XV Redattore Sociale 28-30 novembre 2008

Algoritmi

Metodi di inchiesta sociale - Numeri

Intervento di Stefano Laffi. Conduce Marino Sinibaldi

Stefano LAFFI

Stefano LAFFI

Ricercatore sociale presso l’agenzia di ricerca sociale Codici (Milano). Ha collaborato con la Rai, Radio Popolare, con le riviste “Lo Straniero” e “Gli asini”. Si occupa di mutamento sociale, culture giovanili, processi di emarginazione, consumi e dipendenze. Ha scritto, tra l’altro, “Il furto. Mercificazione dell’età giovanile” (2000). Ha curato “Le pratiche dell’inchiesta sociale (Edizioni dell’Asino, 2009) e con Maurizio Braucci “Terre in disordine. Racconti e immagini della Campania di oggi” (2009). Con Feltrinelli ha pubblicato “La congiura contro i giovani” (2014) e “Quello che dovete sapere di me” (2016).

 

Marino SINIBALDI

Marino SINIBALDI

Direttore di Rai Radio Tre, dove ha lavorato per molti anni inventando e conducendo, tra l’altro, la trasmissione “Fahrenheit”. Dalla prima metà degli anni 1980 collabora in veste di autore e conduttore a programmi culturali radiotelevisivi della Rai. Dal 2014 al 2017 è stato Presidente del Teatro di Roma. È tra i fondatori della rivista "Linea d'ombra"; è autore di saggi di storia e di critica letteraria, collabora con quotidiani e periodici. Ha pubblicato nel 2014 per Laterza il libro “Un millimetro in là. Intervista sulla cultura” (a cura di Giorgio Zanchini). 

ultimo aggiornamento 10 ottobre 2018

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TESTO DELL'INTERA SESSIONE*

Marino Sinibaldi

Con Stefano Laffi, Alessandro Leongrande e Maurizio Braucci presenteremo sostanzialmente delle esperienze che secondo me sono molto interessanti proprio dal punto di vista di alcune delle cose dette e dei problemi segnalati in questa intensa giornata, in particolare una è la questione del punto di vista, una questione che con molta forza e molta suggestione ha posto Vinicio all'inizio di questi lavori con una introduzione delle più felici degli ultimi anni. La questione del punto di vista è decisiva, il modo anche efficace con cui ha posto la questione delle nostre infinite e marginali discussioni sul fine vita - vi ricordate l'immagine che ha posto Vinicio su Eluana e la signora che vive due piani sopra di noi e Nicolini quando ha parlato di gente che muore senza nessun investimento tecnologico o riflessione bioetica diciamo così per usare eufemismi.
Ecco, la questione del punto di vista è fondamentale e penso che in tutte le edizioni di questi seminari viene fuori.

Oggi rappresenteremo punti di vista diversi, esperienze diverse che non sono concentrate tutte su quel nodo giornale/televisione, perché, mi sembra che uno dei difetti maggiori è che quando pensiamo al giornalismo (già l'uso del termine giornalismo comincia a diventare anacronistico rispetto all'apparato dell'informazione e della formazione dell'opinione pubblica) alla forma del giornalismo e dell'informazione è come se precipitasse, si addensasse tutto intorno a questo asse giornali/televisione che è sempre più insufficiente, anche a dire come si forma l'opinione pubblica e come si deforma - gli osservatori più banali dicono che la televisione non ha spostato i voti ha spostato un paese - è chiaro però che si riferiscono a qualcosa che non ha a che fare solo con l'informazione ma con un sistema generale. Oggi racconteremo esperienze che non hanno solo a che fare con l'informazione ma ad esempio con l'editoria, con la pubblicazione dei libri e con la pratica di altri linguaggi.

La questione del tempo e dei linguaggi

La questione del tempo è stata posta con molta forza da Loretta Napoleoni, credo che sia anch'essa una questione che non risolviamo se guardiamo sempre e solo ai notiziari o ai giornali ci sono tempi diversi di informazione e di narrazione della realtà che stanno dentro diversi linguaggi, quello appunto dei libri di cui parleremo più avanti, libri che hanno a che fare con la conoscenza e la rappresentazione della realtà. Sono proprio tempi diversi e forse dovremmo guardare a questa dimensione per risolvere l'altrimenti insolubile questione dei tempi. Mi ricordavo una discussione fatta qui due o tre anni fa con Marianella Sclavi quando parlammo dell'ascolto, lei dettava un eptalogo, una cosa in sette norme sull'ascolto e poi tutti raccontavano la loro realtà con una contraddizione mostruosa soprattutto sull'aspetto del tempo, del tempo necessario a ricostruire un'idea, un'informazione. Ecco anche lì forse a partire dalle esperienze che  racconteremo oggi pomeriggio, forse possiamo vedere questa questione con linguaggi e tempi diversi.
Cominciamo con l'intervento di Stefano Laffi che è un sociologo ricercatore, autore tra l'altro di un bel libro anche se ormai vecchio per lui, che si intitola "Il furto: mercificazione dell'età giovanile", che riguarda i giovani visti tutti nell'epoca dell'espansione economica, sarebbe interessante capire quei giovani che faranno nell'epoca della recessione economica.

Il divorzio tra informazione e realtà

L'intervento di Stefano parte da una sua particolare esperienza che è quella di avere molto a che fare con i numeri, nella cartellina trovate una sua cosa densissima sui numeri, un manuale assolutamente efficace di de-costruzione, diciamo così, dell'ideologia dei numeri che sta travolgendo l'informazione. Credo che se uno guardasse un qualsiasi organo di informazione scritto oggi rispetto a trent'anni fa una delle cose che noterebbe con maggiore stupore è la moltiplicazione delle cifre e dei numeri che vengono adoperati per agganciare qualunque notizia. Per l'esperienza che ho questo fa parte dell'insicurezza del lavoro giornalistico, i numeri sono una specie di compensazione dell'inconoscibilità della realtà, tanto più la realtà è opaca, tanto più è utile agganciarsi a un qualunque numero, questi numeri come arrivano nelle redazioni sono numeri fantasiosi, tutti uguali, si riferiscono ad una inchiesta fatta dall'Istat con 51 milioni di italiani oppure ad un'indagine demoscopica con 80. Mi sembra sia accaduto proprio così con l'inchiesta sull'uso del consumo dei giovani del telefonino, è uscita una cosa che era il rapporto tra i giovani e il telefonino e alla fine vedevi che il campione era rappresentato da 80 interviste cioè un terzo di voi che  siete già troppi per un'inchiesta... Questa è un po' la situazione reale, di una tale subalternità ai numeri e una tale, poi alla fine, inutilità. Io per esempio sono contrario al fatto che alla radio si diano i numeri mi sembra un posto dove i numeri non possono proprio essere detti. Non c'è nessuna possibilità di memorizzarli, invece i miei colleghi ne fanno un uso spropositato perché gli serve a tenere insieme argomentazioni che altrimenti non si sa come tenere.

Nella cartellina vedo una cosa, la ricerca Unipolis sulle paure degli italiani che presenta un grafico, una tabella, che è quella dalla quale sfiderei Stefano a partire, la tabella sta a pagina 44.
La ricerca che ha fatto Ilvo Diamanti è molto importante, in particolare la parte che riguarda il rapporto tra informazione e insicurezza o meglio tra informazione e percezione dell'insicurezza.
E' stata un po' liquidata, sempre nel nostro ambiente, come la scoperta dell'acqua calda, cioè la questione che l'informazione ha avuto un ruolo decisivo nel generare le paure (nemmeno la percezione dell'insicurezza ma proprio le paure) perché questa è una cosa che si sapeva già, ma documentata come lo è nel grafico numero 2.4 è effettivamente impressionante. 





