XV Redattore Sociale 28-30 novembre 2008

Algoritmi

La storia del presente

Giovanni Maria Bellu intervista Goffredo Fofi

 
Parte 1
Durata: 29' 38''
 
Parte 2
Durata: 28' 33''
 
 
 
 
Giovanni Maria BELLU

Giovanni Maria BELLU

Giornalista, vicedirettore de L’Unità, è stato per molti anni inviato de La Repubblica. Ha scritto il libro reportage “I fantasmi di Portopalo” (Mondadori, 2004) e il romanzo “L’uomo che volle essere Peron” (Bompiani 2008).

ultimo aggiornamento 28 novembre 2008

Goffredo FOFI

Goffredo FOFI

Scrittore, critico letterario, cinematografico e teatrale, ha contribuito, con altri intellettuali, alla nascita di riviste storiche come i Quaderni piacentini, La Terra vista dalla Luna, Ombre rosse, Linea d’ombra. È oggi direttore delle riviste Lo Straniero e Gli Asini. Collabora o ha collaborato con il quotidiano Avvenire e con le riviste Panorama e Internazionale.

ultimo aggiornamento 06 novembre 2016

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TESTO DELL'INTERA SESSIONE*

Giovanni Maria Bellu

"Non credo che l'unico linguaggio possibile sia quello dei giornali di oggi che secondo me hanno toccato veramente il loro limite storico di volgarità, superficialità e osmosi con la stupidità, tanto da essere produttori ed anche un poco, molto poco, vittime della stupidità collettiva che hanno contribuito a far crescere". Questo un tuo giudizio sulla stampa riportato su un testo che riproduce un dibattito tra te, Gad Lerner e Michele Serra, che si tenne durante una passata edizione del Seminario del Redattore Sociale; era il 1996, sono passati 12 anni ma sembrano tanti di più. La domanda è se questo giudizio di allora lo confermeresti oggi.

Goffredo Fofi

Sì lo confermo. La situazione non è certamente migliorata da allora ad oggi. La stampa mi sembra uno strumento fondamentale del potere e, soprattutto nel mondo occidentale, ci si è accorti molto presto che non c"è bisogno delle dittature quando si hanno a disposizione i mezzi di comunicazione di massa, quando cioè possiamo manipolare il consenso attraverso i metodi della pubblicità; ovviamente il consenso senza il consumo non funzionerebbe, bisogna essere anche abbastanza riccastri per essere facili da manipolare. Ad esempio Berlusconi può manipolare fino a un certo punto, perché se mandasse la polizia nelle scuole occupate dagli studenti e facesse sparare, i genitori degli studenti, che sono in gran parte suoi votanti, non lo voterebbero più; lo sa e infatti sa amministrare questo meccanismo.

Il consenso senza il consumo non funziona…

però certamente il consenso è uno strumento enorme; lo strumento del manipolare non è tanto l'informazione, ma quanto dare l"idea che esistono dei modelli di vita unici, quelli che vengono propagandati dalla pubblicità e dall'informazione mentre tutto il resto non esiste; se esistono, esistono in risposta a dei modelli anche terrificanti. I fondamentalismi vengono stimolati dalla violenza del modello occidentale nei confronti di tutte le altre culture ed è chiaro che, cercando in qualche modo di difendersi, si fanno delle marce indietro enormi rispetto al tendere verso dei modelli migliori e che possano integrare la propria tradizione con le nostre. Io non sono di per sé contro la globalizzazione, vengo da una tradizione socialista, penso che l'internazionalismo proletario fosse una grande aspirazione del movimento operaio dell'800 e di una parte del '900; certamente la globalizzazione non è l'internazionalismo proletario, è un metodo, un sistema di potere piuttosto complesso ma anche molto evidente nella sua forza. C'è qualcuno che dice che Marx - inteso come modello politico e filologico - è morto, ma come modello economico sta assolutamente in piedi. Oggi l'economia è tutto, determina tutto e la sua forma attuale è  - non tanto la produzione industriale - bensì la finanza che con il suo potere enorme e molto trasversale è capace di intervenire nella tecnica di inventare sempre nuove tecnologie e strumenti.

