è ed è enorme, è particolarmente gigantesco, ero arrivato a farlo ammettere anche a Berlusconi stesso in certe fasi, poi ha subito smentito dicendo "no sono stato equivocato…", ed è particolarmente scabroso perché riguarda l'informazione. Primo: è regolabile questo conflitto di interessi? Non tutto è sottoponibile a norme vincolanti, la storia di un paese non la puoi sottoporre a norme vincolanti, voglio dire che finché c'erano i partiti il problema non si poneva, quando la politica era professione e rappresentanza diretta delle sezioni di elettorato che si riconoscevano in quei partiti generati da tradizioni, era un vincolo e Berlusconi all'epoca era un imprenditore e sarebbe stato contento di continuare a farlo. Quando i partiti sono stati distrutti, mandati in galera letteralmente, avviliti, mortificati, ridotti ad associazioni criminali, ed è nato il fenomeno Berlusconi, ecco il fatto storico, il problema è stato questo. Una legge sul conflitto di interessi Berlusconi l'ha fatta e consisteva nel semplice fatto che quando si parlava delle sue aziende al consiglio dei ministri, lui usciva dalla stanza, che è molto poco. Quale è il punto? Una possibilità è quella di vietare di fare politica ad una persona ricca, che ha beni nel campo dell'informazione, e allora però vai contro la pari capacità di accesso alle cariche pubbliche che è santificato da uno degli articoli della nostra Costituzione e crei una situazione di disparità di trattamento, vai contro la storia con una norma che deve abrogare un articolo della Costituzione. Quella era la potenza sociale che aveva la forza e che ha avuto la capacità individuale di entrare in campo in quel momento e con quel programma, con quell'idea di partito politico e di progetto politico, quindi o tu lo cacci che è quello che vorrebbero Marco Travaglio, Furio Colombo, sono tanti quelli che dicono di cacciarlo, è ineleggibile, incompatibile…, oppure sei di fronte al problema di regolarlo ancora più vistosamente, ma lì sei nell'impossibilità assoluta nel senso che i conflitti di interesse sono l'anima del capitalismo e si dividono in due categorie: quelli visibili e quelli invisibili. Berlusconi ha un conflitto di interesse visibile, ha la possibilità di controllo di tutti in un paese dove tra l'altro le decisioni fondamentali sono collegiali, il presidente del consiglio non è neanche il primo ministro inglese che già conta poco, per non parlare di quello francese, americano…non ha quelle possibilità, è capo di un collegio di ministri proposti da lui ma poi incaricati dal presidente della repubblica, poi c'è il parlamento che in Italia conta molto. Molti dicono che è vero ma poi Berlusconi può quartare le maggioranze, fare le leggi ad personam, tutto vero ed è un rischio reale che la storia del nostro paese ha comportato e comporta; ma non lo puoi regolare, o lo cacci o lo tieni. Io ho pensato per un periodo, e in parte penso ancora adesso, che andrebbero usate forme blind trust costituite allo scopo di separare completamente un soggetto dal proprio patrimonio, al fine di evitare alcune forme di conflitto di interessi. Tutto questo in potenza perché il conflitto di interessi sarebbe meglio chiamarlo conflitto potenziale di interessi e quindi non è che, per il fatto che sia potenziale, scatta sempre; pensate che il sindaco di New York Michael Bloomberg è il proprietario della più grande agenzia di informazione nel mondo, la Bloomberg appunto. Gli americani che pure sono sensibili al conflitto di interessi, che non impongono, tanto che non hanno una legge contro il conflitto di interessi però è d'uso che insomma se hai una quota di proprietà dell'industria aeronautica e diventi ministro dell'economia, la metti in un blind trust e te la fai amministrare da altri finché fai politica.  I conflitti di interesse che non si vedono sono forti in Italia, Prodi ha un rapporto con le banche e in particolare con la più grande banca cattolica che è Banca Intesa, Bazzoli avrebbe dovuto essere lui al suo posto, uno stesso circuito, uno stesso salotto, ci sono uomini di collegamento… La vecchia struttura dei Ds lo abbiamo visto è collegata al mondo delle cooperative, un mondo commerciale, industriale, terziario, finanziario di prima grandezza che voleva prendersi la quarta banca italiana… e loro stessi una volta presi con le mani nel vasetto rivendicano il diritto di fiancheggiare questo tentativo delle cooperative; anche il Monte dei Paschi di Siena è una banca politica. I conflitti di interesse ci sono dappertutto, il potere è un insieme di conflitti di interesse che si intrecciano tra di loro. Per questo io mi ribello all'assolutizzazione del conflitto di interessi; la vera questione è fino a che punto possiamo controllarlo. Da questo punto di vista la questione qui è solamente essere obiettivi. Certamente i giornali di Berlusconi, non Il Foglio, che è un giornale cooperativo, però Panorama, Il Giornale, Canale 5 ecc. gli rivolgono un trattamento particolare, dal punto di vista personale, c'ha le inquadrature più belle, prendono le troupe che piacciono a lui quando fa i comizi, gli daranno un minutaggio leggermente superiore, però certo non nascondono se Prodi dice una cosa, e vorrei anche vedere sono organi di informazione generalistici… Fede poi è un fenomeno a parte, è un grande fumetto del berlusconismo che gli tiene, come dice lui, "in caldo le vecchiette".  Insomma, ci sono distorsioni, non lo nego affatto, ma nel fondo c'è una dialettica delle forze nel campo dell'informazione italiana assolutamente pluralistica, tanto è vero che siamo il paese che ha inventato il termine lottizzazione.; in Italia c'è la Rai che conta più di Mediaset, un blocco informativo e un partito, con una tradizione radicata di forze cattolico-democristiane, di forze laiche, di forze del vecchio partito comunista e poi a ciò che gli è succeduto, anche lì è fortissima la distorsione. L'anomalia di Berlusconi nasce in relazione ad altre anomalie, come quella della magistratura che vuole sostituirsi alla politica, quella della Rai che aveva il monopolio dell'informazione di stato e pretendeva di mantenerlo, quella della Rai occupata dai partiti politici, quella di una certa prevalenza nel giornalismo di una cultura e di una mentalità di sinistra. Nel giornalismo italiano le rappresentanze della destra sono una enclave, voi mi direte potenti, importanti, si ma fino ad un certo punto, tutto si gioca tra le diverse anime della cultura di sinistra nel giornalismo italiano vedi le correnti più forti nel sindacato dei giornalisti, la federazione nazionale della stampa… Non direi dunque che l'Italia è sotto la dittatura, sotto il tallone di ferro del conflitto di interesse di Berlusconi, mi sembra francamente una fotografia faziosa e pregiudiziale della realtà. Purificare il tutto significa salvare il sistema italiano e costruire una politica nella quale naturalmente il grande capitalista, possessore per di più di mezzi di informazione, non è più parte, ma ci si deve arrivare, è un processo storico, non credo che ci possa arrivare, come si dice, con il taglio della testa di Berlusconi come uomo politico. Mi sembrerebbe strano e difficile anche perché c'è un grande consenso che va molto aldilà delle distorsioni delle informazioni. Tutte le persone intelligenti di destra e di sinistra vi diranno la verità su questa questione e cioè che Berlusconi è popolare non perché la televisione lo fa vedere, o perché la televisione propone modelli che gli rassomigliano, quella che è la tesi di Nanni Moretti, che le tv commerciali ci hanno rimbambito e ci hanno fatto diventare tutti possibili alleati ed elettori di Berlusconi; non è vero perché con le tv Berlusconi ha vinto e ha perso alternativamente, va in minoranza o in maggioranza a seconda della giustezza delle scelte che fa e del ruolo politico che ricopre. Il punto è che Berlusconi è molto popolare perché le ha create le televisioni, perché in Italia si è determinata una situazione in cui la classe politica è andata giù di prestigio in modo disperato, adesso con la storia della casta la cosa si è di nuovo aggravata, e naturalmente un uomo che si è fatto da solo, anche con le compromissioni con la politica naturalmente, che ha avuto il talento, il genio di fregare tutti gli altri concorrenti sul terreno della televisione commerciale in Italia e in Europa, è voluto scendere in politica. E' un problema storico, dunque, e non normativo.