Il dato documenta con la linea verde la linea dei reati, con la linea rossa la linea delle notizie Mediaset e con la linea blu, la linea delle notizie che la Rai
 ha dato negli stessi periodi sullo stesso numero di crimini. Come vedete, il fatto è evidente, nel secondo semestre 2007 una campagna chissà da cosa o da chi generata, ha fatto sì che tutte e due le reti scattassero in alto, la Rai sempre a ruota o sempre più moderatamente, ma secondo la stessa dinamica di scarto in avanti delle notizie sulla criminalità, senza nessuna relazione con l'andamento reale dei reati che come vedete, diminuivano. Esattamente nel momento in cui i reati cominciavano a diminuire è scattata in alto una campagna micidiale e criminogena - nel caso di Mediaset possiamo dirlo proprio perché andava oltre la linea dei reati - e questo diventa evidente a partire da questa tabella.
Una cosa che abbiamo sempre detto, sentito, avvertito, ma penso mai con queste dimensioni che fanno pensare ad un caso strano, quasi non casuale, e poi il crollo successivo dopo, in data elettorale. Possiamo anche dire, cosa singolare, che l'unico momento in cui l'andamento delle notizie è diminuito è l'unico momento in cui invece i reati aumentavano. Tutti guardiamo questo straordinario picco in alto. E la cosa altrettanto evidente dell'ormai divorzio dell'informazione dalla realtà è il fatto che quando i reati aumentavano in realtà venivano date meno notizie.
Anche lì è difficile parlare di un caso. Questo è singolare e ovviamente impressionante perché ci fa sentire tutti manipolati e più o meno complici di una chiarissima operazione, nemmeno politica, magari politica, ancora più profonda che politica, ma insomma dimostrerebbe come in un'epoca di apparentemente totale culto verso i numeri, dei numeri in realtà non frega niente a nessuno a vedere il risultato di questa tabella. Stefano Laffi cercherà di spiegarci le ragioni di questa apparentemente contraddittoria impressione.

La sicurezza in Italia. Significati, immagine e realtà

Seconda Indagine sulla rappresentazione sociale e mediatica della sicurezza - Fondazione Unipolis

Materiale distribuito in cartella relativo all'intervento di Stefano Laffi

Stefano Laffi

Ragionare sulle definizioni

Il mio è un punto di vista un po' particolare nel senso che io sono un ricercatore e quindi sono uno che i numeri li produce, sono intervistato, sforno dei dati. Ho collaborato per 13 anni a Radio Popolare e quindi i numeri li chiedevo, le interviste le facevo e poi sono anche un lettore, uno che deve leggere e studiare, quindi i numeri li legge e li deve utilizzare come strumento di formazione e informazione. Su questa vicenda del grafico avevo letto l'articolo di Ilvo Diamanti.
Ecco, Ilvo Diamanti è possiamo dire, un caso felice di traduzione e capacità di lettura del dato, perché parte da numeri, quasi sempre il pezzo di Ilvo Diamanti è di spiegazione a tutti - in chiave anche molto comprensibile - di quello che sta succedendo a partire da rilevazioni di tipo demoscopico come sono queste. Ha ovviamente le sue accortezze metodologiche, io vi ho allegato proprio nella cartellina credo una sorta di strumento di servizio (vedi link del materiale in cartella) che ho pensato di fornirvi, quindi non starei a riprendere tutte le questioni, ma sicuramente quel tipo di tabella, quel tipo di grafico ha sicuramente un pregio, per esempio quello di dare una serie storica sufficiente a capire qualcosa e qui riprendo una delle classiche questioni che capita di leggere nelle informazioni e cioè quella di dare un dato rispetto all'andamento dell'anno prima, o rispetto al dato precedente, senza usare il buon senso che un dato ha senso su almeno tre numeri, cioè una serie storica si basa su almeno tre valori perché se tu hai il dato dell'anno precedente e non hai quello di prima non sai se davvero un fenomeno sta salendo o abbassandosi come quei due numeri dicono. Solo a partire da tre dati tu vedi una dinamica, mentre se notate spesso l'informazione è la comparazione fra due numeri, qui abbiamo una serie lunga dove si può vedere effettivamente qualcosa, abbiamo una chiave interpretativa, abbiamo un buco che Sinibaldi osservava rispetto evidentemente alla questione.

Circa la lettura di quel grafico un altro dei suggerimenti che mi è capitato di scrivere e credo faccia parte del buon senso è chiedersi che cosa sta dietro le definizioni, qui credo si ragioni in termini di denunce di reato. Allora le denuncie di reato sono un sottoinsieme o un insieme particolare della realtà, lavorare sulle denuncie come capita di fare nel giornalismo è un lavoro delicato perché se tu lavori per esempio sulle denunce dei bambini scomparsi tu hai un dato in Italia mostruoso sono 3000 all'anno, 24 ore dopo l'80% dei bambini sono ritrovati, il genitore da l'allarme e per fortuna i bambini si ritrovano a distanza di un giorno, ma ovviamente esce il numero di 3000 bambini e non esce quello del giorno dopo, quindi la denuncia fotografa un fenomeno assolutamente ingigantito, il contrario succede invece per le violenze che sono spesso non denunciate, reati che spesso non affiorano perché quello che avviene in famiglia raramente affiora come dato pubblico e quindi come dato statistico su cui fare dei raffronti. Ragionare sulle denunce vuol dire ragionare su una particolare soglia di realtà che ha dietro evidentemente dinamiche su cui varrebbe la pena intendersi.

Quale è il fenomeno di cui quella denuncia parla?

La questione diventa ovviamente anche ragionare sulle definizioni e in generale (e qui ci stiamo più o meno avvicinando al problema) mi sembra che tutte le volte che si psicologizza molto la realtà si ragiona sulle percezioni, non c'è più il caldo o il freddo, c'è la percezione di caldo o freddo, non c'è la povertà c'è la percezione di povertà, questa cosa fa esplodere letteralmente i valori, perché nelle percezioni, tutti ci sentiamo più poveri anche se magari non lo siamo, perché abbiamo timore di sentirci poveri, perché siamo allarmati dalle notizie che arrivano e quindi questa cosa fa sì che non sia misurato come nel dato di povertà un livello di reddito, ma in quanto tu ti senti minacciato dal fatto che forse il tuo livello di reddito non sarà più alla soglia critica. Lo stesso vale insisto per i bambini, perché mi è capitato di fare un lavoro molto minuzioso sull'immagine dei bambini sulla stampa esaminando alcuni di migliaia di articoli per l'Istituto degli Innocenti per poi restituire questo quadro ad una Commissione parlamentare, ecco sui bambini si dice tutto e il contrario di tutto ovviamente se uno guarda l'immagine dell'infanzia sulla stampa sembra che i bambini italiani sono obesi, depressi, malati, in un percentuale davvero da terzo mondo, cosa che non è. Anche perché, come si fa ad avere una diagnosi psicologica su una popolazione? Siete stati mai sottoposti ad uno screening di tipo psichiatrico da qualcuno? Quel numero lì - immaginate sui bambini - è un numero evidentemente abbastanza fantastico e allora tutte le volte che si ragiona su denunce anziché dato di realtà e diagnosi è ovvio che bisogna essere molto prudenti, a maggior ragione se la fonte ha un particolare interesse verso una direzione del dato. Mi pare sia stato Berlusconi che ha detto ad un certo punto (non so in che momento della sua stagione politica, non questa ma quella precedente) "diminuiti del 40% gli sbarchi clandestini" pensiero comune e commento comune dei giornali "si sta risolvendo il problema dell'immigrazione clandestina" il problema è che la maggior parte degli immigrati entravano via terra.