L'economia e l'informazione sono la base del potere…

sono l'essenza del potere, per cui la responsabilità di chi fa informazione è enorme e quando parlo di informazione ci includo non solo i giornali ma anche la scuola, la Chiesa, le grandi cosiddette agenzie educative, quelle che formano le opinioni, le mentalità, che preparano i bambini a diventare adulti, che danno dei modelli complessivi. Un grande regista, oltre che grande saggio, nelle sue memorie ha detto - siamo negli anni '80 - di vedere i 4 cavalieri dell'Apocalisse già in azione nel mondo ossia la Scienza, la Tecnologia, la Sovrappopolazione - con buona pace del Papa Ratzinger - e l'Informazione (non la chiamava comunicazione, termine che allora non aveva dilagato, non era diventata questa parola onnicomprensiva che è adesso, però intendeva questo). Credo che sia vero, la comunicazione è uno degli strumenti fondamentali nel produrre il disastro.

Giovanni Maria Bellu

Vorrei capire questo passaggio: quando formulavi allora quei giudizi sui giornali e poi lo confermi oggi, prosegui il ragionamento e parli dell'informazione in generale mentre io son portato, forse anche per il lavoro che faccio, a fare una grande distinzione tra i giornali e l'informazione televisiva; riconosco un forte meccanismo di corrompimento delle coscienze da parte della televisione, mentre ho qualche dubbio che questa forza ce l'abbiano i giornali.

Goffredo Fofi

Ripartendo sempre dal vecchio Marx, a qualcuno la propria forza lavoro bisogna venderla perché sennò non si mangia, non si allevano i propri figli, non si dà una sicurezza alla propria famiglia, non si ha una tana, non si ha un mezzo di trasporto… non si esiste se non si vende una forza lavoro a qualcuno. Tanti anni fa ebbi una polemica con Beniamino Placido in un momento in cui era molto, molto presente, soprattutto ne La Repubblica ed anche in televisione; Beniamino si arrabbiò perché io parlavo male dei giornalisti e mi accusò di aristocraticismo dicendo che poi anche io scrivevo su Il Messaggero… Io gli feci una lezione di economia marxiana dicendogli che in questo tipo di professione ci sono diverse personalità: l'umanità da sempre deve guadagnarsi il pane con il sudore della fronte come dice la Bibbia, deve vendere la propria forza lavoro a qualcuno. Chiamiamo questa forza lavoro "sedere", vendiamo il sedere a qualcuno, a un padrone, perché sennò non abbiamo la possibilità di mangiare, di esistere, ecc. Il problema è cosa facciamo dell'anima. Io il sedere lo vendo entro certi limiti, quello che mi basta per la sopravvivenza e per poter fare altre cose, l'anima però me la tengo per me. Il problema di Beniamino Placido e di altri giornalisti è che godono da matti a vendere l'anima, mentre gli fa molto schifo solo l'idea di vendere il sedere, e questo è un equivoco che è stato indotto, perché i vecchi giornalisti questa distinzione ce l'avevano molto chiara, avevano una coscienza professionale estremamente forte. Ad esempio, la Cederna il sedere lo vendeva quando faceva i pettegolezzi sui ricchi, quando andava a intervistare la famiglia Marzotto nel suo salotto, ecc., poi però scrisse il libro che fu alla base dell'impeachment di Leone, il libro su Valpreda e Pinelli esponendosi, subendo minacce, perché allora Milano non era diversa da Napoli, c'era  bisogno della scorta anche lì… A Milano poi c'era una coscienza professionale molto forte, legata a dei modelli, a una sorta di borghesia diciamo progressista, avanzata, intelligente, che oggi mi sembra completamente scomparsa, che è stata definita "la plebeizzazione del ceto medio", ma anche della borghesia: insomma la differenza tra lo stile di casa Agnelli, curiosi individui per carità, e lo stile di casa Berlusconi, segna comunque una caduta di tono, una volgarità molto più evidente, quella stessa volgarità che oggi viene presentata in televisione.