Basi di Vicenza, miopia giornalistica e racconto parziale: la questione della base di Vicenza è tutta una follia perché i trattati internazionali vanno rispettati come tali, le relazioni fra gli stati ugualmente, lì non ci sono discussioni. In realtà poi c'è discussione perché hanno modificato il piano e persone affidabili mi hanno detto che gli americani si erano un po' allargati…Si tratta di un conflitto urbanistico, di politica urbanistica all'ombra di un potere eccezionalmente importante che è quello che deriva dagli obblighi internazionali. Prodi ha detto di sì, in mezzo agli imbarazzi, e vi assicuro che Berlusconi si sarebbe comportato assolutamente nello stesso modo, anzi lui che è molto piacione avrebbe concesso di più alla protesta locale, si sarebbe dato più da fare per cercare di strappare un pò di consenso a Vicenza. Su queste cose non c'è classe dirigente che tenga, giusto un governo di Diliberto litigherebbe con gli americani e gli direbbe di andarsene via, poi la pagheremmo cara su tanti altri versanti. Finché ci sono i confini, le armi, i problemi sulla sicurezza, le reti missilistiche, gli aerei che si alzano in volo, l'insicurezza dal Medio Oriente e dal Balcani, una politica della sicurezza collettiva tra noi e gli alleati in sede Nato bisogna pure che ci sia. Certo possiamo anche smantellarla, possiamo introdurre l'utopia della lealtà, fare un pacifismo integrale, rinunciare alle alleanze, fare come la Svizzera, non lo so, è un fuoriuscire dalla nostra storia… Nessun membro delle classi dirigenti attuali lo farebbe quindi la cosa di Vicenza è stata un po' favoleggiata, in realtà non poteva che andare così tra conflitto urbanistico locale e vincoli internazionali da cui nessuno può prescindere.