Ora è chiaro che bisogna stare attenti a questo tipo di meccanismi per cui io uso un indicatore che implicitamente racconta un fenomeno, tutti noi crediamo che stiamo parlando di quel fenomeno, quell'indicatore invece è assai più circoscritto a qualcosa che è delimitato, il fenomeno va da un'altra parte, l'immigrazione via terra aumentava, l'immigrazione irregolare aumentava, ma tutti a festeggiare quel dato. Il dato come tu dici schiacciante in una cultura come la nostra con così poco sapere scientifico, in modo strumentale veniva messo lì, spesso utilizzato nei titoli o in generale nell'informazione come una sorta 'ti metto lì nell'angolo' e contro questo il gioco delle opinioni a cui abitualmente sei abituato non vale più perché il numero è sopra, è una sorta di super partes.
Il numero non è mai super partes, il numero intanto dice quello che gli fai dire tu, qualunque statistico lo sa, lo stesso numero a volte è commentato in modo diverso, poi un indicatore deve sempre avere un denominatore e i denominatori sono i grandi assenti dell'informazione, quando succede qualcosa rispetto a cosa? Se c'è un dato rispetto a quanti? E questa cosa dimensiona la gravità, la novità del fenomeno. Sono cose che nel documento vengono trattate punto per punto e servono credo a centrare un pochino di più e a difenderci dall'uso strumentale dei dati.

Marino Sinibaldi

Stefano citava il dato dei 3000 bambini scomparsi che ha colpito anche me perché è un dato che riemerge continuamente, l'ultima volta una ventina di giorni fa credo ad un certo punto a tarda mattinata arriva questa agenzia che diceva appunto che c'erano 3000 bambini scomparsi e a me sembrava una cifra pazzesca, sono 10 bambini al giorno e tra l'altro non si capisce perché allora ci siamo fissati con Angela Celentano e Denise Pipitone. Poi mi ricordo, vado a fare una riunione di redazione e tutti erano in fibrillazione con questi 3000 bambini scomparsi e io a dire che non potevano scomparire 3000 bambini. Il giorno dopo però anche se la cosa si prestava benissimo ad una delle solite operazioni giornalistiche, in realtà credo i miei colleghi si siano spaventati nel senso che non è poi uscita,  se non la ricordate voi avendo letto i giornali, mi pare che non sia uscita. Esiste evidentemente una specie di anticorpo di prudenza. Esiste questa forma strana. Perché a volte allora, dati del genere, non sollevano questa resistenza?

Stefano Laffi

Quello dei bambini scomparsi è quasi un caso studio, lì dietro c'è una fonte chiaramente interessata a drammatizzare ad usare il dato A anziché quello B. Il dato A è quello delle denunce il dato B è il dato depurato dei ritrovamenti, il dato B non so neanche quanto sia precisamente ricostruito, quanto poi si riesca a depennare tutti i bambini ritrovati per avere il numero di quanti sono ancora scomparsi. Certo è che ci sono molte fonti evidentemente interessate a gonfiare e lì è molto semplice orientarsi, nel momento in cui hai un numero come minimo ti chiedi "che rapporto ha la fonte con la dinamica di quel numero, c'è un interesse a che quel numero vada in una direzione piuttosto che in un'altra per la fonte?
È chiaro che un governo e l'opposizione avranno interessi diversi dal punto di vista delle dinamiche dei fenomeni, così come Telefono Azzurro avrà un certo interesse rispetto a questa cosa, ma anche l'esperto avrà l'interesse a porre al centro della questione il suo tema perché le carriere universitarie, le vendite dei libri dipendono da quanta attenzione si trova.
Nel caso dei bambini scomparsi secondo me c'è un di più di gravità che è legato al fatto che succederà che sempre più mamme denunceranno bambini scomparsi, un circuito vizioso per cui se tu credi che scompaiono tanti bambini, allora a quel punto anche il tuo è scomparso se tre ore dopo non è tornato e quindi si crea un meccanismo in qualche modo perverso per cui di fatto l'informazione genera una situazione di allarme esattamente nella persona che finisce dentro l'informazione.

L'esperto-dipendenza…

In questo rapporto scritto un anno fa mi pare, sull'immagine dell'infanzia nella stampa, un altro dei fenomeni perversi è il rapporto legato alle rubriche con l'esperto, dove di fatto la mamma scrive all'esperto chiedendo diagnosi sul proprio figlio e l'esperto risponde, uno psicologo che non ha mai visto quel bambino, non sa chi è, ha dieci righe di una mamma e quello gli da una risposta.
Ci sono effettivamente dei meccanismi perversi, per cui di fatto questo dell'esperto-dipendenza è andato molto forte, lavorando sui dati di tutte le notizie in cui compaiono i bambini nelle principali testate di quotidiani, settimanali e così via si nota molto (ne abbiamo sfogliate circa 10 mila di notizie in un anno) e questo fa parte dei meccanismi perversi rispetto alla costruzione della notizia, si mettono a confronto i giornalisti che scrivono, con gli esperti consultati e la ricorrenza del nome del giornalista è bassissima, il che vuol dire che ruota continuamente chi se ne deve occupare, mentre la permanenza dell'esperto è altissima, vuol dire che in pratica, persone diverse sentono sempre lo stesso. Immagino effettivamente redazioni dove esce una notizia sui bambini e siccome non è un tema evidentemente al centro di particolare attenzione e di nessuno specialismo questo è il risultato: chiunque se ne deve occupare partendo da zero e con quei tempi e qui torna la questione dei tempi.

Con i tempi molto rapidi di lavoro redazionale devi evidentemente arrivare a bomba, lì immagino forse lavori Google e nella prima serie di dieci risultati, il primo nome che ti compare lo prendi, lo centri, e per questo meccanismo perverso che si auto alimenta, compare sempre di più lo stesso, quindi abbiamo lo psicologo degli adolescenti, l'esperto d'infanzia, come se ci fossero solo loro in Italia (sono migliaia quelli che si occupano di tante cose) e c'è questa particolare convergenza di tantissimi che scrivono, ciascuno una volta nella propria vita intervistando sempre la stessa persona. Ancora una volta devo dire che l'esperto - e qui ci sta tutto evidentemente il narcisismo dell'esperto - non declina mai ed è sempre lì a giocare la propria parte in questo meccanismo di continua risonanza. Fra l'altro cosa succede, che è come se sentissimo la stessa fonte da tanti giornali diversi e quindi c'è un meccanismo di rifrazione per cui in realtà non è che abbiamo tante notizie a partire magari da un numero ma abbiamo la stessa voce che è spalmata su tante testate e questa cosa credo faccia parte dei meccanismi che non consentono una pluralità informativa.

Marino Sinibaldi

Per quanto riguarda l'effetto rimbalzo e circolo vizioso possiamo chiudere la riflessionesu questo dato dei bambini dicendo che poi è uscita un'inchiesta sulle paure dei bambini in cui la principale paura è effettivamente quella di essere rapiti. Dopodiché naturalmente chiunque va leggere Stevenson o Ammaniti anche se non si è stati bambini, si sa che la paura di essere rapiti è una paura fondamentale del tutto irreale rispetto ai dati reali, ma del tutto reale rispetto a questi dati simbolici, ora non voglio fare lo psicologo ma c'è questo nodo.
Chiudendo questa piccola esperienza non ho fatto altre che esercitare inconsapevolmente il punto 15 del manuale che trovate nel materiale in cartella distribuito per l'intervento di Laffi, che è quella del "buon senso" che significa stare lì e ogni volta interrogasi se ha senso. Capisco che il buon senso è il meno scientifico, il meno numerico dei sentimenti, però, visto che ce lo propone Laffi che è un esperto di numeri, possiamo assumerlo come un criterio scientifico.

Stefano Laffi

I numeri fra l'altro ci vuole un sacco di tempo per produrli. Ci sono quelli che esplodono o che hanno come dire uno strano timing legato al fatto che non so ogni anno si propone un convegno.
Ad esempio la Società italiana di pediatria fa ogni anno il proprio convegno, guardateli quei numeri, non è possibile. Sappiamo benissimo che gli ordini professionali e tutti quelli che producono convegni hanno imparato questa cosa a produrre sondaggi in funzione del lancio di una iniziativa, proprio perché questo è l'esca data al giornalista che esattamente di quella si ciba.
Viene sparato un numero, questo numero viene dato in mano al giornalista, fra l'altro essendo l'ordine professionale, ci sono gli 'espertoni' riuniti a parlare, quindi il giornalista ha le spalle coperte e magari costretto ad improvvisarsi su quel tema cade nella trappola che l'ordine come dire diabolicamente ha preparato. Questa imboscata dove c'è il sondaggio è a garanzia che il giorno dopo sul giornale verrà lanciato il convegno, a partire da quel dato sparato da un sondaggio commissionato. Questo è l'ingranaggio infernale.