Diktat e volgarità

Hai ragione quando dici degli effetti devastanti causati dalla televisione: da un lato questo potere vorrebbe che noi tornassimo agli anni '50, ci dice di mettere il grembiulino ai bambini a scuola, di comportarci bene…; c'è insomma tutta una serie di diktat e di modelli, c'è di nuovo la censura sui film, allo stesso tempo però vedi in televisione Berlusconi che si vanta delle sue conquiste amorose, la volgarità è diventata assoluta e totale. Se io dovessi dire chi sono i più grandi corruttori del paese ci metterei il direttore del tuo giornale, il compagno Scalfari che tutte le domeniche fa concorrenza ai vescovi, ai cardinali, lo stesso che si vanta nelle sue memorie - uno dei libri tra i più disgustosi della storia contemporanea italiana - di essere stato anche lui in qualche modo l'artefice della fine della sinistra, della distruzione del PC; dice chiaramente di essere quello che è riuscito a scompaginare, si vanta di aver costruito e creato questa situazione, ovviamente con un mezzo formidabile come La Repubblica, e questo proprio perché è il giornale che si è voluto presentare come il maestro di opinione per una sinistra avanzata, un giornale che per i giovani intellettuali ha fornito modelli con dei discorsi che ci hanno coinvolto tutti. Credo che c'è stato per tutti noi un periodo in cui eravamo drogati e dopati da La Repubblica, si leggeva La Repubblica tutti i giorni un po' ossessivamente, fino a che bene o male ci siamo accorti che quello che c'era dietro era l'esaltazione - non della destra - bensì dello status quo di questo mondo così com'è. C'è stata come un'ossessiva presentazione di un modello vincente che era quello e solo quello.

I fondamentalismi come risposta ai modelli "vincenti"

L'arroganza del modello americano - non è infatti un modello italiano, Scalfari non è altro che l'ultima appendice di un sistema che nasce e cresce altrove - la sua invadenza, la sua onnipresenza, il dire che l'unico modo giusto di vivere è quello della piccola borghesia dominante nel sistema capitalistico americano e mondiale, ha corrotto tutto il mondo perché ha dato l'idea di libertà e di benessere come sua strada, come sua apertura per far passare tutto il resto. Questo ha prodotto che la barbarie aumenta continuamente. Negli ultimi 30 anni sono crollati due miti: quello della rivoluzione, l'illusione di poter fare una rivoluzione e attraverso di essa cambiare il mondo e anche il mito del buon governo, di una socialdemocrazia decente al potere; sappiamo che di buon governi non ce ne saranno più, ci saranno solo dei governi fortemente manipolati dalla finanza e dall'economia e in mano a dei sistemi di potere che sono automaticamente la decadenza dell'idea di politica stessa che c'è stata in questi anni. Il fallimento della democrazia come modello sociale che poteva affermarsi e vincere, ci hanno lasciato totalmente poveri e sprovveduti in una situazione in cui siamo poi ossessionati da messaggi che ci vengono continuamente e che ci impongono un determinato stile di vita e di valori. In sostanza voglio dire che il problema è l'anima, cioè il modo in cui noi riusciamo a reagire a questo stato di cose: un modello è per esempio quello di Rosaria Capacchione, un modello estremamente serio e convincente. Il limite di quel modello è la sua grandezza.

La fine della polis…

Io giro l'Italia come una trottola e conosco in ogni situazione e in ogni paese, delle persone straordinarie che fanno veramente bene il loro lavoro; allo stesso tempo in cui le ammiro, mi fanno una rabbia enorme, perché sono persone che fanno bene il medico, il maestro elementare, l'impiegato delle poste, il droghiere, fanno bene la loro parte di professione, però questo è diventato un rifugio e anche una giustificazione a non fare di più. Il fare di più che cos'è? E' quello di responsabilizzarsi rispetto alla cosa pubblica. Quello che ci hanno tolto, quello che ci hanno rubato è proprio questo, il senso della responsabilità, la responsabilità nei confronti del bene collettivo. La politica in qualche modo tra le sue enormi colpe ha anche quella che ha divorato e distrutto la società civile. Quello che resta oggi sono embrioni sparsi, lo stesso associazionismo, tutte queste iniziative in realtà sono succubi o dipendenze della politica o in qualche modo ricattate continuamente dalla politica soprattutto sul piano economico, ma anche su tanti altri piani; ha inoltre distrutto totalmente - insieme alla società civile - le istituzioni, anzi si è impossessata delle istituzioni. Per carità ci sono dei magistrati, dei giornalisti, degli insegnanti straordinari, la maggioranza però non è tanto straordinaria e anche queste persone straordinarie che non conosciamo sono ormai prive di fiducia nella loro capacità d'incidere su una situazione generale, che è proprio la politica perché non frequentano più la polis ossia la responsabilità nei confronti della collettività. Il problema si risolve nel momento in cui si dà per scontato che all'interno del proprio campo di lavoro bisogna cercare di fare il meglio, cioè tenersi l'anima ben salda in mano, sapere dove bisogna fermarsi nella compromissione con il potere, una cosa oggi delicatissima e difficilissima perché è proprio il sistema educativo che ci ha tolto questa capacità di giudicare dove bisogna fermarsi.

