XVIII Redattore Sociale 25-27 novembre 2011

Bulimie

Sparategli

Presentazione del libro di Jacopo Storni (Editori Riuniti, 2011)

 
Durata: 16' 25"
 
 
 
 
Jacopo STORNI

Jacopo STORNI

Corrispondente dalla Toscana di Redattore Sociale, collabora con il Corriere Fiorentino.

ultimo aggiornamento 25 novembre 2011

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LEGGI IL TESTO DELL'INTERA SESSIONE*

Stefano Trasatti

Jacopo Storni è il nostro corrispondente da Firenze, un giovane giornalista intorno ai 30 anni che ha scritto questo libro "Sparategli", uscito da qualche mese. Jacopo ha fatto una scelta molto precisa nello scrivere questo libro. E' un libro particolare, cupo, che racconta storie brutte di persone straniere che vivono in Italia, ai margini della società.Il sottotitolo è abbastanza esplicito: "Nuovi schiavi d'Italia". Sono 22 storie raccontate non al telefono bensì raccolte con incontri veri e lunghi che Jacopo ha fatto girando davvero tutta l'Italia. Le storie sono divise in 6 capitoli anche questi con titoli molto espliciti: gli schiavi, i baraccati, i disperati della strada, i perseguitati, i prigionieri, i morti. La prefazione è di Ettore Mo. Ci vuole una scelta di campo per fare una cosa come questa, che Jacopo ha fatto e lo dichiara. Jacopo ha fatto un pellegrinaggio nel lato oscuro dell'immigrazione, ha attraversato la parte più cupa del paese, precisando che in questo libro parlano soltanto le vittime. Stamattina sui giornali c'è la cronaca di questa nuova tragedia del mare ed è una vicenda che ci spinge a essere nuovamente molto pessimisti sul modo in cui trattiamo e accogliamo gli immigrati in Italia. In altri casi, se penso a questa regione e alle tante altre storie positive, il mio atteggiamento è diverso, penso che siamo bravi, che in fondo si è superato un periodo di emergenza, che stiamo andando verso la normalità. Poi dopo ripenso alle storie dei CIE, alle persone che vi sono state rinchiuse anche se in Italia da 20 anni, aver fatto figli qui, ma senza il permesso di soggiorno e si ritrovano lì, delle storie assurde… allora ritorna la visione pessimistica.

A Jacopo chiedo: ma anche tu oscilli su questo doppio atteggiamento? Perché hai fatto questa scelta di campo molto precisa, molto dichiarata? Siccome abbiamo parlato di tecniche nell'inchiesta, nel reportage, quale tecnica precisamente hai usato tu?

Jacopo Storni

Gli schiavi, i baraccati, i disperati della strada, i perseguitati, i prigionieri, i morti

La scelta è molto semplice in realtà perché il mio obiettivo era quello di fare una sorta di ricognizione di quelle che sono le situazioni più estreme, le situazioni più al limite, più drammatiche, disumane e più atroci degli immigrati in Italia . Un aneddoto che magari può essere interessante: prima di pubblicare questo libro, ho parlato con alcuni giornalisti, alcuni scrittori, scrittori-giornalisti, tra cui Goffredo Fofi che incontrai a Roma al Salone dell'Editoria Sociale e, anche in modo molto brutale, ma anche molto onesto, molto sincero, ma la sincerità è una cosa che lo contraddistingue, mi ha detto: guarda quanti mercanti dell'editoria. Mi ha detto: scrivere l'ennesimo libro sull'immigrazione, caro Jacopo, non serve a niente. In parte può aver ragione, perché comunque ci sono tantissimi libri sull'immigrazione, ci sono libri che parlano delle schiavitù agricole nel Mezzogiorno, altri delle schiavitù nei cantieri edili del nord Italia o comunque delle grandi città, libri su Lampedusa, però io, che sono un po' testardo di natura, mi son detto: secondo me manca, in questo mare magnum dell'editoria sull'immigrazione, un libro che, appunto, come ho detto prima, faccia una ricognizione da nord a sud, da ovest a est d'Italia, di tutte quelle che sono le condizioni più al limite, suddivise naturalmente per macro aeree, quindi come hai detto tu, gli schiavi, i baraccati, i disperati della strada, i perseguitati, i prigionieri, i morti. Mi son detto: perché non raccontare in 22 capitoli tutte le storie più al limite e più disumane? Ha raccolto il tutto in un viaggio che è durato circa un anno e mezzo, naturalmente non in modo continuo, ma nei fine settimana e nei ritagli di tempo libero, mi sono preso il mio zainetto e mi sono girato l'Italia alla ricerca delle condizioni peggiori e più estreme.