L'incubo degli statisti: la categoria 'Altro'

Io non farei mai una notizia a partire da un sondaggio, perché il sondaggio mira molto a un obiettivo, ed è sostanzialmente chiuso, un sondaggio ha una batteria di domande chiuse dove le risposte sono predefinite, c'è un intervistatore e un intervistato. L'intervistatore farà non so quanti sondaggi, quante somministrazioni telefoniche, di quella roba lì o di un'altra non gliene può fregare di meno ha un solo obiettivo, tirare a fine giornata più interviste possibili. È una conversazione fra due che non c'entrano nulla su quel tema, una è chiamata lì ed ha una cuffia e deve andare avanti, l'altro è pescato a caso e secondo me per un meccanismo che sta avvenendo nella popolazione legato in qualche modo all'opinionismo si sente sempre in dovere di rispondere o in diritto di rispondere, non esiste il "non so", non esiste questa roba qui.
Una conversazione così diventa la base numerica fra l'altro con risposte chiuse, perché il terrore di un sondaggio è aprire, il terrore di un sondaggio è il dialogo, se parte una roba per cui uno risponde una cosa diversa rispetto alle tre opzioni previste...non ci siamo, la telefonista impazzisce dice "no, non ce l'ho" Ha la categoria 'Altro' ma la categoria 'Altro' è l'incubo degli statisti perché è tutta da riclassificare, la riclassificazione delle risposte è uno sforzo enorme perché bisogna leggersele tutte, dividerle in poche tipologie, prendere in mano tutte le interviste fatte.
Io quando mi trovo a rielaborare i dati dico "per favore no, non l'Altro'' quindi hai due o tre opzioni di un dialogo irreale e surreale fra una che non ne ha voglia, un'altra che si sente in dovere di, e un altro che lo ha commissionato e questo in un luogo orrendo perché non so se avete mai visto i luoghi dove avvengono le interviste telefoniche, sono abbastanza tremendi.
Poi ovviamente viene fuori il dato e qualcuno titolato a commentarlo cerca evidentemente di togliere questo ingombrante backstage e a quel punto siamo a "Porta a Porta" sulla terza pagina del Corriere della Sera a quel punto la scena è tornata pulita, inquadrata, non si vede cosa è avvenuto prima e siamo di fronte al numero nella sua eleganza formale, di un equilibrio di voci apparentemente fra persone coscienti. C'è un libro divertente di Robert Fisk che dice appunto "il sondaggio dice quello che la gente pensa quando non pensa" perché è oggettivo non hai tempo di pensare, quindi è una conversazione fra due persone che non hanno avuto modo di dire "senti, fammi capire" e ovviamente chi risponde non può uscire dalla griglia.

Io ho un po' estremizzato ci sono un po' di stratagemmi di tipo statistico per aprire leggermente, però la scatola è chiusa, lo sappiamo che la scatola è chiusa e poi teniamo conto anche quando il meccanismo del campione non è casuale, ci sono delle persone in Italia che hanno a casa un computer e sono sottoposti mensilmente a batterie di inchiesta su qualunque cosa, saponette, partito politico, orologi, editoria… E mensilmente rispondono perché in cambio di questo sono retribuiti col computer a casa o qualcos'altro, quindi la variante è questa, è uno leggermente più abituato a rispondere ma non è che ne sia consapevole, anche in quel caso ha un solo obiettivo, di smaltire al più presto possibile questa intervista perché così si gode le sue merci.

Marino Sinibaldi

Ora tutto questo avviene in un'epoca in cui ciascuno di noi ha accesso ad una infinità di dati, banche dati, possibilità di dati molto maggiore che in passato è la cosa che tu chiami dei dati cross-section o longitudinali esattamente una strategia di difesa dall'assolutezza, dalla indiscutibilità della cifra singola. Parliamo degli strumenti di difesa.

Stefano Laffi

In termini di strategia di difesa

Intanto le fonti non sono tutte uguali, io credo ci sia una gerarchia rispetto alle fonti, rispetto alle voci, non facilmente praticabile ma una gerarchia di buon senso che uno può tenere nel suo orizzonte mentale. Sulle fonti scritte, allora prima ci sono le fonti istituzionali, non ci son santi, l'Istat, le fonti come dire ministeriali hanno un di più onestamente di possibilità anche materiali e continuità di lavoro, quindi tendenzialmente io guarderei prima quelle, in seconda battuta i dati di ricerca, ma starei attento a fare una operazione che ogni tanto si fa che è rischiosissima dal punto di vista scientifico cioè l'analogia: 30 casi in Australia non dicono niente dell'Italia, è inutile che esce la ricerca di tipo psico-sociale di un certo posto e improvvisamente viene assorbita nel contesto italiano e diventa la chiave per capire i ragazzi oggi. Ma dove? Ma perché? Semplicemente perché fa gioco la stranezza, da questo punto di vista è anche molto casuale, un tipo di notizie che improvvisamente ti affiorano un po' stile Focus , da scienza pret a porter.
E poi in terza battuta i sondaggi per questa asciuttezza (per essere un pochino buoni) di scambio fra umani ridotti al minimo denominatore cioè praticamente al dialogo da casello autostradale, quel tipo di conversazione la terrei un po' sullo sfondo, certo c'è cura e cura nel fare i lavori è vero per esempio che le indagini campionarie e i sondaggi hanno oggi più trasparenza sul processo.
Però banalmente chiedere - e questo mi sembra un meccanismo di autodifesa - "quale era la domanda e come erano le risposte?" perché altrimenti ti viene venduto tutto quello che uno dice. Sulle indagini sul bullismo, se uno chiede a te ragazzo "è mai capitato a te o a qualcuno attorno a te di essere oggetto di una qualche forma di violenza, aggressione, insulto e così via?" Ma chi è che dice di no? Alla fine ci arrivi al bullismo, per forza la apri così la domanda.
Però per esempio e questa è un'altra delle cose che suggerisco e che sto cercando di fare da ricercatore, chiedete anche con quale frequenza avvengono comportamenti di tipo cooperativo fra i ragazzi, con quale frequenza avvengono come dire, forme di solidarietà di scambio di aiuto, perché sono fortissime e credo sono enormemente di più dei famosi episodi di bullismo.
È chiaro che se tu vai alla caccia del bullismo…

Altra cosa che mi è capitata, un'amministrazione locale mi dice
 "Stefano facciamo una bella ricerca sulle nuove tecnologie e le chiamiamo le nuove dipendenze" , sono già diventate le nuove dipendenze? Quasi sempre la regola è fai un passo indietro, sei già troppo in là.
Il problema anche di Google e dei motori di ricerca è che tu ci devi mettere una parola, una sola, ma quando hai messo quella parola ne hai scartate altre, non solo diciamo la verità di Google si usa solo la prima pagina difficilmente si va oltre e quindi dei famosi cinquemila, centomila reperti, in realtà ne usi dieci e tutta la lotta è stare in quella prima pagina. Qualcuno ha detto della famosa home page di Google che è il luogo pubblico con il maggior valore commerciale meno sfruttato al mondo, cioè la grande forza di Google, la potenza di quei due ragazzini ricchi e famosi è quella di aver detto 'no io la lascio così bianca', qualunque spazio lì dentro varrebbe l'ira di Dio, invece viene lasciata bianca.