Il meccanismo televisivo divora di più di quello della stampa

È giusto o non è giusto andare in televisione? Io in genere ho sempre detto di no, però una volta ogni 4-5 anni dico di si e ci vado, ma solo da Gad Lerner, di cui mi fido, che so che non mi manipola, perché penso che comunque andare lì e dire qualcosa di diverso abbia un significato per poche persone che ti vedono, mentre so benissimo che se invece di andarci ogni 5 anni ci andassi ogni anno, diventerei una marionetta come gli opinionisti di cui si parlava stamattina: quel meccanismo ti divora mentre quello della stampa molto di meno.

La mafia non è mai stata tanto potente come lo è oggi

La mafia non è stata sconfitta dalle denunce, è stata messa in crisi dalle esperienze pratiche di lavoro sul territorio. Come si sconfigge la mafia? Con l'educazione, con l'economia e ovviamente con la giustizia, sono le 3 chiavi con cui si può intervenire. Sull'economia non si interviene, anzi va tutto bene, perché poi quello è denaro che circola, non si interviene con l'educazione che non vuol dire un don Ciotti che va nelle scuole a dire chi è contro la mafia alzi la mano, è chiaro che tutti i figli dei mafiosi la alzano, non sono mica scemi… Il problema è che cosa fai lì sul territorio contro la mafia, penso a don Peppino Diana o a don Pugliesi o a tanti sindacalisti. Il giornalismo si è abituato a questa logica della denuncia, giacchè l'opinionismo non è l'inchiesta, è un'altra cosa che non è servita assolutamente a niente: il film Gomorra e anche il libro ovviamente, perché ha impressionato così tanto? Perché sembrava di vedere per la prima volta cos'era veramente una società dove la camorra domina. Prima ti  faceva vedere il poliziotto buono, il sindacalista buono, il prete buono, il giudice buono e dall'altra parte dei mostri umani. Qui non ci sono mostri umani, c'è una constatazione di una barbarie, di una condizione sotto certi aspetti subumana data delle costrizioni culturali che provoca, se tu cresci dentro quella società i  tuoi modelli non possono essere che quelli. A far scattare la svolta a Saviano è stato l'omicidio di don Peppino Diana; a 16 anni quella cosa avvenuta vicino a casa sua l'ha costretto a ragionare sul suo sistema, sul mondo in cui lui viveva, sui valori che prima considerava correnti, abituali, normali. Saviano una volta mi ha raccontato che il padre che era medico, ha aspirato tutta la vita di diventare medico della camorra e non c'è riuscito perché aveva fatto un piccolo torto a qualcuno in passato, la mafia non si è mai fidata di lui e non l'ha mai preso. Questo vuol dire che in una società dove la camorra domina, dove l'economia è gestita da quel tipo di forze, è chiaro che quelli sono i punti di riferimento… Dobbiamo invece dare dei modelli reali e concreti, non le ideologie, non le denunce, non le chiacchiere, ma la pratica quotidiana, il modo di vivere quotidiano. Il discorso è: oltre la denuncia che cosa si fa per la responsabilizzazione collettiva rispetto a questa situazione…

Giovanni Maria Bellu

La difficoltà a tracciare una linea rispetto alla compromissione col potere: io credo che oggi sia abbastanza facile invece tracciare questa linea e credo che lo sia non per merito della stampa o di altro, ma perché la situazione di oggi - che poi è quella che descrivevi - è anche quella dei segni di evoluzione che rendono sempre più evidente questa linea di demarcazione.

Sono d'accorso su quanto dicevi rispetto al ruolo generale dell'informazione e credo che questo sia il problema: la difficoltà è l'anima in cura, è sempre là il problema. La Repubblica nasceva anche con lo scopo di rimettere all'interno del gioco democratico il Partito Comunista, così come già nella scelta del nome si è presa la strada della difesa della cosa pubblica. Dicevi prima che manca il senso della cosa pubblica: uno degli obiettivi statutari di La Repubblica è stato quello di restituire il senso dello Stato e il senso della Cosa Pubblica. Io credo che il PC si sia sfarinato non soltanto per la fine del blocco sovietico e quant'altro, quanto meno per l'influsso negativo sull'opinione pubblica italiana. Io credo che questo sia avvenuto perché esisteva un secondo problema di identità politica rispetto alla realtà del paese. D'altra parte la fine dell'ideologia ha lasciato nudo il Partito Comunista per questo, sennò non ci sarebbe voluto niente a ritrovare un rapporto con la società italiana. Non credo quindi che La Repubblica abbia avuto un ruolo nella corruzione del Partito Comunista e credo anzi che oggi la situazione sia doppiamente chiara: sul piano politico la linea di demarcazione è sempre meno politica, mentre più banalmente stà diventando la linea che separa le persone per bene dai farabutti.