Il Terzo mondo d'Italia

C'è un'espressione che io uso spesso nel libro che è Terzo mondo d'Italia, perché insomma di terzo mondo in realtà si tratta . Ho studiato geografia economica e politica e uno dei miei sogni è sempre stato quello di fare un libro sul terzo mondo vero e proprio. Mi sono sempre appassionato di fame nel mondo, povertà estrema delle popolazioni più sfortunate, di disagio abitativo, insomma, a questi temi molto allegri. Poi invece ho scritto un libro sull'Italia, ma la differenza non è così grande, perché mi sono accorto, iniziando a viaggiare prima a Firenze, poi in Toscana come cronista, e poi talvolta anche in giro per l'Italia, che quello che io volevo denunciare nei luoghi più lontani del mondo, in realtà si viveva anche in Italia e forse talvolta anche in modo peggiore, proprio perché siamo in un "paese avanzato". Ecco, quindi, che è nato un libro sul terzo mondo d'Italia. Terzo mondo può essere un'espressione forse provocatoria, però descrive quello che ho visto. Forse non vi dirò niente di nuovo, ma in Italia ci sono persone che soffrono la fame, come nel caso della baraccopoli che ho visitato fra l'altro nella mia città, Firenze, dove circa un centinaio di rifugiati somali, tutti con il permesso di soggiorno in quanto rifugiati, soffrono la fame. C'è un ragazzo che parla in questo libro che dice: io in 6 mesi sono dimagrito 10kg perché mangio soltanto il giorno alla Caritas, ma la sera è chiusa e io non ho di che mangiare. Questa è proprio una situazione da terzo mondo. Come in qualsiasi terzo mondo che si rispetti, in questo libro ci sono storie di immigrati che muoiono addirittura per malattie che sono curabili, come appunto nei paesi del sud del mondo. Tutto questo è anche una conseguenza di alcune leggi approvate in Parlamento nel 2009 per cui sostanzialmente si invitano i medici a denunciare quelli che sono gli immigrati irregolari che si presentano negli ospedali o negli ambulatori. Questo che cosa ha provocato? Un allontanamento graduale degli immigrati dagli ospedali perché comunque nell'immaginario collettivo degli immigrati l'ospedale oltre ad essere un luogo di cura, diventa anche un luogo in cui ci si può trovare una denuncia. Nel libro racconto la storia di Marcus che è un ragazzo africano che viveva a Rosarno, lavorava negli aranceti, si è ammalato semplicemente di tosse, poi la tosse è diventata broncopolmonite, è andato all'ospedale, dopo pochi giorni è morto. Ci sono anche le tante storie raccontate da Franco Natale che è il direttore dell'ambulatorio del Centro di accoglienza Fernandes a Castelvolturno, dove arrivano mensilmente tantissimi immigrati, centinaia, migliaia di immigrati. Franco Natale mi ha raccontato tante storie di immigrati malati inizialmente magari semplicemente di raffreddore oppure di semplici infezioni che poi non si sono curati e sono morti o comunque hanno visto aggravarsi la situazione, e questo o per incuria o per paura, appunto, di andare in ospedale e trovarvi una denuncia, perché questo talvolta è successo. I casi di denuncia in effetti sono pochi però poi i giornali ci ricamano sopra e quindi nell'immaginario collettivo degli immigrati c'è la paura e la diffidenza verso gli ospedali.