La questione dei dati cross-section e longitudinali

È una questione tecnica che però credo si possa spiegare. La maggior parte dei sondaggi e in generale del monitoraggio in cui si dice quest'anno rispetto all'anno scorso - che sia la povertà o cosa pensano gli italiani del governo - è fatto in modo tale da prendere ogni volta un campione di noi, il problema è che il campione è sempre diverso perché quando fai le indagini campionarie parti da delle liste ed estrai a caso dei nomi, devono essere maschi, femmine, stratificati per età, per essere il famoso campione rappresentativo, il problema è che i soggetti sono sempre diversi e allora quando si dice che gli italiani pensano una cosa diversa rispetto all'anno prima, o che sono diventati più poveri o più ricchi, in realtà è una finzione statistica perché i dati sono tecnicamente si dice cross-section stiamo parlando con persone diverse, magari quella persona la pensava allo stesso modo o in modo diverso noi non lo sappiamo, la comparazione è fra soggetti diversi, solo che sono sempre mille italiani presi in modo tale da raccontare il dato di popolazione.

Perché è importante questa cosa qui, cioè quale è il riflesso? L'esempio che faccio: in Italia la povertà è sempre dell'11-12% da un po' di anni a questa parte, i governi provano a strattonare questa cosa ma resta li, ora è molto diverso se siamo di fronte a un dato in cui quell'11-12% sono sempre gli stessi e allora la povertà è cronica, riguarda sempre gli stessi o è qualcosa che attraversa una quota di popolazione pari al 12% ma composta da soggetti diversi, per cui è un passaggio nella vita di molte persone, che di anno in anno corrisponde al 12% di tutti ma quel 12% una volta sono più giovani, una volta sono più anziani, un'altra sono più donne, un'altra volta sono più uomini, allora attenzione vogliono dire due cose diverse. I dati che poi sono andati a verificare questa cosa (e come la si verifica con dei panel longitudinali, cioè reintervistando gli stessi, se tu reintervisti gli stessi capisci se per quel 12% stiamo parlando sempre degli stessi o di popolazioni diverse) hanno visto che l'esperienza di povertà è un transito molto comune, quindi noi diciamo che il 12% di italiani sono poveri ma in realtà per esempio la prova la metà della popolazione quella condizione, solo che la prova per un anno e poi ne esce, o la prova per due anni e poi ne esce. Allora poter ragionare, è la grande qualità dei dati.

 

Se uno avesse dati longitudinali (il dato longitudinale per eccellenza è il panel auditel,sempre gli stessi che raccontano cosa vedono) potrebbe dire cose molto diverse sul cambiamento in Italia, noi invece usiamo delle frazioni che sono via via differenziate quindi qualche problema c'è nel dire che gli italiani la pensano in modo diverso o allo stesso modo di anno in anno. E poi un'altra cosa che vale la pena dire da queste note è sulla questione di come misurare i cambiamenti, ci sono alcune considerazioni di tipo tecnico ma le lascerei perdere, a volte cambiano i numeri, a volte cambiano le persone che stanno dietro quei numeri perché cambiano le definizioni, secondo me una delle inchieste più belle che si potrebbe fare è capire di volta in volta chi viene etichettato come 'povero', come 'emarginato', come 'disagiato' e così via, non soltanto dire oggi ci sono più ragazzi disagiati ma capire quello stesso soggetto come nel tempo naviga fra definizioni diverse, un po' quello che fece Foucault sostanzialmente, cioè ragionare sui processi di etichettamento, quindi te ne freghi dei numeri, lavori sulle definizioni e attraverso di quelle capisci davvero il mutamento culturale, cioè capisci come una società sceglie di contabilizzare i propri fenomeni.

 

E allora lì è interessante proprio capire i processi definitori perché sulle definizioni evidentemente si gioca tutto. Le definizioni sono una delle grandi trappole che sta dietro ai numeri, è chiaro che quando usi la parola 'disagio' lo decidi tu che c'è dentro è inutile dare retta a quel numero lì.
Come quando dici 800 mila ragazzi italiani sono depressi, ma come fai a dire una cosa così, ma chi è che ha fatto uno screening della popolazione per arrivare a diagnosticare la depressione di 800 mila ragazzi italiani con dei test psichiatrici che sono molto complessi, ci vuole un'ora di DSM IV per far uscire quella diagnosi lì. Allora tutte le volte che hai questi termini molto sfumati la prima domanda è "dimmi come l'hai definito, poi ti seguo sui numeri".

Marino Sinibalidi

Il ricatto del sondaggio

Come avrai capito io non ci credo molto e ne uso pochi. Secondo me una delle cose più significative del dominio del sondaggio sulla realtà non è solo il fatto che noi crediamo ai risultati del sondaggio ma insomma, ora ti sottopongo una cosa come fosse una domanda e vediamo se riesci a spiegarla. Ci sono sei sondaggi tipo "chi vincerà lo scudetto?" a cui si partecipa pagando, perché sono sms a pagamento e tu devi dire vince l'Inter, il Milan ecc. allora c'è sempre un 2-3% che dice 'non so'… Arrivano a pagare, a perdere tempo, stare lì digitare e poi rispondere 'non so'.

Stefano Laffi

L'opinionismo di massa. Io penso che…

È commovente, pagare per dichiarare la propria ignoranza, in realtà sono sempre di meno ma per il meccanismo che vi dicevo diabolico, si è sempre più autorizzati a dire quello che si pensa sempre e senza più filtri. Se ne parlava con Caterina Serra in viaggio oggi e le raccontavo quello che sta succedendo nelle tesi di laurea, le tesi di laurea sono impressionanti, purtroppo ho una finestra sull'Università e assisto progressivamente a tesi di laurea in cui di fatto almeno metà della bibliografia sono siti e non libri, sono fatti da persone che nella biblioteca universitaria non ci hanno mai messo piede, quindi si può ipotizzare che non abbiano mai letto un libro dalla biblioteca ma esclusivamente quei libri di testo forse previsti per esame, hanno una pagina iniziale di ringraziamenti incredibile che si è ingigantita nel tempo, le dediche sistematicamente alla propria madre. Io mi ricordavo non so la dedica alle figure alte, invece sistematicamente alla propria madre, giuro di aver visto tesi che ringraziavano Dio…

 

Ma la cosa paradossale, un po' strana, un po' forte - ed è veramente un dato che tu vedi progressivamente nelle tesi di laurea - è il fatto che sono sempre più ricche di affermazioni di "io penso che". La tesi che era stata in passato, nella mia esperienza e per molte altre una cosa quasi all'opposto perversa, dove le note a piè di pagina erano tante ed era l'omaggio che tu dovevi fare agli autori e l'"io penso" era abolito e c'era esclusivamente l'omaggio alla letteratura con tutta la strozzatura che comportava, era proprio la fotografia di come ci rapportavamo al sapere in quel momento li, c'era un assoluto omaggio evidentemente agli autori e il fatto che prima dovevi dimostrare di aver letto, guai se ti attribuivi un'opinione che era stata espressa da qualcuno prima di te, più in alto di te e così via e forse nelle conclusioni uscivi fuori accennando a qualcosa.
Adesso è completamente saltato questo meccanismo di rapporto con la fonte, queste note a piè di pagina che onestamente erano anche pallosissime (era una roba tremenda leggere questi testi a metà dove non capivi se dovevi leggere sopra o sotto) è proprio saltato il rapporto con la fonte per cui non c'è più un riferimento a un autore ma sempre più c'è l''io penso' ma un 'io penso' che ogni tanto è, diciamo con eufemismo, fuori misura, nel senso che è su tutto e su tutti.

 

Ed ho la netta sensazione che sia una sorta di opinionismo di massa vagamente indotto dalla televisione e in generale forse dalla sondaggistica, per cui come minimo devi dire "io penso" su qualunque tema, che sia di geopolitica quindi cose complicatissime o di letteratura, c'è proprio questa cosa, molto forte, molto particolare, dello spostamento che è avvenuto dell'ego centralità anche rispetto alle opinioni è un 'io penso' che va da solo intendiamoci, un 'io penso' come molta della scrittura dei ragazzi oggi, senza particolare struttura argomentativa, dove di fatto manca anche il perché la pensi così.