Sul piano dell'informazione, la forza dei giornali e della carta stampata è così piccola rispetto all'enormità della forza della televisione, che il solo fatto di lavorarci è già come dire un modo di resistere, almeno nella forma. Voglio dire che naturalmente ci sono dei giornali che sono esattamente quello che è la televisione e il capo fila di questi è Il Giornale per l'appunto che non a caso è di proprietà del fratello del Presidente del Consiglio. Ciononostante sono convinto che il lettore de Il Giornale o di un libro, in quanto persona che per acquisire le informazioni utilizza un oggetto di carta e non le apprende passivamente seduto su una  poltrona, credo che quello sia comunque un po' più mio interlocutore.

Goffredo Fofi

Anche questo è un risultato di Scalfari, credo ottimo, non a caso adesso la direzione e la vicedirezione è di 2 giornalisti che vengono da La Repubblica, quindi c'è un qualche legame. Io credo che il problema, ripeto, non è tanto il giornalismo, è un discorso di minoranza e maggioranza, chiamiamolo così. Senza nessun disprezzo per le maggioranze, tanto più sono manipolate, tanto più ci devono accorare e obbligarci a pensare, a  come riportarci a ragionare, a come capire nel frastuono dei media, delle pubblicità e della cronaca, quali sono le cose giuste e quali quelle sbagliate. Però questo è un discorso che riguarda i compiti e i doveri delle minoranze ma non intendendo le minoranze religiose, nazionali, etniche, sessuali, bensì quelle etiche, quelle cioè che scelgono di comportarsi in modo diverso da quello che è considerato il modello dominante, che cercano di agire diversamente. Questo vale sia nelle iniziative che intervengono nel sociale, Capodarco per dire, ma vale anche per i gruppi teatrali, vale per il metodo di lavoro all'interno di certi settori…

Perché il film "Gomorra" è un film straordinario, forse più del libro? Perché fatto da un regista che si mette in contatto con una situazione, porta avanti un lavoro di gruppo, non un lavoro isolato o di un singolo. Io credo moltissimo nel lavoro di gruppo, soprattutto dei piccoli gruppi. Internazionale è per me un esempio straordinario, io li ho seguiti fin dall'inizio proprio perché ero entusiasta di questo: un gruppo di ragazzini più o meno amici di liceo di Giovanni De Mauro che riescono a trovare il ricco che gli dà un po' di soldi e fanno il giornale che manca nel quadro italiano.

Giovanni Maria Bellu

Sono totalmente d'accordo sul giudizio di Internazionale, tra l'altro credo che ognuno di noi lo possa sperimentare questo fatto ossia che si tratta di un giornale che si legge molto bene e velocemente. In questi mesi mi è capitato spesso di ragionare su modelli di giornalismo e anche di Internazionale ed io son convinto che questo giornale viene letto proprio perchè vi si trova la selezione dei migliori articoli apparsi sulla stampa estera, una selezione però che viene fatta per il lettore italiano. Secondo me questo meccanismo di selezione determina la scelta di articoli che uniscono, come dire, le migliori qualità di un prodotto giornalistico, articoli che sono ovviamente ben scritti, che raccontano, ma anche comprensibili per un lettore italiano non specializzato; si scelgono degli articoli della stampa estera che hanno la caratteristica di dare la notizia e nello stesso tempo spiegarne la dinamica.

La denuncia come processo di ricostruzione

Son d'accordo sul fatto che la denuncia in quanto tale, può essere fuorviante, nel senso che può essere un modo per lavarsi la coscienza. Penso però che sia utile quando la denuncia sia la conclusione di un processo di ricostruzione, per cui tu al lettore non dai tutti gli strumenti per ricomporre la complessa realtà che è attorno. Si può fare dell'ottimo giornalismo ed è quello che noi con fatica stiamo cercando di fare, potrei prendere tutti i numeri de L'Unità che sono usciti negli ultimi due mesi e spiegare che in ognuno c'è un ragionamento, c'è un pensiero e soprattutto il tentativo di prendere questa realtà così complessa e di fornire al lettore degli strumenti per comprenderla, facendo anche delle inchieste, dei servizi su situazioni note, di cui si parla, e di cui si è convinti di conoscere tutto.