Licio Gelli, Piano di rinascita democratica: alcuni dicono che si è attuato Rai - Mediaset; dicono che mio nonno sia stato massone, era un avvocato liberale che ebbe rapporti con la giunta di Ernesto Nata, però io non ho esperienza della massoneria e sinceramente non mi interessa, mi sembra tutta un'anticaglia. Le organizzazioni come quella di Gelli che sono associazioni di affari  di rilievo, in cui si mescolano molti imbroglioni, molti carrieristi, opportunisti, sono alimentate dai paramenti, dal grembiulino, tendono a proteggere attraverso il segreto, vedi tutti i rituali ecc… Io però non sopravvaluterei la cosa, meglio, io la vedrei in parte come l'ha vista alla fine la magistratura che li ha mandati tutti assolti. Con la P2 sono stati fatti due giochi: quelli della P2 pensavano al quattrino e alla influenza politica nelle nomine, nelle carriere anche in ranghi importanti dello stato, i servizi segreti, l'esercito ecc; c'è stato poi il gioco anti P2, anche quello non massonico ma insomma quasi, e infatti chi ha fatto la legge per sciogliere la P2 è stato Spadolini, un leader politico dell'Italia repubblicana anche molto rispettabile, ma comunque un uomo di potere anche lui, che aveva i suoi interessi, forse con massonerie diverse da quelle del materassaio di Arezzo… La grande aggressione alla massoneria poi è servita ad altro, ad esempio agli Agnelli che si sono beccati il Corriere della Sera con la storia della P2 mica bruscolini, mandando in galera il proprietario della Rizzoli che nella sua colossale ingenuità e anche nella sua piccola avidità di potere si era legato a tutti questi imbroglioncelli che gli facevano passare sotto il naso le interviste di Costanzo a Licio Gelli ecc… Insomma non so se mi spiego, bisogna maneggiare in Italia i grandi scandali sui quali si innescano con intelligenza, delle grandi ventate di moralismo perché proprio così si finisce col paraocchi come i cavalli e come i somari, a farsi strumentalizzare dalle belle anime, le belle coscienze. Ti fanno una sorta di maccartismo alla rovescia, il maccartismo non contro i buoni ma contro i cattivi, e poi ti ritrovi con le massonerie buone che sconfiggono le massonerie cattive, ma sempre nelle mani delle massonerie resti. Non mi pare che sia stato attuato il piano democratico, la massoneria resta un forte potere, e la politica sempre, ma in particolare quella moderna è fondata sul principio per il quale il principe deve entrare nel male se necessario, come diceva Machiavelli. C' è sempre una zona grigia, opaca del potere, una sorta di fumo di odore di zolfo che circonda il potere, un potere cristallino non esiste, quindi le massonerie sembrano fatte apposta per respirare quell'aria. Il che è ovviamente criticabile, bisogna opporsi a questo andazzo, diradare le nebbie, però facendo attenzione a non sostituire uno zolfo con un altro zolfo, magari di sapore diverso.