Dibattito

Laura Cannavò

Lavoro al Tg5, uno dei principali imputati su quella ricerca di cui si parlava prima e mi interessa molto una certa specie di numeri, quelli dell'auditel. Volevo fare una domanda proprio su questi numeri, che mi sembrano particolarmente pesanti, sui quali conosciamo poco ma che influiscono moltissimo su moltissime cose, tra cui anche l'informazione perché nell'informazione soprattutto quella commerciale e privata l'auditel ha un peso enorme nella scelta, nella classificazione, nell'impaginazione delle notizie e di tutto quanto. Quindi volevo chiedere questo panel auditel come viene formato? Viene a senso dire per vendere pubblicità agli inserzionisti. Quindi è un panel che viene colpito soprattutto da messaggi di tipo emotivo, che cresce o diminuisce a seconda di questo tipo di stimoli. E allora perché viene utilizzato per misurare una materia diversa, come per esempio l'informazione, che deve rispondere a questo tipo di criteri emotivi? Non sarà che quel tipo di crescita di notizie choc, che possono essere quelle sulla sicurezza, sui reati, sul sangue o su altre cose particolarmente scioccanti, seguano questo tipo di criterio? Non solo per la criminalità ma anche per le notizie di tipo economico, non è che vengono appunto presentate in maniera scioccante perché devono rispondere a questo tipo di criterio, che è un criterio auditel quindi formato secondo determinati punti di vista che non sono quelli dell'approfondimento?
Qui si parla molto del tempo dell'approfondire le notizie, il problema in un prodotto commerciale e di informazione è colpire, catturare, far crescere quei numeri dei quali non sappiamo nulla, cioè non sappiamo come vengono formati e come vengono poi utilizzati. Ecco, volevo sapere se c'è un modo per riuscire a capire di più questo criterio e se l'emotività conta e quanto in questo tipo di panel.

Stefano Laffi

In realtà non ne so molto. Ho lavorato per un po' alla Rai, al Centro ricerche della Rai mi ricordo che i dati auditel avevano effettivamente un'importanza decisiva, mi ricordo che la mattina in redazione la cosa più importante era l'auditel minuto per minuto, mi ricordo questi grafici molto precisi dove c'era tutto quello che avveniva in ogni programma e minuto per minuto chi usciva da un programma e come si muoveva, quindi sicuramente dentro le aziende come la sua e come la Rai l'auditel ha la forza di una religione, su questo non c'è dubbio. Come è costruito? Intanto è un panel, è un gruppo di persone che credo devono mantenere un segreto assoluto sul fatto di essere un panel auditel, mi ricordo solo una volta sull'Unità ci fu l'outing di una famiglia auditel che raccontò la propria vicenda. Ora dovrebbe essere stato appena ricostruito, forse da più di un anno, è stato ricomposto per essere più rappresentativo della popolazione italiana, in teoria la sua conformazione campionaria, cioè i componenti che ne fanno parte dovrebbero rappresentare gli italiani, quindi è fatto in modo tale che quei quattromila, cinquemila (non ricordo quanti sono) raccontino esattamente come si muove l'attenzione degli italiani rispetto alla televisione. 

La questione dell'emotività in realtà non credo c'entri con il panel auditel è un po' un'altra la faccenda, c'entra con lo strano rapporto che si è creato fra informazione e lettore dove un crescendo emotivo è stato il meccanismo di scambio, fra il giornalista e forse la saturazione informativa da parte del lettore che ad un certo punto come unica cosa rimasta aveva la possibilità di entrare dentro continue tragedie, continue dinamiche molto forti che alimentavano un'attenzione forse in un mondo altrimenti molto confuso. Onestamente non credo che c'entri l'auditel, l'auditel semplicemente fotografa il fatto che c'è è un'attenzione sempre più sollecitata da meccanismi di allarme, lavoro fatto anche sulla stampa, di fatto non c'entra l'auditel, c'entrano semplicemente i dati diffusione. Noi avevamo registrato esattamente la stessa dinamica, una dinamica che passa per più canali, in parte c'è l'allarme e quindi l'enfasi sul dato drammatico, quindi l'idea di stare alla caccia di tutto ciò che può creare paura, in parte però ci sono anche altri meccanismi, un pochino più sottili. Una cosa che a me fa arrabbiare è quella di metterti in una sorta di familiarità assoluta con i personaggi, questa cosa qui che si usa molto sull'informazione televisiva ma sicuramente anche sulla carta stampata, si usano nomi, nomignoli facendoteli avvicinare finché i personaggi diventano i tuoi figli ma il piccolo Tommy non è tuo figlio...
Ecco credo che i meccanismi di empatia e il  tentativo di aggancio empatico con il lettore o con il telespettatore siano tanti, uno è l'allarme e l'altro sono anche questi di tipo affettivo, di adozione collettiva di un caso che ti racconto giorno per giorno. Mi ricordo di aver smontato proprio come caso studio, la vicenda del piccolo Tommy dove di fatto quando non c'era più notizia improvvisamente c'era un giornalista che mandava una sua lettera al piccolo Tommy che non c'era più. Quindi tornava il piccolo Tommy perché altrimenti quel giorno c'era il buco e non riuscivi a tenere la striscia continuativa e l'aggancio del lettore emotivo in quel caso non di allarme, ma apparentemente di una intimità assoluta, che per me non ci poteva stare e non era neanche onesto.

Daniela De Robert

Alcune considerazioni, si parlava di subalternità ai numeri io vedo anche un'altra cosa cioè l'uso dei numeri al di là dei numeri. Faccio degli esempi, subito dopo l'indulto,  titolo del Tg2  "la maggior parte degli indultati esce, il 4%" ricordo un comunicato del sottosegretario Manconi che disse "da quando il 4% è maggioranza?". 
Credo sia stato uno dei pochi che si è posto la domanda, ricordo una cosa molto più antica ancora in tema di carcere un riquadro di Repubblica dopo un caso di rapina durante un permesso su un numero di permessi durante i quali si commettevano reati, il numero era 0,1% il titolo "Permessi di evadere". Allora  si fanno i titoli usando i numeri al di là dei numeri per cui c'è anche un meccanismo curioso, dove non è solo "3000 bambini scompaiono ogni giorno" ma il 4% diventa la maggioranza. Questo è un meccanismo curioso, perverso, ma che si continua ad usare e che funziona, ho questa impressione. 

Si parlava di sondaggi, sondaggi a pagamento, ci sono delle cose che mi rifiuto di chiamare sondaggio sul quale abbiamo fatto una piccola battaglia sempre al Tg2 che sono anche i sondaggi che fanno i web. "Cosa pensate delle impronte digitali? Gli italiani pensano che...", noi abbiamo detto che non sono gli italiani, forse è il pubblico del Tg2, ma non è il pubblico del Tg2, è il pubblico che quel giorno guardava l'edizione del Tg2, ma non è neanche questo, sono quelli tra il pubblico che guardava quella edizione che hanno deciso di rispondere. Quanto vale questa informazione? Che cosa è? Un sondaggio, un numero che ha un senso oppure no?
Un'altra cosa che mi colpisce molto è cosa sta dietro le definizioni, l'altro giorno cercavo delle immagini su giovani immigrati per un servizio televisivo, sono andata sulle teche Rai, ricchissime, ho digitato "giovani e immigrati" con stupore ho visto 375 servizi, dico "che bello" ho cominciato a guardare ed erano solo casi di cronaca nera  "arrestato giovane immigrato", "giovane immigrato picchia", "giovane immigrato investe, uccide".
La Rai ogni anno fa un bellissimo rapporto su quanto si occupa di sociale tirando fuori esattamente queste cifre: quando si occupa dei bambini? Tantissimo. In realtà ci sono 47 interviste ad Ernesto Caffo (forse però non è occuparsi di bambini) 12 servizi sull'associazione che si occupa di…
Allora, le definizioni credo siano fondamentali e poi c'è una cosa che io ancora non ho capito bene ma che mi interessa molto, io fatico coi numeri, chiedo scusa, ma perché servono sempre tre numeri per fare un confronto? È importante ma non l'ho capito.