Lo sviluppo di internet ha fatto temere alla categoria dei giornalisti di perdere il proprio ruolo, si è detto con internet tutti quanti potranno acquisire direttamente le notizie on line e quindi a cosa serviranno i giornalisti? In realtà si è scoperto che a maggior ragione sono importanti i giornalisti, nel senso che ci sono tante di quelle notizie ed è sempre meno il tempo che ognuno di noi ha a disposizione per selezionarle, e dunque per metterle in una gerarchia è necessario che ci sia una figura professionale che fa responsabilmente questo lavoro. Questa in realtà è sempre stata e sempre sarà la funzione del giornalismo: sì a denunciare i fatti gravi, ma sì soprattutto a un servizio alla collettività, oggi più necessario di prima, per tentare di ricomporre questa realtà così complessa e per dare delle chiavi di lettura affinché i cittadini siano sempre più persone consapevoli.

Goffredo Fofi

Io propongo che nasca un piccolo gruppo di giornalisti che faccia un settimanale povero intitolato "Nazionale" invece che Internazionale, che peschi dai giornali quotidiani - i settimanali li lascerei perdere - quegli articoli che ogni settimana vale la pena diffondere. Bisogna anche in qualche modo smetterla un pochino con la denuncia o con la lamentela, bisogna passare all'azione, se è vero, se siamo convinti che veramente in questo paese si sta sfasciando un po' tutto, dalle ferrovie alla stampa, alla morale comune. La vera tragedia di questo paese è la decadenza della morale civile degli italiani, è il cinismo che ci pervade tutti perché poi alla fine siamo per forza di cose contagiati se vogliamo resistere. Il problema non è quello del messaggio di speranza, ma il messaggio di resistenza attiva in qualche modo, di resistere e di fare qualcosa che riapra dei discorsi, che metta in moto dei meccanismi, a partire proprio dalle minoranze, perché questa è un'altra delle cose tragiche della cultura italiana di questi anni, il disprezzo per le minoranze e questa è anche una colpa dei giornalisti. Le minoranze non hanno nessun dovere di cercare di diventare maggioranza, sono un valore in sé, sono una rottura all'interno di una società e una proposta attiva e positiva all'interno di una società, devono affermare la loro diversità. Il problema delle minoranze è anche quello di fare, di fare bene, di proporre, di rompere le scatole, e questo vale secondo me in tutti i settori. La riorganizzazione di una società deve avvenire anche da questi nuclei embrionali, da queste piccole forze e poi dal collegamento ovviamente tra queste piccole forze tra di loro.

Un'altra delle tragedie della democrazia è la delega: noi continuiamo a delegare, sono gli altri che pensano per noi, gli altri che agiscono per noi, gli altri che ci rappresentano… ma io non mi sento affatto rappresentato da questi… E allora che cosa cerco di fare? Faccio una rivista, faccio dei piccoli gruppi, lavoro con altri, cerco di mettere in collegamento queste situazioni tra di loro, sono operazioni di resistenza minoritarie di cui però bisogna essere assolutamente orgogliosi, senza nessun disprezzo per le maggioranze: il problema vero è come oggi sia impossibile conquistare le maggioranze, e come invece sia doveroso partire da esempi, da modelli, da ragionamenti diversi, che vogliono dire un legame tra teoria e pratica molto stretto, molto forte che in Italia non c'è più.

Giovanni Maria Bellu

La minoranza politica deve essere comunque, diciamo così, una minoranza felice: io credo che l'unica condizione per cui una minoranza possa essere felice sia che abbia almeno una prospettiva di poter diventare maggioranza.