Le schiavitù agricole, edili e delle cooperative di spedizioni

Ci sono tante storie di schiavitù agricole, non c'è soltanto Rosarno, ci sono in Puglia, Campania, Sicilia, Basilicata. Ci sono anche storie di schiavitù agricole un po' meno famose sui giornali, ad esempio, quella che si consuma alle porte di Roma, in provincia di Latina, a Sabaudia, un luogo in cui c'è anche un forte retaggio fascista, ma che tutti conoscono come meta di vip per le sue bellissime spiagge. Si tratta, però, anche di un luogo in cui decine di migliaia di immigrati, in questo caso indiani sikh, coltivano gli ortaggi per 12-14 ore al giorno con paghe da fame. In alcuni casi i datori di lavoro pretendono che gli indiani facciano 3 passi indietro e un inchino quando si trovano davanti a loro. Oppure le tante schiavitù nei cantieri edili nell'hinterland milanese e, sempre per rimanere nell'hinterland milanese, gli schiavi delle cooperative della logistica, come ad esempio TNT, DHL, UPS, gli spedizionieri insomma. Anche in questo caso ci sono tantissime persone che lavorano senza nessun diritto e realmente schiavizzate. In questo settore, c'è un giro di mafia dietro, una criminalità organizzata che fabbrica appositamente documenti falsi agli immigrati irregolari che altrimenti non avrebbero la possibilità di lavorare e questo perché DHL pretende che nei suoi luoghi di lavoro ci siano persone regolari, anche se poi così non è.

Lo sfruttamento sessuale

Come in qualsiasi terzo mondo che si rispetti ci sono storie di sfruttamento non solo lavorativo, ma anche sessuale . C'è la storia di Jasmine che è una ex prostituta che ho incontrato alla cooperativa Dedalus a Napoli, una cooperativa che si occupa di reinserimento sociale. Jasmine, che è nigeriana, mi ha raccontato la sua storia atroce, di come è arrivata in Italia e di come ha esercitato il suo "mestiere" sui marciapiedi di Napoli quando ancora era minorenne. Ci sono anche storie di altre schiavitù sessuali. Uno dei capitoli che mi ha più emozionato, e non a caso è stato messo per primo nel libro, è quello ambientato a Vittoria, che è un piccolo paese in provincia di Ragusa, dove in questo caso ad essere sfruttate sia lavorativamente che sessualmente, sono le braccianti romene che di giorno coltivano gli ortaggi dentro le serre e di notte, sostanzialmente, allietano la serata, la nottata del proprio datore di lavoro con delle prestazioni sessuali. Sono si consenzienti, ma solo per frutto di una sudditanza economica e psicologica incredibile. Infatti queste ragazze guadagnano pochi euro, il datore di lavoro offre loro un alloggio che spesso è decrepito, in mezzo alla campagna, ma in cambio pretende che la sua notte venga in qualche modo allietata.

Storie di apartheid

E poi, come in qualsiasi terzo mondo che si rispetti, ci sono le storie, mi verrebbe da dire, di apartheid, come la storia di quell'indiano che è stato bruciato con una tanica di benzina da una banda di bulli romani a Nettuno in provincia di Roma . Ci sono anche le storie di ordinanze e leggi leghiste, come quella di Coccaglio in provincia di Brescia, dove alla vigilia del Natale 2009 il sindaco leghista varò un'operazione porta a porta della polizia municipale per scovare gli immigrati irregolari. Questa operazione venne denominata "Bianco Natale senza clandestini".

L'unico modo per liberare le emozioni e raccontare queste storie era scrivere questo libro

Si tratta, insomma, di un libro dove non troverete grosse notizie e rivelazioni particolari, anche se molte storie anch'io magari neanche le conoscevo prima di arrivarci . È un libro, soprattutto, non tanto di scoop giornalistici o di notizie, ma un libro che cerca di raccontare le emozioni e sentimenti che sono le mie emozioni, perché insomma ce ne ho messe tante per scriverlo; ma ci sono anche le emozioni delle vittime degli ultimi d'Italia, dei senza voce d'Italia, ai quali non avevo la possibilità, lavorando da giornalista, di dare quella voce che io ritenevo opportuna, perché spesso nelle cronache mediatiche, sia in agenzia che nei quotidiani, c'è una forte difficoltà a colorare queste storie, a dare spazio a quella che è la parte più emozionale, la parte più sentimentale. Non avevo, appunto, la possibilità di liberare queste emozioni che sono le mie, ma soprattutto di raccontare le storie di queste persone, le aspettative, le speranze, le gioie, i dolori e tutto quello che c'è di profondo, di intimo in queste persone. L'unico modo per farlo era scrivere un libro, quindi ecco, anche questo è uno dei motivi che mi ha spinto a scriverlo.

Stefano Trasatti

Grazie Jacopo. "Mi sono commosso ad ascoltare le loro storie, ma non perché sono più sensibile, è successo solo perché ho parlato con loro". Questa è una frase che Jacopo ha scritto nelle conclusioni. Grazie, è un bel libro da conservare, è un libro che fa memoria.

* Testo non rivisto dagli autori.