Stefano Laffi

La storia dei tre numeri

Almeno tre numeri ti consentono di capire se sei di fronte a una tendenza di crescita a un fenomeno che oscilla e fare un pochino di pulizia. Se allunghi la serie capisci - come si vede meglio nel grafico di cui parlava prima Marino - esattamente una dinamica più complessa, le serie storiche devono essere almeno di tre numeri, in genere lo sono di cinque o di dieci, però avere più numeri è più complesso, per non prendere cantonate almeno tre, lo dico come informazione generale.

I sondaggi sul web intanto credo abbiano un problema tecnico, non c'è un minino di selezione campionaria, quindi non dicono 'gli italiani' neanche 'gli utenti internet' neanche 'gli spettatori del Tg2' dicono "quelli che erano lì in quel momento" magari si può ragionare su chi in quelle fasce orarie usa quel sito, ma appunto non è un sondaggio, poi rispetto ai sondaggi e a quella situazione un po' triste che vi dicevo del sondaggio telefonico o via computer, sono ancora più secchi più asciutti, la realtà di lì non passa. Diciamoci la verità, la complessità del mondo sta salendo da un punto di vista della fatica a tenere insieme gli elementi per capire, esprimermi ed avere una opinione, se mi semplificano ulteriormente gli strumenti per dichiarare cosa penso è chiaro che quell'imbuto lì è troppo stretto, non ci sto dentro in tre opzioni (quando sono tre in genere la risposta è secca). C'è proprio uno schiacciamento col problema di tutti i sondaggi che ti lasciano sempre orfani perché tu sai che la gente si è schierata di qua e di là e non sai mai il perché, manca la domanda del perché, manca lo spessore. La persona che entra in scena e dichiara qualcosa è negato dallo strumento che semplicemente ti mette o di qua o di là e non ti fa dire nulla sul perché stai qui. E quindi il meccanismo lo interpretiamo come vogliamo, avendo tolto la voce a chi si è dovuto schierare o ha scelto di schierarsi di qua e di là, noi giornalisti, noi esperti e così via ci andiamo sopra... C'è da dire una cosa, a volte sono le fonti carenti, per esempio una cosa che manca completamente in Italia - e anche questo a me come ricercatore lascia orfano - sono i cosiddetti follow-up cioè l'andare a vedere dopo come sono andate le cose. Fai l'indulto? Vediamo un anno dopo che cosa è successo. Fai una cosa? Vediamo se ha funzionato. Lanci una nuova iniziativa, vediamo se ha funzionato. In questo l'Università, l'Accademia e i ricercatori sono molto pigri, forse i giornalisti riescono a fare questo mestiere più dell'Accademia che è lenta, elefantiaca a muoversi. Occorre avere la capacità e la lucidità di capire dove ha senso andare a cogliere i dati di valore. Il follow-up cioè il tornare sui luoghi è, secondo me, fondamentale. Oggi siamo orfani di questo sapere.

Enrico Artesi

Sono della ADN Kronos Salute, giornalista medico scientifico l'unico della redazione, il che fa capire molte cose. Io non voglio parlare male della redazione ma del perché si tende a dire che l'italiano è un popolo di depressi, 900 mila bambini depressi, oppure che tutti i bambini sono obesi.
Ti chiama l'associazione, la federazione ti invita e ti passa una notizia, essendo un'agenzia la si rigira direttamente e qui torniamo alla fretta, al tempo di corsa e a tutto il resto.
Io come telegiornale riesco ad andare anche un po' oltre perché ho quel piccolo tempo in più, ho la possibilità di sentirmi lo specialista magari più di uno. Però capita poco, a men che non facciamo gli speciali e allora è diversa ancora la situazione. Tutto questo pure nel lavoro che svolgo come giornalista medico scientifico, rimane il discorso del buon senso parlando a proposito di dati.

Quando ho iniziato io a fare questo lavoro - parlo del 1995 - un professore mi diede dei dati che mi sembravano assurdi completamente, una cosa fuori dal mondo, gli dissi "ma facciamo bene a dare questi numeri, serve, stiamo dicendo la cosa che siamo tutti malati, una catastrofe.." lui mi rispose che bisognava sparare alto per colpire in maniera da incidere sulla tendenza di quel fenomeno. Cioè se tu dici che i bambini sono obesi, ci cominciano a stare attenti, le mamme cominciano a stare attente, cominciano a portare i figli dagli specialisti o stanno più attente col medico, cominciano a farli mangiare diversamente, forse. Volevo sapere voi che ne pensavate su una risposta del genere.

Una parte di verità, di giustezza io l'ho trovata quando nella mia pratica quotidiana ho fatto la mia valutazione di buon senso nel valutare le cose che faccio e la prima domanda in assoluto che mi viene - che non è una domanda ma un dato di fatto - è che le cose che ci arrivano e le notizie come vengono fornite sono quelle che ci danno da mangiare, per cui dobbiamo trovare il modo di darle il meglio possibile, ma ci danno da mangiare per cui è il lavoro che facciamo.
Lavorare per l'ADN Kronos prevede che io debba fare delle cose in un certo modo e devo farlo nel modo che piace all'editore. A proposito delle possibilità, delle scappatoie che mi sono trovato da solo e che proponevo anche agli altri la seconda cosa che mi chiedo è "fa del male e se non fa del male quanto fa del bene?" Al che scelgo come e se trattarla e fino a che punto spingerla o gonfiarla o sgonfiarla, io di solito spendo a sgonfiarle cioè non soltanto a drammatizzare però vedo dall'ambito del discorso che invece si tende di fare l'inverso. Passo insomma per quello poco politico, poco in linea.

Maria Nadotti

Tre domande brevi. Rassicurati dal fatto che il 90% dei 3000 bambini scomparsi ritorna, posso non occuparmi del 10% che non torna? Mi inquieta molto questa cosa. Quindi la domanda è legata a questo, siccome so che i numeri vengono usati e ingranditi proprio per nascondere il fenomeno reale che è magari più piccolo, ma non meno grave, allora...

La seconda è sull"io penso" dei tuoi laureati, neolaureati. C'è un fenomeno strano che sta succedendo su internet, che l"io penso" dei laureati, ma non solo loro, cannibalizza tutto, non sono in cerca di giudizi, sono in cerca di analisi di questa nuova umanità, stiamo cambiando antropologicamente quindi come la interpretiamo questa cosa per cui io non so più che cosa è mio e che cosa è tuo perché spesso mi ritrovo per esempio mangiata da qualcuno che mi fa dire una cosa che non ho neanche mai pensato?

La terza domanda è sul potere magico, assoluto, dei numeri. In tutti noi a partire dai cattolici per esempio (vedi i 10 comandamenti… ecc. ecc.), il numero è potente, lo sapete che nell'editoria non solo italiana, i libri che vendono di più sono in assoluto quelli che hanno un numero nel titolo?
È una cosa sorprendente. Non basta scrivere un libro sul potere ma "48 leggi del potere" vende, "i numeri primi" vende al di là di quello che c'è dentro. Credo che ci sia una ragione e la domanda è proprio sul potere antico, enorme dei numeri, per cui non mi stupisce che i sondaggisti ci diano dentro e che anche tu gli vada dietro in qualche modo per smontarlo perché forse stai facendo un lavoro contro il potere dei numeri.