Goffredo Fofi

Secondo me no, bisogna assolutamente rinunciarci a questo, non è più possibile nel mondo così com'è e come ci si presenta, pensate all'enorme mutazione sul piano della storia umana con internet, l'economia e tutte quelle belle cose che son venute fuori. Oggi, una volta cadute le illusioni del buon governo e le illusioni delle rivoluzioni, abbiamo di fronte un mondo che ci si presenta come una sorta di fusione mostruosa tra un massimo di barbarie - che oggi ha a servizio la tecnica - e un massimo di tecnologia: questo incrocio rende il mondo abbastanza terrificante. Non ci sono più i grandi romanzi di fantascienza perché non siamo più in grado d'inventare orrori successivi a quelli che la fantascienza ha inventato. Ci siamo dentro totalmente in una società di questo genere. Ripeto, allora in questa assenza di possibilità di conquistare le maggioranze, l'errore del PC e di tutto un sistema culturale, è stato quello di volere conquistare le maggioranze imparando la loro lingua, che era la lingua poi dei padroni. Che differenza c'è tra Veltroni e Berlusconi? Minima: la differenza è tra Berlusconi che è uno che si è fatto da sé, mentre Veltroni è nato in vitro dentro una televisione, non sono insomma differenze sostanziali di modello sociale e modello umano che questi signori prospettano. Qual è il segreto di Berlusconi? Secondo me il suo segreto stà nel fatto che ha colto nel popolo italiano quella che Gobetti chiamava la continuità, l'elemento fascista della cultura del popolo italiano, particolare, seicentesco, un elemento antropologico forte. Gli italiani amano Berlusconi perché è un personaggio assolutamente amorale, non sa che cos'è la morale. Lo paragonerei a Boldi nei film: il bambino che può permettersi tutto, si può permettere di scorreggiare a tavola, si può permettere di mettere le mani nel piatto del vicino, come può permettersi di battere le mani sul sedere di una suora di passaggio, si può permettere qualsiasi cosa, l'assoluta assenza di morale, in chiave proprio infantile… Questa è la cosa che secondo me gli italiani amano in Berlusconi, amano questa amoralità, mentre non potranno mai amare Veltroni perché sanno che dice A, pensa B e fa C. C'è un fiuto naturale credo nella nostra tradizione antropologica: una volta i miei nonni dicevano "fai quel che il prete dice, non quel che il prete fa"; certo era anche un criterio molto serio del comportarsi, però il problema è che oggi Veltroni dice cose insostenibili, Ratzinger dice cose insostenibili; non c'è più una morale che ti viene prospettata, ma è semplicemente un adattamento al mondo con tutte le astuzie del caso perché tu possa accettare un ordine di cose , che è la cosa peggiore che ci sia. Per questo ripeto o si parte da un discorso minoritario in tutti i campi, o si conta sulle proprie forze, si riparte da esperienze singole cercando poi collegamenti oppure si è un po' fregati…

Giovanni Maria Bellu

Sarà forse una deformazione che nasce dall'ambiente dove lavoro e dal fondatore del giornale per cui lavoro, ma non riesco a separare questo discorso che è quello della totale egemonia dell'avversario. Mi sembra che tu abbia una prospettiva molto pessimista.

Goffredo Fofi

Non la vedo così grama onestamente. La differenza, secondo  me, sta appunto nel fatto che Berlusconi mostra le cose nude e l'altro invece no. Certo Veltroni ha ancora dei lontani super io, ma che certo non sono il movimento operaio italiano e la sua storia, nemmeno Kennedy, ammesso che Kennedy fosse questo santo che Veltroni pensa che sia stato. Comunque il problema secondo me non è il pessimismo o l'ottimismo, credo che l'unico modo di essere presenti oggi nel mondo è quello di essere pessimisti attivi, cioè di aspettarsi sempre il peggio, fare tutto quello che si può per evitare che avvenga. Questo è ciò che a noi ci dovrebbe premere di più; è inoltre un problema di strategia e di tattica, per ripartire dai vecchi discorsi. Su un piano molto generale io credo che noi siamo entrati in un'epoca di barbarie che durerà molto a lungo, ammesso che non ci sia la fine del mondo prima, durerà molto a lungo e che in qualche modo il nostro compito è da un lato quello tatticamente di difendere delle posizioni, di affermare delle piccole conquiste, delle difese, però è un discorso sempre più difensivo che non di proposta. E sul piano delle proposte invece agire all'interno di queste situazioni anche minime. Siamo in un periodo di decadenza brutale di questa società, bisogna che ci rendiamo conto che questa decadenza andrà avanti per molto, la brutalità aumenterà a dismisura, ogni giorno c'è un gradino in più nella brutalità del mondo, anche se facciamo finta di non vederla. Dobbiamo lavorare in vista di un nuovo rinascimento, non so come dire, dobbiamo anche porci questo problema di sopravvivere a quest'epoca dando dei piccoli agganci possibili per quelli che vengono dopo di noi per continuare a crescere e fare delle cose che preparino un mondo migliore.