Gli aiuti di stato ai giornali: io le dico sinceramente che in un sistema ideale uno fa un giornale, lo mette sul mercato e se ha abbastanza lettori e pubblicità e suscita dunque interesse, riuscendo a coprire i costi con i ricavi, il giornale continua ad essere pubblicato altrimenti no; oppure nel caso in cui ci sia un capitalista, come è successo, che è disposto a perdere ogni anno un certo numero di migliaia di euro per pubblicare quel giornale anche se non ha i conti apposto. In astratto questo sistema di mercato è il migliore che ci sia, questo è ovvio, in concreto però io ritengo che se un giornale ha i conti in ordine e li chiude in chiaro nel bilancio come fa Il Foglio che prende annualmente i suoi 3 milioni di euro per effetto di una legge come diritto soggettivo, ma in chiaro, se questo giornale è costruito in modo edificante e moralmente corretto e cioè non diventa un carrozzone, non assume una marea di giornalisti, non va oltre le sue possibilità, non fa il passo più lungo della gamba e soprattutto cerca di realizzare una qualità che è della sua identità, è giusto che riceva aiuti statali. Si può fare un giornale del servizio pubblico, si può fare un giornale di opinione e di cultura come il mio, che dà un servizio che non è certo pubblico ma è comunque un servizio, è un giornale che parla di politica estera come nessun altro, nessun altro informa o fa circolare le idee controcorrente, difficili, è un giornale che pubblica testi complessi, lunghi… insomma se un giornale ha la sua giustificazione per la pubblicazione, allora è come un ente lirico, vogliamo togliere i soldi al Teatro della Scala? Possiamo in un mondo ideale, noi dovremmo garantirci la sopravvivenza con il prezzo della vendite e delle pubblicità, anche questo un mercato in qualche modo controllato. Nei primi due anni de Il Foglio producemmo un debito modesto, di 2 miliardi e mezzo, ed è andato avanti grazie ai soldi che ci hanno messo i soci con le quote, Veronica Berlusconi il 38% e altri tra cui anche me stesso che ho il 10% di quote per le quali ho rinunciato ai primi tre anni di stipendio. Insomma niente per un giornale nazionale distribuito in 2/3 delle edicole italiane e con quelle pretese, non un giornale popolare che apre con la foto della donna nuda, un giornale severo, gutenberghiano, fatto per trasmettere la parola che circola ecc. Noi siamo orgogliosi che poi al terzo anno, prima attraverso l'associazione politica che faceva convegni, poi trasformandoci in una cooperativa esattamente come tanti altri giornali quali L'Unità, Il Manifesta, Liberazione, abbiamo avuto per 1/3 dei costi il sostegno dello stato, essendo un giornale di opinione che sta in una specie di contro-mercato. Siamo orgogliosi, ma certo non è un giornale che spreca, non si può permettere di strapagare il direttore e i collaboratori, è un giornale che si fa con modestia, secondo canoni sindacali accettabili, una struttura leggera, poche pagine con un'idea né di lucro né di assistenzialismo… Insomma non la Scala di Milano ma comunque uno di quei tanti spazi che creano cultura e che lo stato italiano finanzia e sostiene. Io non me ne vergogno affatto, certo poi che se ci sono giornali finti, carrozzone, che nonostante il finanziamento producono ogni anno un debito a voragine ecc, mi dispiace, questo è perché la legge è fatta male: lo stato dovrebbe finanziare il giornale vero e serio.

La porcata l'ha fatta il centro-destra per rimediare all'ultimo momento perché si sentivano in minoranza, poi in Italia succede anche che uno come Casini prima voglia questa legge, la faccia e la pretenda e poi se ne dissocia, l'Italia è fatta così, abbiamo una faccia di bronzo pazzesca. Anche in Senato il centrodestra avrebbe voluto il premio di maggioranza, e la situazione ingarbugliata di adesso non è il prodotto della legge come la volevano fare, è il prodotto di come l'hanno dovuta fare perché gli uffici giuridici del Quirinale hanno detto che, dato che l'elezione del Senato avviene su base regionale, non è possibile assegnare un premio di maggioranza nazionale; se ci fosse stato avremmo avuto la Camera di sinistra e il Senato di destra, forse avremmo avuto un governo di coalizione o forse avremmo rivotato già un anno e mezzo fa. Questa porcata è il risultato dell'incontro, come avviene spesso in Italia, tra molti poteri, e alla fine ne esce una cosa bizzarra.

Vinicio Albanesi

Ringraziamo Giuliano Ferrara che ci ha incantato come si fa con i serpenti a sonagli; mentre lo ascoltavo io ho captato due categorie: ideale/reale e virtù/peccato. Ferrara dice l'ideale sarebbe questo, il reale è questo; la virtù sarebbe questa però nessuno è santo. Dimostra un'intelligenza superiore perché se distingui l'ideale dalla realtà puoi giustificare tutto o quasi, attraverso la virtù e il peccato poi vai direttamente giù, nel senso che sarebbe giusto che, sarebbe giusto questo, sarebbe bello quello, la virtù è questa, il peccato è quest'altro… però il tutto è stato corretto da Ferrara grazie alla sua dialettica di una raffinatezza rara. Lo ringrazio per la risposta alla mia terza domanda, ero in dubbio se farla, non volevo metterlo in difficoltà, però era una chiave di lettura per capire questo suo pensare e questo suo modo si essere; da cattolico capisco anche il senso di quello che diceva nel raccontare la differenza tra crescere in una famiglia che non era cattolica e poi fare il passaggio che ha fatto. L'unica cosa che non capisco è: come ha fatto ad innamorarsi di Berlusconi?


* Testo non rivisto dall'autore. Le qualifiche si riferiscono al momento del seminario.