Stefano Laffi

Il fine giustifica il mezzo, quindi sostanzialmente carichiamo il dato sull'obesità perché questo cambi i comportamenti delle famiglie e quindi magari induce a... 
A parte che un conto è dare enfasi ad un dato vero o in qualche modo abbassare la soglia di guardia rispetto a un dato che non si capisce se è vero o non è vero, la prima soglia morale che mi darei - io quando faccio il ricercatore devo utilizzarlo come fonte - è "ma questo è un dato vero molto drammatico o è un dato drammatico e forse non è neanche tanto vero, ma potrebbe essere interessante? La seconda cosa è "che comportamento induce un allarme, induce davvero un comportamento correttivo?" Bisognerebbe ragionare se la sequenza che avviene per la lettura della notizia originata da quello, è di panico, correzione di un comportamento o semplicemente paralisi  rispetto a quello che viene detto. Non lo so, io ho qualche dubbio che l'allarme possa essere uno strumento di pedagogia sociale particolarmente utile. Nel caso delle madri, penso che se da padre leggo una cosa sull'obesità e ho i miei figli lì, non è che perché lo leggo sul giornale ci ripenso. Forse sono deformato come ricercatore ma semplicemente dico "ma quand'è che sono obesi?"
So che ci sono delle soglie che lo stabiliscono. Fra l'altro adesso hanno introdotto il soprappeso e questa è una cosa diabolica, il soprappeso è un pochino prima, ma proprio perché è un pochino prima c'è più gente in soprappeso e questo ti consente di dire che sono ancora di più.
Su questa cosa, sulle soglie intermedie, si gioca la possibilità di allargare la platea.

Bisogna stabilire sempre un patto con la fonte

I 3000 bambini e gli altri che invece non tornano indietro sai che fine fanno? Finiscono a "Chi l'ha visto?". Nel senso che c'è una caccia continua ai bambini che non tornano indietro.
Non credo che rischiamo su questa voce in particolare di perdere di vista la realtà, mentre su altre voci legate all'infanzia, il rischio c'è. Per esempio la violenza sull'infanzia è una cosa assolutamente oscurata di cui non si riesce ad avere una dimensione realistica e vera e un'altra cosa che viene fuori da tutte le notizie intorno alla salute dei bambini è come questo dato di salute nel tempo è diventato sempre più un dato di salute dove il fattore patogeno è l'ambiente.
Non sono le malattie è l'ambiente, cioè se tu vai a vedere che cosa ammala i bambini, non è più il particolare virus e così via, ma sono proprio questioni legate all'ambiente e allo stato di vita.
Il che vuol dire che qualcosa questo ci dice: i bambini che stanno male, stanno male perché il luogo in cui vivono è sempre più patogeno. Allora davvero l'informazione torna utile anche sotto una particolare luce un po' drammatica. Questa forse è una notizia.

Avere presente quale è il denominatore

I denominatori scompaiono dall'informazione. 4 su quanto? Su 100 su 1000 o su 10 mila?
È una cosa diversa se vai a commentare quel dato. Una coltellata a Milano una notte, è diversa da una coltellata in un piccolo paese, questo come sfondo rispetto a un dato di criminalità.
Però c'è una cosa che io chiamo il denominatore morale, se cade il tetto di una scuola su un ragazzo uno o prende la via statistica e dice ma era un ragazzo, quanti sono i ragazzi delle superiori che stanno a scuola oggi, tantissimi, ma quello è morto, quindi c'è una intensità dei fenomeni oltre all'estensione, c'è una intensità dei fenomeni che autorizza a un certo punto a mettere da parte la questione del denominatore, cioè dell'X% perché stiamo parlano di uno che è morto, stiamo parlando di una cosa molto grave.

Sul rapporto fra numeri e potere hai ragione, fra l'altro non sapevo il particolare della presenza del numero nel titolo come meccanismo, io ci ho visto molto da statistico, ho visto improvvisamente i giornali riempirsi di numeri, improvvisamente i giornali hanno cominciato a pubblicare tabelle e frequentandole per questioni di ricerca ho detto "ma guarda un po' improvvisamente c'è una sorta di accoglienza rispetto ai dati" però ho capito che entrava in un meccanismo di tipo manipolatorio, seduttivo, spesso, soprattutto da parte della fonte, e qui ci vuole onestà, non è solo una questione di mancanza di una cultura scientifica giornalistica ma è anche una questione di disonestà delle fonti di quelli che i numeri li sfornano, di quelli che te li danno da mangiare. E qui dentro ci sono tutti, ci sono gli esperti, c'è l'Università, ci sono le associazioni che hanno tutto un proprio interesse a gonfiare i numeri, c'è il terzo settore poi c'è il potere con i propri numeri o le proprie interpretazioni dei dati. Da quel punto di vista davvero una delle prime cose che mi viene da dire è "ma quale è il rapporto della fonte con quel dato?" Cerchiamo di capire se davvero il numero è la chiave per dialogare con quella fonte.

Intervento

Un paio di considerazioni. Sui bambini perché è un tema che mi sta a cuore, perché ho lavorato anche nel carcere di Nisida. Rispetto alla potenza dei numeri quando mi hanno detto gli educatori 1 su 10 dei ragazzi che esce da qui si salva è una cosa che mi ha fatto molto male.
Sempre rispetto al carcere e ai numeri, si parla tanto di percentuali, di quanti carcerati sono immigrati, però magari non si dice che gli immigrati non possono accedere alle misure alternative. Non hanno un domicilio molto spesso e per esempio non possono  avere gli arresti domiciliari.
Rispetto ai bambini la cosa di cui non si indaga per niente è dove vanno a finire quelli che escono dal carcere, non ci sono numeri rispetto a questa cosa qui e non si parla della fase precedente cioè di quanti ragazzi sono potenzialmente a rischio di finire in carcere perché in situazioni drammatiche. Un'altra cosa rispetto ai "tipi" nel senso all'incrocio delle variabili, si dice "ci sono tot. donne povere tot. uomini" e quindi si crea un "tipo" che in realtà non è magari la somma delle variabili.
E poi una cosa sul suicidio, sull'effetto delle notizie e l'aumento dei suicidi.

Stefano Laffi

Fenomeno e suo complementare

A parte la questione di quell'1 su 10 si salva, evidentemente quello è un numero triste che ti fa pensare agli altri 9. Quello è un caso di mancanza di dati, lì i dati mancano per capire davvero quello che ne è dei ragazzi, proprio perché non c'è nessuno che si occupa di quella contabilità lì, evidentemente al potere poco interessa. C'è una questione molto tecnica, il follow-up è faticoso perché deve andare a recuperare qualcuno che non è più in carico a qualche altro, il che vuol dire impiegare molto tempo per trovare i soggetti. Però basterebbe mettersi d'accordo con le persone che smettono di.. per poterle ricontattare per esempio anche solo col cellulare, queste sono le prime cose che si stanno facendo. Oggi le persone hanno un cellulare quindi qualunque sia la loro mobilità li puoi rintracciare, solo che ci vuole un'autorizzazione per poterle ritrovare. Si può fare bisogna solo pensarci prima, ma lo si fa abbastanza poco.
Sull'effetto  della notizia rispetto ai comportamenti suicidari, sì questa è una cosa nota, vado molto spesso in Alto Adige dove hanno deciso ad esempio di non dare più informazioni rispetto ai suicidi dei ragazzi. Non se ne parla più, fra poco si saprà che tipo di risultato questa cosa ha prodotto. Di fatto non se ne parla più per l'effetto imitazione su cui si faceva una ipotesi molto forte rispetto alla diffusione del fenomeno. Sugli stranieri vale quello che hai detto tu, ci sono in realtà dei lavori di ricerca abbastanza puntuali che danno numeri corretti sugli stranieri, ma anche solo una cosa molto banale, gli stranieri sono più vittime che autori di reati, allora anche in questo, ogni volta che c'è un fenomeno, occorre cercare di capire il suo complementare, perché così davvero riapri la lettura. Se prendi solo una strada e conti solo quelli che hanno fatto rati arrivi per forza ad una certa tesi, se la riapri e dici "ma quanti sono vittime?" ti accorgi che in realtà sono molto più vittime.
E fra l'altro sono quelli che denunciano di meno perché ovviamente hanno un rapporto con le Forze dell'ordine che non li porta immediatamente a dichiarare come stanno le cose.

Marino Sinibaldi

Bellissima questa osservazione.

* Testo non rivisto dagli autori.