Vinicio Albanesi

Noto un salto di qualità nella partecipazione di quest'anno: dal clima generale abbiamo percepito che c'è una coscienza dei nodi del sociale, non siamo più nelle periferie, i disabili, i rom, tutto quello che per anni abbiamo trattato e non so se dipende dalla crisi finanziaria; c'è una lettura dei nodi del convivere, non soltanto del sociale. Questo ha fatto saltare quello schema del giornalismo tra chi era economico, chi era sociale, chi era culturale… non funziona più perché in qualche modo c'è una globalizzazione e una spinta al pensiero - no a quello unico - ma al pensiero che riflette, al pensiero che collega i vari elementi. Naturalmente abbiamo notato - rispetto agli anni passati - un'enorme capacità di narrazione. I protagonisti giovani, questi signori, hanno poco più di 30 anni. Si nota una capacità nuova di lettura della realtà, ma anche direi efficacia che non è estetica, è sostanziale, quindi in qualche modo il quadro nazionale ed internazionale si è connesso. Non esiste più una politica e una cultura estera e una cultura nazionale. Noi viviamo gli stessi problemi e li viviamo tessuti in un'unità e qui vengo a quanto diceva Fofi: siamo alla fine dell'impero, perché sono state rotte le regole della legge naturale. Ricordate cosa si dice nei libri di storia sulla fine dell'impero romano, i barbari che scendono e che conquistano, poi la sintesi medievale, poi l'altra sintesi… e  noi lo stiamo vivendo oggi. Non ce ne rendiamo conto perché non riusciamo a collegare gli elementi che sono diventati quotidiani. Quando esiste un'associazione che dice "è bello non avere figli", significa che ci stiamo suicidando, perché avere o non avere figli, averne tanti o averne pochi, comunque deve garantire la sopravvivenza della specie. Se tu dici: la specie non vale la pena che sopravviva, vuol dire che tu l'hai data per morta, basta aspettare 30 o 40 anni e questi sono fatti che ormai non scandalizzano più perché ce lo danno come ovvie notizie, come le più naturali. L'invito è di riflettere, pensare, questo riscatto dopo l'ubriacatura del pensiero unico che ci hanno inculcato in mille modi attraverso la propaganda e il consumo, in realtà sta riemergendo la voglia e la necessità di pensare rivedendo gli elementi che ci sono stati forniti. Quindi in questa potenzialità voi siete i protagonisti; il vostro futuro è questa sfida in cui siete chiamati non più per le vostre specialità, ma per la vostra anima.

Qualche anno fa anche io pensavo che bisognasse conquistare la maggioranza, ma non è vero. Ciascuno di voi ha un dono, prendetela con tutti i linguaggi che vi pare, ciascuno di voi ha una missione. La vostra missione è di vivere in questo mondo di decadenza dove la storia non si ferma, perché la storia continua. Noi non sapremo dopo lo tzunami o il terremoto che cosa avverrà, ma ci dovranno essere persone pronte a raccogliere quello che rimane dopo questo grande sconvolgimento ed è importante l'indicazione che dava Goffredo, ossia di portare avanti piccole azioni, nel territorio in cui si vive. Nel momento in cui fai piccole cose, in realtà i problemi che ti si pongono sono immensi e gravi. Questo vale per il giornalista che sembra affermato a La Repubblica, per il grande critico, per il giornalista affermato che ha la sua trasmissione che va bene ed è seguita, ma vale per ciascuno di voi nel momento in cui s'incammina su un percorso. Allora la risposta a questa grande sfida è quella di dire io sono al posto giusto e sto facendo le azioni giuste. Perché non puoi diventare maggioranza? Ma perché dovresti stravolgere talmente te stesso da rinnegare la tua storia e la tua coscienza.

Termino dicendo che per noi è un grosso impegno, perché mentre prima aggiustavamo il tiro su come si fa il giornalista sociale, adesso la sfida è diventata globale: è andare ad affrontare contenuti con delle modalità che siano molto alti, non possiamo più dire come si fa l'articolo, come si mette, come si fa l'inchiesta, come si pubblica una foto o come si fa un video. La visione è più alta ed è quella di dire di andare alla ricerca. Cristo ci ha detto: Io sono la verità e quindi tu devi camminare verso questa verità, e per chi non ce l'ha questo Io - Cristo appunto - sono cavoli amari perché andare a cercare la verità è ancora più difficile non avendo nemmeno una traccia; per chi è Cristiano è più facile perché c'è un ideale; chi sta libero nel mondo, andare a cercare la verità significa uno sforzo enorme ogni volta, in ogni circostanza, perché insieme alla verità ci sta la giustizia, insieme alla giustizia ci sta il benessere, insieme al benessere ci sta la felicità.

* Testo non rivisto dagli autori.